Novitas e dialettica del desiderio

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1 Novitas e dialettica del desiderio RAFFAELE PINTO Universitat de Barcelona Societat Catalana d Estudis Dantescos 1. Sebbene il campo semantico della 'novità' (al quale mi riferisco con il latinismo novitas) abbia in Dante una estensione, come si vedrà, estremamente ampia, la ricerca si è finora concentrata sui significati che si riferiscono immediatamente alla letteratura e ai suoi procedimenti, di tipo poetico (la novità che per tua forma luce di Amor tu vedi ben, la nuova matera di V.N. XVII, le nove rime di Purg. XXIV etc.) o teologico (il canticum novum della Scrittura e dei suoi commentatori). La novitas dantesca è stata così spiegata come la svolta che sul piano storiografico una certa poetica rappresenta rispetto alla tradizione, oppure come il rinnovamento interiore promosso da una esperienza mistica dell'amore. Con l'analisi che segue mi propongo di dimostrare che tale concetto viene inteso da Dante in un senso innanzitutto estetico, che afferisce al sistema percettivo e categoriale della mente, ed a processi psichici originari, anteriori all'attività letteraria ed al contenuto ideologico che eventualmente la orienta. Descriverò quindi una poetica dantesca della novitas, ma intendendo 'poetica' in un senso antropologico che non ha inizialmente nulla a che vedere con la nozione retorica (o religiosa) di poesia. Per avere subito un idea delle implicazioni estetico-trascendentali del concetto di novitas, possiamo partire da Par. XXIX 76-81: Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde: 193

2 Tenzone nº però non hanno vedere interciso da novo obietto, e però non bisogna rememorar per concetto diviso, (passaggio utilmente integrabile con Purg. X, 94-95: Colui che mai non vide cosa nova produsse esto visibile parlare, novello a noi perché qui non si trova ). Il tema svolto qui è quello del tipo di conoscenza che hanno gli angeli, se essi dispongano cioè di memoria, e se il loro sapere si distenda nel tempo. A differenza di Tommaso, il quale, riprendendo la tesi di Agostino, ammette che nella mente angelica esiste un certo tipo di memoria ("Est igitur in intellectu substantiae separatae quaedam intelligentiarum successio" 1 ), e allineato con Aristotele e Averroè, Dante sostiene che gli angeli (o sostanze separate) non hanno memoria perché, mantenendo il loro sguardo sempre diretto verso Dio, nel quale la realtà e l universo sono eternamente e sincronicamente dispiegati, non ne hanno bisogno. Non essendoci immagini materiali né pieghe di temporalità nell oggetto della loro intellezione (che è il reale in quanto si riflette sulla "faccia di Dio"), sarebbe superflua una funzione memorativa 2. Si osservi ora il senso che ha il sintagma novo obietto all interno dell argomentazione complessiva: la visione divina degli angeli è costante perché non viene intercisa, cioè interrotta, da oggetti nuovi e diversi. D'altra parte Dio è definito (in Purg. X, 94) come "Colui che mai non vide cosa nova", ed è appunto questo panorama sinottico del tempo, dall'osservatorio dell'eterno, che si riflette nella visione angelica fissa in Dio. Ciò vuol dire che la 'novità' è caratteristica di chi pensa per sensazioni ed immagini, discontinue per definizione (sono finite), e quindi propria dell'uomo. Proprio perché priva di materia, la percezione degli angeli viene descritta in opposizione a quella umana, la quale è caratterizzata appunto da una visione costantemente intercisa da nuovi obietti, il che rende necessaria una funzione psichica come la memoria, che rappresenta immaginariamente alla mente le cose che non sono 194

3 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio attualmente obietto di percezione. Ecco allora che l aspetto nuovo dell oggetto è immediatamente collegato alla funzione percettiva umana, poiché la sua 'novità' coincide con quella differenza, rispetto ad altri oggetti già noti, che lo rende attualmente presente in quanto stimolo della sensibilità. Noi potremmo anche capovolgere il ragionamento, e dire: la funzione passato, in quanto procedimento di archiviazione dell esperienza attraverso la memoria, è attivata ogni volta che un oggetto presente, cioè 'nuovo', sostituisce l'oggetto della percezione anteriore, trasformandolo in ricordo. La novitas quindi è da una parte la forma percettiva del presente, dall'altra il fattore psichico che attiva la memoria del passato. Relativamente alla memoria degli angeli, Tommaso è, come si è visto, di diversa opinione. E intuiamo immediatamente il motivo di tale posizione osservando la sua argomentazione, svolta in serrata polemica con Averroè, che sulla scia di Aristotele vuole eterni, come il mondo e la specie umana, l'intelletto possibile e quello agente [Contra Gentiles, lib. 2 cap. 73 n ]: 27. Si unus est intellectus possibilis omnium hominum, oportet ponere intellectum possibilem semper fuisse, si homines semper fuerunt, sicut ponunt: et multo magis intellectum agentem, quia agens est honorabilius patiente, ut Aristoteles dicit. Sed si agens est aeternum, et recipiens aeternum, oportet recepta esse aeterna. Ergo species intelligibiles ab aeterno fuerunt in intellectu possibili. Non igitur de novo recipit aliquas species intelligibiles. Ad nihil autem sensus et phantasia sunt necessaria ad intelligendum nisi ut ab eis accipiantur species intelligibiles. Sensus igitur non erit necessarius ad intelligendum, neque phantasia. Et redibit opinio Platonis, quod scientiam non acquirimus per sensus, sed ab eis excitamur ad rememorandum prius scita. Averroè viene qui messo in contraddizione con se stesso, giacché l'eternità dell'intelletto (sia quello agente che quello passivo, quindi l'eternità della razionalità nel suo complesso, necessariamente da postulare se si concepisce eterna la specie umana ed unico per tutti gli uomini l'intelletto) renderebbe inutile la funzione della sensibilità nel 195

4 Tenzone nº processo conoscitivo, che rappresenta il fondamento della gnoseologia aristotelica e dello stesso Averroè, e si cadrebbe nella prospettiva di Platone, per il quale la sensibilità e gli oggetti esterni non hanno altra funzione che quella di suscitare il ricordo di cose già note. Le specie intelligibili non sarebbero, infatti, accolte de novo dall'intelletto, ma da sempre presenti ad esso. 28. Sed ad hoc respondet Commentator praedictus, quod species intelligibiles habent duplex subiectum: ex uno quorum habent aeternitatem, scilicet ab intellectu possibili; ab alio autem habent novitatem, scilicet a phantasmate; sicut etiam speciei visibilis subiectum est duplex, scilicet res extra animam et potentia visiva. Averroè però risponde a questa obiezione che il contenuto delle specie intelligibili è duplice, eterno per ciò che riguarda la considerazione dell'intelletto possibile, e nuovo (quindi materiale e storico) per ciò che riguarda i fantasmi elaborati dalla sensibilità. 29. Haec autem responsio stare non potest. Impossibile enim est quod actio et perfectio aeterni dependeat ab aliquo temporali. Phantasmata autem temporalia sunt, de novo quotidie in nobis facta ex sensu. Impossibile est igitur quod species intelligibiles, quibus intellectus possibilis fit actu et operatur, dependeant a phantasmatibus, sicut species visibilis dependet a rebus quae sunt extra animam. Ma l'obiezione viene rigettata per l'aporia rappresentata da una sostanza intellettuale eterna che dipenderebbe, per la sua perfezione ed attualizzazione, da un elemento temporale come sono i fantasmi, che i sensi producono in noi in modo intermittente, ogni volta di nuovo. Ciò che Tommaso mira ad escludere, negando l'eternità delle intelligenze angeliche ed attribuendo ad esse un certo tipo di memoria, è la dimostrabilità di un mondo e una specie umana coeterni a Dio, che renderebbe privo di senso il principio della creazione ex nihilo (fondamento della teologia giudeo-cristiana, estranea sia ad Aristotele che ad Averroè)

5 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio La temporalità, dunque, è propria dei phantasmata, "de novo quotidie in nobis facta ex sensu", e quindi dell'umano. Se si intendono le intelligenze (e quindi gli angeli) completamente scevre di materia (cioè "puro atto", v. 33 di questo stesso canto), bisogna immaginarle anche prive di novitas, cioè di temporalità 4. L'allineamento di Dante con Averroè, sul problema della conoscenza degli angeli, non è però totale. All'inizio del ragionamento di Beatrice, infatti, nei vv dello stesso canto, il nesso fra novitas e temporalità era stato posto con chiarezza come premessa alla descrizione delle intelligenze angeliche: in sua etternità di tempo fore, fuor d'ogni altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor l'etterno amore. L'idea dei "nuovi amor" esclude preliminarmente l'ipotesi aristotelica (anticreazionista ed averroista) della coeternità del mondo (cioè il mondo, per Dante, non è sempre esistito) 5. Nuovo è quindi tutto ciò che, essendo creato, ha avuto un inizio, come gli angeli e l'universo che essi governano. Il nuovo si oppone all'eterno in quanto situato nel tempo (almeno nell'estremo iniziale della sua esistenza). Da tutto ciò inferiamo che solo a Dio è estranea la nozione di novitas, e che tutte le creature, se colte nell'istante del loro originario affacciarsi all'esistenza, sono nuove. 2. Osserviamo ora un altro aspetto del concetto di novitas, e cioè il suo rapporto negativo con la libertà (Par. VII, 67-72): Ciò che da lei sanza mezzo distilla non ha poi fine, perché non si move la sua imprenta quand'ella sigilla. Ciò che da essa sanza mezzo piove libero è tutto, perché non soggiace a la virtute de le cose nove. Qui Dante distingue fra ciò che è creato direttamente da Dio (ossia le intelligenze celesti, i cieli, la materia prima e l'anima razionale) e ciò che 197

6 Tenzone nº è creato indirettamente da Lui (attraverso le cause seconde), e cioè gli elementi e i loro composti 6. Solo il primo tipo di creature gode dei privilegi della eternità e della libertà, quasi che la caducità delle cose e il loro determinismo siano funzioni direttamente proporzionali alla distanza originaria dal creatore. L'eternità è definita positivamente, in quanto collegata ad una indelebile imprenta divina, mentre la libertà è definita negativamente come indipendenza dalla virtute, cioè il potere informativo, delle cose nove, che sono le intelligenze celesti, cause seconde nella creazione degli esseri, definite "nuovi amor" in Par. XXIX 18. L'anima razionale umana, in quanto creata direttamente da Dio, è eterna e libera, ma in quanto mescolata alla materia, ha perso entrambi gli attributi, e soggiace alla virtute delle cose nove. Si osservi qui come la libertà venga intesa da Dante come autonomia dai condizionamenti del reale. La virtute delle cose nove è appunto la dipendenza della sostanza spirituale da ciò che, appartenendo al tempo, è materiale, e che al soggetto umano si presenta come necessità. Il nesso temporalità - materia - necessità rappresenta l'orizzonte reale e storico rispetto al quale si configura utopicamente la tensione dell'anima umana verso l'eterno - lo spirito - la libertà. Ed è, ancora una volta, la novitas dell'esperienza ciò che traccia l'orizzonte del reale entro il quale si dispiega la eticità del soggetto umano. Ci avviciniamo ulteriormente alla dimensione psichica e quindi antropologica della novitas in Purg. XVIII 19-27: L'animo, ch'è creato ad amar presto, ad ogne cosa è mobile che piace, tosto che dal piacere in atto è desto. Vostra apprensiva da esser verace tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, sì che l'animo ad essa volger face; e se, rivolto, inver' di lei si piega 7, quel piegare è amor, quell'è natura che per piacer di novo in voi si lega. 198

7 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio Ciò che occorre innanzitutto sottolineare di questo brano, decisivo per intendere la teoria del desiderio, e quindi la poetica, di Dante, è la sua indeducibilità da ogni approccio di tipo platonico-agostiniano al problema della conoscenza. Si osservi nel De Trinitate (X 10 6) la contrapposizione di ogni conoscenza corporea ed esterna (per definizione falsa) a quella spirituale ed interna (l'unica certa e vera): Qui omnes non advertunt, mentem nosse se etiam cum quaerit se, sicut iam ostendimus. Nullo modo autem recte dicitur sciri aliqua res, dum eius ignoratur substantia. Quapropter, dum se mens novit, substantiam suam novit; et cum de se certa est, de substantia sua certa est. Certa est autem de se, sicut convincunt ea quae supra dicta sunt. Nec omnino certa est, utrum aer, an ignis sit, an aliquod corpus, vel aliquid corporis. Non est igitur aliquid eorum. Totumque illud quod se iubetur ut noverit, ad hoc pertinet ut certa sit non se esse aliquid eorum de quibus incerta est, idque solum esse se certa sit, quod solum esse se certa est. Sic enim cogitat ignem aut aerem, et quidquid aliud corporis cogitat. Neque ullo modo fieri posset ut ita cogitaret id quod ipsa est, quemadmodum cogitat, id quod ipsa non est. Per phantasiam quippe imaginariam cogitat haec omnia, sive ignem, sive aerem, sive illud vel illud corpus, partemve illam, seu compaginem temperationemque corporis; nec utique ista omnia, sed aliquid horum esse dicitur. Si quid autem horum esset, aliter id quam cetera cogitaret, non scilicet per imaginale figmentum, sicut cogitantur absentia, quae sensu corporis tacta sunt, sive omnino ipsa, sive eiusdem generis aliqua; sed quadam interiore, non simulata, sed vera praesentia (non enim quidquam illi est se ipsa praesentius); sicut cogitat vivere se, et meminisse, et intellegere, et velle se. Novit enim haec in se, nec imaginatur quasi extra se illa sensu tetigerit, sicut corporalia quaeque tanguntur. Ex quorum cogitationibus si nihil sibi affingat, ut tale aliquid esse se putet, quidquid ei de se remanet, hoc solum ipsa est. Risulta da questo brano che l'interiorità che Agostino considera come sede del vero (nelle sue tre funzioni psichiche di memoria, intelletto e volontà) è intrinsecamente incompatibile con ogni immagine che provenga dall'esterno, e che anzi l'adesione della mente ai corpi, 199

8 Tenzone nº attraverso la sensibilità e la fantasia, ne scalfisce la purezza estetica, che sola le permette di attingere, attraverso un desiderio che è orientato verso se stessa, la conoscenza di sé come sostanza spirituale simile al suo creatore. Tale autocoscienza spirituale è definita come residuale ("quidquid ei de se remanet") rispetto a tutte le rappresentazioni corporali che la mente ha di se stessa. Tutto il contrario è in Dante, che all'interno di un orizzonte epistemico aristotelico-tomista considera come "esser verace" ogni oggetto esterno che stimoli la sensibilità ("vostra apprensiva"), e quindi come naturali e necessari tanto il dispiegarsi della intenzione nella mente (attraverso l'immaginazione e le altre funzioni psichiche che rappresentano internamente la cosa) quanto l'inclinarsi su di essa dell'animo attraverso il desiderio. L'interiorità che ne risulta, lungi dall'essere anestetizzata dal rigetto dei corpi e delle loro immagini, è vitalizzata dalla loro presenza e riempita dal loro significato. Il piacere prodotto dalla cosa nuova (cioè per la prima volta percepita: "piacer di novo") è appunto l'incremento di vita che il reale genera nell'anima umana attraverso l'infinita varietà dei suoi aspetti. La procedura del desiderio in quanto motore dell'agire era stata descritta in Conv. IV xii e in Conv. IV xiii I due passaggi esemplificano nella prassi esistenziale ed intellettuale del soggetto quella funzione di stimolo dell'agire che la novitas, incarnata ogni volta da oggetti diversi, esercita sull'anima, di cui l'amore, inteso come inclinazione generata dal piacere che desta il nuovo oggetto di desiderio, è principio energetico. "Spirito novo" è poi definita l'anima intellettiva, creata direttamente da Dio come i "nuovi amor" di Par. XXIX 18, che assorbe in sé le altre anime dell'embrione fino a farsi "un'alma sola, / che vive e sente e sé in sé rigira" (Purg. XXV 74-75). La modernità radicale di tale tematizzazione estetico-trascendentale della novitas risulterà più chiaramente se si pensa che ad essa è collegato il tema della curiositas, cioè l'attenzione prestata in modo disinteressato a tutto ciò che non rientra nella normalità quotidiana dell'esistenza, e che solo per questo suscita il piacere che muove l'anima 10. La stessa 200

9 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio autocomprensione estetica di Dante si conforma a tale antropologia, come risulta da Purg. X : Li occhi miei, ch'a mirare eran contenti per veder novitadi ond'e' son vaghi... Tommaso aveva perfettamente diagnosticato il legame che esiste tra il piacere e il desiderio da una parte, e lo stupore prodotto da una cosa ignota dall'altra (in una linea di riflessione che sarà ripresa da Cartesio nel Trattato sulle passioni dell'anima) 11. È appunto l'inversione di segno della curiositas (cioè la admiratio che ogni novitas in quanto tale produce nel soggetto) che riorienta in senso moderno l'estetica europea, rendendo obsoleta la diffidenza della cultura antica nei confronti di ogni avventura conoscitiva nel territorio dell'alterità. Si veda in Agostino l'opposizione fra l'apprendere (discere, inteso come sperimentazione intellettuale) e il sapere (noscere, inteso come conoscenza già posseduta), e la condanna parallela della novitas, da una parte, e della curiositas, dall'altra (De vera religione, ): Sed miseri homines, quibus cognita vilescunt, et novitatibus gaudent, libentius discunt quam norunt, cum cognitio sit finis discendi... Quare qui fines ipsos desiderant, prius curiositate carent, cognoscentes eam esse certam cognitionem quae intus est, et ea perfruentes quantum in hac vita queunt 12. Ma ciò che deve essere sottolineato con forza di tale incomprensione della novitas nella cultura antica (ed in particolare platonicoagostiniana), è l'ostilità del sapere, al suo livello più alto, nei confronti della poesia, che per il fatto di essere legata istituzionalmente ai phantasmata e alle loro fictiones è condannata all'ostracismo filosofico proprio nella misura in cui si alimenta di novitates che espongono l'anima al rischio della perdita del controllo razionale di sé. Nella stessa pagina del De vera religione (51 100), le vuote immagini della poesia sono contrapposte alla meditazione della Sacra Scrittura, in una visione dicotomica di corpo e anima, materia e spirito, che riserva la bellezza e lo stupore da essa suscitati al solo mondo invisibile: 201

10 Tenzone nº Omissis igitur et repudiatis nugis theatricis et poeticis, divinarum Scripturarum consideratione et tractatione pascamus animum atque potemus vasae curiositatis fame ac siti fessum et aestuantem, et inanibus phantasmatibus, tamquam pictis epulis, frustra refici satiarique cupientem: hoc vere liberali, et ingenuo ludo salubriter erudiamur. Si nos miracula spectaculorum, et pulchritudo delectat, illam desideremus videre Sapientiam, quae pertendit usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter. Quid enim mirabilius, vi incorporea mundum corporeum fabricante et administrante? aut quid pulchrius ordinante et ornante? 3. È nel quadro concettuale di tale concezione antropologica della novitas che deve quindi essere ricostruito il significato della definizione di poetica di Purg. XXIV 49-57: "Ma dì s'i' veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando Donne ch'avete intelletto d'amore". E io a lui: "I' mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando". "O frate, issa vegg'io", diss'elli, "il nodo che 'l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch'i' odo!". Lungi dal rappresentare semplicemente un modo diverso di fare letteratura, la novitas del "dolce stile" rappresenta la scoperta di una nuova mentalità ed una nuova antropologia, che puntano sul desiderio (l'amore che, suscitato dall'oggetto, spira dentro) per ricostruire la soggettività a partire dalla immanenza del suo stare al mondo, e nella apertura della mente umana agli stimoli del reale (le novità vagheggiate dall'io moderno), che la proiettano verso l'esterno nella vitale avventura della conoscenza dell'altro da sé, di cui la donna come oggetto sublimato e sublimante di desiderio è il paradigma estetico-trascendentale

11 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio La nozione poetico-antropologica di novitas è infatti il punto d'arrivo di una esplorazione ermeneutica condotta inizialmente sul piano delle passioni scatenate dall'eros, e che noi possiamo agevolmente ricostruire nei testi delle Rime e della Vita Nuova. Si osservi l'uso della nozione in Cavalcando l'altr'ier (10-12): e disse: 'Io vegno di lontana parte, ov'era lo tuo cor per mio volere, e recolo a servir novo piacere', e in Io sento sì d'amor la gran possanza (71-74): Io non la vidi tante volte ancora ch'io non trovasse in lei nova bellezza; onde Amor cresce in me la sua grandezza tanto quanto il piacer novo s'aggiugne. Nel primo caso la dialettica del desiderio investe l'esperienza esistenziale attraverso la necessità di superamento dell'oggetto femminile in favore di un nuovo oggetto. È lo stesso procedimento che Dante usa in Voi che intendendo per spiegare il passaggio da Beatrice alla "Donna gentile": Io vi dirò del cor la novitate (etc.). Nel secondo essa si manifesta all'interno della fenomenologia erotica di una stessa donna, che in ogni nuova percezione di essa manifesta all'io una "nova bellezza" che stimola un "piacer novo". Si badi a questa famelica onnipotenza del desiderio, che attraversa e spinge in avanti l'orizzonte dato dell'esperienza sia attraverso nuovi oggetti (donne diverse), sia attraverso forme distinte dello stesso oggetto (aspetti diversi di un'unica donna). La pura sessualità dell'eros viene ovviamente subito bruciata attraverso la sua promozione metafisica e teologica, e anche qui la novitas si impone come prima legge del desiderio. Si veda l'apertura metafisica di I' mi son pargoletta (11-14): Ciascuna stella ne li occhi mi piove del lume suo e de la sua vertute; 203

12 Tenzone nº le mie bellezze sono al mondo nove, però che di là su mi son venute, e i versi di Donne che avete, Dice di lei Amor: "Cosa mortale come esser pò sì adorna e sì pura?" Poi la reguarda, e fra se stesso giura che Dio ne 'ntenda di far cosa nova. In entrambi i casi la giustificazione teologica dell'oggetto di desiderio è resa possibile dalla novitas che accomuna le due donne ai nuovi amor in cui l'eterno amore non cessa di aprirsi ogni volta che interviene direttamente nel mondo creando immediate cioè "sanza mezzo" la creatura, che in questo modo riceve in dono dal creatore qualcosa della sua eternità e della sua libertà. Siamo ormai vicini all'idea di novitas come miracolo, quale appare non solo in sonetti come Tanto gentile ("e par che sia cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare", versi che spiegano in cosa consista la 'novità' di Beatrice postulata in quelli ora citati di Donne che avete), ma soprattutto nella prosa del capitolo XXIX della Vita Nuova, in cui la novitas di Beatrice viene sillogizzata attraverso la numerologia del nove, che da una parte significa la temporalità delle cose del mondo (in Beatrice il tempo si manifesta come convergenza dei calendari dell'umanità) e dall'altra la miracolosità della sua epifania 14. La novitas di Beatrice (il suo esser nuova ed il suo essere "uno nove") è trascrizione mitica della esegesi erotica della trascendenza, il cui moderno significato consiste nella ricostruzione della soggettività umana attraverso un programma di cooperazione integrata delle sue funzioni psicofisiche (proiettate verso l'eternità sul versante intellettuale, immerse nella temporalità sul versante corporeo). La tensione dell'io in direzione del sacro, infatti, ed il suo conseguente sconfinamento estetico nel territorio della metafisica, vengono attratti nelle procedure normali del desiderio, che contempla il miracolo come il naturale, quotidiano darsi dei suoi oggetti. Comprendiamo bene la lucidità programmatica di questo progetto se accostiamo due accezioni diversissime del 204

13 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio superlativo novissimo, una tradizionalmente scritturale, che afferisce alla fine dei tempi, alla conclusione della storia (individuale o collettiva): Quali i beati al novissimo bando surgeran presti ognun di sua caverna, la revestita voce alleluiando; Purg. XXX l'altra originalmente poetica (e dantesca), che afferisce al radicale rinnovamento esistenziale che il desiderio produce nella soggettività individuale: A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore conviene che sia novissimo... Vita Nuova, XVIII, 3 Bisogna però tener presente che in tale direzione poetico-esistenziale l'ermeneutica della novitas era già stata esperita da Guido Cavalcanti, e sullo stesso terreno ambiguamente sospeso fra sessualità e metafisica che si è visto ora in Dante, ad indicare, in entrambe le prospettive, la radicale trasformazione (e decostruzione) che il desiderio induce nel soggetto umano. Nova è la donna che scatena il desiderio, il piacer che essa suscita, la bellezza con cui seduce il poeta, la persona (cioè il fantasma) che lo ossessiona, la qualità della passione che lo angoscia, lo splendore metafisico che, paradossalmente e nonostante tutto, da lei promana: A me stesso di me pietate vène per la dolente angoscia ch'i' mi veggio: di molta debolezza quand'io seggio, l'anima sento ricoprir di pene. Tutto mi struggo, perch'io sento bene che d'ogni angoscia la mia vita è peggio; la nova donna cu' merzede cheggio questa battaglia di dolor' mantene. A me stesso di me,

14 Tenzone nº Veggio negli occhi de la donna mia un lume pien di spiriti d'amore, che porta uno piacer novo nel core, sì che vi desta d'allegrezza vita. Cosa m'aven, quand'i' le son presente, ch'i' no la posso a lo 'ntelletto dire: veder mi par de la sua labbia uscire una sì bella donna, che la mente comprender no la può, che 'mmantenente ne nasce un'altra di bellezza nova, da la qual par ch'una stella si mova e dica: "La salute tua è apparita". Veggio negli occhi, 1-12 Amor, che nasce di simil piacere, dentro lo cor si posa formando di disio nova persona; Quando di morte mi conven trar vita, La nova - qualità move sospiri, Donna me prega, 50 Posso degli occhi miei novella dire, la qual è tale che piace sì al core che di dolcezza ne sospir'amore. Questo novo plager che 'l meo cor sente fu tratto sol d'una donna veduta, la qual è sì gentil e avenente e tanto adorna, che 'l cor la saluta. Non è la sua biltate canosciuta da gente vile, ché lo suo colore chiama intelletto di troppo valore. Io veggio che negli occhi suoi risplende una vertù d'amor tanto gentile, ch'ogni dolce piacer vi si comprende; e move a loro un'anima sottile, respetto della quale ogn'altra è vile: e non si pò di lei giudicar fore 206

15 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio altro che dir: "Quest'è novo splendore". Posso degli occhi La parodia teologica di Cavalcanti consiste nell'interpretare in chiave pseudo religiosa gli effetti alienanti e distruttivi dell'amore eroico. Fedele alla nozione medica di herois, Guido ne approfondisce e radicalizza i sintomi di malattia fino a farli sconfinare nel territorio ideale del sacro, che il delirio della mente invade con i suoi fantasmi riscrivendone il significato interiore nei termini di un fatale destino di morte cui è preclusa ogni ipotesi di redenzione. La divinità e le sue figure vengono surrogate dalla donna e dalle sue epifanie interiori, che dominano la mente del poeta con un potere letale la cui inflessibilità è parodia del Dio giustiziere e vendicativo del Vecchio Testamento (con l'eccezione di alcune allucinate esperienze visionarie nelle quali il fantasma femminile acquista movenze salvifiche di tipo cristologico). L'analisi sistematica di tali effetti psichicamente devastanti procede al servizio di una lucida demistificazione del mito religioso (cui l'averroismo fornisce solidi fondamenti teorici). In effetti il razionalismo estremo di Guido (quale si manifesta in Donna me prega) è la faccia metaletteraria dell'irrazionalismo erotico che la sua poesia enuncia. In questo modo la percezione, per altro oscura e traumatica, del divino (la novitas, che egli intende come esperienza inaudita che "for di misura - di natura - torna") viene attratta nella dialettica perversa del desiderio, ed è realizzata così, nel contatto parodico delle due ideologie, quella ampia traducibilità di codici e linguaggi che caratterizza in modo così personale la sua poesia (sempre sorprendentemente in equilibrio fra espressione poetica e analisi filosofica). Già potenzialmente miracolosa, la "nova donna" di Guido deduce dalla sintomatologia di herois la sospensione del rapporto fra la mente ed il reale (la sua alienatio), e quindi la frattura del rapporto fra l'io e il mondo. Nasce così, negli anfratti residuali della psiche, nella percezione estrema del proprio essere agonizzante, il moderno soggetto espressivo, slegato dalle cose e dal loro significato, integramente assorbito dalla dolente coscienza di una fragile, eppur irriducibile, individualità, schiacciata da un mondo cui è stato malinconicamente sottratto ogni senso. 207

16 Tenzone nº La nuova transitabilità fra i territori del sacro e del profano (grazie al valore cristologico di cui il fantasma femminile si fa carico) contiene però anche, in modo certo preterintenzionale, la potenziale inversione di segno della novitas (dalla malattia alla salute, dall'averroismo al tomismo), impresa che porterà a termine il suo amico 15. La novità e il miracolo, pienamente integrati nella immanenza dell'umano in quanto moderni motori della sensibilità, divengono per Dante condizioni della fisiologica attività estetica del soggetto, quotidianamente esposto, in ogni momento della sua esistenza, alla seduzione redentiva del femminile e alla avventura espressiva e morale della ricostruzione del senso delle cose e del significato del mondo. 208

17 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio NOTE 1 Contra Gentiles, lib. 2 cap. 101 n. 2. In De Veritate q. 10 a. 2 Tommaso attribuisce all'intelletto la funzione di conservare gli intelligibili non attualmente considerati, e definisce come memoria tutto ciò che non è conosciuto per la prima volta ("omnis notitia non de novo accepta potest dici memoria"). Distingue così fra una considerazione continua dell'intelligibile ("quando consideratio secundum notitiam habitam non est intercisa, sed continua") ed una discontinua ("quando est intercisa"). Si osservi la ripresa, in Dante, del termine tecnico: intercisa. 2 Cfr. Mn. I iii 7: "Essentie tales species quedam sunt intellectuales et non aliud, et earum esse nichil est aliud quam intelligere: quod est sine interpolatione, aliter sempiterne non essent". Anche Tommaso distingue, naturalmente, tra la conoscenza degli angeli e quella degli uomini (S. T. Iª q. 79 a. 8): "Angeli, qui perfecte possident, secundum modum suae naturae, cognitionem intelligibilis veritatis, non habent necesse procedere de uno ad aliud; sed simpliciter et absque discursu veritatem rerum apprehendunt, ut Dionysius dicit, VII cap. de Div. Nom. Homines autem ad intelligibilem veritatem cognoscendam perveniunt, procedendo de uno ad aliud, ut ibidem dicitur, et ideo rationales dicuntur". 3 Sul merito della questione (S. T. Iª q. 46 a. 2: "Videtur quod mundum incoepisse non sit articulus fidei, sed conclusio demonstrabilis") la preoccupazione di Tommaso è piuttosto quella contraria, di dimostrare la indimostrabilità filosofica della "creazione ex nihilo" (che mette seriamente in discussione il meccanicismo dell'universo aristotelico). È chiaro però che qui Tommaso (e l'aristotelismo latino) devono fare i conti con un dogma non razionalizzabile: "Respondeo dicendum quod mundum non semper fuisse, sola fide tenetur, et demonstrative probari non potest, sicut et supra de mysterio Trinitatis dictum est. Et huius ratio est, quia novitas mundi non potest demonstrationem recipere ex parte ipsius mundi. Demonstrationis enim principium est quod quid est. Unumquodque autem, secundum rationem suae speciei, abstrahit ab hic et nunc, propter quod dicitur quod universalia sunt ubique et semper. Unde demonstrari non potest quod homo, aut caelum, aut lapis non semper fuit. Similiter etiam neque ex parte causae agentis, quae agit per voluntatem. Voluntas enim Dei ratione investigari non potest, nisi circa ea quae absolute necesse est Deum velle, talia autem non sunt quae circa creaturas vult, ut dictum est. Potest autem voluntas divina homini manifestari per revelationem, cui fides innititur. Unde mundum incoepisse est credibile, non autem demonstrabile vel scibile. Et hoc utile est ut consideretur, ne forte aliquis, quod fidei est demonstrare praesumens, rationes non necessarias inducat, quae praebeant materiam irridendi infidelibus, existimantibus nos propter huiusmodi rationes credere quae fidei sunt". Si veda anche Super Sent., lib. 2 d. 1 q. 1 a. 5 (sullo stesso problema): "Respondeo dicendum, quod circa hanc quaestionem est triplex positio. Prima est philosophorum, qui dixerunt, quod non solum Deus est ab aeterno, sed etiam aliae res; sed differenter: quia quidam ante Aristotelem posuerunt quod 209

18 Tenzone nº mundus est generabilis et corruptibilis, et quod ita est de toto universo sicut de aliquo particulari alicujus speciei, cujus unum individuum corrumpitur, et aliud generatur. Et haec fuit opinio Empedoclis. Alii dixerunt, quod res fuerunt quiescentes tempore infinito, et per intellectum coeperunt moveri, extrahentem et segregantem unum ab alio. Et haec fuit opinio Anaxagorae. Alii dixerunt, quod res ab aeterno movebantur motu inordinato, et postea reductae sunt ad ordinem, vel casu, sicut ponit Democritus, quod corpora indivisibilia ex se mobilia casu adunata sunt ad invicem, vel a creatore, et hoc ponit Plato, ut dicitur in 3 caeli et mundi. Alii dixerunt, quia res fuerunt ab aeterno secundum illum ordinem quo modo sunt; et ista est opinio Aristotelis, et omnium philosophorum sequentium ipsum; et haec opinio inter praedictas probabilior est: tamen omnes sunt falsae et haereticae. Secunda positio est dicentium, quod mundus incepit esse postquam non fuerat, et similiter omne quod est praeter Deum, et quod Deus non potuit mundum ab aeterno facere, non ex impotentia ejus, sed quia mundus ab aeterno fieri non potuit, cum sit creatus: volunt etiam quod mundum incepisse, non solum fide teneatur, sed etiam demonstratione probetur. Tertia positio est dicentium, quod omne quod est praeter Deum, incepit esse; sed tamen Deus potuit res ab aeterno produxisse; ita quod mundum incepisse non potuit demonstrari, sed per revelationem divinam esse habitum et creditum. Et haec positio innititur auctoritati Gregorii, qui dicit quod quaedam prophetia est de praeterito, sicut Moyses prophetizavit cum dixit Genes. 1: in principio creavit Deus caelum et terram. Et huic positioni consentio: quia non credo, quod a nobis possit sumi ratio demonstrativa ad hoc; sicut nec ad Trinitatem, quamvis Trinitatem non esse sit impossibile; et hoc ostendit debilitas rationum quae ad hoc inducuntur pro demonstrationibus, quae omnes a philosophis tenentibus aeternitatem mundi positae sunt et solutae: et ideo potius in derisionem quam in confirmationem fidei vertuntur si quis talibus rationibus innixus contra philosophos novitatem mundi probare intenderet. Dico ergo, quod ad neutram partem quaestionis sunt demonstrationes, sed probabiles vel sophisticae rationes ad utrumque". Si osservi invece la serena accettazione del dogma da parte di Dante ("s'aperse in nuovi amor l'eterno amore", cfr. infra), che non ha gli scrupoli di coerenza teorica di Tommaso, ed è mosso invece dalla evidente intenzione di proiettare sull'intero creato quel principio della novitas che ha intuito come legge, universalmente produttiva, dell'amore. 4 In Conv. II xiv 6, alla circolazione diurna del cielo stellato viene comparato il mondo fisico delle cose naturali, quelle che, appunto, sono oggetto della azione psichica della fantasia (che ne riceve le intenzioni): "[Il cristallino] per lo movimento nello quale ogni die si rivolve e fa nova circulazione di punto a punto, significa le cose naturali corruttibili, che cotidianamente compiono loro via, e la loro materia si muta di forma in forma: e di queste tratta la Fisica". Si osservi qui il rapporto analogico fra la "nova circulazione" (cioè il movimento celeste che si ripete quotidianamente ogni volta di nuovo), e il processo di corruzione che trasforma incessantemente le cose naturali. 5 Una volta identificati gli angeli con le intelligenze motrici dei cieli, e quindi con il decorso del tempo, è inaccettabile, in una prospettiva cristiana, la loro coeternità con Dio, 210

19 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio perché sarebbe indimostrabile la creazione del mondo (che per Aristotele è infatti eterno). Cfr. Agostino, De Civitate Dei, XII 15: "(angeli) etsi semper fuerunt, creati sunt, nec si semper fuerunt, ideo Creatori coaeterni sunt. Ille enim semper fuit aeternitate immutabili; isti autem facti sunt; sed ideo semper fuisse dicuntur, quia omni tempore fuerunt, sine quibus tempora nullo modo esse potuerunt; tempus autem quoniam mutabilitate transcurrit, aeternitati immutabili non potest esse coaeternum. Ac per hoc etiamsi immortalitas angelorum non transit in tempore, nec praeterita est quasi iam non sit, nec futura quasi nondum sit: tamen eorum motus, quibus tempora peraguntur, ex futuro in praeteritum transeunt, et ideo Creatori, in cuius motu dicendum non est vel fuisse quod iam non sit, vel futurum esse quod nondum sit, coaeterni esse non possunt". 6 Così riassume la posizione di Aritotele Sigieri di Brabante (In tertium De Anima, 2 7): "Cum igitur quaeritur utrum intellectus sit novum factum vel aeternum, per Aristotelem patet quid dicendum, scilicet quod intellectus factum est aeternum et non factum novum. Dicit enim Aristoteles quod omne factum immediate a Prima Causa non est novum factum, sed factum aeternum. <Propter> hoc enim posuit mundum esse aeternum, quia erat factum immediate a Prima Causa. Unde, si quaereretur ab Aristotele utrum intellectus sit factum novum vel sit factum aeternum, ipse iudicaret intellectum esse factum aeternum sicut mundum. Et intellectus, quod intellectus est motor humanae speciei, est unum factum aeternum, non multiplicatum multiplicatione individuali". Si osservi la traduzione di Dante: immediate = "sanza mezzo". 7 Cfr. XXVI, 69: "Vedi che del disio ver lei mi piego". 8 "Lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima dalla natura dato, è lo ritornare allo suo principio. E però che Dio è principio delle nostre anime e fattore di quelle simili a sé (sì come è scritto: "Facciamo l'uomo ad imagine e simiglianza nostra"), essa anima massimamente desidera di tornare a quello. E sì come peregrino che va per una via per la quale mai non fue, che ogni casa che da lungi vede crede che sia l'albergo, e non trovando ciò essere, dirizza la credenza all'altra, e così di casa in casa, tanto che all'albergo viene; così l'anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo bene, e però, qualunque cosa vede che paia in sé avere alcuno bene, crede che sia esso. E perché la sua conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre". 9 "Lo desiderio de la scienza non è sempre uno ma è molti, e finito l'uno, viene l'altro; sì che, propriamente parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione di picciola cosa in grande cosa. Che se io desidero di sapere li principii de le cose naturali, incontanente che io so questi, è compiuto e terminato questo desiderio. E se poi io 211

20 Tenzone nº desidero di sapere che cosa e com'è ciascuno di questi principii, questo è un altro desiderio nuovo, né per l'avvenimento di questo non mi si toglie la perfezione a la quale mi condusse l'altro; e questo cotale dilatare non è cagione d'imperfezione, ma di perfezione maggiore". 10 Sulle origini accidioso-malinconiche della scienza moderna, e quindi sulla curiositas come idea modernamente fondazionale, si veda Blumenberg (1992: ): "La rassegnazione, espressa nell'idea di acedia, di fronte all'oggetto dell'assoluto per secoli corteggiato e lo scoraggiamento teologico-metafisico di fronte al Dio che con un arbitrio sovrano si sottrae quale deus absconditus determineranno la fine del Medioevo e il rovesciamento di valore, essenziale per la svolta epocale, della curiosità teoretica. Al vizio della provvisorietà disprezzata doveva subentrare la concezione -l'unica che rimanesse all'uomo- della sua forma d'esistenza teoretico-tecnica. Dalla malinconia dovuta all'irraggiungibilità delle riserve trascendenti della divinità sorgerà la decisa concorrenza dell'idea immanente di scienza, alla quale l'infinità della natura si apre come campo inesauribile di applicazione teoretica e che si amplia fino a diventare l'equivalente dell'infinità trascendente divina, divenuta incerta come idea di salvezza". È questo lo sfondo teoretico sul quale il desiderio (distillato dal complesso umorale tristitia-acedia) rivela la sua capitale funzione propulsiva nel processo di secolarizzazione della società europea. 11 [S. T. Iª-IIae q. 32 a. 8]: "Adipisci desiderata est delectabile, ut supra dictum est. Et ideo quanto alicuius rei amatae magis crescit desiderium, tanto magis per adeptionem crescit delectatio. Et etiam in ipso augmento desiderii fit augmentum delectationis, secundum quod fit etiam spes rei amatae; sicut supra dictum est quod ipsum desiderium ex spe est delectabile. Est autem admiratio desiderium quoddam sciendi, quod in homine contingit ex hoc quod videt effectum et ignorat causam, vel ex hoc quod causa talis effectus excedit cognitionem aut facultatem ipsius. Et ideo admiratio est causa delectationis inquantum habet adiunctam spem consequendi cognitionem eius quod scire desiderat. Et propter hoc omnia mirabilia sunt delectabilia, sicut quae sunt rara, et omnes repraesentationes rerum, etiam quae in se non sunt delectabiles; gaudet enim anima in collatione unius ad alterum, quia conferre unum alteri est proprius et connaturalis actus rationis, ut philosophus dicit in sua poetica. Et propter hoc etiam liberari a magnis periculis magis est delectabile, quia est admirabile, ut dicitur in I Rhetor.". 12 Molto più sfumato l'atteggiamento nei confronti della curiositas di Tommaso, che ammette una "virtuosa studiositas circa sensibilem cognitionem" (S. T. IIª-IIae q. 167 a. 2): "Si quis autem cognitioni sensibilium intendit ordinate, propter necessitatem sustentandae naturae, vel propter studium intelligendae veritatis, est virtuosa studiositas circa sensibilem cognitionem". 13 Rinvio per questi temi a Pinto 2002 e 2004b. 212

21 Raffaele PINTO Novitas e dialettica del desiderio 14 "Io dico che, secondo l'usanza d'arabia, l'anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l'usanza di Siria, ella si partio nel nono mese de l'anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo quale a noi è Ottobre; e secondo l'usanza nostra, ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. Perché questo numero fosse in tanto amico di lei, questa potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li cieli che si muovono, e, secondo comune oppinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare ad intendere che ne la sua generazione tutti e nove li mobili cieli perfettissimamente s'aveano insieme. Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e secondo la infallibile veritade, questo numero fue ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo così. Lo numero del tre è la radice del nove, però che, sanza numero altro alcuno, per se medesimo fa nove, sì come vedemo manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch'ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade. Forse ancora per più sottile persona si vederebbe in ciò più sottile ragione; ma questa è quella ch'io ne veggio, e che più mi piace". 15 Sul rapporto fra le due poetiche, nella prospettiva dell'alternativa averroismo/tomismo, rinvio a Pinto (2004a). 213

22 Tenzone nº RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BLUMENBERG, H. (1992): La legittimità dell età moderna, Genova, Marietti. PINTO, R. (2002): Gentucca e il paradigma poetico del dolce stil novo, in Tenzone, 3, pp PINTO, R. (2004a): La simiglianza come decostruzione/ricostruzione espressiva nel dialogo intertestuale fra Guido e Dante, in Guido Cavalcanti laico e le origini della poesia europea, nel 7º centenario della morte. Poesia, filosofia, scienza e ricezione, Atti del Convegno internazionale, Barcellona, ottobre 2001, a cura di R. Arqués, Alessandria, Edizioni dell Orso, pp PINTO, R. (2004b): Fingo ergo sum. Elementi di teoria poetica della modernità. Lettura del Canto XXVI del Purgatorio, in Tenzone, 5, pp

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