Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari

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1 Il decoro dell edificio non è propriamente un bene comune, ma ancora più dei beni che per loro natura o per accordo delle parti sono comuni, è l Elemento caratterizzante e qualificante l edificio: struttura, linee, fisionomia esterne del fabbricato, quasi al pari del singolo appartamento, inducono i soggetti all acquisto di una proprietà in un determinato edificio. E proprio l esigenza di tutelare la dignità del fabbricato in qualunque forma essa si manifestiha indotto il legislatore, soprattutto della Riforma, ad imporre il divieto della sua alterazione, se non in determinati casi. La recente sentenza della Corte di Cassazione del n offre lo spunto per approfondire ancora una volta tale argomento: perché a prescindere dal significato attribuito in generale al termine decoro, l esatta individuazione del momento in cui esso in concreto - viene alterato rimane estremamente difficoltosa. Costituisce ius receptum la definizione di decoro che da decenni viene ripetuta dalla unanime giurisprudenza di legittimità e di merito, testualmente l insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali che costituiscono le note uniformi dominanti ed imprimono alle varie parti dell edificio stesso, nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria ed armonica, e dal punto di vista architettonico una certa dignità, più o meno pregiata e più o meno apprezzabile, ( Cass. civ n Cass. Civ n Cass. civ. n n. 8731). Armonia di linee, equilibrio strutturale così come realizzate dal costruttore costituiscono decoro dell edificio e gli attribuiscono un preciso valore, anche economico, e una precisa dignità, indipendentemente da un suo eventuale pregio estetico. Il divieto della sua alterazione disciplinato nelle fattispecie previste dagli articoli 1117 ter, 1120, 1122 e 1122 bis del Codice civile è stato ormai, dalla giurisprudenza unanime, esteso, anche alle ipotesi di opera effettuata per il miglior uso delle cose comuni e quindi con le finalità di cui all'art c.c 1. Lesione di decoro architettonico si ha secondo la prevalente giurisprudenza di merito e di legittimità - quando si verifichi una obiettiva disarmonia nell insieme, senza che essa assurga a deturpazione. 1 Ogni condomino, nel caso in cui il cortile esclusivo o comune sia munito di recinzione confinante con area pubblica o altra area dello stesso condominio, può apportare a tale recinzione, se di proprietà condominiale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all'apertura o all'ampliamento di un varco di accesso al cortile condominiale o alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non alteri la destinazione del muro e delle altre cose comuni, non comprometta il diritto al pari uso e non arrechi pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e decoro architettonico del fabbricato (Cassazione civile, sez. II, 03/06/2015, n e conforme Cass. Civ n )

2 Affinchè possa ritenersi alterato il decoro, è però necessario esaminare diversi aspetti: l epoca del fabbricato, il suo pregio estetico, l aspetto armonico, l entità della lesione, la sua collocazione - se sulla facciata interna od esterna l esistenza di un deprezzamento e - non ultimo, in caso affermativo, l utilità dell opera rispetto alla lesione. I confini degli elementi che qualificano il decoro si sfumano quindi, ed è evidente, nel momento in cui in concreto sia necessario accertare l esistenza o meno di una lesione: ad una interpretazione rigorosa e restrittiva che riconosca alterazione in ogni mutamento dell edificio, corrisponde una altrettanto legittima interpretazione estensiva che la individui solo in quei mutamenti che compromettano e turbino in modo appariscente l edificio. Sul punto possono citarsi diverse sentenze, e, tra le più recenti, la Cass. Civ n Cass. Civ n Cass. Civ n Cass. Civ n n E l accertamento della lesione viene effettuato, caso per caso, dal Giudice del merito, il cui apprezzamento, se congruamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità. Oltre quindi alla difficoltà, di attribuire un valore univoco e oggettivo al significato di decoro ed alla correlativa esistenza o meno di una sua alterazione, ogni valutazione è rimessa al magistrato, il cui giudizio, per la materia trattata, è inevitabilmente caratterizzato da una certa dose di soggettività, oltretutto insindacabile. Al fine di impedire tutto ciò è ben possibile e, opportuno - che il regolamento del condominio, ovviamente di natura contrattuale, preveda una precisa definizione di decoro e soprattutto individui specificamente gli elementi indispensabili, la cui violazione determina alterazione. 2 Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittima l'installazione di una canna fumaria che percorreva tutta la facciata dell'edificio condominiale, così da pregiudicare l'aspetto e l'armonia del fabbricato) ( Cass. Civ n ). 3 In tema di condominio negli edifici il pregiudizio economico è una conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata - in quanto di per sé meritevole di salvaguardia - dalle norme che ne vietano l'alterazione (Cassazione civile, sez. II, 23/05/2012, n. 8174). 4 In tema di condominio, negli edifici, costituisce alterazione del decoro architettonico dell'edificio, ossia lesione dell'estetica dello stabile, la trasformazione di un balcone, o di una terrazza, in una veranda praticata tramite l'installazione di vetri e di una struttura in alluminio. E' nozione comune, infatti, che una simile operazione alteri, ossia peggiori, la sagoma dello stabile sicché per considerarla legittima è necessario dimostrare la mancanza di alterazione del decoro dell'edificio ( Cassazione civile, sez. II, 04/12/2013, n ). 5 Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione (Cassazione civile, sez. II, 06/10/2014, n ).

3 La prevalente giurisprudenza peraltro- è orientata a riconoscere, nell ambito del legittimo esercizio della autonomia privata, la piena validità di norme che deroghino o integrino la disciplina legale, attribuendo al decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art c.c., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva ( Cass. Civ n Cass. civile, sez. II, 17/06/2015, n ). Si attribuisce in tal modo un autonomo valore alla nozione di decoro, sottraendolo ad ogni valutazione, anche minima, di carattere soggettivo, attinente alla sua alterazione, perché ogni violazione delle norme fissate dal regolamento sarà oggettivamente illegittima. La pronuncia in esame riportata per esteso in calce al presente commento - conferma proprio tale assunto: essa rigetta il ricorso proposto e conferma la sentenza della Corte d Appello di Napoli del che, in considerazione dell esistenza nell edificio di un regolamento - contrattuale che limitava le innovazioni oltre la previsione dell art c.c. - vietando anche quelle opere incidenti sulla sola uniformità esteriore dei singoli fabbricati - aveva condannato i convenuti ad abbattere il vano realizzato nella loro contigua proprietà che, per le sue dimensioni, modificava la sagoma dell edificio stesso. Il regolamento, nello specifico, precludeva ai condomini di realizzare, in assenza di autorizzazione assembleare, qualsiasi lavoro che potesse interessare comunque oltre all estetica anche l uniformità esteriore dei singoli fabbricati. La Corte di Appello si è quindi astenuta dall accertare l esistenza in concreto di una alterazione del decoro, limitandosi ad esaminare ed interpretare la clausola contrattuale. Accertata, per le dimensioni del vano realizzato, la violazione della norma del regolamento ha 6 Qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che modifichino l'architettura, l'estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione di decoro architettonico formulata dall'art c.c., ma recepisce anche un autonomo valore nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione è qualificato da elementi attinenti alla simmetria, all'estetica e all'architettura generale impressi dal costruttore o comunque esistenti al momento dell'esecuzione dell'innovazione, sicché l'alterazione di esso è ravvisabile in conseguenza della menomazione anche di uno solo dei predetti elementi (Cassazione civile sez. II, 17/06/2010 n ) 7 In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l'esercizio del diritto individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne deriva che legittimamente le norme di un regolamento di condominio, aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini, possono derogare od integrare la disciplina legale e, in particolare, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'articolo 1120 del Cc, estendendo il divieto di immutazione sino a imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (Cassazione civile, sez. II, 17/06/2015, n ).

4 insindacabilmente sancito la illegittimità della costruzione, ordinandone la sua rimozione. Non si è invece soffermata, la Corte di Cassazione, all esame dell interessante eccezione di nullità della clausola regolamentare oggetto di esame ritenuta, dai ricorrenti, contraria alle norme imperative e, in particolare, al principio di inderogabilità stabilito dall art c.c. 4 comma. La Corte di legittimità si limita ad allinearsi al prevalente orientamento della giurisprudenza, che attribuisce particolare valore al principio generale di autonomia contrattuale stabilito dall art c.c. e che costituisce, senz altro, norma di fondamentale importanza nel nostro ordinamento. Il riconoscimento della legittimità di norme che possano derogare o integrare la disposizione espressamente definita inderogabile genera senz altro incertezza sulla sua assolutezza o relatività. Senonchè la dottrina prevalente ritiene che l art c.c., 4 comma sia espressione di un principio di ordine pubblico, rivolto alla tutela della tipicità dell istituto del condominio, nei suoi caratteri fondamentali sia oggettivi che soggettivi. Soltanto qualora, quindi, tale interesse generale sia violato, la norma potrà dichiararsi nulla: nello specifico può osservarsi che il superiore interesse, rispetto al divieto di alterazione del decoro, sia costituito dal mantenimento delle linee essenziali del condominio e pertanto il regolamento che preveda un maggior rigore nel definire il significato di decoro e di alterazione, anziché violare, protegge tale interesse generale. Daniela Folli

5 Autorità: Cassazione civile sez. II Data: 18/05/2016 n LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MIGLIUCCI Emilio - Presidente - Dott. MATERA Lina - Consigliere - Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere - Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere - Dott. PICARONI Elisa - Consigliere - ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 24780/2011 proposto da: I.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dall'avvocato GIOVANNI BASILE; - ricorrenti - contro P.A., P., B.E. (OMISSIS), P.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALESSANDRO CIALDI N. 31, presso MARIA ELISABETTA MONACO, rappresentati e difesi dagli avvocati CONCETTA MONACO, RAFFAELE MONACO; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 1381/2011 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/04/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/03/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA; udito l'avvocato ISABELLA NEGRO, con delega dell'avvocato GIOVANNI BASILE, difensore del ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato CONCETTA MONACO, difensore dei controricorrenti, che si è riportata agli atti depositati; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

6 Fatto SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La Corte d'appello di Napoli con sentenza n , accogliendo l'impugnazione proposta da P.A., B.E. e P.P. (rispettivamente usufruttuari e proprietario di un appartamento nel (OMISSIS)) ha condannato I.N. ad abbattere un vano di m. 4,80 X 2,45 X 3,00 realizzato nella sua contigua proprietà perchè in contrasto con le previsioni del regolamento condominiale. Per giungere a tale conclusione la Corte territoriale ha rilevato: - che il regolamento, richiamato nei vari atti di acquisto e quindi dotato di efficacia vincolante verso tutti gli acquirenti, aveva limitato la possibilità di innovazioni anche oltre la previsione di cui all'art c.c., vietando anche quelle opere incidenti sulla sola uniformità esteriore dei singoli fabbricati; - che il vano per le sue dimensioni determinava una evidente modifica della sagoma dell'edificio. Per la cassazione della sentenza ricorre I. con due motivi. Resistono i P. - B. con controricorso illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.. Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, falsa applicazione dell'art c.c. e dei principi giuridici. A suo avviso la norma dell'art. 8 del regolamento condominiale è radicalmente nulla nella parte in cui proibisce del tutto genericamente la realizzazione di lavori interessanti "l'uniformità esteriore dei singoli fabbricati". Richiama il principio dell'illiceità di quelle limitazioni dei diritti dei condomini contenute in clausole dalla formulazione troppo generica e ritiene pertanto che la Corte d'appello abbia falsamente applicato norme di diritto e principi giuridici laddove ha ritenuto che I.N. ha realizzato il vano in violazione dell'art. 8 del regolamento condominiale. 2. Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per erronea valutazione delle risultanze probatorie emerse nel corso del giudizio di primo grado (in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5): dopo aver riportato il giudizio espresso dalla Corte d'appello sulla sussistenza della modifica dell'uniformità esteriore dell'edificio, il ricorrente si dilunga nel trascrivere la motivazione della pronuncia - a lui favorevole - emessa dal giudice di primo grado e le osservazioni - anch'esse favorevoli - del consulente tecnico di ufficio. Ritiene pertanto meritevole di censura l'erronea valutazione delle risultanze peritali da parte della Corte d'appello. Le due censure - ben suscettibili di esame unitario - sono infondate. Premesso che il tema della nullità viene per la prima volta introdotto in questa sede, ricorda la Corte, dando così continuità ad un costante indirizzo giurisprudenziale, che le norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini, ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare od integrare la disciplina legale, consentendo l'autonomia privata di stipulare convenzioni che pongano nell'interesse comune limitazioni ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti condominiali, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle porzioni di loro esclusiva proprietà. Ne consegue che il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art c.c., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n del 24/01/2013 Rv ; Sez. 2, Sentenza n del 06/10/1999 Rv ; v. altresì Sez. 2, Sentenza n del 29/04/2005 (Rv ). E' stato inoltre affermato che l'interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi

7 logici (giurisprudenza costante: v. tra le tante, Sez. 2, Sentenza n del 31/07/2009 Rv ; Sez. 2, Sentenza n del 23/01/2007 Rv ; Sez. 2, Sentenza n del 14/07/2000 Rv ). Nel caso in esame la Corte d'appello di Napoli, perfettamente in linea con tali principi, ha ritenuto che il regolamento del condominio abbia inteso limitare le innovazioni anche oltre la previsione di cui all'art c.c., avendo subordinato all'autorizzazione dell'assemblea ogni lavoro che interessasse "comunque" la stabilità, l'estetica e l'uniformità esteriore dei singoli fabbricati (v. pag. 11). La Corte di merito ha dunque incentrato la decisione sul maggior rigore insito nella clausola in questione, che prescinde da una vera e propria alterazione del decoro architettonico (pagg. 10 e ss.). Ha quindi accertato che il vano realizzato presenta notevoli dimensioni (m. 4,80 X 2,45 X 3,99) e determina una evidente modifica dell'uniformità esteriore dell'edificio e quindi della sua sagoma, perchè il fabbricato, invece di presentare una parte esterna allineata per tutta la sua altezza, evidenzia al piano sottostrada una significativa sporgenza corrispondente alle dimensioni del vano di cui si discute. Sulla base di tali apprezzamenti in fatto e della documentazione fotografica in atti, la Corte di merito ha ritenuto integrata la violazione dell'art. 8 del regolamento condominiale che fa divieto ai condomini di realizzare, in assenza di autorizzazione assembleare, qualsiasi lavoro che interessi "comunque", oltre all'estetica, anche l'uniformità esteriore dei singoli fabbricati (pagg. 12 e 13). Come si vede, il ragionamento della Corte napoletana non solo si fonda su una corretta interpretazione della norma regolamentare (interpretazione che - come si è visto è prerogativa del giudice di merito) ma si rivela assolutamente immune di vizi logici. Tale ratio decidendi dà inoltre sufficientemente conto del dissenso rispetto alle diverse conclusioni a cui è pervenuto il consulente tecnico (a cui peraltro non spetta di esprimere valutazioni riservate al giudice) e quindi appare conforme anche all'altra regola di diritto - più volte ricorrente nella giurisprudenza di legittimità - secondo cui le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (tra le varie, v. Sez. 1, Sentenza n del 03/03/2011 Rv ; Sez. 1, Sentenza n del 13/09/2006 Rv ; Sez. 1, Sentenza n del 10/10/2000 non massimata; Sez. 1, Sentenza n. 333 del 14/01/1999 (Rv ). La decisione impugnata si sottrae pertanto alla critica del ricorrente che invece, lungi dall'evidenziare vizi logici o precise violazioni di canoni ermeneutici, si risolve in una mera personale e alternativa valutazione senza neppure spiegare perchè mai dovrebbe ritenersi "troppo generica" una clausola regolamentare che proibisca alterazioni all'uniformità esteriore ai singoli fabbricati, formula che evoca un concetto ben preciso. Del resto, la deduzione del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n del 30/03/2007 Rv ; Sez. 3, Sentenza n. 828 del 16/01/2007 Rv ; Sez. L, Sentenza n del 25/08/2003 Rv ). Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, soccombente anche in questo grado, va condannato al rimborso delle spese di giudizio.

8 PQM P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 23 marzo Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2016

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