Eurostudium 3w gennaio-marzo 2012

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1 Direttore: Francesco Gui (dir. resp.). Comitato scientifico: Antonello Biagini, Luigi Cajani, Francesco Dante, Anna Maria Giraldi, Francesco Gui, Giovanna Motta, Pèter Sarkozy. Comitato di redazione: Andrea Carteny, Stefano Lariccia, Chiara Lizzi, Enrico Mariutti, Daniel Pommier Vincelli, Vittoria Saulle, Luca Topi, Giulia Vassallo. Proprietà: Sapienza Università di Roma. Sede e luogo di trasmissione: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea, P. le Aldo Moro, Roma tel e mail: eurostudium@eurostudium.eu Decreto di approvazione e numero di iscrizione: Tribunale di Roma 388/2006 del 17 ottobre 2006 Codice rivista: E Codice ISSN

2 Indice della rivista gennaio marzo 2012, n. 22 INTERVENTI AL CONVEGNO La moneta unica compie dieci anni Ascoltando i protagonisti della notte dell euro (31/12/2001-1/01/2002) Atti del Convegno p. 4 Presentazione di Francesco Gui p. 5 Roberto Nicolai p. 6 Vincenzo Visco p. 8 Thierry Vissol p. 18 Giancarlo Del Bufalo p. 28 Ettore Pietrabissa p. 32 Sandro Gozi p. 36 MONOGRAFIE E DOCUMENTI *** Crisi economica e Stati Uniti d Europa: una riflessione sul modello americano di Giacomo Mazzei p. 40 *** UN MANIFESTO PER VENTISETTE PAESI. LA TRADUZIONE DEL MESSAGGIO DI VENTOTENE NELLE LINGUE UFFICIALI DELL'UNIONE EUROPEA p. 54 2

3 Introduzioni dei docenti e traduzioni p. 55 Spagna / España Presentazione a cura di / Presentación de: Francisco J. Lobera Serrano p. 56 Traduzione di / Traducción de: Francisco J. Lobera Serrano p. 59 Svezia / Sverige Presentazione a cura di / Presentation: Anna Maria Segala p. 83 Traduzione di / Översättning: Stefano Fogelberg Rota, Hannes Nordholm p. 85 Ungheria / Magyarország Presentazione a cura di / Előadás: Péter Sárközy p. 108 Traduzione di / Fordítás: Julia Sárközy p. 111 RECENSIONI Paper on Managerial Values and Accountability Pressures: Challenges of Crisis and Disaster, 2004, Robert Schwartz and Raanan Sulitzeanu-Kenan, Journal of Public Administration Research and Theory di Lorenzo Kamel p

4 Presentazione Questo numero di «EuroStudium 3w» riproduce in buona parte gli interventi dei relatori partecipanti al convegno La moneta unica europea compie 10 anni. Ascoltando i protagonisti della notte dell euro (31/12/2001 1/01/2002). L Unione monetaria alla prova: valutazioni e prospettive, tenutosi giovedì 15 dicembre 2011, presso la Facoltà di Lettere, Filosofia, Scienze Umanistiche e Studi Orientali della ʺSapienzaʺ Università di Roma, su iniziativa del Dipartimento di Storia, Culture, Religioni, Centro Studi Altiero Spinelli. Una successiva edizione a stampa proporrà lo svolgimento completo degli interventi, insieme ad ulteriori contributi sulle vicende della valuta europea, divenute di avvincente e al tempo stesso preoccupante attualità. Il convegno, oltre ad offrire un occasione di estremo interesse per ascoltare la ricostruzione, dai diversi punti di osservazione, di quanto realizzato con il passaggio all euro, ha voluto rendere il dovuto riconoscimento a coloro ai quali va il merito di aver portato a buon fine una delle operazioni concettualmente e tecnicamente meglio riuscite, anche per la vastità dell ambito di intervento, di cui si sia avuta memoria in questi ultimi decenni. Le odierne traversie dell euro non possono oscurare infatti l indiscutibile valore dell impeccabile risultato allora raggiunto, che conferma al tempo stesso le potenzialità tuttora possedute dagli europei e dal nostro paese stesso quando sussista un reale volontà di volersi muovere in una comune direzione. La lettura dei testi proposti non potrà che confermare tali constatazioni. Nello stesso fascicolo, se così ci si può esprimere, compaiono: una riflessione in prospettiva storica sul federalismo americano, soprattutto dal punto di vista delle istituzioni economico finanziarie, nel rapporto fra stato centrale e stati membri, che offre un sicuro contributo di notazioni e di conoscenze alla precisazione di tali tematiche anche in vista di un evoluzione a carattere federale delle istituzioni dell Unione europea, prospettiva oggi al centro del dibattito politico, intellettuale e pubblicistico; la prosecuzione della pubblicazione delle traduzioni nelle varie lingue dell Ue del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con la prefazione di Eugenio Colorni e la presentazione di docenti specialisti, in gran parte della Sapienza, che è stata realizzata con il contributo della Regione Lazio e donata, fra gli altri, al Presidente del Parlamento europeo; il contributo di riflessione, in lingua inglese, di un dottorando dell università di Bologna, laureatosi nel nostro Dipartimento e collaboratore di «ES 3w», oggi visiting fellow alla Bilkent University di Ankara, dopo aver conseguito un master alla Hebrew University di Gerusalemme. F. G. Presentazione 4

5 LA MONETA UNICA COMPIE DIECI ANNI Ascoltando i protagonisti della notte dell euro (31/12/2001-1/01/2002) L Unione monetaria alla prova: valutazioni e prospettive Interventi al Convegno Dipartimento di Storia, Culture, Religioni "Sapienza" Università di Roma Roma, 15 dicembre

6 Roberto Nicolai Vicepreside, Facoltà di Lettere, Filosofia, Scienze Umanistiche e Studi Orientali Celebrare i dieci anni dall introduzione dell euro nella nostra facoltà ha un significato particolare. È ben noto che l attuale assetto dell Unione europea è il risultato di un lungo percorso che ha preso le mosse da accordi di tipo esclusivamente economico e commerciale per poi sfociare, tra mille difficoltà, in un unione anche politica. Il trattato di Maastricht del 1992 introduce la cultura tra le nuove politiche comunitarie consentendo allʹunione europea di promuovere azioni culturali per la salvaguardia, la divulgazione e lo sviluppo della cultura in Europa. L Unione però si limita a favorire la cooperazione tra gli operatori culturali degli stati membri o a integrare le loro iniziative. Analogamente nel campo dell istruzione gli stati membri hanno piena autonomia e soltanto con le indicazioni uscite dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 è stata rafforzata la politica di cooperazione in materia di istruzione e di formazione. L impressione, non soltanto mia, è che si sia partiti da ciò che divide, l economia, per arrivare a ciò che unisce, la cultura. Peraltro anche i tentativi di definire, in sede di costituzione dell Unione, le radici culturali dell Europa hanno incontrato ostacoli e difficoltà, non diverse da quelle che regolarmente si verificano nel campo delle politiche economiche. Insomma, anche la cultura può dividere, specialmente se associata a religioni o ideologie. In un mondo globale e interconnesso però uno spazio culturale europeo esiste nei fatti, anche se può essere negato a parole da chi cerca di ritagliarlo a proprio esclusivo vantaggio. È uno spazio che nasce in quella Grecia oggi così travagliata dalla crisi economica e che si è affermato ed esteso grazie alle letterature e a un educazione fondata sulla centralità dei testi letterari. Questa educazione è l educazione umanistica, oggi in profonda crisi, soprattutto per l assenza di progetti alternativi con cui confrontarsi. Celebrare l euro nella nostra facoltà significa dunque riconoscere che l economia, pur tanto importante, non è sufficiente e che a un unione sostanziale e non formale hanno contribuito maggiormente i milioni di studenti che hanno usufruito del programma Erasmus e degli altri programmi comunitari, gli scambi tra studiosi e la condivisione intellettuale rispetto alle complicate alchimie della politica. R. Nicolai 6

7 Questa iniziativa, alla quale porto il saluto della preside della nostra facoltà, è un tassello di un grande mosaico, realizzato con gli strumenti che pratichiamo e insegniamo i quali sono, in ultima analisi, gli strumenti della filologia e della storia. R. Nicolai 7

8 Vincenzo Visco Ex Ministro delle Finanze e del Tesoro, Presidente del Centro studi NENS, Nuova Economia Nuova Società Lʹintroduzione allʹeuro è stata uno dei fatti politici più rilevanti del secolo scorso: 11 paesi rinunciavano alla sovranità monetaria, e quindi al principale potere di cui dispone lo stato nella speranza e nella convinzione di poter costruire un nuovo soggetto politico ben più forte e autorevole di ciascuno di loro e di assicurare prosperità e benessere ai propri cittadini. Nel momento in cui quel progetto vive una crisi molto seria con possibili esiti drammatici, può essere utile ricostruire come lʹitalia decise e riuscì a partecipare fin dallʹinizio a quella impresa che sembrava fuori dalla nostra portata, e successivamente riflettere su cosa non ha funzionato in questi dieci anni e sulla possibilità di soluzione della crisi attuale. Anche se la circolazione della nuova moneta ebbe inizio nel 2001 la nascita dellʹeuro va fatta risalire alla decisione formalmente assunta nella primavera 2008 dopo la verifica del rispetto dei parametri di Maastricht da parte dei paesi aspiranti. Il raggiungimento di quei parametri fu il principale obiettivo e il principale risultato raggiunto dal 1 governo Prodi. Il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi entrò in carica il 17 maggio 1996 ereditando una situazione economica e finanziaria tuttʹaltro che brillante. Nel 1992, dopo più di 10 anni di disordine finanziario, lʹitalia era stata colpita dalla più grave crisi valutaria e finanziaria dalla fine della guerra: i rischi di default erano reali e il governo Amato fu costretto a attuare misure correttive molto forti che diedero inizio al processo di riequilibrio del bilancio che fu poi continuato dal governo Ciampi nel 1993, ma si fermò nel 1994 dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi che portò al potere una nuova classe politica chiaramente inesperta, provinciale per molti aspetti, inconsapevole degli impegni internazionali del paese e scarsamente interessata a rispettarli. In soli sette mesi le condizioni economiche peggiorarono rapidamente, cosa che contribuì al crollo del governo Berlusconi. Il successivo governo Dini ebbe il compito di gestire una fase di transizione e di recuperare credibilità da parte dei mercati finanziari dopo lʹennesima crisi valutaria nel marzo In ogni caso alla fine del 1995, lʹindebitamento netto della pubblica amministrazione era pari al 7,6%, lʹinflazione era del 5,4% (un punto percentuale più elevato rispetto allʹanno precedente) e il differenziale dei tassi di interesse a lungo termine rispetto al Bund tedesco fu di 5,3 punti percentuali (530 punti base); il debito pubblico aveva finalmente smesso di crescere, ma aveva raggiunto il livello di circa il 124% del Pil. V. Visco 8

9 In pratica nessuno dei parametri fissati dal Trattato di Maastricht sembrava esser raggiungibile in tempo perché lʹitalia potesse aderire alla moneta unica. E infatti gli obiettivi fissati dal governo Dini per gli anni successivi al 1995 esplicitamente escludevano questa possibilità: le previsioni ufficiali indicavano infatti un indebitamento per il settore pubblico del 4,4% invece del 3% per il Alla fine del 1996 la situazione era migliorata, grazie alla manovra correttiva immediatamente adottata dal governo Prodi nel giugno dello stesso anno, tuttavia il deficit del settore pubblico continuava ad essere al di sopra del 7% e lʹavanzo primario (4,4%) era ancora ben al di sotto del livello richiesto per un processo di convergenza; solo il rapporto debito Pil stava lentamente diminuendo. LʹItalia, pertanto, era al di fuori del processo di Maastricht, considerata con scetticismo e preoccupazione dai più, ritenuta inaffidabile dai propri partner, e peggio ancora dai mercati finanziari. Nessuno pensava che lʹitalia avrebbe potuto adottare lʹeuro con il primo gruppo di paesi. E infatti, solo un anno prima, durante la crisi del marzo 1995, molti osservatori avevano sostenuto che la condizione del debito pubblico in Italia era tale da far prevedere uno stato di insolvenza: Rudiger Dornbush, per esempio, scrisse che il problema non era tanto se il default del debito pubblico italiano si sarebbe verificato, ma piuttosto quando. Tutto questo non è sorprendente dal momento che la reputazione dellʹitalia presso i mercati finanziari e la comunità internazionale si era fortemente deteriorata a causa dellʹevidente incapacità in tutti gli anni ʹ80 del ʹ900 di controllare le dinamiche di bilancio pubblico e di introdurre riforme in grado di indurre gli operatori economici ad adottare comportamenti non inflazionistici. Infatti, dopo il secondo shock petrolifero, lʹitalia era il paese in cui lʹinflazione aveva continuato ad essere più elevata; tra il 1974 e il 1984 lʹinflazione media in Italia era stata pari al 15,8%. Inoltre tra il 1978 e il 1992 si era verificata una vera e propria scissione tra la politica estera e quella interna del nostro paese, tra politica monetaria e politica fiscale: la partecipazione dellʹitalia allo Sme, la decisione di eliminare lʹobbligo della Banca centrale di finanziare il deficit pubblico, testimoniavano lʹimpegno del paese a porre fine ad una politica di sistematico slittamento del cambio che era diventata una caratteristica essenziale della politica economica del paese da molti anni, alimentando lʹinflazione interna. Inoltre lʹadozione di una politica monetaria più restrittiva determinava una crescita dei tassi dʹinteresse reale (che erano stati negativi per anni ). Ma al tempo stesso, lʹincapacità di introdurre misure correttive sulle entrate e la spesa corrente in linea con gli obiettivi monetari e con gli impegni internazionali provocò la crescita del debito pubblico fino ad allora contenuta dalla svalutazione inflazionistica del debito stesso. Il vincolo esterno, pertanto, risultò insufficiente a modificare i comportamenti domestici tradizionali. V. Visco 9

10 Durante gli anni Ottanta le entrate erano aumentate costantemente, ma in misura insufficiente ad assorbire il disavanzo primario che fino al 1988 era rimasto superiore al 3% del Pil. Dopo il 1983 la spesa corrente primaria si era stabilizzata intorno a valori tra il 37% e il 38% del Pil, livello molto simile ai valori raggiunti alla fine del processo di risanamento degli anni novanta. Al contrario, la spesa per interessi era raddoppiata dal 5% a oltre il 10% del Pil e, di conseguenza il debito pubblico aveva cominciato a crescere pericolosamente. Sarebbe stato sufficiente a quel tempo ridurre il disavanzo primario a zero per riequilibrare i conti, ma questo non fu fatto. In sostanza, consapevoli scelte politiche, dettate da esigenze di politica estera, avevano posto in crisi il modello in base al quale tra il 1970 e il 1980 lʹitalia era riuscita a far coesistere un aumento della spesa pubblica di oltre 6 punti e una pressione fiscale che era 10 punti di Pil inferiore alla media europea. Questo modello era basato essenzialmente sulla tassa inflazionistica che garantiva lʹequilibrio della finanza pubblica ex post attraverso la svalutazione del debito, in modo occulto e costoso ma sostanzialmente accettato dalle forze politiche, e sulla conseguente svalutazione del cambio che permetteva di recuperare competitività. In sostanza dopo lʹadesione allo Sme la politica fiscale non fu in grado di adattarsi alle scelte di politica monetaria. I risultati perversi di questa scissione nelle politiche economiche del paese furono impressionanti: nel 1980 il debito pubblico/pil era del 57,7%; dopo tre anni, nel 1983 (governo Spadolini), esso era salito di 13 punti al 70,8%; nel 1987 (dopo quattro anni di stabilità politica con il governo Craxi) il rapporto era salito al 91% ed ha continuato a crescere negli anni successivi, sempre a causa della persistenza di un elevato disavanzo primario e di elevati tassi di interesse reali e nominali, raggiungendo il 108% nel 1992 e 124% nel Solo di fronte al rischio di collasso i sindacati accettarono di adeguare le richieste salariali agli obiettivi di inflazione, e ciò contribuì notevolmente ad evitare che le due svalutazioni successive (1992 e 1995) innescassero ancora una volta massicce spinte inflazionistiche, evitando peraltro anche conseguenze negative sui salari reali. In sintesi, lʹitalia sembrava, anzi era, un paese senza una disciplina economica, caratterizzata da un basso livello di coesione sociale, mal governata da una classe dirigente incapace di fare scelte coraggiose, cedevole alle richieste e alle pressioni esercitate dai gruppi dʹinteresse, e che inoltre appariva ed era sempre più corrotta e quindi poco autorevole. In una tale situazione non è affatto sorprendente che le correzioni al bilancio pubblico introdotte gradualmente a partire dalla fine degli anni Ottanta, che riguardavano soprattutto le entrate, non furono ritenute sufficienti, e infatti furono ignorate, dai mercati che continuarono a penalizzare il debito pubblico italiano. Infatti, il disavanzo primario aveva iniziato a scendere nel 1988 e si era annullato nel V. Visco 10

11 1991, ma la spesa per interessi aveva continuato a crescere, da circa lʹ8% del Pil nel 1998 fino al 13% raggiunto nel E con essa cresceva il debito pubblico. Allʹinizio degli anni ʹ90 la spesa per interessi, e quella previdenziale, erano le voci principalidella spesa pubblica in Italia. Agli occhi di molti, questa situazione appariva ingestibile e oltre ilpunto di non ritorno. In realtà, non era così, come i fatti hanno dimostrano più tardi, ma lasituazione era senza dubbio complessa e drammatica sotto molti aspetti. Inoltre, il processo diprogressivo riequilibrio del bilancio primario era avvenuto molto gradualmente, attraverso decine dimisure correttive (almeno due ogni anno), senza indicare in modo esplicito gli obiettivi perseguiti e, quindi, senza la partecipazione della pubblica opinione. Gli economisti erano divisi in un dibattito piuttosto sterile, tra i ʺgradualistiʺ (preoccupati per la crescita economica e il disagio sociale) e i sostenitori di una ʺterapia dʹurtoʺ, che in qualche misura sarebbe stata punitiva e in ogni caso politicamente molto difficile da attuare. Le coalizioni allora al governo non cercarono mai un consenso bipartisan con lʹopposizione sulle riforme economiche, e mai lʹopposizione sollevò la questione come una priorità per il Paese. Il crollo del sistema politico nel 1993 è stata la logica conseguenza di questo stato di cose, ma fornì anche in alcuni settori del mondo politico lʹopportunità per una crescita culturale su temi come il risanamento finanziario e la modernizzazione dellʹeconomia che posero le basi per lʹalleanza di centrosinistra e la nascita del governo Prodi. Questa era la situazione quando, nel settembre 1996, il nuovo governo annunciò la decisione dellʹitalia di partecipare allʹunione monetaria fin dallʹinizio: sorpresa, stupore, incredulità, scetticismo e preoccupazione furono le reazioni a questa notizia, infatti lʹitalia era vista come un rischio per lʹunione, come un pericolo, piuttosto che come unʹopportunità. E in effetti nel settembre 1996 lʹitalia non era nello Sme, aveva un disavanzo pubblico del 7% e in crescita, un debito pubblico che era pari a due volte il parametro di riferimento, un tasso di inflazione di 2,8 punti superiore alla media del tre paesi più virtuosi nella Comunità (4,0% contro 1,2% in media per la Germania, Finlandia e Lussemburgo, anche se il margine di tolleranza di 1,5 punti era preso in considerazione, restava ancora una differenza di 1,3 punti), e tassi di interesse a lungo termine divergenti: 9,4% rispetto alla media del 6,5% dei tre paesi con i tassi di inflazione più bassi, un livello che risultava un punto più alto al valore di riferimento anche se si consideravano i 2 punti di scostamento ammessi. Lʹidea di poter invertire questa situazione in un solo anno non poteva che apparire troppo ambiziosa, tanto più che lʹopposizione di centro destra a quel tempo non mostrava alcun interesse allʹeuropa, ai parametri di Maastricht, al risanamento finanziario, ecc. e quindi non era affatto disposta a collaborare. E anche la maggioranza era un poʹ perplessa: non è un caso che il governo Dini ed il Documento di politica economica e finanziaria (Dpef) redatto dal governo Prodi avevano fissato lʹobiettivo di raggiungere il disavanzo del 3% entro il 1998 e V. Visco 11

12 non nel Anche la Banca dʹitalia aveva dato il suo sostegno a questa tempistica. Solo il Commissario Monti aveva severamente criticato questa scelta in una intervista fatta a giugno, alla quale molti membri del governo, me compreso, avevano reagito un poʹ duramente. Le cose cambiarono completamente nel mese di settembre: Ciampi, che era lʹunica persona veramente convinta fin dallʹinizio della necessità di cercare di entrare in Europa immediatamente, aveva inserito nel Dpef una frase che nessuno aveva notato e che affermava che, in autunno, il governo si riservava la possibilità di verificare se le condizioni (economiche e politiche) che avevano suggerito di rinviare lʹobiettivo di un anno erano cambiate. E quando, dopo il vertice Italia Spagna, tenutosi a metà settembre a Valencia, fu chiaro che lʹitalia sarebbe rimasta da sola (insieme alla Grecia) tra i paesi che non erano in grado di partecipare allʹunione monetaria perché incapaci di rispettare i parametri e non per propria scelta, le esitazioni della maggioranza e del governo furono superate. Le parole sprezzanti di Aznar in chiusura del vertice contribuirono a produrre una reazione di orgoglio nazionale confortata da una attenta analisi dei dati statistici. Nel 1995 (i dati più recenti possibili disponibili in quel momento), lʹavanzo primario aveva quasi raggiunto il 4%, e si sapeva che le modifiche introdotte per il 1996 avrebbero migliorato ulteriormente la situazione; quindi, considerando che entrando nella moneta unica i tassi di interesse italiani sarebbero scesi allo stesso livello degli altri paesi europei, gli ulteriori interventi strutturali necessari risultavano non essere eccessivi, e quindi la sfida poteva essere vinta. Il problema non era quello di aumentare lʹavanzo primario da 4 o 5 punti, come poteva apparire guardando il deficit che era al di sopra del 7% rispetto allʹobiettivo del 3%, bensì quello di creare le condizioni affinché i mercati finanziari considerassero le misure introdotte credibili in modo da eliminare o ridurre fortemente il differenziale dei tassi di interesse tra titoli italiani e il Bund tedesco. Dal momento che nei primi mesi del gabinetto Prodi questo differenziale era sceso di circa 80 punti base, lʹoperazione appariva possibile. In pratica, ciò che doveva essere fatto era di introdurre un aggiustamento strutturale limitato allʹavanzo primario (circa mezzo punto), insieme ad una robusta misura una tantum per il solo 1997 che desse credibilità alle intenzioni del governo. La decisione di tentare il tutto per tutto fu presa alla fine di settembre in una riunione a Palazzo Chigi cui parteciparono, oltre a Prodi, il vice presidente del Consiglio, Veltroni, il sottosegretario alla Presidenza, Micheli, e i ministri economici Treu, Ciampi e Visco. Lʹincontro fu breve e non ci fu nessun disaccordo, del resto lʹunico che poteva dissentire ero io stesso. E infatti, dopo aver scartato la possibilità di un sostanziale taglio della spesa pubblica per ragioni sia politiche che temporali, e aver preso atto della possibilità di V. Visco 12

13 intervenire con non meglio specificate ʺmisure di tesoreriaʺ, lʹunica alternativa realistica che restava era un aumento delle tasse, e questo era compito mio. Il ʺlavoro sporcoʺ che doveva essere fatto per entrare in Europa fu così interamente consegnato a me. Personalmente non mi resi neanche conto che in caso di fallimento, sarei stato il primo e lʹunico a pagare. Tornai al ministero, convocai una riunione dei miei collaboratori e li informai delle decisioni prese: tutti reagirono con un silenzio carico di preoccupazione, ma al tempo stesso con assoluta determinazione, che era una conferma della forza unificante che aveva lʹobiettivo europeo e del suo essere condiviso senza riserve da parte del governo e della coalizione di maggioranza. Di conseguenza le misure che erano già state annunciate furono integrate; nel mese di novembre lʹitalia chiese di rientrare nello Sme ed i mercati mostrarono il loro sostegno, contribuendo con un ulteriore riduzione dei tassi di interesse. Lʹintera operazione continuò nel contesto di discussioni nazionali e internazionali, scetticismo diffuso (e una ulteriore manovra aggiuntiva nel mese di marzo che generò polemiche molto forti), e tentativi di sabotare lʹintera operazione. Il risultato finale fu comunque che il 1997 si concluse con un indebitamento netto del settore pubblico del 2,7%, e con il pieno rispetto di tutti i parametri di Maastricht, ad eccezione di quello sul debito (che non era obbligatorio) che comunque era sceso quellʹanno di due punti e mezzo. Inoltre, nonostante le forti misure restrittive che erano state adottate, il Pil aumentò del 1,7%, un risultato notevole date le circostanze. In sostanza lʹoperazione consistette in una sorta di scambio: aumento di tasse una tantum (la famosa eurotassa ) e un lieve aggiustamento strutturale del bilancio primario da un lato, e una riduzione permanente nella spesa per interessi dallʹaltro, riduzione che inizialmente fu di più di 2 punti, ma che sarebbe cresciuta nel tempo. Pochissime persone compresero la logica dellʹoperazione in quel momento, anche gli economisti più autorevoli erano scettici e perplessi: e solo dopo che lʹoperazione fu conclusa alcuni di loro di analizzarono e compresero ciò che era realmente accaduto (vedi Chiorazzo e Spaventa, 2000). In ogni caso il rischio che il governo Prodi si era assunto era stato estremamente elevato. Il successo dipese essenzialmente dalla credibilità e dalla determinazione del governo e del suo presidente, ma soprattutto dalla credibilità del ministro del Tesoro Ciampi nei confronti dei mercati che risposero positivamente capovolgendo le loro convinzioni e il loro comportamento precedente, e considerando lʹesclusione dellʹitalia dalla Unione monetaria europea più come unʹanomalia e un pericolo che come un fatto positivo. Lo scetticismo precedente, sia in Italia che allʹestero, si basava invece sulla convinzione, razionale, che lʹitalia e la sua classe dirigente non erano affidabili, e nel considerare lo sforzo compiuto come inutile e lʹobiettivo non sostenibile nel tempo. In ogni caso, i dati relativi agli anni successivi confermarono la sostenibilità del processo di risanamento nel tempo. V. Visco 13

14 Cosa è successo allora nel corso di questi dieci anni per trovarci nella situazione attuale? Il punto di svolta fondamentale è rappresentato dal cambio di governo nel 2001: gli obiettivi e gli obblighi legati alla partecipazione alla moneta unica non erano né compresi né condivisi dalla nuova maggioranza che aveva ereditato unʹeconomia in crescita (+ 3,6% nel 2000!) e un surplus primario di oltre 5 punti di Pil. Sarebbe stato necessario e sufficiente mantenere ragionevolmente costante lʹavanzo primario per ottenere una discesa accelerata del debito pubblico italiano, già diminuito dal 124% al 105% tra il 1995 e il 2000, in questo modo (allʹinizio della grande crisi finanziaria) nel 2007 il debito pubblico si sarebbe ridotto alʹ80 85% del Pil, ponendo lʹitalia sostanzialmente al riparo dagli effetti della crisi. Così non è stato, anzi già nel 2001 la tendenza alla discesa del disavanzo pubblico si arrestava per la prima volta dopo dieci anni: al netto di entrate una tantum (vendita di immobili, condoni, ecc.) il disavanzo della P.A. risultava infatti superiore al 4%! In un solo anno il governo approvò riduzioni di imposte e aumenti della spesa pubblica per circa 25 mld di senza alcuna copertura reale. Le conseguenze di un tale comportamento sono ovvie. Mi sia consentito citare un mio scritto del 2002: Nonostante il risanamento degli anni Novanta (o piuttosto a causa di esso), il bilancio pubblico italiano è strutturalmente molto rigido a causa del peso molto forte degli interessi passivi sul debito pubblico e offre margini ristretti di manovra: se questi margini vengono forzati e si decide al tempo stesso di tagliare le tasse e aumentare la spesa pubblica, facendo affidamento esclusivamente sulla (ipotetica) crescita economica per far quadrare i conti, il disastro finanziario è assicurato. Purtroppo questo è quanto è accaduto in Italia dopo il 2001, confermando una strutturale incapacità delle classi dirigenti del paese di promuovere e mantenere una gestione responsabile della finanza pubblica nel corso del tempo. Tuttavia se questo spiega la peculiarità italiana in Europa e le nostre difficoltà attuali, non rappresenta una spiegazione della attuale crisi dellʹeuro. Il sistema della moneta unica era imperfetto e incompleto fin dallʹinizio. I governi che diedero vita allʹeuro erano consapevoli che il processo di convergenza sarebbe dovuto continuare fino a creare una piena integrazione anche delle politiche fiscali. Purtroppo questo impegno è stato disatteso dai governi successivi che hanno privilegiato politiche economiche nazionali che sono risultate divergenti rispetto allʹobiettivo iniziale. E dal momento che lʹintera costruzione della moneta unica era volta ad evitare il rischio di inflazione o squilibri delle finanze pubbliche nazionali, senza prendere in considerazione la possibilità di shock esterni di natura deflazionistica, lʹintera zona è risultata priva di difesa e di strumenti di intervento di fronte allʹimpatto della grande crisi finanziaria iniziata nel V. Visco 14

15 Le gravi difficoltà dellʹeuro si collocano infatti allʹinterno della (normale) evoluzione degli effetti della grande crisi finanziaria iniziata nel 2007 e ancora in corso. Le crisi finanziarie iniziano sempre con lo scoppio di bolle speculative in qualche segmento del mercato finanziario che poi coinvolgono lʹintero mercato e le banche; i suoi effetti si stendono successivamente allʹeconomia reale (a causa del credit crunch) creando recessione e disoccupazione, diminuzione dei consumi e degli investimenti ecc., secondo un processo cumulativo che se non viene arrestato può trasformare la recessione in depressione. Ciò è accaduto nel 1929 e, se si continuano a commettere errori nella gestione della crisi, può avvenire anche questa volta. Molto spesso in seguito ad una crisi finanziaria lʹinaridirsi delle fonti di finanziamento dallʹestero per i paesi in disavanzo di bilancia dei pagamenti ha prodotto insolvenza e default degli stati. È il caso dellʹargentina di alcuni anni fa. Ma lo stesso fenomeno di prosciugamento delle fonti di finanziamento dallʹestero si è prodotto allʹinterno della zona euro per Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo. In altre parole il rischio di default accompagna sempre le crisi finanziarie. Questo rischio è oggi accresciuto dal fatto che i governi, per attenuare gli effetti della crisi, oltre a lasciar operare gli stabilizzatori automatici, sono intervenuti a sostenere le loro economie e soprattutto a salvare le banche impedendone il fallimento: questa è la principale (e forse unica) differenza tra la crisi del 1929 e quella attuale. Lʹaver trasformato debiti privati (delle banche) in debiti pubblici ha posto le premesse per la crisi dei debiti sovrani e delle finanze pubbliche degli stati nazionali e quindi dellʹassalto da parte dei mercati che pure dai governi erano stati appena salvati, e ciò anche indipendentemente dallʹesistenza di disavanzi nelle bilance dei pagamenti. La mancata comprensione di cause, meccanismi ed effetti della grande crisi finanziaria è alla base dei ritardi, dei mancati interventi, degli interventi parziali, delle esitazioni, e della confusione che hanno caratterizzato la gestione dellʹeconomia europea nellʹultimo anno e mezzo. Ancora un anno fa il ministro delle Finanze tedesco Schäuble sosteneva che non si era di fronte a una crisi dellʹeuro, ma che esisteva solo il problema di alcuni paesi periferici dellʹunione incapaci di tenere in ordine i propri conti. Questa interpretazione, tuttora prevalente, ignora il fatto che le difficoltà attuali della finanza pubblica dei singoli stati sono principalmente una conseguenza, un effetto, della crisi finanziaria che ha aumentato disavanzi e debiti pubblici e ha inaridito le fonti di finanziamento che avevano nutrito le bolle speculative immobiliari in Spagna e Irlanda; tali finanziamenti erano offerti generosamente da banche europee (tedesche, francesi, belghe, olandesi...). Il ragionamento del governo tedesco è molto semplice: con lʹintroduzione dellʹeuro i tassi di interesse hanno manifestato una convergenza verso i livelli più bassi della zona di cui hanno beneficiato soprattutto i paesi più indebitati e con maggiori squilibri nella finanza pubblica; purtroppo questi paesi, invece di V. Visco 15

16 approfittare dellʹoccasione per rimettere in ordine i propri conti hanno fatto free riding compromettendo lʹequilibrio della intera zona. Il ragionamento ha una certa logica soprattutto se riferito a un paese come lʹitalia, ma oltre a non tener conto degli effetti della crisi sui bilanci pubblici, trascura il fatto che lʹeuro è stato ed è una moneta molto più debole di quanto sarebbe stato il marco, e che quindi la moneta unica ha favorito le esportazioni tedesche, soprattutto quelle verso i paesi europei e in particolare verso quelli della zona euro. Pressoché tutto il surplus della bilancia di pagamenti tedesca (circa il 6% del Pil, rispetto al 4,4% della Cina!) deriva da questo flusso di esportazioni. Ciò nonostante la Germania si è ben guardata dal contribuire allʹequilibrio della zona euro rilanciando la propria economia a beneficio di tutti. Lʹaccusa di free riding può quindi essere rivolta anche alla Germania. Da questa incomprensione (?) della natura della crisi è derivata una ricetta deflazionista per lʹintera Europa, espressione di una visione punitiva, dettata anche da problemi politici interni (alla Germania, soprattutto). Al tempo stesso la Bce ha proseguito una politica monetaria prudente e inadeguata. La crisi dellʹeuro deriva quindi dagli effetti della crisi finanziaria non compresi e non gestiti adeguatamente delle autorità economiche europee che sono intervenute sempre in ritardo, sempre in misura insufficiente, e in modo contraddittorio, dando ai mercati la sensazione di una incapacità e perfino mancanza di volontà di difendere la moneta unica. La determinazione e la pervicacia con cui si è cercato di punire i greci prima, e gli spagnoli, portoghesi e gli italiani adesso mostrano chiaramente la natura etico ideologica dellʹapproccio tedesco. Ancora pochi giorni fa, parlando in parlamento la sig.ra Merkel ha sostenuto che è compito dellʹitalia salvare se stessa e salvare lʹeuro. Quasi che la Germania non avesse responsabilità o possibilità di fare la sua parte. È bene ricordare che lʹincapacità di gestire in modo coordinato e cooperativo le politiche economiche in occasione della crisi del 1929 fu la principale causa della sua degenerazione in depressione. La storia si ripete. Dopo un inizio positivo e cooperativo a livello di G 20 nel 2008, i punti di vista e le linee seguite si sono divaricate: Stati Uniti e Regno Unito hanno adottato politiche espansive molto aggressive e determinate per evitare il rischio di ricaduta e di depressione. LʹEuropa invece segue una linea di rigorismo ottuso e controproducente tanto da portare lʹintera economia europea sullʹorlo del baratro. È bene tener presente che il fallimento di un paese come lʹitalia avrebbe ripercussioni sistemiche ben più elevate di quello di Lehman Br. Questo è il punto in cui ci troviamo adesso. È necessaria una ripresa dellʹimpegno comune con spirito cooperativo comprendendo che gli interessi nazionali di breve periodo sono in conflitto con quelli a più lungo termine che sono di gran lunga più importanti. Non si stratta solo di fare bene i compiti a casa. Si possono condividere le posizioni della signora Merkel volte a creare V. Visco 16

17 una disciplina fiscale adeguata nella zona euro e da questo punto di vista il recente accordo di Bruxelles va valutato positivamente, ma oggi il problema più urgente è quello di arrestare lʹattacco ai debiti sovrani dei paesi membri. Ciò richiede interventi immediati e adeguati da parte della Bce e del cosiddetto fondo salva stati, e un mutamento di indirizzo generale della politica economica europea: se tutti i paesi attuano misure di austerità e nessuno espande, lʹeuropa intera entrerà in recessione e i disavanzi e i debiti aumenteranno invece di ridursi. È quanto sta accadendo oggi in questo modo. Il consenso dei popoli nei confronti dei governi rischia di venir meno, e di lasciare spazio per ogni genere di avventura. Queste sono le sfide del momento: il rischio che la esperienza della moneta unica si risolva in un fallimento dopo solo dieci anni è reale. Possiamo ancora evitarlo, ma non abbiamo più molto tempo. V. Visco 17

18 Thierry Vissol Consigliere speciale Media & comunicazione, Commissione europea Rappresentanza in Italia 1 Dal 1974 al 1986 come ricercatore e docente allʹuniversità di Limoges in Francia, poi dal 1980 al 2002 alla Commissione europea come amministratore e capo dellʹunità Ecu nella Direzione generale economica e finanze e in seguito dellʹunità Euro e servizi finanziari presso la Direzione generale dei consumatori, ho avuto la fortuna di essere strettamente coinvolto nella costruzione, passo dopo passo, della moneta unica europea. Trentʹanni appassionati, molto impegnativi, fatti di alti e bassi politici, di crisi e di grandi successi, di lavoro intenso, con pochissime risorse, grandissimo entusiasmo, rete di persone dedicate, pragmatiche, utopisti e molte amicizie cementate dal sogno comune di creare un nuovo ordine economico a favore dei cittadini e di contribuire al nostro futuro europeo. Sarebbe molto lungo ricordare tutte le sfide e tutto il lavoro svolto: i negoziati, le lunghe notti di trattative per i molteplici riallineamenti dei tassi di cambio nel Sistema monetario europeo; il lavoro paziente per convincere i mercati finanziari, le banche, le imprese, i politici e i cittadini; la preparazione dei dossiers dei Consigli di ministri e di capi di stato; le discussioni del Comitato monetario e del Comitato dei governatori delle banche centrali; il rapporto Delors (1989) e il rapporto Guigou (1990); la redazione delle bozze del trattato di Maastricht e delle legislazioni secondarie 2 ; i brainstorming per trovare il nome della moneta unica (perché ʺécuʺ non piaceva più ai tedeschi, una consonanza troppo vicina allʹequivalente tedesco di mucca) malgrado lʹaccordo del 1978 tra il presidente Valery Giscard dʹestaing e il cancelliere Helmut Schmidt, confermato da Helmut Khol e François Mitterrand e scritto nero su bianco nel trattato di Maastricht 3 ; poi tutto il lavoro di preparazione delle seconda e terza 1 Il Dr. Vissol, economista e storico, funzionario della Commissione europea dal È il solo responsabile del contenuto di questʹarticolo e le idee espresse non rappresentano le posizioni della Commissione europea. 2 Tra il 1995 e il 1999, furono adottati: 14 regolamenti del Consiglio, 13 decisioni e 5 risoluzioni del Consiglio europeo, 4 raccomandazioni e 2 comunicazioni della Commissione europea. Si veda Union Economique Monétaire, compendium de la législation communautaire, «OPOCE», giugno Si vedano le consultazioni dei Consigli europei di Brema (6 e 7 luglio 1978), di Bruxelles (4 e 5 dicembre 1978), la risoluzione del Consiglio di Bruxelles sulla creazione del Sistema monetario T. Vissol 18

19 fase dellʹuem; la preparazione delle monete e dello scenario del passaggio allʹecu/euro; la modifica di tutti i titoli in ecu e in valute nazionali (bonds e derivatives) sui mercati finanziari per assicurarne la continuità in euro. Inoltre, vorrei insistere sul cambiamento di nome della moneta unica europea perché fu, forse, lʹinizio della cattiva abitudine dei responsabili politici di non rispettare i patti; unʹabitudine da cui trae origine la crisi economica attuale, chiamata secondo me a torto ʹʹcrisi dellʹeuroʹʹ4.. Su questo cambiamento vorrei adesso concentrare il mio discorso. Per questo decimo compleanno della moneta unica europea, di fatto il tredicesimo 5, si parla più della fine dellʹeuro che dei suoi successi, sia come moneta di riserva mondiale in competizione con il dollaro americano, sia come sistema monetario dʹintegrazione europea, di protezione contro gli andamenti erratici del dollaro, che rimane la moneta di riferimento per i prezzi delle materie prime, in particolare del greggio e del gas, per le quali lʹue dipende dal resto del mondo. Molti sono gli effetti positivi dellʹeuro su vari aspetti dellʹeconomia: gli scambi tra europei, la circolazione dei beni e delle persone, la protezione del risparmio contro lʹinflazione, i tassi dʹinteresse bancari, ecc. Eppure lʹalbero delle crisi finanziarie e del sistema finanziario mondiale nasconde la foresta. E dunque, vorrei, basandomi sulla storia monetaria recente, riflettere sulla relatività della crisi senza ignorare né minimizzare i rischi economici e politici che creano la sua gestione attuale, le misure di austerità pro cicliche imposte dai paesi autoproclamatisi virtuosi, misure queste che aumentano i rischi di depressione dellʹattività economica e lʹimpoverimento di fasce importanti della società europea e mettere in luce la sua dimensione potenzialmente positiva. 1. La relatività della ʹʹcrisi dellʹeuroʹʹ Il vantaggio dellʹetà e quello di aver vissuto in prima persona la costruzione monetaria dellʹue mi permettono di poter analizzare il contesto in cui si è sviluppata la crisi attuale e di paragonarlo con il passato. Prima di tutto si deve ricordare che il progetto di creare una moneta europea non nasce spontaneamente. È dalla fine degli anni ʹ50 che il ruolo del dollaro come moneta europeo (Sme) del 5 dicembre 1978 e i regolamenti del Consiglio 3180/78 e 3181/78 e gli articoli 3 (2), 109f (2) e (3), 109g, e 1091 (4) del Trattato di Maastricht. 4 Difficile sostenere che una moneta che non si svaluta contro le altre monete e il dollaro in particolare sia in crisi. Il tasso di cambio allʹinizio del 2002 era di 0.97 euro per 1 dollaro. Rimane sopra 1,30 dal Molti considerano questo tasso sopravalutato. 5 Lʹeuro è diventato la moneta unica dei paesi della zona euro il 1 gennaio 1999, con fissazione dei tassi di cambio e lʹuso dellʹeuro come moneta unica di tutti i paesi verso il resto del mondo, per le transazioni e sui mercati di cambio e finanziari. T. Vissol 19

20 perno del sistema monetario internazionale è entrato in crisi minacciando lo sviluppo dellʹeconomia mondiale. Per quasi dieci anni, i paesi europei hanno artificialmente sostenuto il dollaro, con il pool dellʹoro, permettendo agli Stati Uniti di proseguire la loro politica di benign neglect e di finanziare le guerre di Corea e Vietnam. Già allʹinizio degli anni Sessanta, lʹeconomista belga Robert Triffin, allora consigliere economico del presidente J.F. Kennedy e professore allʹuniversità di Yale, analizzando il dollar gap richiedeva agli europei di agire e di creare una moneta europea. La fine del Pool dellʹoro nel 1968 perché troppo costoso ha indotto lʹallora commissionario europeo Raymond Barre a presentare il primo piano per la creazione di una moneta europea o per lo meno per distaccare le monete europee dellʹandamento erratico del dollaro. Tale piano fu seguito, su richiesta del Consiglio europeo, dal rapporto Werner (Primo ministro lussemburghese) e dalla creazione del Serpente monetario europeo nel La crisi del petrolio del mise chiaramente in luce la debolezza del dollaro e del sistema monetario internazionale definito a Bretton Woods e basato su un dollaro convertibile in oro (35 dollari per un oncia dʹoro). Questʹultimo fu svalutato prima di diventare inconvertibile, segnando la fine dei tassi fissi, del coordinamento delle politiche economiche a livello internazionale e aprendo lʹera dellʹinstabilità monetaria internazionale, della creazione di strumenti finanziari derivati per proteggere gli investitori dai rischi di fluttuazione dei tassi di cambio, dei tassi dʹinteresse, dei default e quantʹaltro. Quello che lo stesso Triffin chiamò lo ʺscandalo monetario mondialeʺ6, poteva, secondo lui, essere soppresso solo tramite unʹaccelerazione del progresso verso lʹunione monetaria europea. Di fatto, ogni passo avanti verso la costruzione europea non fu il frutto di una volontà libera e razionale dei leaders europei, ma il risultato delle conseguenze drammatiche dellʹassenza di solidarietà europea e della falsa convinzione visti i risultati disastrosi dei paesi membri dellʹue (allora Comunità economica europea) di poter gestire meglio da soli le turbolenze dellʹeconomia e della finanza mondiale. Si devono ricordare gli anni bui , dove lʹindividualismo economico e lʹassenza di coordinamento delle politiche economiche mandarono alle stelle deficit pubblici, tassi di disoccupazione, dʹinflazione e dʹinteresse, in una situazione di alta variabilità dei tassi di cambio. Fu questa situazione insostenibile che condusse la Commissione europea allora guidata, ironia della storia, da un presidente inglese, Roy Jenkins a rilanciare il progetto di Unione monetaria europea. La coppia franco tedesca 6 Robert Triffin, The Intermixture of Politics and Economics in the World Monetary Scandal: Diagnosis and Prescription, in «The American Economist», 1988 e dello stesso autore Au delà de lʹuem, in «De Pecunia», volume 1, n 1, Juin T. Vissol 20

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