Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 11 giugno 2009, n
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- Leonzia Lorenzi
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1 Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 11 giugno 2009, n Fatto e diritto 1.- Dati del processo Il ministero dell economia e delle finanze e l agenzia delle entrate ricorrono, con due motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe, limitatamente a due capi - (in)deducibilità di accantonamenti per indennità suppletiva di clientela e quote di ammortamento di apparecchiature elettromedicali - che vedevano soccombente in appello, come già in primo grado, l ufficio delle imposte dirette di Rivoli (ora ufficio Rivoli 1 dell agenzia delle entrate) con riferimento ad altrettante riprese, di entità rispettiva pari a L e , effettuate (con altre) a rettifica del reddito dichiarato dalla ditta M. G. L. S.p.A., corrente in Grugliasco, ai fini di IRPEG ed ILOR La nominata società contribuente non resiste in questo giudizio di cassazione. 2.- Questioni pregiudiziali Il ricorso proposto dall amministrazione dell economia e delle finanze é inammissibile, per difetto di legittimazione processuale, dal momento che essa - cui é succeduta l agenzia delle entrate, a far data dal , anteriore a quella di deposito dell atto d appello ( ) - deve intendersi tacitamente estromessa dal relativo giudizio, svoltosi nei soli confronti dell agenzia delle entrate, ufficio di Rivoli 1 (Cass. n. 9004/2007). Senza conseguenze riguardo alle spese processuali, non essendo costituita la controparte in questo giudizio. 3.- Motivi del ricorso Il ricorso é articolato nei seguenti due motivi: violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 70, (T.U.I.R.), e degli artt e 2697 c.c., anche in combinato disposto; motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria, in ordine alla ritenuta deducibilità fiscale degli accantonamenti per indennità suppletiva di clientela, da corrispondere, nei casi normativamente previsti, alle persone fisiche legate all azienda da rapporto di agenzia; violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, dell art c.c. e del D.M. (finanze) 31 dicembre 1988; motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria, in ordine alla ritenuta legittimità del coefficiente di ammortamento del 25% - anziché del 12,5% o, al limite, del 15% - applicato dalla ditta al costo di beni (apparecchiature elettromedicali) oggetto della propria attività. 4.- Decisione Entrambi i motivi del ricorso proposto dall agenzia delle entrate debbono essere rigettati, siccome infondato il primo ed inammissibile il secondo, per le ragioni di seguito espresse. Non é luogo a pronunziare sulle spese, dato che la contribuente non si é difesa in questo giudizio. 5.- Motivi della decisione Col primo motivo di ricorso (par ) l agenzia delle entrate chiede, in contrasto con l opinione espressa dai giudici tributari di merito, che sia riconosciuta l indeducibilità fiscale degli accantonamenti disposti dall imprenditore in previsione del pagamento, in esercizi posteriori a quello corrente, dell indennità suppletiva di clientela, spettante all agente persona fisica (ora anche
2 società di persone, categoria aggiunta al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, lett. d, dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 6, comma 1) nei casi previsti dall art c.c Sostiene, in particolare, la ricorrente: - che l indeducibilità fiscale di tali accantonamenti dipenderebbe dal carattere aleatorio dell indennità suppletiva di clientela, spettante all agente sol quando la cessazione del rapporto di agenzia non sia ascrivibile a lui stesso; cita, in tal senso, Cass. n. 7690/2003; - che gli accantonamenti deducibili sono solo quelli tassativamente previsti, essendo di stretta interpretazione le norme che li prevedono; - che il combinato disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, commi 1 e 3, e art. 16, comma 1, lett. d), giustificherebbe la deducibilità fiscale degli accantonamenti destinati al pagamento delle indennità "per" la cessazione del rapporto d agenzia, laddove detta indennità suppletiva sarebbe meramente eventuale e corrisposta non "per", ma piuttosto "in occasione" della cessazione del rapporto; - che lo stesso D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, consentendo l accantonamento deducibile di quote "maturate", si riferirebbe esclusivamente ad indennità il cui futuro pagamento sia certo; il che porterebbe a dissentire da Cass. n /2003, secondo la quale la natura aleatoria dell indennità in questione non consentirebbe all ufficio di contestare in radice la deducibilità dell accantonamento, ma indurrebbe solo a determinarne il quantum sulla base di criteri statistici; - che, del resto, la contribuente non avrebbe assolto l onere di provare l esistenza di attendibili criteri statistici, giustificativi di un accantonamento ponderato; né sarebbe stata operata dalla commissione regionale la riduzione dell accantonamento deducibile entro limiti di compatibilità statistica Le suesposte argomentazioni della difesa erariale non valgono a scalfire la ragione fondamentale che sorregge la decisione impugnata, ossia l argomento letterale che, anche a questo collegio, appare insuperabile Per ragioni di chiarezza espositiva, si premette il contenuto delle norme regolanti la materia: - il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, comma 1, dichiara deducibili "Gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente..., se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti... nei limiti delle quote maturate nell esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali..."; - il comma 3 dello stesso articolo specifica che tale disposizione vale "anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all art. 16, comma 1, lett. c), d) e f)"; - L art. 16, lett. d) contempla le "indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche..."; - l art c.c., inserito nel Capo 10^ ("Del contratto di agenzia") del Libro 4^, ed intitolato "Indennità in caso di cessazione del rapporto", non pone più - dopo la sostituzione operata dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 4, in esecuzione delle Direttiva 86/653/CEE, applicabile a decorrere dal (D.Lgs. cit., art. 6), quindi anche alla presente controversia riguardante l anno d imposta alcuna distinzione fra diversi tipi d indennità, allorché stabilisce che "All atto della cessazione del rapporto, il preponente é tenuto a corrispondere all agente un indennità se ricorra almeno una delle seguenti condizioni..." (come si leggeva il comma 1, di detta norma del codice civile prima della sostituzione operata dal D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, art. 5, comma 1) Poiché l art c.c., contiene ormai l intera disciplina dell indennità di fine rapporto dell agente di commercio - essendo caduta, per effetto della modifica normativa suddetta, la distinzione fra "indennità di scioglimento del contratto", obbligatoria perché di origine codicistica, e "indennità suppletiva di clientela", sorgente da contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni (fra le tante, Cass. nn. 2126/2001, 4586/1991) -, l espressione: "indennità per la cessazione di rapporti di agenzia", contenuta nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. d), (T.U.I.R.), ha portata estesa, senza ulteriori distinzioni, alla materia regolata dalla citata norma del codice. Né l interprete può escludere - anche se la norma sia di stretta e rigorosa
3 interpretazione - ciò che il legislatore non ha inteso esplicitamente escludere (concetto che la commissione regionale esprime, affermando che "nessuna norma vieta espressamente l accantonamento della indennità suppletiva di clientela") In effetti, a fronte della chiara lettera normativa - non revocabile in dubbio mediante il ricorso ad appigli lessicali evocanti l impalpabile differenza fra "per" e "in occasione di" o il significato proprio di "maturare" in materia finanziaria -, e della conseguita unitarietà del trattamento di fine rapporto dell agente di commercio, l esclusione della deducibilità dell accantonamento, fondata sul carattere aleatorio dell indennità in parola, non convince: anche i fondi di previdenza del personale, cui si riferisce il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, comma 1, (T.U.I.R.), e, in genere, tutti gli accantonamenti per rischi, cui si riferiscono gli articoli successivi, contemplano spese di carattere aleatorio senza che, per questo, se ne possa desumere, contra legem, l indeducibilità. La questione non é, infatti, se l imprenditore abbia motivo di operare un accantonamento per l eventuale pagamento dell indennità suppletiva di clientela; ma piuttosto se il legislatore fiscale intenda, oppure no, favorire il comportamento previdente, consentendo la deduzione dell accantonamento dal reddito. In tal senso, sul filo di un interpretazione di carattere sistematico - peraltro superflua, stante la chiara lettera normativa -, la commissione regionale rileva che la legge, favorendo l accantonamento mediante un beneficio fiscale, vuole tutelare il soggetto contrattualmente più debole. É nota, d altra parte, la tendenza legislativa ad uniformare - in tema di reddito d impresa, e specificamente di accantonamenti - i diversi criteri contabili, imposti dalle norme civilistiche o specificamente stabiliti da quelle tributarie (Cass. n /2000) Il collegio non ignora, ovviamente, che il problema della deducibilità fiscale dell accantonamento per indennità suppletiva di clientela fu diversamente risolto da questa suprema corte, con le sentenze Cass. nn. 7690/2003 (già citata) e 24973/2006, che la escludono, mentre Cass. nn /2003, 9179/2003 (non massimata), invece, l ammettono, sia pure, la prima, entro determinati limiti. A questa giurisprudenza si aggiunge, recentemente, Cass. n /2008 che, pur aderendo all ipotesi negativa (indeducibilità), non manca di rilevare in motivazione, al fine di valutare la debenza delle sanzioni, che "La stessa Amministrazione con risoluzione n. 59/E del 9 aprile 2004 aveva sostenuto che il fondo ISC era fiscalmente deducibile in base al combinato disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 105, comma 4, e art. 17, comma 1, nel testo attualmente in vigore (già combinato disposto dell art. 70, comma 3, e art. 16, comma 1, del previgente articolato) chiarendo che - ai fini della deduzione dell accantonamento dall esercizio - non contava la circostanza che talune componenti della complessiva indennità avessero natura aleatoria quale l indennità suppletiva di clientela restando così eliminato ogni dubbio sulla deducibilità di accantonamenti per accadimenti anche solo eventuali. Tale interpretazione fornita all Agenzia - che ricalcava del resto quanto già previsto nella risoluzione 21 luglio 1976, n. 8/731 - prendeva appunto atto del coevo e prevalente orientamento di dottrina e giurisprudenza (sia di merito che di legittimità) propendente per la deducibilità degli accantonamenti al fondo ISC quale indennità compresa nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16 " La citata Cass. n. 7690/2003, che per prima affrontò il problema, risolveva peraltro una controversia relativa all anno d imposta 1989, precedente alla suddetta modifica (v. par ) dell art c.c., allorché - in conformità a consolidata giurisprudenza della sezione lavoro di questa Suprema Corte (citata sopra e nella stessa sentenza qui in riferimento) - si riteneva che l indennità di scioglimento del contratto di agenzia e quella suppletiva di clientela assolvessero funzioni distinte pur se concorrenti, differenziandosi fra loro soprattutto perché, mentre la prima era sempre dovuta al momento della cessazione del rapporto ed era corrisposta dall ente previdenziale (E.N.AS.A.R.CO), la seconda era soggetta a particolari regole e limitazioni, derivanti dagli accordi economici collettivi succedutisi nel tempo, e non trovava corrispondenza nella disciplina legale dell indennità vera e propria di fine rapporto; sicché sembrava evidente che non avesse natura previdenziale, sia perché "non accantonata in apposito fondo tenuto dall ente di previdenza per gli
4 agenti e rappresentanti di commercio" sia perché "caratterizzata dalla mera eventualità dell obbligo del preponente alla sua corresponsione" (Cass. cit., dalla motivazione). L indeducibilità fiscale del relativo accantonamento fu quindi desunta dalla rilevata "ambiguità" delle menzionate norme fiscali, che sembravano non riferirsi con certezza ad un indennità "connotata, per la disciplina collettiva che la regola, dall incertezza dell obbligo del preponente alla sua corresponsione" (ivi). L altra sentenza citata (Cass. n /2006), dal cui testo non si ricava l annualità d imposta, si allinea alla prima "in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria" (dalla motivazione). Cass. n /2008, infine, si riferisce all annualità d imposta Cosicché, in tutti questi casi, le indennità di fine rapporto potevano dirsi effettivamente distinte, nei termini sopra indicati, non essendo ancora entrata in vigore ( ) la menzionata modifica dell art c.c., che le ha unificate, rendendo così univoca, nel senso della deducibilità dell accantonamento, l interpretazione delle norme fiscali citate al par Tali precedenti, muovendo da un diverso presupposto normativo e di fatto, non contrastano pertanto obbiettivamente con la presente decisione In conclusione, la censura in esame deve essere rigettata. Gli altri profili, elencati al par , sono assorbiti Il secondo motivo (par ), concernente la misura del coefficiente di ammortamento applicato in relazione ad alcuni beni (apparecchiature elettromedicali), é inammissibile L agenzia ricorrente afferma testualmente (ricorso, pag. 14) che "controparte commercia in apparecchiature elettromedicali e alcune le concede in leasing... qui viene in considerazione l ammortamento delle attrezzature in leasing". Nella sentenza impugnata si legge, invece, che "trattasi di noleggio a terzi di apparecchiature elettromedicali iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni materiali, assoggettate ad ammortamento annuale" Ora, se effettivamente le apparecchiature erano concesse in leasing, come afferma la ricorrente (a prescindere dal fatto che si tratti di leasing traslativo o di godimento: cfr. Cass. nn /2008, 13418/2008, 1731/1994), le quote di ammortamento dovrebbero determinarsi non ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, primi 6 commi, e nella misura stabilita, per singole categorie, dal D.M. 31 dicembre 1988, bensì ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 8, a mente del quale "Per i beni concessi in locazione finanziaria le quote di ammortamento sono determinate in ciascun esercizio nella misura risultante dal relativo piano di ammortamento finanziario e non é ammesso l ammortamento anticipato". Non si tratterebbe, quindi, di quote di ammortamento "tabellari", bensì ricavate dal piano finanziario, dividendo il costo ammortizzabile per il numero degli esercizi di durata della locazione (così Cass. n /2002) Sta di fatto, però, che la sentenza non é censurata per lo specifico fatto di riferirsi ripetutamente ad un "noleggio" a terzi di beni acquistati dalla contribuente, che ne avrebbe ammortizzato il costo secondo quote tabellari del 25%; né per il fatto di non avere applicato il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 8, (T.U.I.R.); sicché deve ritenersi impropriamente usata, nel ricorso, l espressione "leasing" Tanto premesso, si osserva che la difesa erariale conviene sul punto che "il tipo di bene apparecchiature elettromedicali concesse in leasing... non é espressamente prevista" nel D.M. citato; ritiene però che simili attrezzature debbano intendersi comprese nella voce "attrezzatura specifica", iscritta nel gruppo 21^ di detto testo, il cui coefficiente di ammortamento é 12,5%; o, tutt al più, nella voce "macchinari, apparecchi e attrezzature varie", del gruppo di Attività non precedentemente specificate, il cui coefficiente é 15%. Critica quindi la sentenza della commissione regionale sia per avere applicato il coefficiente di ammortamento del 25% senza tener conto della tabella ministeriale sia per non avere fornito adeguata giustificazione degli elementi di calcolo In realtà, la sentenza impugnata non merita tali critiche, poiché non calcola il coefficiente esorbitando arbitrariamente dalle categorie tabellari di beni, ma, posto che "tali beni attrezzature
5 elettromedicali non trovino inquadramento nei Gruppi previsti dalle tabelle ministeriali", cerca la categoria più omogenea utilizzando non un criterio meramente descrittivo, come vorrebbe la ricorrente, ma un criterio sostanziale, ritenuto conforme allo spirito del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67 (T.U.I.R.), attinente "al normale periodo di deperimento e consumo", particolarmente breve per i beni in parola, soggetti a rapida obsolescenza tecnologica, e comunque inferiore ad otto anni, configurabile per un coefficiente del 12,5%; beni perciò assegnati ad una voce del gruppo di attività non specificate avente coefficiente, ritenuto congruo, del 25% A fronte di tale motivazione, non passibile di censura sotto i profili denunziati della violazione di legge e dell incongruità, la proposta di una diversa soluzione del problema, in termini di esistenza di una categoria di beni ancor più omogenea, secondo differenti criteri di ricerca, é inammissibile, perché incide sui poteri di valutazione appartenenti in esclusiva al giudice del merito. 6.- Dispositivo. P.Q.M. la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso proposto dal ministero dell economia e delle finanze. Rigetta il ricorso proposto dall agenzia delle entrate.
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