CAP. 26 PROPRIETÀ DEI MATERIALI POLIMERICI TERMOPLASTICI CAPITOLO. Sinossi Il comportamento meccanico dei polimeri termoplastici
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- Evangelina Santoro
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1 TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI Ver. 01 CAP. 6 PROPRIETÀ DEI MATERIALI POLIMERICI TERMOPLASTICI 6 CAPITOLO 6 PROPRIETÀ DEI MATERIALI POLIMERICI TERMOPLASTICI Sinossi N el Cap. 1 sono state presentate le principali tipologie di configurazioni molecolari e morfologiche presenti nei polimeri. Si è visto che materiali polimerici formati da catene, lineari o ramificate, distinte le une dalle altre sono definiti termoplastici, in quanto è possibile portarli a rammollimento per semplice riscaldamento al di sopra della temperatura di transizione vetrosa o di fusione. In questo capitolo vengono discusse le proprietà generali, e in particolare meccaniche, dei polimeri termoplastici, evidenziando alcune importanti differenze di comportamento rispetto ai materiali metallici e ceramici. Vengono inoltre indicati i principali additivi utilizzati per modificarne le caratteristiche. 6.1 Il comportamento meccanico dei polimeri termoplastici l comportamento meccanico dei polimeri viene I descritto sulla base di misure e caratteristiche analoghe a quelle utilizzate per la valutazione dei materiali metallici e ceramici. Mediante prove meccaniche vengono quindi definiti il modulo elastico, il carico di snervamento, il carico di rottura, l'allungamento, la tenacità, ecc. A differenza degli altri materiali, tuttavia, a causa della particolare struttura molecolare, queste caratteristiche risultano sensibilmente influenzate da variazioni anche limitate di temperatura e di velocità di sollecitazione. Inoltre, polimeri apparentemente simili possono presentare comportamenti fortemente differenziati. La Figura 6.1 mostra le curve sforzo-deformazione di un polimero fragile, di un polimero tenace e di un elastomero. Nel primo caso il materiale si mantiene essenzialmente elastico fino a rottura, che avviene a deformazioni limitate, generalmente di poche unità percentuali. Nel secondo caso il polimero, dopo un primo tratto di deformazione elastica, mostra snervamento, a cui corrisponde deformazione plastica dovuta a scorrimento e orientazione delle catene molecolari; la deformazione plastica avviene sostanzialmente a volume costante, a meno di fenomeni di cristallizzazione sotto stiro. In alcuni polimeri impiegati a temperature superiori a Tg, il tratto elastico può essere molto limitato o assente, così che già piccole sollecitazioni determinano scorrimento plastico del polimero. Nel caso degli elastomeri, la deformazione è sostanzialmente elastica, totalmente recuperabile. I polimeri termoplastici, amorfi o cristallini, presentano i comportamenti mostrati dalle prime due curve. La Figura 6. mostra le curve sforzo-deformazione di un materiale termoplastico amorfo (PMMA) a diverse temperature. Si nota la forte modifica di comportamento a Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l uso di questo materiale a scopo di lucro. E vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright n G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Politecnico di Milano
2 fronte di una variazione nelle condizioni di temperatura. Simili modifiche di comportamento si osservano a fronte di variazioni nella velocità di sollecitazione: un polimero che si presenta tenace a seguito di lenta deformazione può risultare fragile se sollecitato rapidamente (ad esempio a seguito di impatto). molto inferiori a quelli dei metalli e dei ceramici. Anche i meccanismi di deformazione e cedimento sono sensibilmente diversi, in quanto non sono legati a movimento di dislocazioni o a scorrimenti di piani cristallini. Nei polimeri termoplastici, i meccanismi di deformazione plastica e rottura sono riconducibili allo scorrimento tra molecole o parti di molecole. Questo può avvenire secondo due modalità caratteristiche: lo scorrimento a taglio (shear yielding) e il crazing. Entrambi i meccanismi comportano grandi deformazioni molecolari, anche se con caratteristiche diverse. Figura 6.1 Esempi di curva sforzo-deformazione di diversi polimeri. Figura 6.3 Deformazione di un provino in polimero termoplastico durante una prova di trazione Figura 6. Curve sforzo-deformazione di PMMA a diverse temperature Nei polimeri termoplastici duttili, ed in particolare in quelli semicristallini, lo snervamento è inizialmente localizzato in un punto, in cui il materiale riduce la sua sezione (strizione) e in cui la deformazione è massima; l'orientazione delle catene che ne consegue determina un aumento della resistenza locale, così che, con il procedere dell'allungamento totale, la zona di strizione si estende progressivamente. Nei polimeri semicristallini, l aumento di cristallinità conseguente all orientamento nelle zone di strizione incrementa ulteriormente la resistenza locale. La Figura 6.3 mostra la modalità di deformazione di un provino di polimero durante una prova di trazione. I valori caratteristici di modulo elastico, di resistenza a snervamento e rottura dei polimeri sono generalmente La deformazione per scorrimento a taglio permette spesso ampie deformazioni plastiche e comporta variazioni nella conformazione delle molecole permanenti o con tempi di recupero molto lunghi, e pertanto che possono essere considerate permanenti. Lo scorrimento, durante lo snervamento, è localizzato in una zona del materiale, dove si vengono a formare bande di taglio (shear bands) e conseguente strizione. Successivamente, le bande di taglio possono rimanere localizzate con minore duttilità del materiale, oppure estendersi a un ampio volume, con grande assorbimento di energia di deformazione e tenacità. Il criterio di cedimento per limite di deformazione plastica a taglio è derivato dal criterio di Von Mises. Si ricorda, infatti, che questo criterio, applicabile nel caso di metalli duttili, individua come limite di cedimento per snervamento il raggiungimento di un valore critico per l energia elastica di distorsione a taglio nel materiale e viene ricondotto all espressione di un valore critico per lo sforzo di taglio ottaedrale oct : oct ( 1 ) ( 1 3) ( 3) 0 3 1,,3 sono gli sforzi principali, 0 è lo sforzo di snervamento a taglio: il cedimento per snervamento
3 avviene quando lo sforzo ottaedrale supera il valore 0. Nel caso dei materiali metallici cristallini, la presenza di sforzi normali ai piani di scorrimento a taglio non induce importanti modifiche nel criterio di resistenza. Nel caso dei polimeri, invece, gli sforzi normali inducono variazioni di densità e di distanza intermolecolare che hanno un significativo effetto sul valore dello sforzo critico di cedimento a taglio. In questo caso il raggiungimento di una condizione critica avviene quando: oct 0 m dove m è lo sforzo normale e è un coefficiente di attrito interno; la presenza di sforzi di trazione normali aumenta la distanza molecolare, favorendo lo scorrimento e riducendo lo sforzo critico di cedimento (Figura 6.4). Lo sforzo di snervamento 0 e il coefficiente dipendono dal materiale; quest ultimo esprime la dipendenza della resistenza a taglio dagli sforzi normali, indica cioè l influenza della variazione di densità sulla mobilità molecolare. A differenza che in una vera cricca, nel craze fibrille di polimero altamente stirato ed orientato collegano le facce di apertura. La Figura 6.5 mostra una fotografia al microscopio elettronico a scansione di un craze. Le fibrille sono costituite da polimero fortemente orientato con diametro dell ordine di poche centinaia di angstrom e lunghezza dell ordine del migliaio di angstrom (0,1 m). La presenza di queste fibrille consente alle facce del craze di sostenere carichi anche di parecchi MPa, a differenza delle cricche vere e proprie, in cui le facce sono necessariamente scariche. Tra le fibrille si trova dello spazio vuoto: la formazione di craze è associata ad aumento di volume. Poiché la formazione di pochi craze spesso prelude all attivazione di una cricca, il comportamento macroscopico del materiale risulta generalmente di tipo fragile; la deformazione plastica risulta globalmente molto limitata anche se, a livello locale, delle singole fibrille, il polimero risulta fortemente deformato. Figura 6.5 Micrografia SEM di un craze in polistirene. Figura 6.4 Criterio di cedimento per formazione di bande di taglio Le presenza di orientamento preesistente, ad esempio indotto durante le operazioni tecnologiche, favorisce in genere la deformazione plastica a taglio. La deformazione a taglio, a meno di variazioni di cristallinità, avviene essenzialmente a volume costante. Molti materiali polimerici vetrosi presentano un diverso meccanismo di deformazione e cedimento, il crazing. In genere il fenomeno del crazing è associato a comportamento fragile del materiale, in quanto consente una deformazione globale generalmente limitata. In realtà la formazione di craze è ancora un fenomeno di deformazione plastica, ma questa rimane fortemente localizzata. Spesso la formazione e propagazione di una cricca è preceduta da craze. La modalità di deformazione e snervamento che si genera in un polimero dipende dal bilancio di diversi fattori. La presenza di difetti localizzati e lo stato di sforzo che ne consegue (inclusioni, vuoti, microcricche) determina la presenza di stati tensionali caratteristici. La mobilità di segmenti molecolari dipende dalle energie di barriera, da conformazioni locali, dall ambiente molecolare circostante. Se un difetto locale genera uno stato di snervamento che si sviluppa in un craze, in una banda di taglio localizzata o genera deformazione plastica estesa in tutto il materiale, dipende dallo stato di sforzo esterno, dalla mobilità segmentale, dallo stato tensionale locale, dalla distribuzione e severità dei difetti. Esistono quindi materiali che hanno tendenza a formare shear yielding e altri che tendono a cedere per crazing; esistono situazioni di sforzo che favoriscono la deformazione a taglio e altre che inducono craze. Lo shear yielding non comporta deformazioni volumetriche ed è quindi favorito da stati di sforzo uni o multiassiali, che tuttavia non inducono sensibili stati di trazione pluriassiale (ad esempio idrostatica). Viceversa, la formazione di craze comporta aumento di volume e generazione di vuoti: è favorito da stati di trazione pluriassiale, come avviene, ad esempio, all apice di una cricca. 3
4 Il criterio di cedimento nel caso di formazione di craze è espresso come: ambientale possono favorire l insorgenza di craze; stati di sollecitazione di compressione la sfavoriscono. b 1 B(T) A(T) I 1 dove I 1 = è l invariante primo, 1,,3 sono gli sforzi principali, A e B sono costanti del materiale dipendenti dalla temperatura. Le differenti modalità di deformazione a livello molecolare sono illustrate nella Figura 6.6. Mentre il cedimento per taglio può avvenire anche per sollecitazione di compressione, la formazione di craze richiede la presenza di sforzi tensili. Per stati di sollecitazione biassiale, i due criteri possono essere rappresentati su un piano 1 -, al fine di individuare la modalità di cedimento prevista. La Figura 6.7 mostra i due criteri nel caso di un materiale (ad esempio PMMA) che può presentare entrambe le modalità di cedimento per diverse condizioni di carico. Quando lo stato di sforzo ( 1 e ) raggiunge le curve che indicano l insorgenza di craze o di shear yielding si instaurano condizioni critiche. La Figura 6.8 rappresenta la zona allargata del grafico 1 - nel secondo quadrante. Nelle zone A ed E non si ha la formazione di craze o di cedimento a taglio; nelle zone C e F esiste la possibilità di solo snervamento a taglio; nella zona B si ha possibilità di solo craze; nella zona D c è cedimento sia per craze che per shear yielding. Ipotizzando una sollecitazione di semplice trazione (aumentando ) si osserva che, per il materiale rappresentato in figura, viene raggiunta prima la condizione di formazione di craze: il materiale sarà tendenzialmente fragile. Figura 6.7 Rappresentazione grafica dei criteri di resistenza. Figura 6.8 Rappresentazione dei criteri di resistenza nel secondo quadrante. Figura 6.6 Modalità di deformazione nella formazione di craze (sopra) e di shear yielding (sotto). La diversa tendenza a formare craze dipende dal materiale, dallo stato di sollecitazione, dalle condizioni ambientali: il contatto con solventi e l invecchiamento La Figura 6.9 può rappresentare un materiale con scarsa tendenza a formare craze, ad esempio per effetto della sovrapposizione di uno stato di compressione idrostatica: si osserva una generale minore facilità al cedimento per craze; il materiale avrà comportamento tendenzialmente duttile. La trasformazione di uno o pochi craze in cricca determina la rottura fragile del materiale. Nella realtà i due meccanismi possono coesistere ed interagire tra loro: la presenza di craze può attivare la formazione di bande di taglio o viceversa, con meccanismi di cedimento misti che permettono un maggiore assorbimento di energia di deformazione e migliore tenacità e duttilità (Figura 6.10). L'attivazione e la propagazione di craze può essere fortemente accelerata per effetto della diffusione di solventi e umidità o a seguito di invecchiamento e ossidazione ambientale. Il contatto con solventi quali 4
5 fluidi di processo, combustibili, oli lubrificanti, può aumentare la mobilità molecolare, favorendo la nascita di fibrille e craze anche in materiali altrimenti tenaci. Il policarbonato, ad esempio, duttile e tenace in condizioni normali, può diventare sensibilmente fragile e generare craze per contatto con alcoli o altri solventi (Figura 6.11). Figura 6.11 Immagine di diversi craze nel policarbonato. Figura 6.9 Criteri rappresentativi di un materiale. Figura Interazione mutua tra craze e bande di taglio durante la deformazione D'altra parte il processo di formazione e propagazione di craze può essere sfruttato per migliorare sostanzialmente la tenacità del polimero. L attivazione di craze e/o bande di scorrimento diffusi in tutto il volume del materiale, anziché localizzati, può aumentare in modo molto significativo l'assorbimento di energia di deformazione. Questo concetto è alla base dei meccanismi di tenacizzazione di polimeri fragili mediante l aggiunta di gomme. La Figura 6.1 mostra una micrografia TEM di ABS in cui si notano le particelle in gomma disperse nella matrice stirenica. Figura 6.1 Micrografia al microscopio elettronico TEM di ABS. La presenza di particelle disperse nel materiale introduce concentrazioni di sforzo che alterano lo stato tensionale locale. Particelle in gomma disperse in un materiale rigido, sollecitato a trazione, generano concentrazioni di sforzo di trazione tripla in prossimità della zona equatoriale delle particelle che si propagano radialmente (o in direzione normale alla deformazione principale massima). I craze che si formano in corrispondenza di ogni particella propagano fino all intersezione con un altra particella vicina, o con altri craze o con bande di scorrimento. L aumento del volume interessato dalla formazione di craze o bande di scorrimento consente un forte aumento dell energia di deformazione assorbita. La Figura 6.13 mostra una micrografia TEM di craze che si propagano e terminano in corrispondenza di particelle in gomma; si osserva che le particelle di gomma, inizialmente sferiche, risultano fortemente deformate. L effetto della tenacizzazione con gomma sul comportamento meccanico è ben rappresentato in Figura 6.14, che mostra le curve sforzo deformazione di polistirene, fragile, e polistirene antiurto (HIPS), tenacizzato con gomma. Anche bande di scorrimento diffuse possono essere attivate dalla presenza di particelle elastomeriche, sebbene il loro effetto sia solitamente simultaneo al crazing. Materiali che presentano formazione sia di crazing che shear band sono ad esempio ABS e PVC. Particelle elastomeriche modificano lo stato tensionale, creando zone localizzate con elevato oct e consentendo l attivazione di bande di scorrimento che interferiscono 5
6 con la propagazione di craze. La dimensione delle particelle ha un importanza determinante sull attivazione/propagazione di craze o shear band. Particelle troppo piccole non sono in grado di attivare o terminare craze. Particelle troppo grandi attivano pochi craze. L attivazione di bande di taglio avviene generalmente con particelle di dimensioni inferiori. La Tabella 6.1 riporta le dimensioni critiche delle particelle e i meccanismi di cedimento osservati in diversi materiali tenacizzati con gomma. Anche particelle rigide possono attivare craze e shear band, anche se il loro effetto è normalmente molto più limitato rispetto a particelle in gomma. Tabella 6.1 Meccanismi di tenacizzazione con gomma in alcuni polimeri Diametro critico (m) Meccanismi di cedimento HIPS,5 Crazing SAN 0,75 Crazing + shear yield. PMMA 0,5 Crazing + shear yield. PVC 0,1 Shear yield. + poco crazing Nylon 0,1 Shear yield. + poco crazing Figura Micrografia TEM di craze in corrispondenza di particelle in gomma in un polimero tenacizzato con gomma. Le particelle di gomma risultano deformate per la sollecitazione applicata. Figura 6.14 Curve sforzo-deformazione di PS e HIPS a 0 C. L adesione tra particelle e matrice, la distanza interparticellare, la quantità, sono altri fattori che influenzano l efficienza di tenacizzazione delle particelle. Il contenuto di gomma utilizzato per ottimizzare le caratteristiche meccaniche è solitamente compreso nel range 7-15 %. 6. Caratteristiche fisiche dei polimeri termoplastici n molte applicazioni, l'impiego dei materiali polimerici I è suggerito dalle loro proprietà chimico-fisiche, termiche, ottiche, elettriche, ecc. Queste caratteristiche dipendono sia dalla chimica della molecola che dalla struttura morfologica (cristallinità, orientamento,...). In generale i polimeri sono caratterizzati da densità piuttosto basse, inferiori o poco superiori a quella dell'acqua. Alcuni materiali polimerici contenenti elementi relativamente pesanti nella catena posso presentare densità maggiori; ad esempio diversi polimeri fluorurati possiedono densità superiori a g/cm 3. Nei polimeri semicristallini, la densità è un indice della cristallinità in quanto la fase cristallina, più compatta, presenta densità superiore alla fase amorfa. I polimeri, con alcune particolari eccezioni, sono cattivi conduttori di elettricità e calore con valori dei coefficienti di conducibilità termica ed elettrica normalmente inferiori di molti ordini di grandezza rispetto ai metalli; trovano per questo diffusi utilizzi come isolanti elettrici e termici. Per impieghi ove sia richiesta conducibilità elettrica, come ad esempio in schermature da onde elettromagnetiche (scatole di contenimento di elettrodomestici, computer, motori elettrici, componenti elettronici, ecc.), le caratteristiche di conducibilità possono essere modificate con l'aggiunta di cariche conduttive, come grafite e fibre o particelle metalliche. I polimeri amorfi allo stato naturale (non colorato o caricato) sono tipicamente trasparenti, eventualmente con leggere colorazioni; la presenza di fase cristallina riduce la trasparenza del materiale rendendolo traslucido o, per alti valori di cristallinità, completamente opaco. Variazioni anche sensibili di trasparenza e di colore possono avvenire nel tempo a seguito di cristallizzazione lenta o di degradazione per effetto di radiazioni UV o esposizione ad alte temperature. La bassa densità e la cristallinità limitata o assente dei polimeri rendono conto della elevata diffusività e permeabilità ai gas. La diffusione di piccole molecole tra 6
7 le catena polimeriche è resa possibile dalla elevata distanza intermolecolare e dalla presenza di una fase amorfa con catene non ordinate. La diffusione di sostanze estranee, quali gas, solventi, umidità, può comportare rigonfiamenti, ossidazione e degradazione con deterioramento delle caratteristiche meccaniche e fisiche del polimero, oltre che di stabilità dimensionale. La quantità di diffondente che può entrare ed attraversare un setto polimerico dipende sia dalla sua velocità di diffusione che dalla sua solubilità nel polimero e viene espressa mediante il coefficiente di permeabilità P, che indica il flusso di materiale che attraversa il materiale per effetto di un gradiente di pressione. La permeabilità P è pari al prodotto tra solubilità (S) e diffusività (D): P = D*S La diffusione, la solubilità e la permeabilità sono in generale più elevate attraverso la fase amorfa. Questo comportamento va tenuto in considerazione nella progettazione e nell' impiego di contenitori di liquidi e gas in pressione, dalle bottiglie per bibite ai serbatoi in ambito spaziale. La Tabella 6. riporta le proprietà fisiche di alcuni polimeri di largo impiego. Tabella 6. Proprietà fisiche di alcuni polimeri Densità (g/cm 3 ) Conduttività termica (W/m K) Resistività elettrica (*m) Permeabilità 3 13 cm STP cm 10 cm s Pa O H O LDPE 0,9 0, HDPE 0,96 0, ,3 9 PP 0,90 0, , 35 PS 1,05 0, PMMA 1,19 0, PVC 1,35 0, ,05 70 PC 1,0 0, , PA 6,6 1,14 0, PET 1,35 0, , PEEK 1,30 0, ,1 00 PTFE,17 0, Kevlar 1,43 0, Additivi e cariche polimeri vengono raramente utilizzati allo stato puro; I additivi di diverso tipo vengono solitamente aggiunti per facilitarne il processo o per modificarne le proprietà meccaniche, chimiche, fisiche, in condizioni di utilizzo. Gli additivi comunemente impiegati sono cariche o riempitivi (filler), plasticizzanti, stabilizzanti, antiossidanti, coloranti, ritardanti di fiamma. Le cariche sono costituite da fibre corte o particelle di vetro, talco, nerofumo, sabbia, calcare, barite, farina di legno e altro. Lo scopo dei filler è in genere quello di aumentare la rigidezza, la resistenza ad usura, la stabilità termica e dimensionale, oltre che di ridurre il costo. A volte, come ad esempio nel caso di fibre corte e di nerofumo, l'aggiunta della carica ha come conseguenza anche un miglioramento della resistenza meccanica. L'inserimento di filler rigidi, tuttavia, ha spesso come effetto la riduzione della tenacità oltre che della fluidità del fuso e della lavorabilità. Gli stabilizzanti e gli antiossidanti hanno funzioni simili, ma con effetti su scale di tempi e temperature diversi. Gli stabilizzanti riducono la degradazione del materiale ad alta temperatura, in condizioni di processo. Sono costituiti da sostanze organiche che per effetto della temperatura neutralizzano i radicali liberi che si formano a seguito di degradazione del polimero, generando a loro volta radicali stabili, o sottoprodotti di degradazione. Gli stabilizzanti si consumano durante i processi di trasformazione del materiale. Gli antiossidanti e gli anti-uv rallentano la degradazione ambientale nel tempo, riducendo gli effetti ossidativi e degradativi di ossigeno, ozono, radiazioni UV, calore, campi elettrici, ecc. durante la vita in servizio del materiale. 7
8 I plasticizzanti sono in genere sostanze a basso peso molecolare completamente o parzialmente solubilizzate. La loro presenza provoca un aumento della distanza intermolecolare e di conseguenza della mobilità delle catene polimeriche; il materiale riduce la sua Tg e la sua rigidezza, flessibilizzandosi. Lo scopo dei plasticizzanti è quindi quello di aumentare la duttilità e la plasticità del materiale e/o di allargare il campo di temperatura in cui mantiene caratteristiche elastomeriche. La Figura 6.15 mostra il modulo di taglio (G) in funzione della temperatura del PVC con diversi contenuti di plasticizzante. Si osserva che, all'aumentare del elasticizzante, si riduce la temperatura di transizione vetrosa da 90 C fino a temperature inferiori a -50 C. Questo consente di ottenere un materiale con caratteristiche elastomeriche, flessibile e deformabile anche a temperature molto basse. Materiali termoplastici plasticizzati sono spesso impiegati nella produzione di film, tubazioni, guarnizioni di tenuta. La maggior parte dei polimeri è intrinsecamente combustibile e non risponde ai requisiti di resistenza al fuoco imposti dalle normative per i materiali di impiego aeronautico, ma in generale anche per impieghi nel campo dei veicoli terrestri o delle costruzioni civili. Per queste applicazioni, i polimeri vengono additivati con ritardanti di fiamma, costituiti da sostanze in grado di interferire con il processo di combustione, rallentandone la velocità. Sono spesso costituiti da sostanze che generano gas (cloro, fluoro, bromo) per decomposizione ad alta temperatura, oppure cariche quali idrossido di alluminio o magnesio in grado di sopprimere la combustione. Poiché i prodotti di degradazione termica dei ritardanti sono di solito tossici a loro volta, in campo aeronautico sono generalmente impiegati materiali polimerici intrinsecamente resistenti alla fiamma. Un problema nell uso di additivi, e plasticizzanti in particolare, è legato alla loro possibilità di diffusione. Le sostanze a basso peso molecolare possiedono alta capacità di diffusione all'interno del materiale ospite e possono pertanto migrare verso la superficie, dove vengono asportati per effetto degli agenti ambientali. La continua asportazione ne varia il contenuto nel tempo e, nel caso dei plasticizzanti, si osserva irrigidimento e infragilimento del materiale con l'invecchiamento. Inoltre i plasticizzanti o altri additivi che raggiungono la superficie possono diffondere all'interno di eventuali altri elementi polimerici a contatto, con possibili effetti diversi: il plasticizzante può indurre crazing o, viceversa, flessibilizzare il materiale a contatto; può modificare le proprietà di attrito superficiale o agire su giunti incollati, indebolendo l'interfaccia con l'adesivo, e provocando il cedimento. Nelle applicazioni in alto vuoto, ad esempio nello spazio, i plasticizzanti in superficie possono vaporizzare (outgassing) per poi condensare su altri componenti, contaminandoli; questi aspetti saranno discussi in un capitolo successivo. Figura 6.15 Andamento del modulo di taglio G in funzione della temperatura al variare del contenuto di plasticizzante nel PVC. Bibliografia [1] Askeland, D.R., The Science and Engineering of Materials 3 a ed. Chapman and Hall, 1996 [] Brent Strong A., Plastics - Materials and Processing Prentice-Hall, 1996 [3] Bruckner S., Allegra G., Pegoraro M., La Mantia F.P., Scienza e tecnologia dei materiali polimerici EdiSES, 007 [4] Callister W.D., Scienza e ingegneria dei materiali - Una introduzione, a Ed. EdiSES, 008 [5] Flinn R.A., Troian P.K., Engineering Materials and Their Applications 4 a ed. J. Wiley and Sons,
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