REATO DI DISOBBEDIENZA EX ART. 173 DEL C.P.M.P.

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1 INSEGNAMENTO DI DIRITTO PENALE MILITARE LEZIONE IV I REATI CONTRO LA DISCIPLINA MILITARE PROF. FRANCESCO BACCARO

2 Indice 1 PREMESSA REATO DI DISOBBEDIENZA EX ART. 173 DEL C.P.M.P REATO DI RIVOLTA EX ART. 174 C.P.M.P REATO DI AMMUTINAMENTO EX ART. 175 DEL C.P.M.P REATI DELLA INSUBORDINAZIONE EX ARTT. 186 E SS. DEL C.P.M.P DEI REATI DELL ABUSO DI AUTORITÀ LA PROVOCAZIONE CAUSE ESTRANEE AL SERVIZIO O ALLA DISCIPLINA MILITARE IN RIFERIMENTO AI REATI DELLA INSUBORDINAZIONE E DELL ABUSO DI AUTORITÀ di 18

3 1 Premessa I reati contro la disciplina militare sono disciplinati al Titolo III del libro II del c.p.m.p. dal Capo I al Capo VII. e sono configurabili allorquando vengano violati i doveri relativi, per l appunto, alla disciplina gerachica, quindi alla subordinazione gerarchica, con conseguente pregiudizio del corretto funzionamento dell apparato militare. Va rilevato che la subordinazione gerarchica citata, ovvero il rapporto personale gerarchico, è, infatti, l aspetto fondamentale dell organizzazione militare. Per contrastare il citato pregiudizio, e quindi per tutelare la disciplina militare, il legislatore del 1941 decise di punire penalmente alcune delle più gravi violazioni alle regole disciplinari, prevedendo i reati in argomento. Al riguardo, va rilevato che tali reati hanno ad oggetto una forma di specializzazione rispetto ai fatti già previsti e puniti nel codice penale comune, sicchè nel codice penale militare di pace si trovano, per lo più, reati obbietivamente militari. Prima di esaminare alcune delle fattispecie di reato in argomento, è oppurtuno fare un cenno in ordine al concetto di disciplina militare. Una definizione di disciplina militare la si può trovare nell art. 2 del r.d.m.: la disciplina militare è l osservanza consapevole delle norme attinenti allo stato di militare in relazione ai compiti istituzionali delle forze armate ed alle esigenze che derivano. Essa è regola fondamentale per i cittadini alle armi in quanto costituisce il principale fattore di coesione e di efficienza. Come di può notare dal tenore letterale della norma, la citata osservanza è finalizzata ai compiti istituzionali propri delle Forze Armate, talchè non più fine a se stessa così com era previsto nei precedenti regolamenti, laddove spesso la disciplina veniva intesa come pura osservanza di precetti fine a se stessa in ragione del solo fatto di essere appartenente allo status di militare. Di seguito verranno esaminati alcuni dei reati in argomento. 3 di 18

4 2 Reato di disobbedienza ex art. 173 del c.p.m.p. Ai sensi dell art. 173 del c.p.m.p., è punito il militare che rifiuti, ometta o ritardi di obbedire ad un ordine impartito da un superiore, ordine attinente al servizio od alla disciplina. Il reato di disobbedienza è un reato esclusivamente militare non colposo. L elemento psicologico necessario e sufficiente per la sua configurabilità è il dolo generico, consistente nella libera e consapevole volontà di rifiutare di obbedire ad un ordine legittimamente impartito. Prima di esaminare il reato di disobbedienza, è opportuno definire e delineare, preliminarmente, il concetto giuridico di ordine attinente al servizio ed alla disciplina. L ordine in siffatti termini deve essere un comando specifico del superiore, intimato all'inferiore e delineato nei modi e nei tempi di attuazione e che non deve dare all'esecutore alcuna libertà di scelta. Conseguentemente, l inosservanza di un ordine non specifico, come potrebbe essere una semplice istruzione od indicazione contenuta in una disposizione regolamentare, non può integrare il reato in argomento, ma, semplicemente, un illecito disciplinare. Inoltre, assume particolare rilevanza l art. 5, comma 3, della l. n. 382/1978, laddove sono elencate le condizioni per cui possa trovare applicazione il regolamento di disciplina militare, talchè i presupposti perché possa configurarsi l ordine in argomento e, quindi, il reato di disobbedienza in caso di ritardo o rifiuto di esecuzione dello stesso. Le citate condizioni sono le seguenti: a) i militari devono svolgere attività di servizio; b) devono trovarsi in luoghi militari o comunque riservati al servizio; c) devono indossare l uniforme; d) qualificarsi, in relazione a compiti di servizio, come militari o rivolgersi ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali. Da qui deriva che non ricorre l ordine nei termini di cui sopra, e quindi il reato di disobbedienza in caso di rifiuto circa l esecuzione dello stesso, qualora un superiore ordini ad un inferiore un facere o un non facere, seppur di natura militare, qualora quest ultimo non sia in servizio. L art. 173 del c.p.m.p. va letta tenendo, altresì, presente quanto previsto ai sensi dell art. 4, comma 4, della legge n. 382 dell 11 luglio 1978, laddove è previsto che il militare, al quale venga impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione 4 di 18

5 costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l ordine e di informare al più presto i superiori. Al riguardo, come è già stato rilevato in precedenza quando sono state esaminate le scriminanti di un reato (v. capitolo n. 1 paragrafo n.), il militare, che esegue un ordine illegittimo nei termini di cui sopra, risponderà del reato commesso in concorso con il superiore che ha impartito l ordine stesso, a meno che non ricorra un errore in punto di fatto e di diritto ai sensi di quanto previsto dall art. 47 del c.p. Tale errore in punto di fatto e di diritto assumerà rilevanza anche nell ipotesi in cui il militare non esegua l ordine poiché ritenuto dallo stesso, erroneamente, illegittimo. In tal caso, se potrà configurarsi l errore in punto di fatto e diritto, il militare non sarà punibile per il reato di disobbedienza, fermo restando la possibilità di essere sanzionato disciplinarmente. Alle ipotesi di ordine illegittimo contemplate all art. 4 della legge 382/78, si aggiunge quella prevista dalla prima parte del secondo comma dell art. 25 del r.d.m., laddove si fa riferimento ad un ordine che il militare non ritiene conforme alle norme in vigore. Tale terza ipotesi di ordine illegittimo si distingue dalle prime due, dal momento che prevede che il militare debba rappresantare al superiore che lo ha impartito la non conformità dell ordine alle norme in vigore; e che dovrà eseguire l ordine in caso di conferma da parte del superiore stesso. E quindi evidente la differenza esistente tra le prime due ipotesi di ordine illegittimo e la terza. Per le prime due, infatti, il militare non è obbligato a rappresentare l illegittimità dell ordine ed a chiederne la conferma. Mentre nella terza ipotesi, onde evitare conseguenze penali e disciplinari, detto obbligo è imposto dalla legge. In caso della mancata richiesta di conferma di cui sopra, pur avendo rilevato il contrasto dell ordine ricevuto con le disposizioni vigenti, le citate conseguenze penali potranno essere quelle che il militare venga chiamato a rispondere del reato che viene a configurarsi a seguito dell esecuzione dell ordine illegittimo in concorso con il superiore che ha impartito l ordine, fermo restando l eventuale applicazione delle scriminanti semprechè ricorrano i presupposti. Ed, inoltre, 5 di 18

6 l applicazione della sanzione disciplinare per non aver chiesto la conferma in parola pur avendo rilevato il contrasto in argomento. In caso di errore sul fatto o sul diritto, ad esempio, per non aver rilevato alcun contrasto con le norme in vigore, il militare non ha motivo di chiedere conferma e, quindi, non subirà alcuna conseguenza penale, fermo restando la possibilità che venga a ravvisarsi un illecito disciplinare; se, invece, ravvisa il contrasto in discorso e non esegue l ordine senza chiedere conferma al superiore, il militare incorrerà sicuramente in un illecito disciplinare ed, altresì, in un illecito penale in concorso con il superiore che ha impartito un ordine. In questo caso, infatti, sarebbe fuori luogo parlare di errore di fatto e di diritto. Tuttavia, potranno eventualmente trovare applicazione le altri scriminanti. casi. Ad esempio, la scriminante dello stato di necessità potrebbe assumere rilevanza in molteplici Ai sensi di una sentenza della Corte Militare di Appello, Sez. distaccata di Verona, 20 gennaio 1989, Borrelli, in Rass. Giust. Milit. 1989, 151, è scriminato dallo stato di necessità il comportamento di un militare che rifiuti di obbedire all ordine di calzare gli stivali anfibi, in relazione all intenso dolore fisico da questi provocati per la conformazione a martello delle dita di entrambi i piedi. Pertanto, alla luce di tali pronunce, dell art. 4 della norma citata poc anzi, nonché dell art. 25, comma 2, del r.d.m., la mancata o la ritardata esecuzione dell ordine non sempre va a configurare il reato di disobbedienza. Per contro, l esecuzione di ordine illegittimo, per cui la legge impone di astenersi, oppure si eseguirlo a certe condizioni (ex comma 2 cit.), non sempre comporta la punibilità del militare inferiore in concorso con il superiore che ha impartito l ordine stesso in riferimento al fatto criminoso che ne è scaturito. E, comunque, di tutta evidenza la delicatezza della posizione in cui il militare si venga a trovare nel momento in cui riceva un ordine, atteso che in tale circostanza dovrà valutare, seduta stante, se l esecuzione dell ordine sia legittimo nei termini di cui sopra, considerando, peraltro, che la predetta esecuzione debba avvenire senza ritardo ed, altresì, che la relativa emanazione avvenga, 6 di 18

7 nella maggior parte dei casi, non in forma scritta, così come la conferma di cui al all art. 25, comma 2, del r.d.m. Da qui deriva, quindi, che il militare destinatario dell ordine si trovi da solo ed in poco tempo a valutare, secondo le sue conoscenze, se l ordine ricevuto sia legittimo o meno, con il conseguente rischio di commettere il reato di disobbedienza qualora la sua valutazione di ordine illegittimo dovesse rivelarsi infondata; in questi casi in cui, per l appunto, l inferiore ritenga di dubitare circa la legittimità in parola, ciò anche nelle ipotesi di cui all art. 4 delle legge 382/78, lo stesso può chiedere al superiore, subordinatamente, conferma circa l esecuzione dell ordine, dopo aver rappresentato di avere dei dubbi in punto di legittimità. In questo modo, si potrebbe indurre il superiore a riflettere circa la legittimità dell ordine e, magari, a ritirare lo stesso, non confermandolo, con conseguente emanazione di un altro con contenuti e modalità di esecuzione differenti. Conseguentemente, se l ordine dovesse essere confermato, l inferiore si ritroverà a decidere se eseguirlo o meno in base ai principi di cui sopra. Ovviamente, l eventuale ordine che non debba essere eseguito immediatamente dà la possibilità al militare di rappresentare la questione ai propri superiori gerarchici ed, altresì, allo stesso superiore che ha impartito l ordine, magari anche per iscritto, ciò sempre rispettando la via gerarchica ai sensi dell art. 12 del Regolamento disciplina militare. Un ipotesi di particolare interesse che può, invece, integrare il reato di disobbedienza è quella del rifiuto del militare di sottoscrivere per presa visione le note caratteristiche redatte dai superiori gerarchici ed, altresì, di ogni comunicazione che interessa lo stesso, come, ad esempio, potrebbe essere quella avente ad oggetto la movimentazione del militare medesimo. Al quale proposito i Giudici Militari si sono pronunciati più volte, con conseguente conferma delle relative pronuncie anche in Cassazione (tra le tante v. Cass. Pen., Sez. I, 13 ottobre 1999, n e Cass. Pen., Sez. I, 1 marzo 1985, n. 2092). 7 di 18

8 3 Reato di rivolta ex art. 174 c.p.m.p. Al capo II troviamo i reati della rivolta dell ammutinamento e della sedizione militare, reati previsti e puniti dall art. 174 al 184 del c.p.m.p., dei quali verranno trattati di seguito solo alcuni di essi. Per quelli che non verranno presi in considerazione è, comunque, opportuna una lettura delle relative norme al fine di avere un quadro completo dei reati in argomento. Ai sensi dell art. 174 del c.p.m.p. è previsto e punito il reato di Rivolta. Tale reato è configurabile allorquando quattro o più militari riuniti pongono in essere le seguenti condotte: - mentre sono in servizio armato, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire ad un ordine di un loro superiore; - prendono arbitrariamente le armi e rifiutano, omettono o ritardano di obbedire all'ordine di deporle, intimato da un loro superiore; - abbandonatisi ad eccessi o ad atti violenti, rifiutano, omettono o ritardano di obbedire alla intimazione di disperdersi o di rientrare nell'ordine, fatta da un loro superiore. La rivolta è un delitto militare ben più grave della disobbedienza poiché, atteso che viene posto in essere in maniera collettiva e non, invece, individualmente. Per un organizzazione militare che si basa fondamentalmente sulla disciplina, tutto ciò può avere gravissime conseguenze e, pertanto, tale fattispecie criminosa va repressa energicamente. In proposito, si può notare la non lieve pena all uopo prevista per chi promuove, organizza e dirige la rivolta (reclusione militare non inferiore a 15 anni). 8 di 18

9 4 Reato di ammutinamento ex art. 175 del c.p.m.p. Ai sensi dell art. 175 del c.p.m.p., è previsto e punito il reato di ammutinamento. Tale reato è commesso da quattro o più militari riuniti che: - rifiutano, omettono o ritardano di obbedire ad un ordine di un loro superiore; - persistono nel presentare, a voce o per iscritto, una domanda, un esposto o un reclamo. Da una lettura della norma si può notare che l ipotesi delittuosa di cui al punto 1) consiste in un rifiuto, omissione o ritardo da parte di quattro o più militari armati ad un ordine impartito da un loro superiore, talchè in una forma di disobbedienza collettiva. per contro, l ipotesi delittuosa di cui al punto 2) è posta in essere quattro o più militari disarmati, che, simultaneamente, insistono nel presentare la stessa domanda, esposto o reclamo, presentandone altri ancor prima dell'eventuale rigetto dei precedenti da parte dei superiori; si tratta, quindi, di un episodio di indisciplina in cui i responsabili scelgono volutamente una linea di condotta intesa, non solo ad estorcere dai superiori una decisione favorevole ai loro interessi, ma anche a creare una situazione di caos pericolosa per la disciplina, motivo per cui sia prevista una pena più severa rispetto alla rivolta. Infine, va rilevato che il militare che sia presente, senza prendervi parte, ad una condotta tipica della fattispecie delittuosa dell Ammutinamento o della Rivolta, affinché lo stesso non risponda dei predetti reati, è necessario che usi tutti i mezzi in suo possesso per impedirne l'esecuzione oppure che informi immediatamente i superiori o le competenti autorità. Conseguentemente, il militare, che in siffatti casi resti inerte, verrà punito ai sensi dell art. 177 c.p.m.p. per omesso rapporto. 9 di 18

10 5 Reati della insubordinazione ex artt. 186 e ss. del c.p.m.p. la legge penale militare prevede e punisce ogni forma di violenza, di minaccia ed ingiuria dell inferiore verso il superiore, ciò sempre nell interesse esclusivo della disciplina e del servizio. Al riguardo, il militare che uccide o cagiona la morte di un superiore o usa violenza contro un superiore commette il reato di insubordinazione con violenza previsto e punito ai sensi dell art. 186 c.p.m.p.; commette, invece, il reato di insubordinazione con minaccia o ingiuria previsto e punito ai sensi dell art. 189 c.p.m.p., il militare che per, l appunto, minaccia o ingiuria un superiore in sua presenza, ovvero offende l'onore, il prestigio e la reputazione di un superiore in sua presenza, ovvero commette gli stessi fatti mediante comunicazione telegrafica o telefonica o con scritti o disegni diretti al superiore; per tale reato, eventuali moventi e finalità particolari sono del tutto irrilevanti, posto che la legge penale militare ha la finalità di improntare con un certo rigore la disciplina militare; al riguardo, i Giudici della Suprema Corte hanno precisato che costituisce offesa all onore ed al prestigio ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore ed anche il tono arrogante (che nel diritto penale comune non viene preso in considerazione), perché contrari alle esigenze ed alla disciplina militare per la quale il superiore deve essere tutelato, fra l altro, non solo nell espressione della sua personalità umana, bensì anche nell ascendente morale di cui ha bisogno per poter esercitare degnamente l autorità del grado e le funzioni di comando (Cass. Pen., sez. I, 30 gennaio 1990, n. 1172). La prefata fattispecie delittuosa è riconducibile nell orbita dei reati di pericolo e, pertanto, non è richiesta l intimidazione effettiva ma soltanto quella potenziale (Corte Mil. d Appello, 27 gennaio 1988, in Rass. Giust. Mil. 1988, 290). Per la configurabilità di tali reati, è, comunque, richiesta la volontà del soggetto agente di violare il rapporto di subordinazione di cui conosce l esistenza. Da qui deriva che il militare non risponderà dei reati in questione qualora ignori la qualità di superiore della vittima, stante, per l appunto, il venir meno della volontà dell'inferiore di violare il rapporto di subordinazione. In tale ipotesi, la condotta del militare andrà ad integrare i reati contro la persona. 10 di 18

11 Infine, va rilevato che la legge penale militare prevede e punisce la minaccia costrittiva ai sensi dell art. 190 del c.p.m.p.; in tale norma è prevista un aggravante qualora la minaccia è usata per costringere il superiore a compiere un atto contrario ai propri doveri, ovvero a compiere o ad omettere un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero per influire comunque sul superiore; ed, ancora, se il superiore offeso è il comandante del reparto o il militare preposto al servizio o il capo posto. 11 di 18

12 6 Dei reati dell abuso di autorità Il militare che uccide, o cagiona la morte di un inferiore, o usa violenza contro un inferiore, commette, per l appunto, il reato di violenza contro un inferiore previsto e punito ai sensi dell art. 195 del c.p.m.p. In tale norma sono disciplinati due tipi di violenza, una generica al 1 comma, ed un altra di maggior gravità al 2 comma, con conseguente diverso trattamento sanzionatorio. Trattasi, comunque, di fattispecie autonome di reato, nel senso che quello più grave non deve essere inteso come un reato circostanziato del primo. Il reato in questione è di tipo plurilesivo, atteso che viene offeso, oltre che alla vita e/o all integrità fisica del militare di grado inferiore, anche l interesse alla coesione, al servizio ed all ordine delle forza armate. Da ciò deriva, che il soggetto agente non dovrà rispondere, altresì, del reato di lesioni volontarie previsto e punito ai sensi dell art. 582 del c.p., essendo detto reato comune compreso da quello militare in discorso. Ai sensi dell art. 196 del c.p.m.p., è previsto e punito, invece, il reato di minaccia o ingiuria ad un inferiore. In tale norma troviamo due fattispecie di reato autonome, rispettivamente al 1 comma ed al 2 comma; la prima delle citate fattispecie delittuose è la minaccia ad inferiore, configurabile allorquando il militare, per l appunto, minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua presenza; la seconda, invece, è l ingiuria ad inferiore, configurabile allorquando il militare offenda l'onore, il prestigio e la dignità di un inferiore in sua presenza; a questo proposito, la Corte Militare di Appello ha precisato che anche il linguaggio informale, spesso utilizzato tra i militari, se ingiurioso, può configurare il reato in questione (Corte Militare di Appello, 11 novembre 1992, Brescia, in Rass. Giust. Milit. 1992, 260); ed, ancora, la Suprema Corte ha precisato che sussiste il reato anche in presenza di epiteti ed espressioni volgari, pur ormai di uso comune, a nulla rilevando eventuali finalità correttive di natura disciplinare (Cass., 19 marzo 2004). Ai sensi dell art. 146 del c.p.m.p., è prevista un altra fattispecie di reato autonoma di minaccia ad un inferiore, ovverosia una minaccia finalizzata a costringere quest ultimo a fare un 12 di 18

13 atto contrario ai propri doveri, oppure a compiere o ad omettere un atto contrario ai dovere del proprio ufficio. Al riguardo, si può rilevare che quest ultimo reato appartenga alla categoria dei reati contro il servizio militare e non, invece, a quella dell abuso di autorità anzidetta. Tale fattispecie delittuosa è punita più gravemente rispetto a quella di cui all art. 196, comma 1, c.p.m.p.., laddove è prevista e punita la condotta del superiore che minaccia solo un ingiusto danno all inferiore, sicchè i beni giuridici tutelati sono la libertà individuale del militare e l interesse alla coesione, al servizio e all ordine delle forze armate. Ai sensi dell art. 146 c.p.m.p., invece, è prevista e punita la minaccia di un ingiusto danno finalizzata ad una costrizione dell inferiore nei termini testè descritti e, perciò, oltre alla tutela dei beni giuridici sopracitati, ricorre la tutela di quello del servizio militare. Conseguentemente, anche tale reato è plurilesivo. 13 di 18

14 7 La provocazione La legge penale militare, così come quella comune, prevede l istituto della provocazione. Ai sensi dell art. 228, comma 1, del c.p.m.p. (rubricato Ritorsione. Provocazione), è previsto che, in riferimento al reato di ingiuria ex art. 226 del c.p.m.p., se le offese sono reciproche, il Giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori; al secondo comma, invece, è previsto che, in riferimento al reato di ingiuria citato ed a quello di diffamazione ex art. successivo, il soggetto agente non è punibile qualora detti reati siano commessi nello stato d ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso. Per la legge penale comune dispone, al riguardo, l art. 599 del c.p., rubricato in maniera perfettamente identica all art. 228 di cui sopra. In tale norma si fa riferimento, ovviamente, ai reati comuni di ingiuria ed alla diffamazione previsti e puniti rispettivamente ex artt. 594 e 595 del c.p. Ritornando alla norma penale militare, si può rilevare che che la provocazione si riferisce al reato di ingiuria ex art. 226 del c.p.m.p. (la così detta ingiuria reale), ovverosia uno dei reati speciali contro la persona e non, invece, al reato di ingiuria ex art. 196, comma 2, del c.p.m.p., collocato nel titolo dei reati contro la disciplina militare. Pertanto, la scriminante non assume rilievo in riferimento ai reati in cui il bene giuridico primario tutelato è il rapporto gerarchico, come, per l appunto, avviene con il reato di cui all art. 196, comma 2, del c.p.m.p., laddove la tutela dell onore della persona viene assorbita dal predetto bene primario. In tale ipotesi di reato, pertanto, la condotta della minaccia ad inferiore, seppur posta in essere a seguito di una provocazione avente ad oggetto un ingiuria (sia ex art. 196, comma 2, che ex art. 226 del c.p.m.p.), non verrà scriminata. Ma ciò non vuol dire che la provocazione sia in questi casi del tutto irrilevante. Al riguardo, infatti, ai sensi dell art. 198, del c.p.m.p., è prevista, un attenuante per i reati riconducibili all insubordinazione ed all abuso di autorità, che poi è la stessa contemplata nel c.p. all art. 62, n. 2, con l unica differenza che la prima comporta una maggiore riduzione di pena ed, altresì, che la reazione avvenga subito dopo il fatto ingiusto del superiore o dell inferiore. 14 di 18

15 8 Cause estranee al servizio o alla disciplina militare in riferimento ai reati della insubordinazione e dell abuso di autorità Ai sensi dell art. 199 del c.p.m.p. è previsto che le disposizioni relative ai reati della insubordinazione e dell abuso di autorità non trovano applicazione quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare. Pertanto, in virtù di tale norma troverà applicazione la tutela penale relativa ai reati di insubordinazione e dell abuso di autorità allorquando ricorrerà una lesione della disciplina e del rapporto gerarchico. Per contro, troverà applicazione la tutela penale relativa ai reati contro la persona (ex art. 222 e ss. del c.p.m.p.), meno severa rispetto alla prima, e cioè in caso di lesione della persona del militare in quanto tale e, quindi, al di fuori dell orbita dell interesse del servizio o della disciplina. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 22 del 24 gennaio 1991 ha dichiarato incostituzionale la norma in argomento nella parte in cui si faceva riferimento, per l applicabilità della norma stessa, al militare che non si trovasse in servizio in luoghi militari. Prima di siffatta pronuncia di incostituzionalità, infatti, trovava applicazione la tutela penale più severa anche nel caso in cui un militare, in luogo militare, ma che non si trovasse in servizio, ponesse in essere, ad esempio, una condotta di ingiuria nei confronti di un altro militare (ciò sia da superiore ad inferiore che viceversa) per motivi privati e/o personali. Ad avviso della Consulta, in questi casi manca, o è assai evanescente, un obiettivo di natura militare, per risultare il reato collegato in modo del tutto estrinseco all area del servizio o della disciplina. Non vi è, quindi, un coinvolgimento di interessi ed obiettivi militari. Resta, però, l applicabilità della tutela penale più severa citata nei casi in cui il militare, non in servizio, ponga in essere le condotte criminose in discorso a bordo di aeromobile militare o di 15 di 18

16 nave militare, avendo, la Consulta, per l appunto, espunto dalla norma de qua solo la parole luoghi militari. Da una lettura della norma, si può, quindi, rilevare che la tutela penale più severa trova sempre applicazione allorquando il militare agente si trovi in servizio, nonché in tre casi particolari ancorchè non si trovi in servizio, ovverosia se a bordo di navi o aeromobili militari ed, infine, qualora la sua condotta venga posta in essere nei confronti di militari riuniti per servizio. Potrebbe, ad esempio, ravvisarsi quest ultimo caso allorquando un militare non in servizio minacci un carabiniere alla presenza di un altro militare, ciò sia nell ipotesi in cui il soggetto agente sia un superiore od inferiore rispetto al carabiniere stesso. Da qui deriva, che per le condotte di insubordinazione e di abuso di autorità poste in essere dal militare in servizio, oppure non in servizio se a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare, o nei confronti di militari riuniti per servizio, troverà applicazione la tutela penale speciale in discorso; pertanto, in questi casi la lesione alla disciplina ed al servizio è in re ipsa, nel senso che non è richiesta alcuna prova al riguardo, in quanto, in siffatte circostanze, è sempre e comunque ravvisabile la predetta lesione. In ragione di quanto fin qui esposto e rilevato, si può fare una importante considerazione e cioè la mancanza di una tutela efficace contro i fenomeni del nonnismo, ed oggi anche del mobbing, laddove ad essere violati sono i diritti inviolabili della persona, come l onore e l integrità fisica. In questi casi, infatti, per le eventuali condotte di abuso di autorità poste in essere dal superiore nei confronti dell inferiore, allorquando, sia il primo che i secondi, si trovino fuori servizio, ed ancorchè in luoghi militari, troverà applicazione la tutela penale meno grave. Al riguardo, si può fare l esempio del superiore che, trovandosi all interno di un bar militare insieme a degli inferiori, minacci a a costoro di non concedere più permessi se non utilizzeranno i video giochi ivi presenti senza la sua autorizzazione. In questi casi, in ragione di quanto previsto dalla normativa vigente (art. 199 del c.p.m.p.), sarà configurabile il reato di minaccia di cui all art. 229 del c.p.m.p. e non, invece, quello più grave previsto e punito ai sensi dell art. 196, comma 1, del c.p.m.p. 16 di 18

17 Tutto ciò non è di poco conto, dato che il differente trattamento sanzionatorio all uopo previsto non è fine a se stesso, ma comporta, altresì, conseguenze non di poco conto in punto di procedibilità ai sensi dell art. 260 del c.p.m.p., argomento per cui si dirà meglio più avanti. Per ora è sufficiente accennare, che ai sensi di tale norma, per i reati punibili con una sanzione penale fino a sei mesi, l esercizio dell azione penale sia subordinata alla richiesta del Comandante di Corpo, o di altro Ente superiore, da cui dipende il militare colpevole; e che siffatta richiesta debba essere proposta entro il breve termine di trenta giorni dal momento in cui l Autorità competente viene a conoscenza del fatto di reato. Da qui deriva, che l inutile decorso di questo breve periodo, per un motivo o per un altro, precluderà all Autorità Giudiziaria Militare l esercizio dell azione penale nei confronti del militare colpevole, con il conseguente venir meno della tutela dei diritti (peraltro inviolabili) della persona offesa. Come si vedrà meglio più avanti, in tali ipotesi, il responsabile del fatto costituente reato potrà essere punito penalmente o disciplinarmente in base a quelle che saranno le determinazioni del Comandante di Corpo, il quale, per l appunto, potrà decidere se far processare penalmente il responsabile del fatto oppure se definire la vicenda con l adozione di una sanzione disciplinare. Applicando questi principi ai reati innanzi citati della minaccia previsti dagli artt. 229 e 196, comma 1, del c.p.m.p., ed in riferimento agli episodi di nonnismo, deriva quanto segue. Nel caso di minaccia ex art. 229 del c.p.m.p., il militare vittima del reato non potrà adire di sua sponte l Autorità Giudiziaria affinchè il responsabile venga processato, stante il disposto di cui all art. 260 del c.p.m.p. anzidetto; per contro, nel caso di minaccia ex art. 196, comma 1, del c.p.m.p., potrà adire direttamente l Autorità Giudiziaria, informandola, con un esposto, di quanto accaduto. Per quanto sopra, ed in conclusione, è, quindi, evidente che l ordinamento militare non appresti una protezione adeguata ad alcuni diritti inviolabili della persona, come l onore e l integrità fisica, stante, per l appunto, la tutelabilità tramite reati perseguibili a richiesta; e, per l effetto, non 17 di 18

18 prevede degli strumenti efficaci per il fenomeno del nonnismo, ed oggi anche del mobbing, atteso che, per detti fenomeni, ad essere lesi sono i citati diritti inviolabili della persona. E, pertanto, auspicabile un intervento del legislatore affinchè i diritti inviolabili del militare ricavano un adeguata tutela e/o protezione. 18 di 18

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