Codice Deontologico: a prova di bomba?
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- Annibale Gigli
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1 Codice Deontologico: a prova di bomba? Il nostro Codice Deontologico, soprattutto per temi come il consenso informato o il segreto professionale, è uno strumento fondamentale per il nostro lavoro quotidiano. Giovedì 17 dicembre 2015 si è svolta la Conferenza Nazionale delle Commissioni Deontologiche: una cinquantina di colleghi dall Italia intera, tutti membri di commissione. Avvincente l idea di potersi incontrare per discutere di alcuni temi fondanti la nostra professione! La professione è una. L incontro è stato organizzato dal Consiglio Nazionale, e in particolare dall Osservatorio sulla Deontologia, con lo scopo di non si è capito esattamente. L Osservatorio si occupa di confrontare le prassi delle varie Regioni (si stanno raccogliendo decisioni e delibere), con l idea di trovare azioni condivise sul territorio nazionale: sembra un ottima cosa, perché è iniquo pensare che il trattamento dei singoli colleghi possa cambiare a seconda della Regione di appartenenza. In realtà, è stata in generale una riunione con molti impliciti e troppo poco tempo per sviscerare le questioni. Ma da qualche parte, forse, bisogna pur cominciare, sperando che le esperienze fatte servano per il futuro. Andiamo al sodo. Il Presidente Nazionale Giardina ha annunciato che nel 2017 ci verrà proposto per l approvazione tramite referendum un nuovo Codice Deontologico, revisionato non per singoli articoli, bensì nella sua intera struttura. Dobbiamo metterci al passo con i tempi e creare un documento che possa durare per i prossimi 20 anni.
2 Inizialmente penso Sarebbe bellissimo! E qualche ora dopo aggiungo ma se le premesse sono quelle di stamattina, la vedo molto in salita. Deriva giuridica in vista? Tra diversi argomenti introduttivi, il Presidente Giardina ha proseguito con un preambolo che è un dato di realtà: nei procedimenti deontologici non abbiamo un secondo grado di giudizio, che invece è svolto dal Giudice Ordinario; costui amministra i fatti, e non ha polso sulle questioni deontologiche. Questo è uno dei motivi a causa dei quali a volte succede che una sanzione deontologica venga annullata o diminuita, perché gli strumenti e i linguaggi di valutazione sono diversi. Questa mera considerazione, però, è sembrata in seguito un involontaria anticipazione di ciò che in seguito è accaduto: una vera e propria deriva giuridica nei pensieri della maggior parte dei colleghi presenti a discutere dell articolo 31, quello sul consenso informato con i minori. Ritorno al passato? Ecco: mi sono sentita come se qualcuno mi avesse detto siamo tornati a quando la Terra era piatta. Sarà perché il gruppo era coordinato da un avvocato ed ex magistrato? Non possiamo immagine che lo stile di conduzione di un gruppo sia ininfluente sui pensieri che vengono prodotti, e io ho avuto la sensazione che tra noi colleghi non riuscisse a esserci un confronto sincero ed esaustivo. Come può una categoria professionale non solo accettare, ma promuovere una cosa del genere? Un avvocato può essere un nostro consulente, può avere un ruolo considerevole all interno di una commissione, ma non può esprimersi in prima battuta su questioni deontologiche. Si tratta, infatti, di una contraddizione di termini. La deontologia è del
3 professionista, di colui che esercita una professione, che la vive addosso e che da essa si fa guidare. L ordinamento giuridico è certamente sovraordinato secondo la gerarchia delle fonti, ma ciò non significa che l etica professionale debba esservi subordinata nella sua declinazione pratica. Solo questione di moduli? Mi infiammo perché penso a tutti i miei maestri di deontologia: colleghi dal cui lavoro ho tanto imparato, o con i quali ho lungamento discusso e ancora lo faccio di questi temi; la lettura alcuni testi sacri ; gli studenti a cui insegno in università. Ciascuno di questi mi ha offerto qualcosa di nuovo. Qualcosa che non mi fa accontentare quando un collega, parlando del consenso informato con i minori, mi dice che i genitori hanno firmato il modulo. Ma quale modulo? Qualcuno si nasconde dietro a un modulo per paura di una segnalazione, magari. Ma quel qualcuno si è preoccupato innanzitutto di quanto quegli stessi genitori abbiano compreso del lavoro che farà con il loro figlio? Noi sappiamo che la relazione con la persona è un vero strumento di lavoro, e quanto il mondo interno di un bambino o di un adolescente sia influenzato dai genitori reali e interiorizzati. Non sono affatto persuasa come l avvocato ha sostenuto che questi temi riguardino soltanto l articolo 3 o il 5 del nostro Codice Deontologico, e che il 31 vada letto esclusivamente come emanazione del dettato di articoli come il 155 cc, di fatto largamente assorbito dal 337 cc.
4 Il consenso informato non è informazione e basta, proprio perché per sua natura legato all art. 24 CD. Non è una firma. E nemmeno un modulo fotocopiato. E un processo che si snoda, dai confini difficili da definire in modo netto, da declinare di volta in volta in funzione di chi ci sta di fronte e del contesto in cui siamo. La sua complessità è immensa: basti pensare a tutti gli ambiti in cui ci troviamo, come professionisti, a lavorare con minori; scuole, studi privati, servizi pubblici, servizi di prossimità, consulenze tecniche, etc. Prendiamoci la responsabilità di quello che facciamo: io lo considero un valore, non uno spettro. Siamo soggetti attivi del nostro operato, e il Codice Deontologico è un vero e proprio strumento. Dalla paura della segnalazione al lavoro con professionalità. Non puntiamo l attenzione sul pericolo di essere segnalato, anziché sul valore aggiunto di poter lavorare con professionalità; non preoccupiamoci di ragionare su un articolo del codice dando la precedenza al timore di un ricorso in sede civile; non anteponiamo il parere di un avvocato alla profondità del pensiero sulla professione. Pensare che il nostro obiettivo sia già contenuto negli strumenti che utilizziamo per raggiungerlo questo rischia di farci perdere in partenza. Spero veramente che i lavori dell Osservatorio possano procedere in una direzione più tridimensionale di quella che a tratti mi è stata mostrata giovedì. Io ne ho una gran voglia, e lo stesso ho sentito da parte di molti altri. Spero che i colleghi presenti possano ascoltare gli avvocati coinvolti, ma considerandoli un di più, e non i detentori di un sapere che è altro dalla nostra professione.
5 Spero che ciascun professionista possa credere in se stesso e nella forza della nostra comunità, anziché arrendersi subito al giuridichese di qualcun altro. I figli del Podestà (riflessioni di uno snob) SI, LO AMMETTO: SONO UNO SNOB. Per esempio, trovo spaventoso che qualcuno pensi che un discorso si spiaccichi come un cono gelato su un muro (e non si spiccichi, che è diverso), e se qualcun altro parla di un arresto in fragranza (invece che in flagranza) penso a una rapina in una panetteria. E più forte di me. Quando poi c è una sanzione da irrogare mica è come erogare la benzina dal distributore, non ci si deve confondere. Ognuno ha i suoi difetti, c è chi beve, chi fuma, chi tradisce la moglie. Io mi irrito con chi sbaglia le parole, e i concetti. LICENZE PO(D)ETICHE? Figuriamoci quando incappo in un testo ufficiale dell Ordine Psicologi Campania, a firma dell ex presidente Raffaele Felaco, oggi responsabile della comunicazione del CNOP nientepopòdimeno! uomo di cultura e di una simpatia tutta napoletana, che così recita:
6 Quando si incontra un paziente per la prima volta, è necessario compilare il modulo di Consenso Informato. Per i minori, è necessario che il Consenso Informato sia firmato da chi ne ha la podestà. Nel caso di genitori coniugati, è sufficiente una sola firma. Nel caso invece di genitori separati, bisogna essere certi di chi ha la podestà. Se essa è affidata dal Tribunale in via esclusiva ad un genitore, basta la sua sola firma, se invece la podestà è condivisa sono necessarie le due firme. [Qui la newsletter inviata a tutti gli psicologi campani] PREMESSA: IL CONSENSO INFORMATO. Per non essere insultato, con buone ragioni eviterò i dettagli, anche se già la pelle d oca mi viene vedendo che il consenso informato viene riportato con le lettere maiuscole, come un nome proprio. O per dargli l importanza che merita, come Consenso ma anche perché splendidamente Informato? Vediamo se è così. PUNTO PRIMO: IL CONSENSO DISINFORMATO. Valeria La Via, una delle massime esperte di deontologia in Italia, ci ricorda che il consenso informato non è anzitutto un modulo. Se avete già notato che informato è un participio passato, questo ha due conseguenze: primo, si capisce che siete snob quanto me; e secondo, ci ricorda sempre La Via, significa che prima si deve dare l informazione, poi, e solo dopo essersi assicurati che l interlocutore abbia capito, si raccoglie il consenso. Può anche darsi che ci voglia del tempo per spiegare cosa facciamo, magari più di un colloquio. Il concetto è: il consenso informato non è necessariamente un modulo, ma sicuramente è un atto professionale. Di sicuro non ci si precipita a far firmare niente, a meno che complice la crisi del mercato si punti a piazzare un enciclopedia o un assicurazione vita al malcapitato. L unica firma obbligatoria è quella per il trattamento dei dati, ma quella è un altra storia.
7 PUNTO SECONDO: QUANTI GENITORI SERVONO PER AVERE UN CONSENSO? Qui, il testo è meraviglioso, per quanto errato, anzi erratissimo. L articolo 31 parla chiaro: ci vogliono le firme di entrambi i genitori. E l articolo 31 è proprio quello che porta più colleghi inconsapevoli, non necessariamente lettori appassionati della prosa felachiana, davanti alla Commissione Etica. Ma il testo è comunque meraviglioso. Cosa dice, infatti? Che in fondo, al di là di ogni burocrazia, dell immutabilità sorda e un po idiota delle regole, se le persone si vogliono bene, se due sono coniugati e sereni, che bisogno hai tu, psicologo, di mettere il dito tra moglie e marito? Metti che a stare a guardare se sono d accordo a mandare il bambino dallo psicologo quelli si mettono a litigare No, no! Di firma ne basta una! Certo. Ne basta una, almeno finché qualcuno ti segnala all Ordine. E allora lì sono guai, dopo che proprio Felaco, ex presidente dello stesso ordine che ti dovrebbe giudicare, ti ha convinto a perpetrare l errore. E se i genitori sono separati? Lì c è il capolavoro. Solo un triste leguleio come me ci direbbe che ci sono tre diversi concetti collocamento, affidamento e responsabilità genitoriale, già patria potestà. Già. Ma potestà o podestà? Qui la critica si divide TERZO PUNTO: I FIGLI DEL PODESTA. Il Podestà (sostantivo maschile, maiuscolo) era un alta carica nel Medioevo, rispolverata in epoca fascista; viceversa la potestà prima patria fino al 1975, e poi genitoriale fino a un paio di anni fa, perché mica è solo del papà adesso si chiama responsabilità genitoriale. L affidamento esclusivo a uno dei due coniugi a seguito di una separazione non fa decadere dalla responsabilità genitoriale (cosa abbastanza rara). E QUINDI? CONTINUANO A VOLERCI DUE FIRME. Ma anche qui, perché insistere, sembra dirci Felaco? Se i due non si vedono, non si
8 amano più, che vuole il fedifrago che vive fuori casa, certamente nel peccato e magari con una giovanissima di costumi discutibili? Il minimo è punirlo, e dirgli: la Tua firma, amico mio, non vale più, e se il Tuo bambino va dallo psicologo, beh, sono fatti suoi. In ogni caso, tra podestà e potestà, l etimo è sempre lo stesso: potestas, potere. Quando si ha il potere di comunicare, però, occorrerebbe metterci la testa: niente di più pericoloso che scindere testa e potere, e infatti si torna in un solo istante al Podestà di medievale memoria. Almeno nel magico mondo di Raffaele, responsabile della comunicazione del Consiglio Nazionale dell Ordine degli Psicologi ed ex presidente dell Ordine Campania. La Psicologia Scolastica vista da fuori Sulla questione della psicologia scolastica vorrei offrire il punto di vista del giurista. Svolgo infatti la professione di Avvocato dello Stato, fra le cui funzioni rientra la consulenza giuridica alle istituzioni scolastiche statali. Opero in un distretto molto popoloso di scuole statali (sono oltre 700). Da anni mi occupo di formazione per i dirigenti scolastici a livello nazionale, per conto del Ministero della Pubblica Istruzione e della sua Agenzia di formazione (Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell Autonomia Scolastica). Le questioni che i dirigenti scolastici pongono attengono sempre più spesso alle relazioni scuola-genitori ed alle molte implicazioni giuridiche di tali relazioni: fra queste rientra la corretta gestione di iniziative di ascolto e di consulenza coinvolgenti gli alunni, nella misura in pongono problemi
9 circa l espressione del consenso dei genitori alla fruizione di esse da parte degli studenti minorenni, circa la ricaduta privacy di tali iniziative, circa la divisione delle competenze fra i docenti e gli altri consulenti esterni chiamati ad operare all interno della scuola. Tralasciando la questione dell esercizio abusivo della professione (di rilievo penale, ex art 348 c.p.), penso che occorra comunque prendere atto che nella professione psicologica è più difficile almeno nella percezione comune, non tecnica tracciare il confine tra le attività che rientrano nella definizione dell art. 1 della Legge n. 56/89 e che per ciò sono riservate allo psicologo e quelle che non lo sono. L ascolto e la funzione di aiuto alla persona sono elementi necessari della professione dello psicologo ma non sono certamente caratterizzanti, dal momento che sono presenti istituzionalmente in molte altre professioni (ad es. in quella di avvocato) ed anche nella professione del docente. L affollamento di professioni e professionisti che insiste sulla medesima relazione (principalmente quella tra scuola ed alunni e tra scuola e genitori) con la medesima finalità (il complessivo benessere dell alunno) rende particolarmente difficile per il dirigente scolastico la distinzione fra scopi e ruoli rispettivi, in un contesto nel quale spesso i docenti esprimono una naturale resistenza all accettazione dell intervento psicologico, dichiarato come tale, per la paura di un eccessiva medicalizzazione della relazione con lo studente. D altro canto, le scuole sono sempre più costrette in ogni ambito della loro azione a prendere decisioni rapide (a partire dal D.P.R. n. 275/1999 si è riversata sulla scuola statale, ad organico invariato, una quantità incredibile di funzioni amministrative in precedenza svolte dai Provveditorati agli studi): non è funzionale per loro distinguere le azioni soltanto in base agli strumenti utilizzabili o utilizzati dal consulente esterno, in modo da
10 riservare agli psicologi gli interventi che comportano l uso di strumenti di tipo psicologico, appunto. Le scuole tuttavia hanno due esigenze, che corrispondono ad altrettanti doveri giuridici di comportamento. E sono molti, a mio parere, i dirigenti scolastici che ne sono consapevoli. Da un lato c è un esigenza di trasparenza interna, sul piano organizzativo: essa impone chiarezza nella definizione dei ruoli, dei compiti, delle responsabilità e dei reciproci confini delle persone che operano nella scuola, siano esse dipendenti, siano collaboratori esterni. Ciò significa chiarezza già nel contratto di conferimento dell incarico al collaboratore esterno e nettezza nella gestione del coordinamento di questo con il personale della scuola o con altri collaboratori esterni. Dall altro lato, c è un esigenza di trasparenza esterna, sul piano della relazione scuolafamiglia: essa impone la necessità di informare i genitori e gli alunni (questi soprattutto nella scuola superiore) circa la propria azione, sia quella didattica, sia quella ad essa strumentale, alla quale appartengono le mille iniziative di aiuto, sostegno e supporto agli alunni, ma anche ai genitori ed ai docenti. La legge prevede due documenti aventi lo scopo di contenere e diffondere tali informazioni: si tratta della Carta dei servizi scolastici (art 11, D.Lgs. n. 286/1999 e D.P.C.M. 7 giugno 1995, da intendersi ancora in vigore per effetto della previsione contenuta nell ultimo comma del predetto art. 11) e del POF cioè il Piano dell offerta formativa (art. 3 D.P.R. n. 275/1999), i quali nell insieme devono dare conto alle famiglie ed alla collettività delle iniziative di tipo didattico, ovviamente, ma anche educative ed in generale di servizio che la scuola si determina ad offrire. Il fatto che la scuola pubblica possa discrezionalmente e unilateralmente decidere il contenuto e le modalità di erogazione del servizio scolastico, prescindendo dal consenso dei genitori (da ultimo. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Ordinanza 05/02/2008 n. 2656), non significa negare il diritto di questi ad una informazione chiara,
11 precisa e comprensibile delle iniziative programmate dalla scuola, delle loro finalità e natura, dei professionisti coinvolti e della tipologia di strumenti potenzialmente utilizzabili. La questione del ruolo e delle funzioni dello psicologo a scuola può allora essere aiutata, a legislazione invariata, dalla tipizzazione degli interventi che le istituzioni scolastiche sono solite attivare. Esemplificando, le scuole primarie si occupano prevalentemente di disturbi specifici di apprendimento (DSA); le scuole superiori di disagi adolescenziali, dipendenza da droghe, alcool, ecc. attraverso l attivazione dei Centri di informazione e consulenza (CIC) di cui all art. 106 del D.P.R. 309/1990. Tutte si occupano di prevenzione del bullismo. Tutte dovrebbero occuparsi degli aspetti psico-relazionali dell organizzazione del lavoro (a cominciare dalla rilevazione dei rischi psico-sociali) imposta dalla corretta applicazione del D.Lgs. n. 626/1994. Sarebbe allora utile individuare delle tipologie ricorrenti di intervento per ordine di scuola, aiutando le stesse ad utilizzare -necessariamente in tali ambiti tipizzati uno psicologo, con esclusione per la parte di stretta competenza professionale di altre professioni, ivi inclusa quella docente. Ciò non significherebbe certo escludere i docenti dalla relazione con lo studente o con la sua famiglia, ma riporterebbe l attività di questi nell alveo di quella professione, creando con essa opportune sinergie professionali ed evitando possibili sconfinamenti reciproci. Il tutto sul presupposto che in tali interventi l attività di sostegno alla persona che ne costituisce la premessa si qualificherà come psicologica, essendo diretta alla predisposizione e gestione di percorsi di prevenzione o di recupero da situazioni di disagio ed intrecciandosi inesorabilmente con la descrizione e la valutazione di personalità così da sfociare quindi in una diagnosi
12 psicologica. L uso deciso dell aggettivo psicologico sin dalla fase di ideazione degli interventi in questione, inoltre, aiuta ad evitare ambiguità a cascata circa la natura dell intervento. La chiarezza dei destinatari degli interventi (personale, genitori, alunni) e la chiara declinazione dei reciproci obblighi e responsabilità nel testo contrattuale tra scuola e professionista psicologo è inoltre idonea ad aiutare l applicazione di doveri anche deontologici quali quelli derivanti dall obbligo per lo psicologo di chiarire la natura e la finalità dell intervento al destinatario della prestazione ogniqualvolta questo sia diverso dal committente e di acquisire il consenso dei genitori in caso di destinatario della prestazione minorenne. Il tutto, attraverso linee di azione che aiutino anche alla corretta gestione in termini privacy degli interventi, tenendo conto che, se da un lato la natura pubblica delle istituzioni scolastiche esonera le stesse dalla richiesta del consenso (al trattamento dei dati personali) da parte di studenti e genitori (art 18 ss D.Lgs. 196/2003), dall altro lato l appartenenza della professione psicologica alle professioni sanitarie impone allo psicologo di richiedere ed ottenere il consenso informato degli interessati anche ai fini prvacy (art 75 ss D.Lgs. 196 e art 31 del Codice deontologico). Si potrebbe poi fare di più: entrando maggiormente nei dettagli del tipo di intervento, si aiuterebbero le scuole a scegliere tra le varie professionalità psicologiche quella più adatta all intervento stesso (aiutandole a distinguere ad esempio la specificità della competenza dello psicologo dell età evolutiva da quella dello psicologo del lavoro). Sarebbe una linea di azione che andrebbe a vantaggio della categoria, ma soprattutto dei destinatari degli interventi. Infine, persino la nota autoreferenzialità del contesto
13 scolastico può divenire una risorsa: vista in positivo, questa auroreferenzialità aiuta la circolazione interna delle informazioni e delle medesime buone pratiche. Un esempio di circolazione fattiva in questo senso è la piattaforma di formazione in servizio rivolta ai Dirigenti scolastici (www. Indire.it area Formazione per dirigenti scolastici Gestire la scuola e a breve area FORdirigenti ). Una collaborazione stretta tra organismi a rilevanza pubblica, strutture centrali e periferiche della scuola e Ordine professionale, potrebbe innescare un gioco a somma maggiore di zero per tutti gli attori. Forse più e meglio di qualche sporadico intervento normativo. E comunque nella sua attesa. Avv. Laura Paolucci
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