Va reintegrata la lavoratrice che prese un monopattino dalla spazzatura in azienda

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1 Va reintegrata la lavoratrice che prese un monopattino dalla spazzatura in azienda Corte Appello, Torino, sez. lavoro, sentenza 10/01/2019 n 15 di Donato Apollonio Pubblicato il 15/02/2019 Non costituisce giusta causa di licenziamento l asportazione di un oggetto rinvenuto nella spazzatura dell azienda datrice di lavoro in quanto i rifiuti sono privi di valore economico e non possono essere equiparati ai beni aziendali per il furto dei quali il regolamento aziendale prevede il recesso in tronco (Corte d Appello Torino, sezione Lavoro, sentenza 10 gennaio 2019, n. 15). ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conformi Difformi Cass., Sez. lav., 7 aprile 2016, n Cass., Sez. lav., 2 dicembre 2015, n Cass., Sez. lav., 29 agosto 2011, n Cass., Sez. lav., 12 settembre 2006, n Cass., Sez. lav., 15 febbraio 2003, n Cass., Sez. lav., 27 novembre 1999, n Cass., Sez. lav., 12 ottobre 2017, n Cass., Sez. lav., 5 aprile 2017, n Cass., Sez. lav., 3 novembre 2016, n Cass., Sez. lav., 25 giugno 2015, n Cass., Sez. lav., 25 giugno 2015, n Cass., Sez. lav., 28 gennaio 2013, n Il fatto contestato alla lavoratrice che ha determinato il suo licenziamento per giusta causa ha avuto una vasta eco mediatica, sfociata anche in una interpellanza parlamentare. In sintesi, la donna, dipendente di una ditta che si occupa della raccolta di rifiuti a Torino, era stata accusata di avere portato a casa un monopattino, poi regalato a suo figlio, recuperato dalla spazzatura e depositato nel mucchio di oggetti della differenziata nel capannone dell'azienda. Peraltro, la lavoratrice non si era appropriata direttamente dell oggetto ma questo le era stato consegnato da una sua collega che lo aveva staccato dalla bacheca aziendale, pur in presenza di un cartello apposto dal responsabile del centro che avvertiva dell illegittimità dell apprensione di beni trovati tra i rifiuti, da considerarsi di proprietà aziendale.

2 La sottrazione del monopattino era stata dunque qualificata dal datore di lavoro come appropriazione indebita e la dipendente era stata licenziata in tronco. Il licenziamento era stato impugnato dalla lavoratrice che ne aveva chiesto l annullamento con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e pagamento dell indennità risarcitoria previsti dall art. 18, comma 4, della legge n. 300/1970. Il Tribunale di Torino, con ordinanza nell ambito del c.d. Rito Fornero, aveva accertato che non sussistevano gli estremi della giusta causa ma, contrariamente alle aspettative della ricorrente, aveva ritenuto comunque risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, condannando l azienda a corrispondere alla lavoratrice soltanto una indennità risarcitoria di 18 mensilità; l ordinanza era stata poi confermata dallo stesso Tribunale a seguito di reclamo proposto da entrambe le parti. In particolare, il Giudice del primo grado aveva ritenuto accertata e sussistente l appropriazione indebita di un bene aziendale da parte della lavoratrice ma il fatto non era stato considerato così grave da legittimare il recesso in tronco in considerazione della circostanza che il monopattino sottratto era comunque un rifiuto ed aveva un valore economico trascurabile. Nei motivi del ricorso in appello la lavoratrice ha esposto che il monopattino doveva essere qualificato come rifiuto e quindi non poteva essere considerato un bene aziendale come quei beni di cui il dipendente dispone per ragioni di ufficio. L azienda ha contestato questa impostazione ed ha insistito sul fatto che doveva considerarsi irrilevante la provenienza del monopattino dalla raccolta rifiuti perché si trattava di un bene presente nella sede aziendale entrato nella piena disponibilità del datore di lavoro e, di conseguenza, il comportamento della dipendente doveva essere qualificato come furto, sanzionato dal regolamento aziendale con il licenziamento per giusta causa. L iter argomentativo con il quale la Corte di Appello di Torino ha accolto il ricorso della lavoratrice, disponendone la reintegrazione nel posto di lavoro, parte proprio dal considerare il monopattino come un rifiuto, definito tale anche dall azienda e, in particolare, dall autore del cartello, di cui si è detto sopra, con il quale si vietava ai dipendenti di impossessarsi dei rifiuti. Occorre dunque distinguere, secondo i Giudici del secondo grado, tra bene (oggetto che conserva un sia pur minimo valore o utilità) e rifiuto, ossia del materiale che è stato scartato ed eliminato in quanto divenuto inutilizzabile e privo di valore. Fatta questa premessa, la Corte di Appello ha rilevato che: nella lettera di contestazione disciplinare inviata alla dipendente si faceva testualmente riferimento ad una appropriazione indebita di un bene non di sua proprietà dalla sede aziendale ; nella prima edizione del regolamento aziendale veniva fatta una distinzione tra il divieto di asportare qualsiasi oggetto fuori dalle sedi di lavoro e la possibilità, previa autorizzazione dei superiori, di prelevare materiale di scarto da parte dei lavoratori; nella seconda edizione del regolamento non era più contemplata la possibilità per i dipendenti di prelevare i materiali di scarto; questa seconda edizione del regolamento non era stata però portata efficacemente a conoscenza dei lavoratori.

3 Fatte queste premesse, i Giudici hanno ritenuto che il monopattino in questione apparteneva senza dubbio alla categoria materiale di scarto ed hanno concluso per l illegittimità del licenziamento sottolineando, nella motivazione, che l assenza di consapevolezza dell esistenza del divieto di asportare i rifiuti è imputabile all azienda che non ha curato in modo adeguato la pubblicità del divieto stesso. La ricorrente poteva quindi in buona fede ignorare che la sua condotta fosse illecita tenuto conto che il regolamento aziendale vieta l asportazione di qualsiasi oggetto mentre nella specie è stato asportato un rifiuto. In particolare, il licenziamento è stato dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto contestato, nozione che comprende non solo i casi in cui il fatto non si sia materialmente verificato, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare. La lavoratrice dovrà essere dunque reintegrata nel posto di lavoro in quanto, sempre ad avviso della Corte, non è stata posta in essere una condotta di gravità tale da rescindere in modo irreversibile il vincolo fiduciario, considerato anche che la lavoratrice aveva ricevuto il monopattino da una collega e, anziché occultarlo nel bagagliaio della sua auto, lo aveva riposto in bella vista sul sedile posteriore. In giurisprudenza, sono numerosi i precedenti in tema di legittimità (o meno) del licenziamento per giusta causa in caso di furto di beni aziendali di modico valore, con esiti spesso contrastanti. La giusta causa di recesso non è stata ad esempio riconosciuta, per mancanza di proporzionalità tra illecito e sanzione, nei seguenti casi: - sottrazione da parte di un capo reparto di alcune rondelline metalliche del valore complessivo di 2,90 euro (Cass. n. 6764/2016); - furto di un porta telefono magnetico del valore di 2,90 euro da parte del commesso di un supermercato (Cass. n /2015); - sottrazione dalla cassa aziendale della somma di 5 euro (Cass. n /2011); - occultamento della vendita di quattro biglietti da parte del cassiere di uno spettacolo (Cass. n /2006); - furto compiuto da un magazziniere di alcune confezioni di lamette da barba (Cass. n. 2336/2003). In altre pronunce la Cassazione si è invece dimostrata più severa affermando che il modesto valore del bene sottratto va comunque messo in relazione al fatto oggettivo, sotto il profilo di sintomo possibile correlato a futuri comportamenti del lavoratore e, quindi, alla fiducia che il datore di lavoro può riporre nel lavoratore stesso, essendo necessario che i fatti addebitati costituiscano carattere di grave negazione degli elementi che costituiscono il rapporto di lavoro e, specialmente, dell elemento essenziale della fiducia, cosicché la condotta del dipendente sia idonea a porre in dubbio la propria futura correttezza. Basandosi su questo principio, si è dunque ritenuta la legittimità del licenziamento in tronco in queste fattispecie: - furto di un pacchetto di caramelle nel supermercato in cui era addetto il lavoratore (Cass. n /2017); - sottrazione di 20 litri di gasolio da un veicolo aziendale (Cass. n. 8816/2017); - tentato furto di calzini del valore di 21 euro (Cass. n /2016); - appropriazione di una assicurata contenente alcuni blocchetti di buoni mensa (Cass. n /2015); - furto di uno zainetto appartenente ad un collega (Cass. n. 1814/2013).

4 Si tenga infine presente che non necessariamente il fatto addebitato al lavoratore deve avere rilevanza penale (ad esempio, furto o appropriazione indebita); la Corte di Cassazione ritiene, infatti, che nella valutazione delle risultanze processuali per l accertamento della sussistenza della giusta causa di licenziamento, ai fini della determinazione della consistenza dell infrazione disciplinare non rileva di regola la qualificazione fattane dal punto di vista penale, essendo invece necessario che i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione dell elemento fiduciario del rapporto di lavoro (Cass. n. 5633/2001). (Altalex, 15 febbraio Nota di Donato Apollonio tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer) ( da )

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