PIANO COMUNALE DI EMERGENZA

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1 CISTERNA PROVINCIA DI NAPOLI PIANO COMUNALE DI EMERGENZA e soccorso in materia di Protezione Civile DATA 2015 ELABORATI DESCRITTIVI N ELAB. RELAZIONE TECNICO-ILLUSTRATIVA EL.1 D A T A Il Progettista Il Responsabile del Procedimento

2 Sommario PREMESSA... 3 Quadro Normativo di Riferimento Nazionale... 8 Quadro Normativo di Riferimento Regionale... 9 Documentazione PARTE GENERALE Dati di base territoriali Popolazione Infrastrutture di trasporto Infrastrutture dell energia e Servizi Essenziali Clima Edifici strategici, di interesse pubblico e sensibili Geologia e geomorfologia del territorio comunale Carta geomorfologica e della stabilità Caratteristiche idrogeologiche e idrologiche Carta idrogeologica Caratteristiche geologiche del territorio comunale Carta dell uso La legenda della carta dell uso agricolo del suolo Stima degli alloggi esistenti sul territorio comunale RISCHIO E PERICOLO RISCHIO INCENDI BOSCHIVI RISCHIO INCENDI DI INTERFACCIA RISCHIO VULCANICO Prime indicazioni per la determinazione dei carichi verticali conseguenti alla ricaduta di ceneri vulcaniche RISCHIO SISMICO... 67

3 Caratterizzazione sismica e zonazione del territorio in prospettiva sismica * CARTA MICROZONAZIONE SISMICA IL RISCHIO IDROGEOLOGICO RISCHIO INDUSTRIALE RILEVANTE INQUADRAMENTO NORMATIVO INDUSTRIE A RISCHIO RILEVANTE SUL TERRITORIO DI CISTERNA

4 PREMESSA Il Piano di Emergenza Comunale di Protezione Civile è il documento che descrive il modello organizzativo della risposta operativa ad eventi che, nell ambito del territorio comunale, possono produrre effetti dannosi nei confronti delle persone, dell ambiente e del patrimonio. Il Piano, sulla base di modelli di riferimento, determina le strategie dirette alla riduzione del danno, al soccorso ed al superamento dell'emergenza. La stesura completa di un Piano di Emergenza Comunale richiede uno studio dettagliato del territorio con l individuazione delle aree soggette ai rischi, nonché la conoscenza del patrimonio edilizio esistente, sia pubblico che privato. Altro aspetto fondamentale è la possibilità di poter disporre di attrezzature idonee al rilevamento delle soglie di rischio e dei fenomeni precursori degli eventi, essenziali ai fini della prevenzione e di una migliore tempestività degli interventi. Tenuto conto che l Ente comunale di Castello di Cisterna (NA), ad oggi, non è a conoscenza di tutti i dati basilari per la stesura del Piano (quelli reperiti andrebbero poi verificati) e nemmeno è dotato di una struttura in grado di effettuare il rilievo degli stessi, nella redazione del presente Piano di Emergenza si è proceduto con l intento di dotare questa Amministrazione di uno strumento che indichi l organizzazione necessaria affinché il personale delle strutture operative, possa fronteggiare al meglio le varie fasi emergenziali. 3

5 L aspetto principe per una buona utilizzazione del Piano redatto, resta in ogni caso la sua divulgazione capillare alla popolazione, la quale, nei casi emergenziali, potrà partecipare fattivamente e in modo collaborativo. In conformità all art. 15 della Legge 225/1992 ed all art. 108 del D. Lgs. 112/1998, il Sindaco è l Autorità comunale di Protezione Civile e, pertanto, ha il compito di gestire e coordinare i soccorsi e l assistenza alla popolazione, dando attuazione alla pianificazione di Protezione Civile. In quest ottica ogni Comune, secondo la normativa italiana, ha l onere di predisporre un Piano di Protezione Civile, i cui obiettivi prioritari sono i seguenti: 1. Individuare i rischi presenti nel proprio territorio, attraverso l analisi di dettaglio delle caratteristiche ambientali ed antropiche della zona. Tale attività permette di individuare degli scenari di riferimento sui quali basare la risposta di Protezione Civile. 2. Affidare responsabilità e competenze, che vuol dire saper rispondere alla domanda chi fa/che cosa. L individuazione dei responsabili, se pianificata, permette di non trovarsi impreparati al momento dell emergenza e di diminuire considerevolmente i tempi di intervento. 3. Definire la catena di comando e controllo e le modalità del coordinamento organizzativo, tramite apposite procedure operative, specifiche per ogni tipologia di rischio, necessarie all individuazione ed all attuazione degli interventi urgenti. Definire la catena di comando e controllo significa identificare: chi prende le decisioni, a chi devono essere comunicate, chi bisogna attivare e quali enti/strutture devono essere coinvolti. 4

6 4. Istaurare un sistema di allertamento, cioè definire le modalità di segnalazione di un emergenza e di attivazione delle diverse fasi di allarme, per ciascuna tipologia di rischio. Tale attività è connessa all organizzazione del presidio operativo. 5. Individuare le risorse umane e materiali necessarie per fronteggiare e superare la situazione di emergenza: quali e quante risorse sono disponibili e come possono essere attivate. Come accennato in premessa, tra la normativa regionale è doveroso aggiungere la Delibera di Giunta Regionale della Campania n.146 del 27/05/2013 che tra l altro approva le Linee Guida per la Redazione dei Piani di Emergenza Comunali. Nell'ambito del quadro ordinamentale, di cui alla normativa vigente in materia di autonomie locali alla Prefettura spetta, nell ambito del territorio provinciale, la direzione dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite dalla calamità ed inoltre essa coordina le attività svolte da tutte le amministrazioni pubbliche, dagli enti e dai privati. Il Prefetto, fermo restando quanto previsto dall art. 14 della legge 225/1992 e s.m.i., che in sede locale rappresenta il Governo, assicurerà agli enti territoriali il concorso dello Stato e le relative strutture periferiche per l attuazione degli interventi urgenti di protezione civile, attivando tutti quei mezzi ed i poteri di competenza statale, e realizzando in tal modo quella insostituibile funzione di cerniera con le ulteriori risorse facenti capo agli altri enti pubblici. Al Prefetto spetta, altresì, la competenza esclusiva nella pianificazione dell emergenza esterna per il rischio industriale e nelle emergenze di difesa civile (attività di emergenza poste in 5

7 essere in occasione di crisi causate da situazioni che mettono in pericolo la sicurezza dello Stato, fino all ipotesi estrema della guerra). Le Regioni possono approvare con propria deliberazione il piano regionale di protezione civile, che può prevedere criteri e modalità di intervento da seguire in caso di emergenza sulla base delle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e il ricorso a un piano di prevenzione dei rischi. Il piano regionale di protezione civile può prevedere, nell ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l istituzione di un fondo, iscritto nel bilancio regionale, per la messa in atto degli interventi previsti dal medesimo piano per fronteggiare le prime fasi dell emergenza. Alla Regione spetta, inoltre, la competenza in ordine all attività di predisposizione dei programmi di previsione, prevenzione ed attuazione degli interventi urgenti in caso di calamità e di quelli necessari a garantire il ritorno alle normali condizioni di vita, unitamente alla formulazione degli indirizzi per la predisposizione dei piani comunali di emergenza; svolge, altresì, le funzioni relative allo spegnimento degli incendi boschivi. Gestisce gli interventi per l organizzazione e l utilizzo del volontariato di protezione civile, per il quale è previsto un apposito albo regionale. La Provincia spetta la competenza in ordine all attuazione delle attività di previsione e prevenzione previste dai relativi piani regionali, oltre che la vigilanza sulla predisposizione dei servizi urgenti, anche di natura tecnica, da parte delle strutture provinciali di Protezione Civile. Ai Comuni spetta l attribuzione, nell ambito territoriale di competenza ed in quello intercomunale, di funzioni analoghe a quelle conferite alle amministrazioni provinciali, nonché l ulteriore compito relativo all attivazione dei primi soccorsi necessari a fronteggiare 6

8 l emergenza. In modo particolare provvedono alla predisposizione ed all attuazione, sulla base degli indirizzi regionali, dei piani comunali di emergenza ed alla predisposizione di misure atte a favorire la costituzione e lo sviluppo, sul proprio territorio, dei gruppi comunali e delle associazioni di volontariato di Protezione Civile. Per quanto riguarda le aziende a rischio di incidente rilevante, i comuni sono tenuti a fornire l informazione alla popolazione sulle procedure da seguire in caso di evento che interessi l area esterna agli stabilimenti individuati dalla pianificazione di emergenza. Il Sindaco rappresenta l'autorità comunale di Protezione Civile. Al verificarsi dell'emergenza nell'ambito del territorio comunale, il Sindaco assume la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari dandone immediata comunicazione al Prefetto e al Presidente della Giunta Regionale. Quando la calamità naturale o l'evento non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del Comune, il Sindaco chiede l'intervento di altre forze e strutture al Prefetto ed al sistema di Protezione Civile, che adotta i provvedimenti di competenza, coordinando i propri interventi con quelli dell'autorità comunale di Protezione Civile. Il Sindaco si avvale del Centro Operativo Comunale C.O.C. per la direzione ed il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione colpita. Il C.O.C., così come meglio specificato e descritto in seguito, segnala alle Autorità competenti l evolversi degli eventi e delle necessità, coordina gli interventi delle squadre operative comunali e dei volontari ed informa la popolazione. Il C.O.C. è composto da dipendenti del Comune che, per le ordinarie funzioni svolte, per la professionalità acquisita nei vari e distinti 7

9 ruoli ricoperti, per la tipologia dei servizi erogati e per la gestione delle risorse e delle infrastrutture comunali, rispondono al meglio per ricoprire le funzioni di supporto della Pianificazione Comunale. Quadro Normativo di Riferimento Nazionale Legge 8 dicembre 1970, n 996 Norme sul soccorso e l assistenza alle popolazioni colpite da calamità Protezione Civile. D.P.R. 6 febbraio 1981, n 66 Regolamento di esecuzione della Legge 996/70, recante norme sul soccorso e l assistenza alle popolazioni colpite da calamità. Legge 11 agosto 1991, n 266 Legge Quadro sul Volontariato. D.P.R. 194/2001; Legge 24 febbraio1992, n 225 Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile. D. lgs. 31 marzo 1998, n 112 Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione della L. 15 marzo 1997, n 59; Titolo III Territorio, Ambiente e Infrastrutture Capo I Art. 51; Capo VIII Protezione Civile Art. 108; Capo IX Disposizioni finali Art Servizio meteorologico nazionale distribuito; Titolo IV Servizi alla Persona e alla Comunità; Capo I Tutela della salute Art Interventi d'urgenza. Legge 21 novembre 2000, n. 353 Legge quadro in materia d incendi boschivi; 8

10 Decreto Legge n 343 del 7 settembre convertito con la Legge 9 novembre 2001, n 401, Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile ; DPCM 20 dicembre 2001 Linee guida ai piani regionali per la lotta agli incendi boschivi; Decreto Legge n 90 del 31 maggio 2005, convertito in Legge 152 del 26 luglio 2005; Atto del Presidente del Consiglio dei Ministri, recante Indirizzi operativi per fronteggiare il rischio incendi boschivi per la stagione estiva 2007 (Prot. Nr. 1947/2007/PCM) OPCM 3606/2007 Incendi d interfaccia. Decreto Legge n. 59 del 15 maggio 2012 convertito dalla legge n. 100 del 12 luglio Disposizioni urgenti per il riordino dell a Protezione Civile. Quadro Normativo di Riferimento Regionale DPR 554/99 art. 147; Legge Regionale 11 agosto 2001, n. 10- Art.63 commi 1,2 e 3; sostituita dalla L.R. n 3/2007 art. 18; Nota del 6 marzo 2002 prot. n.291 S.P. dell'assessore alla Protezione Civile della Regione Campania, in attuazione delle delibere di Giunta Regionale n.6931 e n del 21 dicembre 2001, ha attivato la "Sala Operativa Regionale Unificata di Protezione Civile"; Delibera di Giunta Regionale n 6932 del 21 dicembre 2002 individuazione dei Settori ed Uffici Regionali attuatori del Sistema Regionale di Protezione Civile; 9

11 Delibera di Giunta Regionale n 854 del 7 marzo 2003 Procedure di attivazione delle situazioni di preemergenza ed emergenza e disposizioni per il concorso e coordinamento delle strutture regionali della Campania; D.P.G.R. n. 299/2005 Sistema di allertamento regionale per il rischio idrogeologico e delle frane; DGR n del 22 giugno Piano Regionale per la Programmazione delle Attività di Previsione Prevenzione e Lotta Attiva contro gli Incendi Boschivi. Linee Guida per la Redazione dei Piani di Emergenza Comunale Delibera Giunta Regionale della Campania n. 146 del 27/05/2013. Documentazione Metodo Augustus Linee guida per la pianificazione di Protezione Civile a livello provinciale e comunale Dipartimento della Protezione Civile (1998); Criteri di massima per la pianificazione provinciale e comunale di emergenza Dipartimento della Protezione Civile, 2000; Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Napoli; Piano Urbanistico Comunale 10

12 PARTE GENERALE Dati di base territoriali Castello di Cisterna è un comune campano, in provincia di Napoli, con più di settemila abitanti. Sorge fra il Lagno Campagna, il Lagno Spirito Santo e il Lagno di Somma, canali dei bacini di bonifica del fiume Clanio nel cuore della pianura campana. Il territorio Comunale di Castello di Cisterna in Provincia di Napoli ha una Estensione territoriale di 3,97 kmq. Il territorio comunale è situato al una altezza s.l.m minima di 26 m e massima di 58 m Figura 1 Dati dei confini amministrativi dei Comuni d Italia in formato shapefile forniti gratuitamente dall Istat relativi al censimento della popolazione 2001 nel sistema di riferimento ED_1950_UTM zona 32 11

13 Il comune di Castello di Cisterna confina ad est con Brusciano, a Nord con Acerra, a Sud Somma Vesuviana e ad Ovest Pomigliano d'arco. Di seguito si riporta una sintesi dei dati generali (Tab. 1) del comune di Castello di Cisterna: DATI GENERALI Comune Castello di Cisterna Provincia Napoli Autorità di Bacino (L.183/89) Autorità di Bacino Napoli Nord Occidentale Comunità Montana (Legge regionale del n.12) Il comune non partecipa ad alcuna Comunità Montana Consorzio di Bonifica (Legge regionale del n. 4). CONSORZIO GENERALE DI BONIFICA DEL BACINO INFERIORE DEL VOLTURNO Sezione CTR ; ; ; ; ; Estensione territoriale 3,97 kmq Distribuzione altimetrica del territorio Da quota 0 a 200 m s.l.m comunale e della popolazione Altitudine della casa comunale (m slm) 34 Latitudine 40 54' 57,96'' N Longitudine 14 24' 25,56'' E Casa Municipale Comune di Castello di Cisterna Via Vittorio Emanuele Castello di Cisterna NA Comuni Confinanti Brusciano- Acerra- Somma Vesuviana- Pomigliano d'arco N Foglio IGM 1: Tabella 1 Dati generali Comune di Castello di Cisterna Popolazione Il Comune di Castello di Cisterna accoglie una popolazione di abitanti (fonte censimento ISTAT 2014) (Tabb. 2 4; Fig. 1). I dati di seguito riportati in forma tabellare e grafica sono tratti dai dati ISTAT. 12

14 DATI DEMOGRAFICI (Anno 2013) Densità per km² 1.970,21 ab./km². Popolazione residente (N.) Numero di abitazioni Maschi Femmine Totale Popolazione anni Popolazione anni Popolazione oltre 65 anni Famiglie (N.) Maschi (%) 49 Femmine (%) 51 Stranieri (%) 2 Età Media (Anni) 36,6 Tabella 2 Dati demografici ISTAT del Comune di Castello di Cisterna al 2013 Figura 2 Suddivisione della popolazione di Castello di Cisterna per fasce d'età 13

15 BILANCIO DEMOGRAFICO (Anno 2013) Popolazione al 1 gen Nati 115 Morti 52 Saldo naturale[1] 63 Iscritti 425 Cancellati 375 Saldo Migratorio[2] 50 Saldo Totale[3] 113 Popolazione al 31 dic Tabella 3 Bilancio demografico all'anno 2013 TREND POPOLAZIONE Anno Popolazione (N.) Variarione % su anno prec , , , ,62 14

16 , , , , , , , ,48 Tabella 4 Popolazione residente del Comune di Castello di Cisterna dal 2001 al 2013 TREND FAMIGLIE Anno Famiglie (N.) Variazione % su anno prec. Componenti medi , ,64 4, ,38 3, ,81 3, , ,46 3, ,59 3, ,1 3, , ,58 2,94 Tabella 5 Famiglie residenti del Comune di Castello di Cisterna dal 2001 al

17 POPOLAZIONE PER ETÀ (Anno 2013) MASCHI FEMMINE TOTALE Classi (n.) % (n.) % (n.) % 0-2 anni 181 4, , , anni 154 4, , , anni 296 7, , , anni 310 8, , , anni 371 9, , , anni , , , anni , , , anni , , , anni , , , anni 277 7, , ,72 75 e più 125 3, , ,31 Totale Tabella 6 Popolazione del Comune di Castello di Cisterna suddivisa per fasce d'età per l'anno 2013 Dalle tabelle e dai grafici riportati si denota come la popolazione sia cresciuta in maniera stabile dal 2001 al 2013 (Tab.4), con un lieve calo dal 2006 al 2007 ed una ripresa fino al La tabella sulla suddivisione per fasce d età (Tab.6) evidenzia che la sommatoria tra over 65 ed under 12 costituisce il 37% della popolazione a maggior necessità di aiuto in caso di eventuali emergenze. 16

18 Infrastrutture di trasporto Di seguito si riportano i recapiti telefonici dei gestori delle principali società gestori della viabilità e servizi annessi del territorio comunale di Castello di Cisterna: Ente gestore Telefono Fax/ Comune di Castello di Cisterna Ufficio Polizia Municipale Via Vittorio Emanuele Castello Di Cisterna (NA) vigiliurbani@comune.castellodicisterna.na.it Comune di Castello di Cisterna Ufficio Tecnico ufficiotecnico@comune.castellodicisterna.na.it Caserma carabinieri Via Miccoli n Circumvesuviana s.r.l Posta Elettronica Certificata: circum@pec.vesuviana.it ANAS S.p.A Fax: Tabella 7 Elenco Enti gestori viabilità e servizi sicurezza del territorio comunale di Castello di Cisterna (NA). Infrastrutture dell energia e Servizi Essenziali Sul territorio comunale sono presenti le seguenti reti tecnologiche di servizio all urbanizzato e in particolare: rete fognaria; rete di distribuzione idrica principale; rete distribuzione elettrica; rete telefonica. 17

19 Di seguito si riporta una tabella riepilogativa degli Enti Gestori dei suddetti servizi nel territorio comunale di Castello di Cisterna (Tab. 6): Ente gestore Telefono Fax/ Rete acquedottistica e rete fognaria. Servizio Idrico Integrato GORI Gestione Ottimale Risorse Idriche Sede legale e direzione Generale: Via Trentola, Ercolano Servizi elettrici Terna S.P.A: Via Aquilieia 8 - Napoli Servizi elettrici Utenze ENEL Distribuzione S.P.A. ENEL Distretto Campania Centro Direzionale Isola G Napoli NA Rete telefonica Servizi telefonici e Telecomunicazioni Telecom Italia S.p.A. Centro Direzionale Isola F Napoli NA N verde emergenze Fax della Sede Legale e Direzione Generale: Sede di Napoli Tel: terna.soc@terna.it N verde nazionale per emergenze: N verde nazionale N verde nazionale N Distretto Campania : Numero Verde per richieste di Spostamento pali cavi ed altre infrastrutture di Telecom Italia; : Numero Verde per segnalazioni di Pericoli pali, cavi e infrastrutture di Telecom Italia; : Numero Verde per richieste Cartografie/sopralluogo per segnalazione impianti Telecom Italia; Tabella 8 Elenco Enti gestori Reti tecnologiche del territorio comunale di Castello di Cisterna (NA). 18

20 La GORI gestisce nel territorio comunale di Castello di Cisterna 25 km di rete idrica e 14 km di rete fognaria per un numero di utenti pari a Il Comune di Castello di Cisterna viene alimentato dall'acquedotto della Regione Campania con le acque provenienti da San Clemente. Per la verifica della qualità delle acque distribuite nel comune di Castello di Cisterna si eseguono periodici prelievi in diversi punti della rete idrica cittadina, concordati con l'azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud. 1 L ENEL ha redatto per tutto il territorio nazionale il Piano Salva Black Out - Piano di Emergenza per la Sicurezza del Sistema Elettrico (PESSE) predisposto per ridurre, in caso di necessità, i carichi di energia elettrica in maniera programmata, per evitare che si verifichino blackout incontrollati. Il piano viene applicato da Enel Distribuzione su disposizione di Terna. Ad oggi il piano per il Comune di Castello di Cisterna non risulta consultabile on line al sito dell ENEL Clima In generale le condizioni climatiche del territorio comunale di Castello di Cisterna sono quelle tipiche delle regioni a clima mediterraneo, con una chiara bi stagionalità caratterizzata da estati calde e asciutte ed inverni miti e piovosi. Le medie invernali sono di poco superiori ai 10 C, nelle aree pianeggianti e costiere, fino a minimi eccezionali sottozero. Le medie estive si aggirano intorno ai 26 C con valori massimi anche di 39 C. Le piogge sono ben distribuite nell arco dell anno. 1 Dati reperiti sul sito della GORI 19

21 Il territorio comunale di Castello di Cisterna rientra nella zona climatica C (D.P.R. n. 412 del 26 agosto 1993 pg 135), ovvero in quella che interessa i Comuni che presentano un numero gradigiorno maggiore di 900 e non superiore ai Più in dettaglio possiamo affermare che esiste maggiore piovosità in inverno che in estate. Il clima è stato classificato come Csa secondo Köppen e Geiger. Temperatura media di 15.7 C. Piovosità media annuale di 915 mm. Il mese più secco è Luglio con 23 mm. Novembre è il mese con maggiore piovosità, avendo una media di 141 mm. Con una temperatura media di 23.7 C, Agosto è il mese più caldo dell'anno. Con una temperatura media di 8.5 C, Gennaio è il mese con la più bassa temperatura di tutto l'anno. Se compariamo il mese più secco con quello più piovoso verifichiamo che esiste una differenza di Precipitazioni di 118 mm. Le temperature medie variano di 15.2 C durante l'anno. Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Anno CISTERNA T. max. media( C) 13 13,5 15,7 18, ,7 29,9 30,3 26,6 22,1 17,1 14,1 20,8 T. min. media( C) 4,4 4,5 6,3 8,4 12,6 16,2 18,8 19, ,1 7,8 5,6 11 Precipitazioni(mm) 92,1 95,3 77,9 98, ,8 28,5 35,5 88,9 135,5 152, ,2 Giorni di pioggia Umidità relativa media(%) Tabella 9 Dati climatici ( Stazione metereologica di Capodichino). Elaborazione su base trentennale dal 1971 al

22 Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Anno CISTERNA T. max. 21, , ,8 37, ,6 31,5 29,4 24,4 40 assoluta ( C) T. min. -5,6-4, , ,4 5,6 2,6-3,4-4,6-5,6 assoluta( C) Tabella 10 Dati climatici (Stazione metereologica di Capodichino). Elaborazione su base sessantennale dal Nella tabella 10 sono riportati i valori delle temperature estreme mensili registrate presso la stazione meteorologica dal 1946 ad oggi. Nel periodo esaminato, la temperatura minima assoluta ha toccato i -5,0 C nel gennaio 1987, mentre la massima assoluta ha raggiunto i +40,0 C nell'agosto

23 Edifici strategici, di interesse pubblico e sensibili Gli edifici strategici sono quelle strutture all interno delle quali vengono svolte funzioni nell ambito delle attività di Protezione Civile. Nel territorio comunale di Castello di Cisterna l unico edifico strategico è costituito dalla sede del Comune. DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX SEDE COC Casa Comunale Castello di Cisterna Tabella 11 Edifici strategici Via Vittorio Emanuele n Gli edifici di interesse pubblico sono quegli edifici che, in caso di evento calamitoso e dopo accertata fruibilità e funzionalità, sono potenzialmente utilizzabili per attività di Protezione Civile. Per l area di ammassamento e le aree di accoglienza sono state allegate delle schede di approfondimento al presente lavoro. A questa categoria appartengono, ad esempio, edifici scolastici, sedi di uffici comunali, strutture ricettive turistiche, impianti sportivi e di altro tipo come ospedali, parcheggi privati, presidi ASL, Uffici Postali, etc. DENOMINAZIONE TIPO INDIRIZZO TELEFONO CODICE MECCANOGRAFICO Deledda Ex 219 Scuola materna (dell'infanzia) Via Madonna Stella Trav. Cimabue NAAA84901P I.C. I.C. Rodari I.C. Sciascia Alcide de Gaspari 22 Scuola materna (dell'infanzia) Scuola elementare (primaria) Scuola elementare (primaria) Scuola media (secondaria di I Via Selva 57/59 Tel Fax NAAA84900N Via Manzoni NAEE84901X Via Giovanni XXIII NAEE Via Selva n 57/ NAMM84901V

24 grado) I.C Scuola Superiore Via Selva n 57/59 Tel Fax Ente Religioso Vittime Espiatrici Principessa Di Piemonte Tabella 12 Scuole Scuola materna (dell'infanzia) Paritaria Via Madonna Stella n 9 Tel Fax NAIC84900T NA1A60600G NOME INDIRIZZO TELEFONO E FAX CODICE Farmacia Terracciano Pasquale Corso Vittorio Emanuele n Tabella 13 Farmacie Stazione Indirizzo Gestore Castello di Cisterna (NA) Via Sandro Pertini Circumvesuviana Tabella 14 Stazioni ferroviarie NOME INDIRIZZO TELEFONO E FAX Carabinieri Comando Compagnia di Castello di Cisterna Via Cosimo Miccoli n Comando Polizia Municipale Corso Vittorio Emanuele n Tabella 15 Forze dell'ordine 23

25 DENOMINAZIONE Centro polisportivo ex Delphinia Campo da Calcio Comunale INDIRIZZO Provinciale Madonna Stella Via Selva Tabella 16 Impianti sportivi NOME INDIRIZZO TELEFONO E FAX Hotel Quadrifoglio viale Kennedy n 8 (presso l area Industriale di Pomigliano d Arco ) Tabella 17 Strutture Ricettive Tel Fax DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX Ufficio postale Via Vittorio Emanuele, Tabella 18 Uffici postali DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX S. Nicola Di Bari Via Parrocchia Tabella 19 Edifici di culto DENOMINAZIONE INDIRIZZO TELEFONO E FAX Biblioteca Comunale Via Passariello ex plesso Romano Tabella 20 Biblioteca Gli edifici sensibili sono quei complessi edilizi che in caso di evento necessitano di particolare attenzione per il controllo e l evacuazione di beni e persone in essi presenti ad esempio scuole, Uffici Postali, edifici di culto. 24

26 Geologia e geomorfologia del territorio comunale 2 Il territorio comunale di Castello di Cisterna si estende al raccordo tra le estreme pendici del Monte Somma e la piana dei Regi Lagni. Da un punto di vista morfologico il profilo del rilievo si presenta piuttosto regolare e generalmente con acclività molto bassa. Si distinguono nel monotono andamento generale la blanda scarpata nel settore centro storico, a valle della ex via Nazionale delle Puglie, e opere antropiche quali i rilevati stradali o gli scavi, ove non colmati, dalle vecchie cave a fossa. 25

27 L evoluzione del paesaggio in quest area è stato condizionato in modo determinante dai seguenti effetti: accumulo dei prodotti dall attività vulcanica del Somma-Vesuvio, protrattasi fino al 1944, ora entrato in una fase di quiescenza. Alcuni depositi piroclastici non sono sedimentati direttamente dall evento esplosivo. L accumulo e le modalità di messa in posto di molti prodotti vulcanici, in particolare quelli per scorrimento al suolo, anche per fenomeni di accumulo post-deposizionali (lahar), comportano il transito e la deposizione lungo e allo sbocco di preesistenti settori di impluvio con l occultamento delle preesistenti linee di drenaggio. Le nuove linee tendono a ristabilirsi nel tempo sovente ai margini del corpo di deposito. Il sovrapporsi di episodi deposizionali comporta quindi migrazioni e deviazioni delle linee di deflusso con alterazione e modificazione ripetuta del reticolo idrografico e dei settori di impluvio-displuvio. Per questi motivi nella parte bassa della pendice vulcanica, l azione di modellamento delle acque è risultata poco efficace nell individuare linee di deflusso incanalato nette e stabili e, di conseguenza,sottobacini morfo-idrografici sufficientemente definiti. Il drenaggio è stato quindi storicamente demandato a canalizzazioni o percorsi preferenziali artificiali. Forme legate ad opere antropiche: le aree di cave a fossa (Cava di Chiana, Cava del Passariello, Cava lungo la strada per Somma Vesuviana, Cave presenti lungo il Corso V. Emanuele) che erano coltivate per il prelievo di lava utilizzata come pietra per l edilizia. Tale cave sono state riempite parzialmente o totalmente ma non è possibile risalire all effettiva estensione delle aree cavate; 26

28 gli importanti rilevati dei principali assi stradali e altri rilevati minori dellaviabilità provinciale, intercomunale e comunale (autostrada A3 Napoli-Bari, variante della S.S. n. 7bis, raccordi e gli svincoli per la zona industriale di Pomigliano-Acerra, gli assi mediani, il Cis e l autostrada AI Napoli-Roma); gli interventi di riporto nei settori urbani e aree di accumulo di materiali di discarica;interventi di terrazzamento e scavi in trincea (piccolo tratto della vecchia linea Circumvesuviana a valle del centro storico e la linea Circumvesuviana nel tratto verso gli stabilimenti Alfa-Lancia. Il territorio comunale può essere suddiviso in alcuni settori morfologicamente omogenei: Settore Meridionale è genericamente individuabile tra l autostrada A30, Napoli Bari ei confini meridionali (loc. Passariello) con quote del terreno prevalentemente comprese tra 60 e 45 m. s.l.m. e acclività medie naturali raramenti superiori al 2%; Settore tra il rilevato dell autostrada e il centro abitato rappresenta una morfologia tabulare e acclività molto basse, inferiori al 2%, compreso tra quote che oscillano dai circa 46 m. a monte ai 38 m. nel settore orientale (loc. Chiana); Settore del centro storico costituisce una fascia compresa tra il corso V. Emanuele e poco oltre il vecchio tracciato della linea Circumvesuviana, caratterizzata dalla presenza di una modesta scarpata naturale in corrispondenza della quale si registra un incremento delle acclività talora marcato da piccoli salti morfologici terrazzati o rotture di pendenza. Questa scarpata, poco leggibile a O dopo l Autostrada, dove si passa da quote di circa 40 m. s.l.m. a 35 m. raggiunge il massimo differenziale all altezza di via Roma dove tra il corso e l area a 27

29 valle della ferrovia dove si passa da circa 38 m. s.l.m. a 30 m.. Le quote più elevate, superiori ai 42 m. si trova nell area compresa a nord tra il municipio e la chiesa; Settore settentrionale comprende la zona che termina sulla strada provinciale per Acerra e presenta quote che oscillano prevalentemente tra 26 m. s.l.m. a nord e circa31 m. s.l.m. a sud (loc. Padulella, Cimminola, Tirone ). In questo settore le acclività medie naturali non sono superiori al 5 per mille e si rinvengono alcune linee di drenaggio superficiale connesse al sistema principale dei Regi Lagni. 28

30 Carta geomorfologica e della stabilità 2 Tale carta è stata realizzata sintetizzando i risultati degli studi effettuati e inoltre la recepisce integralmente la perimetrazione contenuta nel P.S.A.I. Rischio Idraulico redatto dall Autorità di Bacino Nord Occidentale. Il territorio comunale è stato, pertanto, diviso in zone con un differente grado di stabilità rispetto alla presenza o meno di problematiche di tipo idrogeologicogeomorfologico. Sono state, quindi, identificate: Aree stabili; Aree non caratterizzate da rischio idraulico. Figura 3 Carta Geomorfologica e della stabilità (PUC) Aree stabili- Rientra in questa area la totalità del territorio comunale caratterizzata da una morfologia superficiale pianeggiante con leggero declivio verso sud. La stabilità dei terreni, pur di natura sciolta, è assicurata dalle condizioni di giacitura ed i fenomeni erosivi, a causa delle modeste pendenze e della regimazione efficiente delle acque superficiali, sono praticamente assenti e le acque ruscellanti in superficie, non assorbite dai terreni permeabili, vengono 29

31 incanalate in parte nelle fogne comunali ed in parte nel Lagno della Campagna che trova recapito nei Regi Lagni. Zone caratterizzate da rischio idraulico- Lungo il tracciato del Lagno Campagna si ha la presenza di punti di crisi idraulica cioè una riduzione della sezione dell alveo, in corrispondenza del Ponte Cisterna, degli attraversamenti della strada statale N162 e della zona ASI. Qualsiasi intervento da eseguire su l area racchiusa in una circonferenza di diametro pari a 200 m. con centro nel punto di crisi idraulica, tali zone saranno soggette a studi di compatibilità idraulica con rilievi e indagini di dettaglio per accertare il livello di pericolosità ed il relativo grado di rischio. Zone non caratterizzate da rischio idraulico- Rientrano tra queste le aree agricole prospicienti il canale dei Regi Lagni caratterizzate da una probabilità di esondazione di moderata intensità, così perimetrate nel P.S.A.I. Rischio Idraulico da esondazione dell Autorità di Bacino Nord Occidentale. Come si può osservare dalla carta stralcio il territorio comunale di Castello di Cisterna non rientra in questo rischio infatti dopo la linea di confine rappresentata dal Lagno del Confine le aree appartenenti al Comune di Acerra sono soggetti a rischio idraulico moderato. Caratteristiche idrogeologiche e idrologiche 2 Dal punto di vista idrogeologico la Piana Campana, in cui è inserita la zona esaminata, è un unità idrogeologica costituita da una spessa coltre di depositi vulcanici, alluvionali e marini, con caratteristiche litologiche ed idrogeologiche molto diverse tra loro (figura n. 3). Questa configurazione lito-stratigrafica connessa alla presenza delle strutture vulcaniche dei Campi Flegrei e del Somma - Vesuvio, porta all instaurarsi di flussi sotterranei complessi con presenza di più falde sovrapposte e molte volte intercomunicanti. Le recenti ricerche strutturali, idrogeologiche e 30

32 idrogeochimiche nell area vesuviana hanno consentito distinguere ( CELICO et alii, 1997) un acquifero superficiale corrispondente all area strettamente vulcanica ed un acquifero profondo corrispondente ai rilievi carbonatici fratturati e carnificati. L acquifero superficiale vulcanico presenta un deflusso radiale che in generale si adatta alla morfologia del vulcano. Gli orizzonti acquiferi corrispondono ai livelli di lava fratturata, di scorie, di pomici e lapillo. Alla periferia del vulcano è possibile ipotizzare un certo interscambio idrico sotterraneo. L acquifero profondo e/o principale è alimentato dalla Unità dei Monti di Avella- Monte Vergine- Pizzo d Alvano posta a NE del territorio comunale. La predetta unità è troncata al piede, lungo la direttrice Maddaloni Cancello Nola, da importanti linee tettoniche, che mettono 31

33 in contatto l acquifero calcareo con i depositi pliocenici e quaternari della Piana Campana. L'acquifero principale della parte di piana posta a NE di Napoli, dove è localizzato il territorio studiato, è alimentato dalla struttura carbonatica dei monti di Avella, dall infiltrazione diretta e dalla struttura vulcanica del Somma - Vesuvio. Esso trova sede nel forte spessore di piroclastiti sciolte, costituite da banchi di pomici, scorie, litici e sabbie grossolane che generalmente si rinvengono a letto del "tufo grigio campano" che,quando presente, a causa del minor grado di permeabilità relativo di esso rispetto ai restanti litotipi, si comporta da elemento di semiconfinamento. Il territorio comunale di Castello di Cisterna sono presenti acque di falda freaticache si rinvengono a profondità comprese tra 36 m. e poco meno di 5 m. di profondità rispettivamente spostandosi da sud verso nord. Ad alimentare la falda nel nostro settore concorre il complesso montuoso Somma-Vesuviano dove le acque di infiltrazione hanno deflusso sotterraneo tendenzialmente radiale e centrifugo rispetto al settore calderico. Da un punto di vista idrologico il settore di piana non presenta un declivio naturale e il suo drenaggio è stato attuato con la realizzazione delle canalizzazione di bonifica dei Regi Lagni il cui avvio risale al XVI secolo. Il drenaggio delle acque nell area comunale di Castello di Cisterna avviene attraverso canalizzazioni che, distribuite e raggiera,concorrono nel Lagno della Campagna; questo proviene dall area nolana, attraversa da NNE a SSW il territorio comunale, per poi deviare a nord all altezza degli svincoli Fiat-Alfa e dirigersi, in territorio di Acerra, verso il canale principale dei Regi Lagni. In questo lagno hanno il loro recapito altri canali minori quali il Lagno di Mezzo e il Lagnolo che corrono, quasi affiancati, in località Padulella e il Lagno del Confine che decorre 32

34 appunto lungo il confine con il territorio di Acerra. Il solo Lagno della Campagna è sede di deflusso semipersistente di acque. Carta idrogeologica 2 Il risultato delle misure sono riportate sotto forma di isobate della falda freatica riferite al piano campagna. L andamento delle isobate ricostruite mostra quindi un decremento abbastanza regolare della profondità passando dalle zone a monte a quelle a valle del territorio comunale. Nella Carta idrogeologica (allegato n. 2 e figura n 4) viene stimato il grado di permeabilità complessivo delle Unità litostratigrafiche e quindi nel sottosuolo comunale si possono distinguere due settori: uno meridionale più prossimo al Somma - Vesuvio, caratterizzato da una falda unica in generale di tipo freatico, in cui gli acquiferi sono localizzati nei litotipi aventi permeabilità relativa più elevata, in particolare i livelli lavici permeabili per fratturazione ed i livelli di pomici, scorie e sabbioni vulcanici permeabili per porosità; tale falda a luoghi si rinviene in condizioni di semiconfinamento quando il banco di lava, oltre essere poco fratturato, ha una potenza maggiore di 20 metri. 33

35 Figura 4 carta idrogeologica (PUC) Il settore meridionale si caratterizza per un grado di permeabilità variabile da medio - bassa a medio - alto. uno settentrionale in cui la circolazione idrica sotterranea avviene nei livelli di pomici, scorie, brecce vulcaniche e sabbie permeabili per porosità. In questa parte del territorio comunale la presenza della formazione del tufo grigio campano, caratterizzato da un minor grado di permeabilità relativa rispetto agli altri termini litologici, consente di distinguere due falde, una in condizioni freatiche localizzata al di sopra del banco di tufo grigio e l altra in condizioni di semiconfinamento a letto del banco di tufo grigio stesso. L'alternanza, spesso disordinata, di terreni a permeabilità medio - alta (sabbie, ghiaie, ecc.) con altri a permeabilità bassa (limi, paleosuoli, ecc.), determina una circolazione idrica sotterranea "per falde sovrapposte"; la distinzione delle falde non è sempre possibile in quanto esse sono tra loro interconnesse sia attraverso il flusso di drenanza che attraverso le soluzioni di continuità dei sedimenti meno permeabili. In realtà i corpi idrici più consistenti si rinvengono, il più superficiale, freatico, con 34

36 livello piezometrico compreso tra 20 e 23 metri slm ed il più profondo, semiconfinato, a profondità comprese tra i 55 ed i 60 metri. I pozzi, ormai, attingono alle falde sottostanti il banco di tufo grigio campano che in genere presentano una buona produttività e spesso hanno caratteri di artesianità. La distinzione tra falde poste a diversa profondità è praticamente impossibile a causa della non omogeneità che contraddistingue lo spessore, la granulometria, la giacitura e l estensione dei singoli strati che è conseguenza delle modalità di deposizione dei terreni (carattere di unicità della falda). Questo ultimo fatto è messo in evidenza dalla sufficiente concordanza dei livelli piezometrici dei pozzi che pescano a diverse profondità. Nelle aree settentrionali del territorio comunale, cioè quelle più prossime ai Regi Lagni, il "tufo grigio campano" risulta a luoghi assente in quanto asportato da fenomeni erosivi e, in conseguenza, l'acquifero principale tende a raggiungere il piano campagna ed a mescolarsi con l acquifero vulcanico. Nelle stesse aree, peraltro, la presenza diffusa di terreni fini di origine fluviopalustre tende a creare frequenti anche se discontinui fenomeni di semiconfinamento. Anche qui la falda si presenta in più livelli (falde sovrapposte) in corrispondenza dei terreni più grossolani variamente interconnessi. Il settore settentrionale si caratterizza per un grado di permeabilità variabile da bassa a medio - bassa. Caratteristiche geologiche del territorio comunale 2 Il territorio del Comune di Castello di Cisterna é riportato nel Foglio 184 (Napoli)della carta geologica d'italia e si estende tra le estreme pendici settentrionali del complesso vulcanico Somma - Vesuvio e il bacino dei Regi Lagni che occupa il settore sud-orientale della Piana Campana, al margine occidentale della catena sud-appenninica. La costituzione geolitologica e l assetto 35

37 tettonico del comune, come è stato già detto, derivano dai processi tettonici che hanno dato origine alla Piana Campana e dall attività dei campi Flegrei e del Somma-Vesuvio. Si rinvengono, infatti, alternati e/o interdigitati prodotti, sia di deposizione primaria che secondaria, dei Campi Flegrei e del Somma - Vesuvio nonché, nella parte settentrionale del territorio, sedimenti di facies palustre e lacustre con terre nere, torbifere, ricche talvolta di molluschi dolcicoli.la predetta variabilità, per quanto non consenta di ricostruire una successione di terreni unica per tutto il territorio comunale, permette di ravvisare una certa omogeneità nella costituzione delle successioni stratigrafiche. Nelle successioni stratigrafiche del territorio comunale, infatti, possono essere individuati almeno tre livelli guida: la cinerite addensata presente nei primi 3 metri di profondità, la tefrite leucitica (ottavianite) presente nel settore centro-meridionale, secondo quanto emerso dai sondaggi a c.c., tra 2e 30 metri e l Ignibrite Campana (Tufo Grigio Campano) del I periodo Flegreo presente in larga parte del territorio comunale a profondità comprese tra 12 e 28 metri. Tali livelli e le correlazioni tra i vari orizzonti piroclastici ricostruite con l aiuto dei paleosuoli consentono una migliore comprensione della geologia del territorio comunale. L Ignibrite Campana e presente in almeno l 85% del territorio comunale. Essa, Infatti, è presente in quasi tutta la parte di territorio posta a sud mentre è localmente assente nelle parti più depresse del territorio comunale in quanto probabilmente asportata da fenomeni erosivi. Essa ha generalmente una consistenza litoide anche se non mancano sacche non litificate o scarsamente litificate; nelle parti più profonde del banco prevale il colore grigio scuro con pomici grossolane nere mentre nelle parti più superficiali il colore è giallo (zeolitizzazione).a partire dal Lagno della Campagna e man 36

38 mano che si scende verso i Regi Lagni il tufosi rinviene talvolta degradato e scarsamente litificato; il banco già assottigliato è a luoghi assente man mano che si procede verso le parti più depresse del territorio. Dal punto di vista litologico l Ignibrite è costituita da una pasta cineritica, che in volume supera il 50%del volume totale, da pomici grigie di dimensioni di qualche centimetro nella parte più superficiale e nere di dimensioni fino a un decimetro nelle parti più profonde del banco,da scorie e subordinatamente da litici e cristalli di sanidino, plagioclasio, clinopirosseni e biotite. La tefrite leucitica (lava) si rinviene nel settore centro-meridionale a profondità comprese tra 2 e 30 metri, a tetto del tufo grigio campano( sondaggi S1, S2, S3). Per l inquadramento stratigrafico della tefrite leucitica si può far riferimento a scavi per estrazione di materiale sciolto eseguiti nel territorio. Nei predetti scavi sono state osservate, purtroppo per brevi periodi, sezioni che dal piano di cava presentano una colata di tefritica leucitica, scoriacea in sommità, che passa verso l alto, con l interposizione di un paleosuolo, ad una sabbia addensata grigia con elementi lapidei riferibile alle eruzioni del II Periodo Flegreo ( facies grigia del Tufo Giallo Napoletano). La successione stratigrafica delle predette cave continua verso l alto, con l interposizione di un paleosuolo, con le pomici di Agnano e di Astroni separate da paleosuoli. La serie continua verso l alto con un paleosuolo a cui segue una cinerite pisolitica addensata con aletto pomici grigio verdognole e grigie (formazione delle pomici di Avellino) a cui segue ancora verso l alto, separata da un paleosuolo, una successione di piroclastiti riferibili all attività più recente del Somma Vesuvio. 37

39 La predetta successione conferma che la colata lavica appartiene con molta probabilità ad una delle ultime effusioni del Somma Recente che secondo studi recenti sarebbero avvenute antecedentemente alla deposizione del tufo giallo napoletano ( b.p.). In mancanza di dati più certi si può dire che la predetta lava è stata messa in posto, se come è stato accertato si rinviene a letto del tufo giallo napoletano in facies grigia ( II periodo flegreo) ed a tetto del tufo grigio campano,in un periodo compreso tra e anni fa. La lava, una tefrite leucitica a tendenza basanitica (ottavianite), in sommità si presenta scoriacea e fratturata; osservata macroscopicamente si notano in una massa di fondo grigio scura cristalli di leucite, augite, olivina. La cinerite addensata (terramascolo) è presente in almeno il 75% del territorio comunale ad una profondità compresa tra 1,50 e 3,00 metri; si tratta di una cenere pisolitica molto compatta che presenta a letto, con l intervallo di un paleosuolo di pochi centimetri, uno strato di pomici e lapillo potente da 0.50 a 1,00 metri. Nella tradizione edilizia locale la cinerite addensata rappresenta un tradizionale ed ottimo piano fondale. Tale livello sembra riconducibile alla cosiddetta formazione delle pomici di Avellino (3.700 a. bp.). Nell intervallo tra il tetto deli Ignibrite Campana ed il letto della cinerite pisolitica addensata si rinvengono i prodotti del II e del III Periodo Flegreo. I prodotti del II Periodo Flegreo si presentano sotto forma di cinerite sabbiosa e/o sabbia limosa con pomici e lapillo mentre i prodotti del III Periodo Flegreo più tipici sono le pomici di Agnano e quelle di Astroni, presenti nel territorio comunale a profondità comprese tra 4 e 9 metri, separate da un livello di limo sabbioso humificato. Nelle successioni stratigrafiche, infine, sono chiaramente riconoscibili almeno n. 3 livelli humificati (paleosuoli ). Per quanto riguarda i terreni in 38

40 affioramento, la costituzione geolitologica del territorio presenta poche variazioni da luogo a luogo in quanto,trattandosi sempre di materiali rimaneggiati, la differenziazione è sempre problematica e può con larga approssimazione essere tentata solo riferendosi alle condizioni ambientali di deposizione e alla granulometria. Nella parte di territorio centro-meridionale sono presenti prodotti piroclastici sciolti sabbioso limosi e/o limoso sabbiosi più o meno rimaneggiati del Somma Vesuvio e dell attività più recente dei Campi Flegrei; nella parte più meridionale del territorio prevalgono i prodotti rimaneggiati prevalentemente del Somma - Vesuvio. Al di sotto dei predetti terreni ed entro la profondità di 3.50 metri è presente un livello di cinerite addensata pisolitica seguita, con l interposizione di un livello ossidato (paleosuolo), da pomici in matrice sabbiosa avente spessore compreso tra 0.30 e 1.50 m. E presente,inoltre, a profondità compresa tra 2,0 m. e 30 m., un banco di tefrite leucitica a tendenza basanitica con a tetto prima sabbia cineritica generalmente grigia e/o giallastra (facies grigia del tufo giallo napoletano, II periodo flegreo) e dopo livelli di pomici in matrice sabbiosa e/o sabbioso limosa separati da paleosuoli (pomici di Agnano e di Astroni, III periodo flegreo). A letto della tefrite leucitica, infine, si rinviene generalmente un banco di tufo grigio campano ( I periodo flegreo). Nella parte di territorio settentrionale sono presenti prodotti piroclastici sciolti limosi e/o limoso sabbiosi più o meno rimaneggiati del Somma - Vesuvio e dell attività più recente dei Campi Flegrei; nella parte più settentrionale dell area prevalgono i prodotti limosi. 39

41 Al di sotto dei predetti terreni si rinvengono terreni piroclastici, in sede e/o rimaneggiati,limosi e/o sabbioso limosi e/o ghiaiosi con l interposizione di livelli humificati (paleosuoli) con a letto, tra le profondità di 13,00 e 18,00 metri, un banco di tufo grigio campano. In pratica, a parte l assenza del banco di tefrite leucitica, si ripete la successione stratigrafica dell area posta più a sud. Nell area il livello di cinerite addensata pisolitica è presente entro i primi 2,50 m. metri di profondità con uno spessore compreso tra 0.20 e 1.20 m. ed è seguito da un livello ossidato (paleosuolo). Nella parte più settentrionale del territorio, infine, i terreni affioranti sono costituiti da terreni piroclastici limosi di deposizione secondaria e subordinatamente primaria e/o terre nere palustri talvolta con molluschi dolcicoli con a letto un livello di cinerite addensata, avente spessore di pochi decimetri, entro i primi 2.50 metri di profondità. I terreni della parte di territorio testé descritta, infine, a partire dalla profondità di circa 3.00 metri, si trovano immersi in falda. Carta dell uso 2 La Carta dell uso agricolo del territorio costituisce uno strumento indispensabile per valutare l impatto ambientale delle scelte urbanistiche, in riferimento alle caratteristiche produttive del settore agricolo. Essa fornisce indicazioni utili per la fase programmatica di indirizzo ed espansione colturale di determinate aree. Con il presente studio, dopo aver delineato le caratteristiche del territorio e dell agricoltura di Castello di Cisterna, è stato esaminato lo sviluppo agricolo sulla base dei dati ISTAT dal 1982 al Il quadro che emerge è quello di un interesse sempre più scarso per il settore agricolo che, 40

42 per la maggior parte delle superfici utilizzate, si conferma legato a metodologie produttive tradizionali. Al di là del leggero incremento nell ultimo decennio della SAU censita e delle dimensioni medie delle aziende, a fronte della riduzione del numero delle stesse, non emergono particolari iniziative da parte di giovani e soprattutto, nuovi imprenditori. Si tratta di un agricoltura estremamente povera, principalmente non esercitata a titolo principale, ma al fine di incrementare i redditi da altre attività. I rilievi effettuati, nel fare emergere notevoli differenze di superficie a favore dell uso agricolo, rendono certamente il quadro complessivo meno disastroso di quanto non faccia l ultimo Censimento. Infatti, rispetto alla Superficie territoriale comunale, si passa dal 7,62% al 40,08% di SAU. Se si considera che tale percentuale va ridotta degli incolti e di tutte quelle superfici complesse che poco significano in termini produttivi, si può ancora affermare che la superficie agricola interessa circa 1/4 della superficie territoriale comunale. Per contro, circa l utilizzazione dei terreni agricoli rappresentata nell'elaborato grafico, prevalgono le colture ortive e industriali di pieno campo (il 46% della SAU), chiara espressione dello scarso livello di investimento, del più semplice indirizzo verso canali commerciali tradizionali, e della propensione ad un basso rischio principalmente legato ai limitati costi produttivi. Scarsissime le utilizzazioni floricole (sia in piena aria, che in regime protetto), l alto livello di produttività delle stesse per unità di superficie disponibile non riesce a prevalere sulla scarsa propensione ad investire e ad aumentare il grado di specializzazione. Il comparto frutticolo, sia in coltura specializzata che mista, arricchisce certamente la modesta 41

43 utilizzazione agricola del suolo, con colture legate soprattutto alla tradizione locale, ma che scontano la crisi generale che, negli ultimi tempi, sta caratterizzando il comparto stesso. La situazione che si è andata delineando per il Comune di Castello di Cisterna, da un punto di vista evolutivo del settore agricolo, certamente non dà adito a grosse prospettive di rilancio per il futuro. In una tale condizione, nell ottica di una gestione responsabile del territorio, emerge la necessità di salvaguardare l agricoltura guardandone i soli effetti positivi sull ambiente e sul paesaggio. Appare, dunque, opportuno a tal fine, favorire l attuazione degli interventi, sia pubblici che privati, tesi a consolidare quanto più possibile il patrimonio agricolo, utilizzando anche le risorse recate dalla mano pubblica. La legenda della carta dell uso agricolo del suolo 2 In euritmia con gli indirizzi definiti nelle Linee guida per il paesaggio in Campania, che sono parte integrante del Piano Territoriale Regionale (PTR) si sono individuate le seguenti unità cartografiche: A1 - Colture orticole e industriali di pieno campo A2 - Arboreti specializzati A3 Arboreti tradizionali promiscui A4 - Sistemi particellari complessi e colture promiscue A5 - Colture protette con copertura fissa A6 - Colture protette con copertura temporanea A7 - Incolti produttivi 42

44 A8 - Aree con evidenze di disturbo antropico B1 - Aree verdi di pertinenza della rete idrografica superficiale B2 - Aree verdi di pertinenza della rete infrastrutturale B3 - Aree verdi di pertinenza di impianti sportivi e attrezzature pubbliche C1 - Filari alberati C2 - Parchi e giardini C3 Superfici residuali D1 - Piazzali e superfici scoperte in ambito urbano D2 - Superfici scoperte di pertinenza degli impianti tecnologici e produttivi E1 - Corpi idrici Figura 5 Carta d'uso del Suolo (PUC) 43

45 Quadro sinottico dell utilizzazione dei suoli non urbanizzati e relative estensioni 2 Stima degli alloggi esistenti sul territorio comunale 2 Abitazioni occupate da residenti Tab. Censimento 2011 Popolazione/Abitazioni Numero di Abitazioni Superficie per occupante Superficie delle Numero di altri tipi di (valore assoluto) delle abitazioni (mq.) abitazioni (mq.) alloggio (valore medio) (valore assoluto) (valore assoluto) ,

46 I dati riferiti ai modelli ISTAT, trasmessi dai cittadini via web, forniti dall Ufficio Anagrafe, sono: ABITAZIONI N COMPONENTI N Abitazioni composte da 1 stanza 84 Componenti che vivono in alloggi composti da 1 stanza Abitazioni composte da 2 stanza 358 Componenti che vivono in alloggi composti da 2 stanza Abitazioni composte da 3 stanza 725 Componenti che vivono in alloggi composti da 3 stanza Abitazioni composte da 4 stanza 394 Componenti che vivono in alloggi composti da 4 stanza Abitazioni composte da 5 stanza 96 Componenti che vivono in alloggi composti da 5 stanza Abitazioni composte da 6 stanza e oltre 27 Componenti che vivono in alloggi composti da 6 stanza e oltre Con riferimento ai dati complessivi del Censimento 2011 relativi al numero di alloggi occupati (2400) e al numero di famiglie che li occupano (2468) si evidenzia, in prima istanza, un deficit di 68 alloggi (2468 famiglie meno 2400 alloggi) rispetto al rapporto di 1 alloggio/famiglia da ritenersi ottimale e, quindi, auspicabile. 1 Dalla redazione dello studio geologico/tecnico del geol. Alessandro Amato nell ambito delle attività poste in essere dall Amministrazione Comunale di Castello di Cisterna finalizzate alla redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale. 45

47 RISCHIO E PERICOLO E noto che terremoti, alluvioni, eruzioni vulcaniche, frane, si manifestano quasi sempre, nei territori dove in passato tali eventi hanno causato sistematiche distruzioni e disagi di ogni tipo alla popolazione. Se la ciclicità è un fattore costante per un fenomeno calamitoso, l entità del danno e il tipo di soccorsi sono parametri variabili; per questo si dice che le emergenze non sono mai uguali fra loro a parità di intensità dell evento che si manifesta. Presupposto fondamentale dell attività di protezione civile è pervenire ad un adeguato livello di conoscenza dei fenomeni che interessano il territorio, dei possibili scenari di evento ad essi collegati, dei rischi che questi comportano e della possibilità di prevenire gli effetti sulla popolazione e sui beni. Ai fini dell attività di protezione civile, vengono presi in considerazione tutti i fenomeni, di origine naturale o antropica, in grado di arrecare danno alla popolazione, alle attività, alle strutture e infrastrutture, al territorio. Gli eventi emergenziali attesi, ovvero i fenomeni dannosi che ci si aspetta possano accadere in una certa porzione del territorio entro un determinato periodo di tempo (tempo di ritorno), possono essere distinti in due macrocategorie sulla base della possibilità di prevederne, con sufficiente approssimazione e con il necessario anticipo, il verificarsi: - evento non prevedibile: l avvicinarsi o il verificarsi di tali eventi non è preceduto da alcun fenomeno (indicatore di evento) che ne consenta la previsione. - evento prevedibile: un evento si definisce prevedibile quando è preceduto da fenomeni precursori. Tale distinzione orienta fortemente l azione di Protezione civile. Per gli eventi prevedibili, infatti, è possibile agire già dalla fase di previsione sulla base degli indicatori di evento, ovvero dall esame 46

48 dell insieme dei fenomeni precursori e dei dati di monitoraggio disponibili, per gli eventi attesi, ma non prevedibili, la risposta di Protezione Civile può essere orientata esclusivamente alla gestione dell emergenza. Tra gli eventi prevedibili si annoverano principalmente quelli connessi alle condizioni meteorologiche (alluvioni, gelate, ondate di calore, mareggiate), ma anche il rischio vulcanico. Gli eventi imprevedibili sono di solito maggiormente connessi all azione antropica (incidente rilevante, incendi di interfaccia) oppure sono eventi di origine naturale per i quali le attuali conoscenze scientifiche non consentono l individuazione di fenomeni precursori sufficientemente prossimi all evento e/o attendibili (rischio sismico). La tabella seguente riporta una classificazione degli eventi operata sulla base della durata del fenomeno e del tempo di preallarme durante il quale è possibile osservare precursori di evento ed attivare misure di intervento di carattere preventivo. 47

49 Il territorio comunale è esposto a rischi di origine naturale ed antropica. Per rischio del territorio si intende la possibilità che fenomeni naturali o indotti dalle attività dell uomo causino effetti dannosi sulla popolazione, agli insediamenti abitativi e produttivi, alle infrastrutture di trasporto e di servizio all'interno di una particolare area in un determinato periodo di tempo. Il concetto di rischio non passa solo per la capacità di calcolare la probabilità che un evento pericoloso accada, ma anche per quella di definire la quantità di danno provocato. Rischio e pericolo, infatti, non sono la stessa cosa: il pericolo è rappresentato dall evento calamitoso che può colpire una certa area (la causa); il rischio è rappresentato dalle sue possibili conseguenze, ovvero dal danno che ci si può attendere (l effetto). Per valutare concretamente un rischio pertanto, non è sufficiente conoscere il pericolo, ma occorre anche stimare attentamente il valore esposto ovvero le differenti tipologie di beni presenti sul territorio che possono essere coinvolte da un evento. 48

50 RISCHIO INCENDI BOSCHIVI La Legge Quadro n 353 del 21 novembre 2000 sugli incendi boschivi introduce i Piani Regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, le cui linee guida sono state emanate con il DPCM 20 dicembre 2001 predisposto dal Dipartimento della Protezione Civile. Tale norma definisce incendio boschivo un fuoco con suscettività ad espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture ed infrastrutture antropizzate poste all interno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree. Oltre agli effetti diretti più noti di un incendio, può essere rappresentato dalla distruzione di vegetazione e manufatti, gravi perdite faunistiche e non di rado da vittime umane, la caratteristica degli incendi boschivi è di provocare conseguenze durature nel tempo. La rimozione del soprassuolo vegetale espone il terreno all azione battente della pioggia e il forte riscaldamento dei primi centimetri di suolo provoca la distruzione della capacità di aggregazione delle particelle di terreno favorendo i fenomeni di erosione idrica superficiale e modificando il tempo di corrivazione all interno dei bacini idrogeologici. Il fuoco è il risultato di una rapida combinazione di combustibile, ossigeno (comburente) e temperatura, necessaria per innescare il fenomeno. Tutti e tre i componenti sono necessari contemporaneamente perché possa svilupparsi il fuoco. 49

51 La lotta al fuoco deve concentrarsi sull eliminazione di uno o più di questi fattori. Essendo la disponibilità di ossigeno illimitata sulla superficie terrestre, la diffusione degli incendi viene influenzata principalmente da tre fattori: le condizioni metereologiche, la morfologia del terreno, il combustibile. Le condizioni metereologiche che più influenzano la propagazione delle fiamme sono rappresentate dal vento, dall umidità e dalla temperatura. Il vento in particolare ha generalmente influenze negative sullo spegnimento degli incendi: apporta aria e quindi ossigeno che alimenta le fiamme; rimuove l umidità; trasporta piccole particelle vegetali in combustione attiva (provocando i cosiddetti salti di faville ); rende pericolosa, per l imprevedibilità delle dinamiche della sua direzione e delle turbolenze, l attività di contrasto, spesso frastagliando l incendio in diverse lingue. Rispetto al focolaio iniziale la presenza di vento modifica la velocità di avanzamento del fronte del fuoco (o testa dell incendio), che si propaga più velocemente nella direzione del vento rispetto ad un fuoco che si sviluppa in assenza di vento. Si noti che questo non significa che la velocità in controvento, in coda o lateralmente sia nulla. Elevati tassi di umidità nel combustibile rendono difficile la combustione. Da ciò deriva che di notte, quando l umidità è assorbita dai vegetali ed i venti diminuiscono, il rischio diminuisce. In presenza di rilievi le temperature influenzano gli incendi in stretta connessione con la morfologia dei terreni e l esposizione diretta dei versanti all irraggiamento solare. 50

52 L irraggiamento diretto influisce fortemente sulle temperature e sull umidità, generando significative differenze tra i versanti dei rilievi esposti a sud e a ovest, che risultano generalmente i più pericolosi rispetto a quelli esposti a nord ed a est. La pendenza del terreno genera una diffusione del fuoco più rapida che in pianura. I motivi concorrenti a tale situazione sono diversi: la massa vegetale sovrastante a quella che sta bruciando viene preriscaldata dalle fiamme a valle; il dislivello genera un effetto camino alimentando meglio le fiamme; a causa delle pendenze il materiale infiammato può rotolare o cadere a valle. Di solito il fuoco si propaga più velocemente in salita che in discesa. I combustibili possono essere divisi in due gruppi: rapidi o lenti. I primi sono soprattutto l erba e le foglie secche, gli arbusti e le giovani piante resinose. I secondi le ceppaie e ed i tronchi di diametro maggiore. In considerazione di tali elementi si comprende come da un lato i periodi a maggior rischio di incendi boschivi per l area di interesse siano quelli relativi a stagioni climatiche secche, ovvero in estate, e che le zone più colpite siano quelle collinari del territorio comunale dove più sono intensi i venti e l irraggiamento solare. Le cause principali degli incendi boschivi possono essere suddivise in due tipologie principali, quelle che dipendono dalla presenza dell uomo e quelle indipendenti dalla presenza dell uomo (o naturali). Le cause indipendenti dalla presenza dell uomo più frequenti, anche se nel complesso piuttosto rare, sono dovute alla caduta dei fulmini ed alle eruzioni vulcaniche. Le cause dipendenti dalla presenza dell uomo possono essere di tipo doloso o volontario o di tipo colposo o involontario. L analisi storica degli incendi boschivi sul territorio comunale di Castello di Cisterna è stata effettuata sulla scorta dei dati relativi al catasto incendi boschivi reperibile su internet al sito: 51

53 la cartografia riportata in figura testimonia che dall anno 2000 all anno 2008 le aree dell intero territorio comunale non sono state interessate dall innescarsi di incendi boschivi. Pertanto il Territorio comunale di Castello di Cisterna (NA) non ha una particolare predisposizione al rischio incendi boschivi desunti dalla storicità dei dati a disposizione e dalla orografia del territorio. 52

54 RISCHIO INCENDI DI INTERFACCIA Alcuni dei problemi più complessi della lotta agli incendi boschivi riguardano le zone periurbane, le quali rappresentano luoghi di interfaccia tra i centri urbanizzati e le zone forestali o gli edifici isolati. In questi contesti alcune situazioni possono divenire seriamente pericolose, non solo per i beni colpiti dalle fiamme, ma anche per l incolumità umana: il fuoco può arrivare alle abitazioni e le abitazioni possono infiammarsi; le vie di allontanamento e di avvicinamento agli edifici possono essere non percorribili a causa delle fiamme, inoltre possono non esserci adeguate scorte idriche raggiungibili nelle vicinanze. In tali zone l incendio, può avere origine sia in prossimità dell insediamento (ad es. per abbruciamento di residui vegetali, per accensione di fuochi durante attività ricreative in parchi urbani e/o periurbani, ecc.), sia come incendio propriamente boschivo per poi interessare le zone di interfaccia. Per interfaccia urbano-rurale si definiscono quelle zone, aree o fasce, nelle quali l interconnessione tra strutture antropiche e aree naturali è molto stretta; sono cioè quei luoghi geografici dove il sistema urbano e quello rurale si incontrano ed interagiscono, così da considerarsi a rischio d incendio di interfaccia, potendo venire rapidamente in contatto con la possibile propagazione di un incendio originato da vegetazione combustibile. Nel presente piano, fatte salve le procedure per la lotta attiva agli incendi boschivi di cui alla L.353/2000, l attenzione sarà focalizzata sugli incendi di interfaccia, per pianificare sia i possibili scenari di rischio derivanti da tale tipologia di incendi, sia il corrispondente modello di intervento 53

55 per fronteggiare la pericolosità e controllarne le conseguenze sull integrità della popolazione, dei beni e delle infrastrutture esposte. Gli obiettivi specifici di questo settore sono quindi quelli di definire ed accompagnare i diversi soggetti coinvolti negli incendi di interfaccia per la predisposizione di strumenti speditivi e procedure per: a) Estendere fino alla scala comunale il sistema preposto alla previsione della suscettività all innesco e della pericolosità degli incendi boschivi ed al conseguente allertamento; b) Individuare e comunicare il momento e le condizioni per cui l incendio boschivo potrebbe trasformarsi o manifestarsi quale incendio di interfaccia determinando situazioni di rischio elevato, da affrontare come emergenza di protezione civile; c) Fornire al responsabile di tali attività emergenziali un quadro chiaro ed univoco dell evolversi delle situazioni al fine di poter perseguire una tempestiva e coordinata attivazione e progressivo coinvolgimento di tutte le componenti di protezione civile, istituzionalmente preposte e necessarie all intervento; d) Determinare sinergie e coordinamento tra le funzioni: 1. di controllo e spegnimento dell incendio boschivo prioritariamente in capo al Corpo Forestale dello Stato ed ai Corpi Forestali Regionali;. 2. di pianificazione preventiva, controllo, contrasto e spegnimento dell incendio nelle strette vicinanze di strutture abitative, sociali ed industriali, nonché di infrastrutture strategiche e critiche, prioritariamente in capo al C.N.VV.F.; 54

56 3. di Protezione Civile per la gestione dell emergenza prioritariamente all autorità comunale in stretto coordinamento con le altre autorità di protezione civile ai diversi livelli territoriali. Le attività di previsione delle condizioni favorevoli all innesco e alla propagazione degli incendi boschivi, destinate ad indirizzare i servizi di vigilanza del territorio, di avvistamento degli incendi, nonché di schieramento e predisposizione all operatività della flotta antincendio statale, hanno trovato piena collocazione all interno del sistema di allertamento Nazionale. La responsabilità di fornire quotidianamente e a livello nazionale indicazioni sintetiche su tali condizioni, grava sul Dipartimento della Protezione civile che ogni giorno, attraverso il Centro Funzionale Centrale, ed entro le ore 16:00, emana uno specifico Bollettino, reso accessibile alle Regioni e Province Autonome, Prefetture-UTG, Corpo Forestale dello Stato, Corpi Forestali Regionali e Corpo Nazionale Vigili del Fuoco. Le previsioni in esso contenute sono predisposte dal Centro Funzionale Centrale, non solo sulla base delle condizioni meteo climatiche, ma anche sulla base dello stato della vegetazione, dello stato fisico e di uso del suolo, nonché della morfologia e dell organizzazione del territorio e si limita ad una previsione fino alla scala provinciale, stimando il valore medio della suscettività all innesco su tale scala, nonché su un arco temporale utile per le successive 24 ore ed in tendenza per le successive 48 ore. Tali scale spaziali e temporali, pur non evidenziando il possibile manifestarsi di situazioni critiche a scala comunale, forniscono un informazione più che sufficiente, equilibrata ed omogenea sia per modulare i livelli di allertamento che per predisporre l impiego della flotta aerea statale. Il Bollettino, oltre ad una parte testuale che raccoglie sia una previsione sulle condizioni meteo climatiche attese che una sintesi tabellare delle previsioni delle condizioni favorevoli all innesco ed 55

57 alla propagazione degli incendi su ciascuna provincia, rappresenta anche in forma grafica la mappatura dei livelli di pericolosità: bassa (celeste), media (giallo), alta (rosso). Ai tre livelli di pericolosità si possono far corrispondere tre diverse situazioni: - pericolosità bassa: le condizioni sono tali che ad innesco avvenuto l evento può essere fronteggiato con i soli mezzi ordinari e senza particolari dispiegamenti di forze per contrastarlo; - pericolosità media: le condizioni sono tali che ad innesco avvenuto l evento deve essere fronteggiato con una rapida ed efficace risposta del sistema di lotta attiva, senza la quale potrebbe essere necessario un dispiegamento di ulteriori forze per contrastarlo rafforzando le squadre a terra e impiegando piccoli e medi mezzi aerei ad ala rotante; - pericolosità alta: le condizioni sono tali che ad innesco avvenuto l evento è atteso raggiungere dimensioni tali da renderlo difficilmente contrastabile con le sole forze ordinarie, ancorché rinforzate, richiedendo quasi certamente il concorso della flotta aerea statale. Le Regioni e quindi le Prefetture-UTG dovranno assicurare che il Bollettino giornaliero o le informazioni in esso contenute siano adeguatamente ed opportunamente rese disponibili rispettivamente: - alla Provincia - ai Comandi Provinciali del C.N.VV.F., del CFS e del CFR; - ai Comuni - ai responsabili delle organizzazioni di volontariato qualora coinvolte nel modello di intervento o nelle attività di vigilanza. Per la valutazione del rischio è stata applicata la metodologia suggerita dal Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso il Manuale operativo per la predisposizione di un piano comunale o intercomunale di protezione civile (ottobre 2007). 56

58 Per poter individuare le aree a rischio incendi di interfaccia si è utilizzata una metodologia operativa che funge inoltre da supporto nell individuazione dei possibili scenari di evento sia in fase di pianificazione che in fase si gestione dell emergenza. Innanzitutto si definisce la fascia di interfaccia in senso stretto, nel seguito denominata interfaccia, quella fascia di contiguità tra le strutture antropiche e la vegetazione ad essa adiacente. In via di approssimazione la larghezza adottata per tale fascia è stimabile tra i metri e comunque estremamente variabile in considerazione delle caratteristiche fisiche del territorio, nonché della configurazione della tipologia degli insediamenti. Per la valutazione degli scenari di rischio da incendi di interfaccia è indispensabile effettuare una perimetrazione delle aree del territorio comunale, in funzione dei rapporti tra la superficie boscata e le strutture urbane. In generale è possibile distinguere tre differenti configurazioni di contiguità e contatto tra aree con dominante presenza vegetale ed aree antropizzate: - Interfaccia classica: frammistione tra strutture ravvicinate fra loro e la vegetazione (es. periferie dei centri urbani); - Interfaccia mista: presenza di molte strutture isolate e sparse nell ambito del territorio ricoperto da vegetazione combustibile; -Interfaccia occlusa: zone con vegetazione combustibile limitate e circondate da strutture prevalentemente urbane (es. parchi o aree verdi nei centri urbani). 57

59 Figura 6 Individuazione fasce a rischio incendio di interfaccia 58

60 Per valutare il rischio conseguente agli incendi di interfaccia e prioritariamente necessario definire la pericolosità nella porzione di territorio ritenuta potenzialmente interessata dai possibili eventi calamitosi ed esterna al perimetro della fascia di interfaccia, nonché la vulnerabilità degli esposti presenti in tale fascia. Per la perimetrazione di predette aree si sono create delle aggregazioni degli esposti finalizzate alla riduzione della discontinuità fra gli elementi presenti, raggruppando tutte le strutture la cui distanza relativa non sia superiore a 50 metri. Intorno a tali aree è stato poi tracciato un perimetro di contorno di larghezza di circa 200 metri. Tale fascia sarà utilizzata per la valutazione sia della pericolosità che delle fasi di allerta da porre in essere così come descritto nelle procedure di allertamento. Per la determinazione della pericolosità, con il supporto delle carte tecniche regionali, della carta forestale e di quella dell uso del suolo, sono state valutate le diverse caratteristiche vegetazionali predominanti nella fascia perimetrale, individuando così delle sotto aree di tale fascia omogenee sia con presenza e diverso tipo di vegetazione, nonché sull analisi comparata nell ambito di tali sotto aree di sei fattori, di seguito descritti, cui è stato attribuito un peso diverso a seconda dell incidenza che ognuno di questi ha sulla dinamica dell incendio. I parametri presi in considerazione sono 3 : Tipo di vegetazione: le formazioni vegetali hanno comportamenti diversi nei confronti dell evoluzione degli incendi a seconda del tipo di specie presenti, della loro mescolanza, della stratificazione verticale dei popolamenti e delle condizioni fitosanitarie. 3 Manuale operativo per la predisposizione di un piano di emergenza comunale o intercomunale di Protezione Civile 59

61 Vegetazione CRITERI VALORE NUMERICO Coltivi e pascoli 0 Coltivi e pascoli abbandonati 2 Boschi di latifoglie e conifere montane 3 Boschi di conifere mediterranee e macchia 4 Tabella 21 Tipo di vegetazione Densità della vegetazione: rappresenta il carico di combustibile che contribuisce a Densità vegetazione determinare l intensità e la velocità dei fronti di fiamma. CRITERI Rada 2 colma 4 Tabella 22 Densità della vegetazione VALORE NUMERICO Pendenza : la pendenza del terreno ha effetti sulla velocità di propagazione dell incendio: il calore salendo preriscalda la vegetazione sovrastante, favorisce la perdita di umidità dei tessuti, facilita in pratica l avanzamento dell incendio verso le zone più alte. Pendenza CRITERI VALORE NUMERICO assente 0 Moderata o terrazzamento 1 accentuata 2 Tabella 23 Pendenza Tipo di contatto : contati delle sotto aree con aree boscate o incolti senza soluzione di continuità influiscono in maniera determinante sulla pericolosità dell evento, lo stesso dicasi per la localizzazione della linea di contatto che comporta velocità di propagazione ben diverse. 60

62 Contatto con aree boscate Tabella 24 Tipo di contatto CRITERI VALORE NUMERICO nessun contatto 0 contatto discontinuo o limitato 1 contatto continuo a monte o laterale 2 2 Contatto continua a valle; nucleo 4 completamente circondato Incendi pregressi : particolare attenzione è stata posta alla serie storica degli incendi pregressi che hanno interessato il nucleo insediativo e la relativa distanza a cui sono stati fermati. Maggior peso sarà attribuito a quegli incendi che si sono avvicinati con una distanza inferiore ai 100 metri dagli insediamenti. L assenza di informazioni è considerata equivalente ad assenza di incendi pregressi. Distanza dagli insediamenti degli incendi pregressi Tabella 25 Incendi pregressi CRITERI VALORE NUMERICO Assenza di incendi m < evento <200 m 4 Evento < 100 m 8 Classificazione del piano AIB : è la classificazione dei comuni per classi di rischio contenuta Classificazione piano A.I.B. 61 nel piano regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi redatta ai sensi della 353/2000. L assenza di informazioni è considerata equivalente ad una classe bassa di rischio CRITERI Basso 0 Medio 2 alto 4 Tabella 26 Classificazione del piano AIB VALORE NUMERICO

63 La seguente tabella riepilogativa dovrà essere compilata per ogni singola area individuata all interno della fascia perimetrale. Parametro analizzato Valore numerico di pericolosità Tipo di vegetazione 0 Densità della vegetazione 2 Pendenza del terreno 0 Contatto con aree boscate 0 Distanza dagli insediamenti degli incendi pregressi 0 Classificazione del comune nel Piano A.I.B. 0 Totale 2 Tabella 27 Tabella riepilogativa Dal momento che i parametri analizzabili all'interno delle differenti fasce individuate in fase di analisi del rischio (figura 6) sono pressoché costanti e confrontando i risultati ottenuti da questa analisi con la tabella 28, possiamo affermare che per tutte queste aree si può parlare di grado di pericolosità basso. PERICOLOSITA INTERVALLI NUMERICI Bassa X 10 Media 11 X 18 Alta X 19 Tabella 28 Parametri di riferimento 62

64 RISCHIO VULCANICO Il 9 febbraio 2015 con Delibera di Giunta n. 29 la Regione Campania ha approvato con una delibera la nuova delimitazione della zona gialla nell'area vesuviana. Quest area, esterna alla zona rossa, è esposta a una significativa ricaduta di cenere vulcanica e di materiali piroclastici che potrebbero causare il collasso dei tetti. Allegato 1 63

65 La delibera accoglie la delimitazione proposta dal Dipartimento della protezione civile, sulla base di indicazioni della Comunità scientifica, e in raccordo con la Regione Campania. Con la stessa delibera, sono state fornite indicazioni per la redazione di piani di emergenza ai comuni della zona gialla e anche a quelli esterni alla stessa ma comunque interessati, anche se in misura minore, dalla ricaduta di ceneri vulcaniche che potrebbero provocare, a livello locale, altre conseguenze (come l intasamento delle fognature, la difficoltà di circolazione degli automezzi, l interruzione di linee elettriche e di comunicazione). Sono 63 i Comuni inclusi nella nuova zona Gialla del Vesuvio insieme ai quartieri di Barra, San Giovanni e Ponticelli del Comune di Napoli" (Allegato 1). "La zona gialla - -include i Comuni che ricadono all'interno o sono intersecati dalla curva di probabilità di superamento del 5% del carico di 300 kg/mq determinato dall accumulo di ceneri vulcaniche (Allegato 2). La definizione di quest area, cui si è giunti in raccordo con il Dipartimento della Protezione civile, si basa su recenti studi e simulazioni della distribuzione a terra di ceneri vulcaniche prodotte da un eruzione sub-pliniana, in funzione della direzione variabile del vento. L emissione delle ceneri vulcaniche all inizio dell eruzione è molto abbondante e, in poche ore, porta ad accumuli considerevoli a Km dal vulcano. Spessori di deposito maggiori di 10 cm possono coprire aree a distanza di km dal vulcano; ovviamente, l estensione dell area esposta alla ricaduta di ceneri dipende dall altezza della colonna eruttiva e dalla direzione dei venti al momento dell eruzione". 64

66 Allegato 2 Prime indicazioni per la determinazione dei carichi verticali conseguenti alla ricaduta di ceneri vulcaniche 1. Per la progettazione degli interventi strutturali e la verifica delle strutture esistenti in Zona rossa e Zona gialla del Piano Nazionale di Emergenza del Vesuvio si suggerisce di considerare anche il carico verticale conseguente all accumulo di ceneri vulcaniche. 2. Il carico da cenere è una azione eccezionale, così come definita al paragrafo 3.6 delle Norme Tecniche per le Costruzioni di cui al D.M. del 14 gennaio I valori di calcolo si definiscono in base allo scenario subpliniano di riferimento, considerando il carico da cenere asciutta, riportato nella cartografia di cui all Allegato 4, che ha probabilità di superamento del 10%, così come valutato dall Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) 65

67 e dal Centro Studi Plinivs dell Università di Napoli Federico II Centro di Competenza del Dipartimento della Protezione Civile (DPC) - in base alle statistiche del vento in quota. 4. Il carico da cenere asciutta deve essere opportunamente maggiorato per tener conto dell effetto di possibili piogge concomitanti o successive all eruzione vulcanica. Tale incremento è pari a 1,5 KN/mq, ovvero al corrispondente carico da cenere asciutta se inferiore. 5. Per tener conto degli effetti delle pendenze delle coperture, si applicano le medesime regole che le Norme Tecniche indicano per il carico da neve. Allegato 3 Rif. : Delibera di Giunta la Regione Campania Il 9 febbraio 2015 Delimitazione della zona Gialla del Piano di Emergenza dell'area vesuviana 66

68 RISCHIO SISMICO Caratterizzazione sismica e zonazione del territorio in prospettiva sismica * La regione mediterranea è una regione geologicamente molto attiva, che sta subendo una deformazione piuttosto rapida ed è caratterizzata da una sismicità diffusa che non è ristretta solo lungo i bordi delle zolle (Vannucci et alii, 2004). L evoluzione geodinamica del Mediterraneo centrale costituisce da diversi decenni l oggetto di un intenso dibattito scientifico. In questo settore della crosta terrestre il processo di raccorciamento, provocato nell'ambito del sistema Europa, Africa, e Adria dall'apertura del Bacino Oceanico Tirrenico, è responsabile della formazione di strutture geologiche di natura ed evoluzione assai differente. Accanto alle catene montuose, naturale prodotto dei processi di collisione, il Mediterraneo centrale ha visto la nascita e la progressiva evoluzione di bacini marini di limitate dimensioni, caratterizzati, come il Tirreno, dalla formazione di nuova crosta, simile a quella presente nel fondo dei grandi oceani. Nei primi anni settanta la struttura del Mediterraneo è stata interpretata come un mosaico di frammenti di litosfera (microplacche), i cui processi di rotazione e di traslazione erano la causa dell apertura di nuovi bacini oceanici e del corrugamento delle catene montuose. In particolare, l Appennino Meridionale è interessato, fin da epoche storiche, da un intensa e frequente tettonica attiva collegata ad un regime estensionale legato alla divergenza di Adria, che è subentrato ad un regime compressivo inattivo (Meletti et alii, 2000). Gli eventi sismici che interessano l Appennino Meridionale presentano una profondità ipocentrale generalmente compresa tra i 10 e i 12 Km. Essi sono localizzati prevalentemente lungo una ristretta fascia che coincide con l aree più 67 elevate delle catena, e sono caratterizzati da meccanismi focali

69 prevalentemente di tipo estensionale (Vannucci et alii, 2004). Dalla consultazione del Database Macrosismico Italiano (2011) si evince che il territorio comunale di Castello di Cisterna è stato interessato da diversi eventi sismici. La sismicità storica è stata documentata a partire dal 1452 con il terremoto ubicato nell area molisana di magnitudo momento (MW) pari a Come si evince dalla tabella 1 le aree epicentrali dei terremoti di interesse per Castello di Cisterna sono localizzate nell Appennino meridionale nell area compresa tra il Molise e l Irpinia. I terremoti storici documentati, con MW compresa tra 4.40 e 7.22 e localizzati ad una distanza variabile tra 4 e 111 km hanno interessato l abitato di Castello di Cisterna con intensità macrosismiche (IS) della scala Mercalli Cancani Sielberg (MCS) comprese tra 4 e 7. La massima Intensità pari a 7 è stata riscontrata in occasione degli eventi sismici del 12/05/1456 (Molise), del 23/07/1930 (Irpinia) e del 23/11/1980 (Irpinia Basilicata); gli epicentri di tali eventi sono 68

70 localizzati rispettivamente a 40 Km e 80 km. Nel 2003 con l Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n del 20 marzo 2003 relativa a Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica (G.U. n. 105 del ), viene adottata la nuova classificazione sismica del territorio nazionale che recepisce i risultati raggiunti dal Gruppo di lavoro. In base alla nuova normativa, la pericolosità viene espressa come l accelerazione orizzontale al suolo (ag) che ha una probabilità del 10% di essere superata in 50 anni, e che rappresenta l accelerazione a cui gli edifici devono resistere senza collassare. Tutto il territorio nazionale viene ripartito in quattro zone (Allegato 1 dell OPCM, n ), nelle quali applicare, in modo differenziato, le norme tecniche per la progettazione, la valutazione e l adeguamento sismico degli edifici. Nella Tabella sono riportati il valore di picco orizzontale del suolo (ag) espresso in percentuale di g ed i valori dell accelerazione orizzontale di ancoraggio dello spettro di risposta elastico nelle norme tecniche sulle costruzioni. Tali valori sono riferiti alle accelerazioni attese in seguito ad un evento sismico in siti su roccia o suolo molto rigido (con Vs > 800 m/s). Le valutazioni di ag sono state effettuate mediante: 69

71 l identificazione delle aree sismogenetiche, in base a dati geologici, geofisici, e ai cataloghi sismologici, sia storici che strumentali; la determinazione del periodo di ritorno di terremoti di diversa intensità per ogni zona sismogenetica; la valutazione di ag per ogni area di 0.05 di lato del territorio nazionale, utilizzando leggi medie di attenuazione dell energia sismica con la distanza. In base alla nuova normativa (All. 1, 2b dell OPCM, n ) è stata prodotta una nuova mappa della classificazione sismica del territorio nazionale, in termini di accelerazione massima (amax) con probabilità di superamento del 10% in 50 anni riferiti a siti su roccia o suolo molto rigido (Categoria A, con Vs > 800 m/s) (Figura 4), affidando alle Regioni l'individuazione, la formazione ed l aggiornamento dell'elenco delle zone sismiche sulla base dei criteri generali dell'allegato (Figura 4). 70

72 Dall analisi della mappa della classificazione sismica del territorio nazionale si evince che tutto il territorio nazionale è considerato sismico, in particolare il 9,2% della superficie nazionale ha un livello di sismicità alta e il 31,9% ha un livello di sismicità minima. La regione maggiormente esposta è la Calabria che presenta il 100% della superficie classificata a livello alto e medio; seguono poi l Abruzzo, la Campania e la Sicilia. Invece le regioni con gran parte della superficie a sismicità minima sono la Sardegna e la Valle d Aosta. In seguito all O.P.C.M. n del 20 marzo 2003, è stata realizzata anche una mappa di pericolosità sismica (Figura 5), che rappresenta un riferimento per l individuazione delle zone sismiche. 71

73 Per la realizzazione di questa mappa sono stati utilizzati ed elaborati un gran numero di dati, ed in particolare: è stata elaborata una nuova zonazione sismogenetica, denominata ZS9; è stata prodotta una versione aggiornata del catalogo CPTI (Gdl CPTI, 1999) detta CPTI2; sono state verificate, alla luce dei dati dei terremoti più recenti, le relazioni di 72 attenuazione di amax definite a scala nazionale ed europea.

74 La zonazione ZS9 comprende 42 zone-sorgente, che sono state identificate con un numero (da 901 a 936) o con una lettera (da A ad F). Nel processo di realizzazione di ZS9, l unione di più zone ZS4 è avvenuta in base alle caratteristiche del dominio cinematico al quale ognuna delle zone veniva attribuita. La geometria delle sorgenti sismogenetiche (Figura 7) della Campania e, più in generale, l Appennino Meridionale (zone da 56 a 64 in ZS4 e zone da 924 a 928 in ZS9), in seguito alla realizzazione della zonazione sismogenetica ZS9, è stata sensibilmente modificata rispetto a ZS4 (Rapolla, 2005). In particolare l attuale zona 927 (Sannio-Irpinia-Basilicata) comprende tutte le precedenti zone di ZS4 coincidenti con il settore assiale della catena, fino al massiccio del Pollino, al confine calabro- 73

75 lucano Essa racchiude l area caratterizzata dal massimo rilascio di energia legata alla distensione generalizzata che, da circa 0.7 ma sta interessando l Appennino meridionale. Il meccanismo di fagliazione individuato per questa zona è normale e le profondità ipocentrali sono comprese tra gli 8 e 12 km. La zona 57 di ZS4, corrispondente alla costa tirrenica, è stata quasi integralmente cancellata, in quanto il GdL INGV (2004) ritiene che la sismicità di questa area non è tale da permettere una valutazione affidabile dei tassi di sismicità e, comunque, il contributo che verrebbe da tale zona sarebbe trascurabile rispetto agli effetti su questa stessa area delle sorgenti nella zona

76 La parte rimanente della zona 57, insieme alla zona 56 sono attualmente rappresentate dalla zona 928 (Ischia-Vesuvio), che include l area vulcanica napoletana, con profondità ipocentrali comprese nei primi 5 km. Nell area al confine tra la catena e la Puglia, cioè l area dell avanfossa e dell avampaese apulo, le nuove conoscenze sulla sismicità locale, suggerite dalla sequenza sismica del Molise del 2002 (Di Bucci e Mazzoli, 2003; Valensise et al., 2004), hanno comportato scelte che cambiano notevolmente le caratteristiche sismogenetiche dell area ed hanno permesso di identificare sorgenti con direzione E-W, caratterizzate da cinematica trascorrente. E stata così identificata: nell area garganica una zona 924 (Molise-Gargano) orientata E-W, che include tutta la sismicità dell area e la faglia di Mattinata, generalmente ritenuta attiva; una zona 925 (Ofanto) la cui geometria trae in parte spunto dalla zona 62 di ZS4, ad andamento WNW-ESE; la zona 926 (Basento) ad andamento E-W, definita dall allineamento di terremoti a sismicità medio-bassa nell area di Potenza. La carta della pericolosità sismica calcolata in base alle distribuzioni di amax con probabilità di superamento del 10% in 50 anni, effettuata dal GdL INGV (2004) e redatta in conformità alle disposizione dell Ordinanza PCM 3519 (28/04/2006), prevede per la Campania la presenza di 8 classi di amax, con valori che variano gradualmente tra 0.075g lungo la costa a nell area dell Irpinia, ad eccezione delle aree vulcaniche Vesuvio- Ischia-Campi Flegrei dove si hanno valori mediamente compresi tra 0.175g e 0.200g 75 (Figura 8). Per quanto riguarda la distribuzione

77 dell 84mo percentile, anche qui sono presenti in Campania 8 classi di amax, con valori che variano tra 0.075g e 0.300g. Le differenze tra le due mappe sono in genere inferiori a 0.020g, fatta eccezione di una ristretta fascia al confine con la Puglia, dove si raggiungono valori compresi tra 0.040g e 0.050g. La classificazione sismica della Regione Campania, è stata aggiornata in seguito alla Delibera G.R n (Figura 9). Dalla classificazione dei comuni riportata nella delibera si evince che circa il 65% dei comuni della Campania rientra nella seconda categoria, circa il 23% in prima categoria, e l 11% in terza categoria. 76

78 Le aree che ricadono in prima categoria sono il Sannio-Matese e l Irpinia, mentre le zone vulcaniche del napoletano sono classificate in seconda categoria. La classificazione sismica del territorio tiene conto non solo dell ubicazione delle sorgenti sismiche, ma anche della propagazione dell energia sismica con la distanza dalla sorgente e della eventuale amplificazione locale delle oscillazioni sismiche, prodotte dalle caratteristiche del terreno. Il territorio di Castello di Cisterna, oltre ad essere interessato dalla sismicità legata all attività dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio, è influenzato dall attività sismogenetica dell Appennino Meridionale; esso già classificato sismico di terza categoria, con delibera di Giunta Regionale della Campania n del , è stato, alla luce delle tre macrozone individuate dal D.M , riclassificato sismico di seconda categoria. Il territorio del Castello di Cisterna è stato inserito nella zona 2 caratterizzata da un accelerazione orizzontale massima su suolo di categoria A ag = 0.25g. Il 4 febbraio 2008 sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni elaborate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. L'allegato A di tali Norme prevede che l'azione sismica di riferimento per la progettazione (paragrafo 3.2.3) venga definita sulla base dei valori di pericolosità sismica proposti dal Progetto S1 dell Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Di seguito si riporta la mappa di sintesi di pericolosità sismica di riferimento proposta dall INGV (figura 8). Queste stime di pericolosità sismica sono state successivamente elaborate dal Consiglio Superiore per ottenere i parametri che determinano la forma dello spettro di risposta elastica; tali parametri sono proposti nell'allegato A del Decreto Ministeriale. In riferimento alla mappa del territorio nazionale per la pericolosità sismica derivante dal progetto S1 dell INGV, disponibile on-line sul sito dell INGV, si indica che il territorio 77

79 comunale di Castello di Cisterna rientra nelle celle contraddistinte da valori di ag di riferimento compresi tra 0.150g e 0.175g (punti della griglia riferiti a: parametro dello scuotimento ag; probabilità in 50 anni 10%; percentile 50). Le prove sismiche eseguite sul territorio di Castello di Cisterna sono state finalizzate alla caratterizzazione sismica dei terreni e alla elaborazione della Carta di microzonazione sismica. La microzonazione sismica è un criterio volto a prevedere e mitigare gli effetti sismici in un territorio di limitata estensione. Le indagini di microzonazione sismica, pertanto, hanno lo scopo di riconoscere, a scala di dettaglio, le condizioni di sito (microzone) che possono modificare sensibilmente le caratteristiche del moto sismico atteso (moto sismico di riferimento) o produrre effetti cosismici rilevanti (fratture, liquefazioni, ecc.). Nel nostro caso sono state individuate zone, nel territorio compreso nei limiti amministrativi del comune di Castello di Cisterna, a comportamento omogeneo dal punto di vista sismico. CARTA MICROZONAZIONE SISMICA Nel presente studio si è investigato riguardo gli ambiti geologici del territorio comunale di Castello di Cisterna, a partire da conoscenze pregresse e da documentazione tecnica già disponibile, riveduta ed aggiornata sulla base di dettagliati rilievi geologici e geomorfologici di superficie exnovo, integrati da una mirata campagna di indagini geognostiche, nel rispetto del quadro normativo vigente. Del resto dato il carattere generale di orientamento ed indirizzo di questo studio, seppur specialistico e specifico, nei confronti della suscettività d uso dei vari ambiti geologici, si rimanda alle fasi di attuazione di questo livello di pianificazione, per l esecuzione di ulteriori rilevamenti sia di superficie che attraverso l ausilio di indagini geognostiche, dirette ed indirette, finalizzati a caratterizzare la litostratigrafia locale, gli aspetti geotecnici del volume 78

80 significativo del sottosuolo investito dalle strutture, le condizioni geomorfologiche al contorno, la risposta sismica del singolo sito con l individuazione dei fattori di amplificazione delle onde sismiche. Pertanto, sulla base dei risultati scaturiti dal presente studio, ai fini del corretto uso del territorio, si riportano le seguenti prescrizioni per le diverse aree così perimetrate e classificate nella Tav. 3 Carta della Stabilità e nella tavola di sintesi n. 4 Carta della Microzonazione Sismica del PUC. Aree Stabili: sono consentiti qualsiasi tipo di intervento previa acquisizione dei parametri geologico-geotecnici-geofisici secondo le modalità previste dalla normativa vigente. Aree Potenzialmente Instabili: prima di qualsiasi intervento saranno espletate indagini geologiche e geotecniche finalizzate alla definizione puntuale della stratigrafia del sottosuolo e delle caratteristiche tecniche dei terreni almeno fino alla prof. di metri dal piano campagna o dal piano di posa delle fondazioni di una eventuale struttura edificanda al fine di verificare l eventuale esistenza di cavità sotterranee. Saranno valutate le condizioni di stabilità derivanti dall interazione terrreno struttura. Aree caratterizzate da rischio idraulico punti di crisi idraulica prima di qualsiasi intervento da eseguire su un area racchiusa in una circonferenza di diametro pari a 200 m. con centro nel punto di crisi idraulica, tali zone saranno soggette a studi di compatibilità idraulica con rilievi e indagini di dettaglio per accertare il livello di pericolosità ed il relativo grado di rischio. Aree Potenzialmente liquefacibili: prima di qualsiasi intervento saranno espletate indagini geognostiche e prove di laboratorio volte alla individuazione degli eventuali depositi liquefacibili e 79

81 alla valutazione dell indice di liquefazione. Si segnala la necessità che nelle Norme di Attuazione dello strumento urbanistico venga esplicitamente richiesto che nelle relazioni tecniche progettuali sia dichiarato che sono state tenute in considerazione le risultanze della microzonazione sismica del territorio. Le aree di emergenza comunale sono state identificate sovrapponendo la Tav. 3 Carta della Stabilità e la tavola di sintesi n. 4 Carta della Microzonazione Sismica allegate al PUC. *Dalla redazione dello studio geologico/tecnico del geol. Alessandro Amato nell ambito delle attività poste in essere dall Amministrazione Comunale di Castello di Cisterna finalizzate alla redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale. 80

82 IL RISCHIO IDROGEOLOGICO Il rischio idrogeologico R è definito come l entità del danno atteso in una data area in un certo intervallo di tempo, in seguito al verificarsi di un particolare evento calamitoso. Per un dato elemento a rischio l entità dei danni attesi può essere valutata attraverso: la pericolosità (H): la probabilità di occorrenza dell evento geologico idraulico entro un certo intervallo di tempo ed in una zona tale da influenzare l elemento a rischio; la vulnerabilità (V): il grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio, risultante dal verificarsi dell evento temuto; il valore dell elemento a rischio (E) (espresso in termini monetari o di quantità di unità esposte) della popolazione, delle proprietà e delle attività economiche, inclusi i servizi pubblici, a rischio in una data area. Sotto determinate ipotesi il rischio può essere espresso semplicemente dalla seguente espressione, nota come equazione del rischio : R = H x V x E Spesso è difficile giungere ad una stima quantitativa del rischio per la difficoltà di parametrizzazione, in termini probabilistici, della pericolosità e della vulnerabilità e, in termini monetari, del valore degli elementi a rischio. Si può ricorrere a delle sintesi parziali delle informazioni valutando anziché il rischio totale R, il cosiddetto rischio specifico Rs o il danno 81

83 potenziale D, definiti come segue: Rischio specifico Rs: grado di perdita atteso quale conseguenza di un particolare fenomeno naturale. Può essere espresso da: Rs = H x V Danno potenziale D: l entità potenziale delle perdite nel caso del verificarsi dell evento temuto. Sotto determinate ipotesi può essere espresso da: D = V x E La valutazione del rischio consiste nell analisi dei rapporti che intercorrono fra i vari fattori di vulnerabilità del territorio e le diverse forme di pericolosità possibili. La mitigazione del rischio può essere attuata, a seconda dei casi, intervenendo nei confronti della pericolosità, della vulnerabilità, o del valore degli elementi a rischio. Sia la valutazione che la mitigazione del rischio richiedono quindi l acquisizione di informazioni territoriali sui caratteri geologico ambientali e su quelli socio economici dell area in esame. L obiettivo del presente piano di emergenza è quello di identificare le aree a rischio e delineare degli scenari di evento per i casi di frana ed alluvione più significativi. Le competenze in materia di rischio idrogeologico, per la raccolta ed elaborazione dei dati in materia di dissesti di versante e di caratterizzazione geologico - geomorfologica del territorio sono svariate e pertanto si è reso necessario fare una scelta che fosse guidata dallo specifico obiettivo della pianificazione dell emergenza. I dati disponibili sono i seguenti: Piano stralcio per l assetto idrogeologico (PSAI) Progetto AVI catalogo nazionale delle località colpite da frane e da inondazioni; 82

84 Progetto dell'istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Perugia; Relazione Geologica allegata al Piano urbanistico Comunale vigente a firma del dott. geol. Alessandro Amato; Informazioni varie da fonti differenti. Fra quelli citati gli strumenti di riferimento più idonei allo scopo sono ovviamente i PSAI delle Autorità di Bacino competenti sul territorio comunale. Per l analisi dettagliata sono state utilizzate preliminarmente le carte di pericolosità idraulica, anche e soprattutto ai fini della pianificazione delle aree di emergenza ai fini di Protezione Civile. In un secondo momento sono state utilizzate anche le cartografie relative ai rischi, per una definizione dettagliata di alcuni scenari di rischio particolarmente significativi. Tali elaborati sono allegati al presente piano ed evidenziano chiaramente come il comune di Castello di Cisterna sia definibile come poco suscettibile a questo tipo di rischi. Il territorio del Comune di Castello di Cisterna ricade nel Piano Stralcio dell Autorità di Bacino Nord-Occidentale della Campania. Una possibile criticità idraulica è determinata della presenza di un alveo denominato Lagno della campagna come si evince dalla Tav. RI del Piano Stralcio posto in essere. Lungo tale alveo, vi sono dei punti di possibile crisi idraulica localizzata/diffusa : - fitta vegetazione in alveo; - presenza di rifiuti solidi; - riduzione sezione; - 83

85 sponte danneggiate. L alveo in questione attraversa tutta la fascia di rispetto della zona ASI presente sul territorio comunale di Castello di Cisterna. Nell'allegato "linee guida" viene comunque esplicitato il modello di intervento relazionato al Rischio idrogeologico nel caso in cui si dovessero verificare in situazioni eccezionali di criticità meteorologica, eventi che possono rappresentare un pericolo per la incolumità dei cittadini L'Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Perugia ha sviluppato un Server Geografico ("Internet Map Server" - dal quale è possibile accedere a dei WebGIS che rendono disponibili su Internet una serie di informazioni riguardanti frane ed inondazioni in Italia. Figura 7 Densità di alluvioni e frane nel Comune di Castello di Cisterna 84

86 Figura 8 Numero di alluvioni nel Comune di Castello di Cisterna Figura 9 Danni conseguenti alluvioni nel Comune di Castello di Cisterna 85

87 Figura 10 Numero di frane nel Comune di Castello di Cisterna Figura 11 Probabilità che si verifichino nell'arco di 25 anni alluvioni e frane nel Comune di Castello di Cisterna 86

88 Figura 12 Suscettibilità del territorio al rischio frane 87

89 RISCHIO INDUSTRIALE RILEVANTE Il rischio industriale è la probabilità che si verifichi un incidente rilevante così definito: un avvenimento, quale un emissione, un incendio o un esplosione di rilievo, connessi ad uno sviluppo incontrollato di un attività industriale, che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per l uomo, all interno o all esterno dello stabilimento, e per l ambiente e che comporti l uso di una o più sostanze pericolose. La pianificazione d emergenza comporta in generale l individuazione delle zone su cui complessivamente va posta l attenzione e la programmazione delle azioni da intraprendere in relazione ai diversi tipi di zone. Queste zone hanno generalmente forma circolare con centro nell impianto e raggio pari ad una distanza particolare determinata in riferimento alle normative o sulla scorta delle indicazioni tecniche fornite da enti pubblici o privati, nazionali o internazionali. In tale ottica, il D. Lgs. 334/99 Legge Seveso - bis - fa riferimento alle linee guida fornite dal Dipartimento della Protezione Civile nel 1992: Pianificazione di emergenza esterna per impianti industriali a rischio di incidente rilevante. Tali linee guida propongono uno strumento che rende possibile alle Autorità di Protezione Civile la pianificazione dell emergenza esterna agli impianti industriali, e la relativa informazione alla popolazione, in tempi brevi. Le zone di pianificazione definite dal Dipartimento della Protezione Civile sono basate su valori di soglia analoghi ai valori di soglia definiti nel Decreto Ministeriale sui Lavori Pubblici del 9 maggio 2001: I) Prima zona - Zona di sicuro impatto, è la zona caratterizzata da effetti sanitari che comportano un elevata probabilità di letalità anche per le persone mediamente sane; 88

90 II) Seconda zona Zona di danno, è la zona - esterna alla prima - caratterizzata da possibili danni gravi ed irreversibili per persone mediamente sane, che non intraprendano le corrette misure di auto protezione, oppure da possibili danni letali per persone maggiormente vulnerabili. In questa zona non è esclusa comunque l eventualità di danni letali anche per individui sani; III) Terza zona Zona di attenzione, è la zona caratterizzata dal possibile verificarsi di danni, generalmente non gravi su soggetti particolarmente vulnerabili, o comunque reazioni fisiologiche che possono determinare situazioni di turbamento tali da richiedere provvedimenti anche di ordine pubblico, nella valutazione da parte delle autorità locali. Solo nella prima zona o in alcuni punti critici delle altre zone, eccetto casi particolari (incidente non in atto e a sviluppo prevedibile oppure rilascio tossico di durata tale da rendere inefficace il rifugio al chiuso) e comunque solo nel caso di un numero esiguo di individui, è prevista l evacuazione della popolazione, spontanea o assistita. Gli eventi incidentali primari possono essere così suddivisi: RILASCIO DI SOSTANZE: diffusione di gas, vapori, liquidi, polveri; si tratta di emissioni di sostanze tossiche, infiammabili, esplosive o radioattive. Le conseguenze dannose sono legate alla modalità di diffusione nell atmosfera al suolo o nel sottosuolo per infiltrazione. INCENDIO DI NOTEVOLI DIMENSIONI: a seguito di incendi, quali scoppi e versamenti in cui sono coinvolte sostanze infiammabili possono verificarsi incendi di notevoli dimensioni. ESPLOSIONI: sono combustioni rapidissime che, per effetto della quantità di calore prodotto in tempi brevissimi ed il conseguente aumento di temperatura di gas coinvolti, provocano notevoli aumenti di pressioni. 89

91 INQUADRAMENTO NORMATIVO La valutazione dei rischi di origine antropica include l analisi dell impatto sul territorio delle industrie a rischio di incidente rilevante ai sensi del Decreto Legislativo n. 334 del 17 agosto 1999 (comunemente denominata legge Severo - bis), e dei suoi decreti attuativi. Il presente decreto è stato modificato ed integrato dal D.lgs.238/05. Decreto Legislativo 334/99 La Direttiva Europea 96/82/CE è stata recepita in Italia attraverso il Decreto Legislativo n. 334 del 17 agosto 1999, Supplemento Ordinario n. 177/L alla Gazzetta ufficiale n. 228 del 28 settembre 1999 ( legge Severo - bis ), in sostituzione della precedente direttiva 82/501/CEE sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali (già recepita nell ordinamento nazionale con il D.P.R. n. 175 del 17 maggio 1988). Il D.lgs. 334/99 ha modificato la normativa di settore: uno degli obblighi da parte dei gestori degli stabilimenti prevede la comunicazione a vari Soggetti, del rientro nel campo di applicazione del Decreto e la trasmissione del rapporto di sicurezza. Al Sindaco spetta l azione di informare la popolazione. Viceversa, per gli impianti più pericolosi, viene assegnato al Prefetto, d intesa con gli Enti Locali, il compito di redigere i PIANI DI EMERGENZA ESTERNI, che devono prevedere il coinvolgimento e l informazione dei cittadini. Modifica del D.lgs. 334/99: D.lgs. 238/05 Il Decreto Legislativo 21 settembre 2005, n.238 recante modifica del D.lgs. 334/99 è basato essenzialmente su: definizione delle modifiche necessarie per recepire la direttiva 2003/105/CE, che ha modificato la direttiva 96/82/CE correzioni volte a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea nella procedura d'infrazione avviata per non conforme recepimento della direttiva 96/82/CE. 90

92 correzione di errori presenti nella precedente stesura normativa L impianto generale del D.lgs. 334/99 non viene modificato, salvo l abolizione dell art. 5 comma 3. Questa abolizione modifica significativamente il quadro degli adempimenti, dato che elimina dal campo di applicazione della normativa sui rischi di incidente rilevante un numero significativo di stabilimenti. Resta peraltro in vigore l art. 5 comma 2 per cui la valutazione del rischio deve essere effettuata anche dagli stabilimenti con sostanze al di sotto delle soglie di cui all art. 6 del D.lgs. 334/99 (colonna 2 Allegato I parti 1 e 2). Un ulteriore modifica significativa viene introdotto nell art. 22, per cui cade l obbligatorietà dell informazione alla popolazione da parte del Sindaco che deve invece procedere nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. D.M. Lavori Pubblici 9 maggio Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante Il Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del 9/5/2001, Supplemento ordinario n.151 alla Gazzetta Ufficiale n.138 del 16 giugno 2001, è stato emanato in attuazione all art. 14 comma 1 del D.lgs. 334/99 e stabilisce i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone in cui sorgono stabilimenti a rischio di incidente rilevante, con lo scopo di prevenire gli incidenti rilevanti e limitare le conseguenze per l uomo e per l ambiente. Il DM 9/5/2001 prende in considerazione la destinazione e l utilizzazione dei suoli tenendo conto della necessità di mantenere le opportune distanze tra gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante e le zone residenziali, considerando anche gli obiettivi di prevenzione e la limitazione delle conseguenze connesse agli incidenti. 91

93 Il decreto fornisce, inoltre, orientamenti comuni ai soggetti competenti in materia di pianificazione urbanistica e territoriale e di salvaguardia dell ambiente, per semplificare e riordinare i procedimenti, oltre che raccordare le leggi e i regolamenti in materia ambientale con le norme di governo del territorio. Le Province e le Città metropolitane, ove già costituite, con l ausilio dei Comuni, hanno il compito di individuare, all interno degli strumenti di pianificazione territoriale, le aree sulle quali ricadono gli effetti prodotti dagli stabilimenti soggetti al D.lgs. 334/99 (art. 3 comma 1). Nella parte relativa al Controllo dell urbanizzazione (art. 5), il decreto stabilisce che le autorità competenti in materia di pianificazione territoriale e urbanistica devono utilizzare le seguenti informazioni: per gli stabilimenti soggetti all art. 8 del D.lgs. 334/99, le valutazioni effettuate dall autorità competente di cui all art. 21 del D.lgs. 334/99 (cioè dal Comitato Tecnico Regionale fino all emanazione di uno specifico decreto); per gli stabilimenti soggetti all art. 6 del D.lgs. 334/99, le informazioni fornite dal gestore. Le concessioni e le autorizzazioni edilizie sono soggette al parere del Comitato Tecnico Regionale. Tale parere é formulato sulla base delle informazioni fornite dai gestori degli stabilimenti soggetti agli artt. 6 e 8 del predetto decreto legislativo, secondo le specificazioni e le modalità contenute nell allegato al decreto (art. 5 comma 4). Nel caso di stabilimenti soggetti all art. 6 del D.lgs. 334/99 si può richiedere al Comitato Tecnico Regionale un parere consultivo per predisporre varianti urbanistiche. Per la determinazione delle aree di danno, ai fini del controllo urbanistico, il Decreto ritiene sufficiente effettuare una trattazione semplificata, basata sul superamento di un valore di soglia, al di sotto del quale si ritiene convenzionalmente che il danno non accada, e al di sopra del quale viceversa si ritiene che 92

94 il danno possa accadere. I valori di soglia riportati nella seguente Tabella rappresentano i criteri che i gestori degli stabilimenti adottano per definire le aree di danno: DANNO SIGNIFICATIVO, danno per il quale gli interventi di bonifica e ripristino ambientale ai siti inquinati, a seguito dell evento incidentale, possono essere portati a conclusione presumibilmente nell arco di due anni dall inizio degli interventi stessi; DANNO GRAVE, danno per il quale gli interventi di bonifica e ripristino ambientale ai siti inquinati, a seguito dell evento incidentale, possono essere portati a conclusione presumibilmente in un periodo superiore ai due anni dall inizio degli interventi stessi. Il Decreto stabilisce che la valutazione della compatibilità ambientale non preveda in alcun caso l ipotesi di danno grave ambientale. In caso contrario, il Comune può procedere (art. 14, comma 6 del D.lgs. 334/99) invitando il gestore a trasmettere alle autorità competenti (art. 21, comma 1 del D.lgs. 334/99) misure complementari atte a ridurre il rischio di danno ambientale. INDUSTRIE A RISCHIO RILEVANTE SUL TERRITORIO DI CISTERNA Sul territorio comunale di Castello di Cisterna (NA) ricade un azienda (SAMAGAS S.r. l. Deposito di gas liquefatti. SAMAGAS S.r.l SAMAGAS s.p.a. La SAMAGAS ITALIA S.r.l. è subentrata alla gestione dello stabilimento della Essa esercisce la propria attività di ricezione e stoccaggio, travaso e imbottigliamento GPL nel Comune di Castello di Cisterna, su un area di circa 20000mq con accesso da Via Selva

95 Dalla documentazione pubblicata dal Ministero dell Ambiente all Ottobre 2010, emerge che nel Comune di Castello di Cisterna sono attualmente insediati impianti produttivi agli art. 8 94

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