UNIVERSITÀ degli STUDI di CASSINO Dottorato di Ricerca in Ingegneria Meccanica XXII Ciclo

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1 UNIVERSITÀ degli STUDI di CASSINO Dottorato di Ricerca in Ingegneria Meccanica XXII Ciclo Resistenza alla propagazione della cricca di fatica nelle ghise sferoidali Dottoranda Francesca Franzese Tutore Prof. Vittorio. Di Cocco A.A

2 PREFAZIONE La necessità di ottenere un materiale in grado di unire l elevata colabilità delle ghise alla tenacità degli acciai, senza dover necessariamente ricorrere a lunghi e costosi trattamenti termici, ha spinto alla nascita, oltre sessanta anni fa, le ghise sferoidali. Queste costituiscono una famiglia di ghise piuttosto versatile caratterizzata da un ampio intervallo di proprietà meccaniche, conservando comunque la caratteristica principale delle ghise, ovvero una elevata colabilità. Modificando la composizione chimica o il trattamento termico, si possono avere ghise sferoidali ferritiche, ferritoperlitiche, perlitiche, martensitiche, bainitiche, austenitiche ed austemperate. Per quanto riguarda il comportamento alla frattura, la caratteristica fondamentale di queste ghise è la presenza della grafite sotto forma di noduli che, grazie alla loro morfologia, possono agire come crack arresters. Ciò consente di ottenere valori di duttilità e di tenacità superiori di assoluto interesse per impieghi per i quali sono previste sollecitazioni elevate, anche variabili nel tempo. In questo lavoro di tesi è stata analizzata l influenza della microstruttura sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica nelle ghise sferoidali, analizzando i micromeccanismi di danneggiamento con differenti procedure sperimentali. 2

3 ABSTRACT Because of their high strength, high toughness, good machinability, and low cost, ductile cast irons (DCIs) are widely used in the critical automotive parts as crankshafts, truck axles, etc.. DCIs mechanical properties are directly related to their matrix microstructure. Ferritic ductile irons are characterized by good ductility and a tensile strength that is equivalent to a low carbon steel. Pearlitic ductile irons shows high strength, good wear resistance and moderate ductility. Ferritic pearlitic grades properties are intermediate between ferritic and pearlitic ones. Martensitic ductile irons show very high strength, but low levels of toughness and ductility. Bainitic grades are characterized by a high hardness. Austenitic ductile irons show good corrosion resistance, good strength and dimensional stability at high temperature. Austempered grades show a very high wear resistance and fatigue strength. DCIs versatility is especially evident in the area of mechanical properties where ductile cast irons offer to designers the option of choosing high ductility (up to 18% elongation), or high strength, with tensile strengths exceeding 825 MPa. Austempered ductile iron offers even greater mechanical properties and wear resistance, providing tensile strengths exceeding 1600 MPa. In this work, DCIs fatigue crack propagation resistance has been investigated, focusing matrix microstructure and loading conditions influence on fatigue crack propagation micromechansims. 3

4 CAPITOLO I LE GHISE SFEROIDALI: PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE INTRODUZIONE: LE GHISE Le ghise sono leghe ferrose con percentuali di carbonio comprese tra il 2% e il 4%. Tra le leghe ferro carbonio sono quelle che fondono alle più basse temperature fino a raggiungere un minimo in corrispondenza dell eutettico (fig.1.1). Figura 1.1: Diagramma Fe Cementite (linea continua) e Fe Grafite (linea tratteggiata)[1]. 4

5 Esse solidificano formando una matrice ledeburitica, miscela eutettica formata da austenite più cementite o grafite. Nelle ghise sono presenti anche altri elementi come il Si, il Mn, e lo S in quantità variabili, i quali influenzano le proprietà meccaniche e fisiche a secondo della natura, del numero delle fasi presenti, della loro distribuzione e quindi della microstruttura. Le ghise possono solidificare infatti secondo il diagramma di stato metastabile o stabile. Nel primo caso si avrà la formazione di cementite, Fe 3 C, nel secondo invece la fase ricca in carbonio sarà la grafite. Questi due tipi di evoluzione non si hanno mai contemporaneamente. Le proprietà meccaniche e fisiche delle ghise sono notevolmente influenzate oltre che dalla natura e dal numero delle fasi presenti, anche dalla loro distribuzione. Le particelle di grafite vengono classificate in base a forma, distribuzione e dimensioni in accordo con la normativa UNI EN ISO 945 1:2009. Tale normativa anzitutto identifica sei forme caratteristiche: Lamelle sottili con punte aguzze 5

6 noduli con accentuate ramificazioni di lamelle lamelle spesse con punte arrotondate flocculi frastagliati flocculi compatti 6

7 noduli a contorno regolare pressoché circolare (sferoidi) Il secondo parametro considerato è la distribuzione degli elementi di grafite. Questa viene classificata secondo cinque differenti tipologie: lamelle sottili distribuite uniformemente senza orientamento preferenziale Lamelle raggruppate in rosette senza orientamento preferenziale 7

8 Lamelle spesse e dritte senza orientamento preferenziale Lamelle molto piccole senza orientamento preferenziale, raggruppate nelle zone interdendritiche Lamelle molto piccole con orientamento preferenziale, raggruppate nelle zone interdendritiche I componenti microstrutturali più frequentemente presenti all interno delle ghise sono: La Grafite, la Cementite, la Ferrite, la Perlite, la Martensite, la Bainite e l Austenite. La grafite è la forma stabile del carbonio nelle ghise. Le caratteristiche fisiche di questo costituente sono la bassa densità, la bassa durezza, l elevata conducibilità termica ed il suo potere lubrificante. La forma assunta dalla grafite, che può variare da lamelle sottili a noduli a forma regolare quasi sferoidale, gioca un ruolo importante nella determinazione delle proprietà meccaniche della ghisa. Si può vedere come la grafite 8

9 lamellare e quella nodulare conferiscano alla ghisa delle proprietà antitetiche nei confronti del meccanismo di propagazione della cricca, in particolare le lamelle di grafite ne favoriscono l innesco e l avanzamento, mentre i noduli ne ritardano la propagazione. La composizione della cementite (Fe 3 C) corrisponde ad un tenore in carbonio del 6,67% in peso. La cementite, dura e fragile, è un carburo metastabile che tende a decomporsi in ferrite (oppure austenite) e grafite secondo la reazione: Fe 3 C 3Fe C La ferrite è la fase che più si avvicina al ferro puro. Si può presentare nella forma, alle alte temperature, o nella forma che sono, rispettivamente, soluzioni solide interstiziali del Carbonio nel ferro oppure. Entrambe presentano una struttura CCC. La trasformazione allotropica austeniteferrite avviene secondo un processo di nucleazione e crescita; la nucleazione si origina preferenzialmente ai bordi dei cristalli. La forma, le dimensioni e i bordi dei grani di ferrite non corrispondono però a quelli dell austenite. La trasformazione è accompagnata infatti da un apprezzabile affinamento del grano, che, nelle ghise sferoidali ferritiche produce un abbassamento della durezza e della resistenza associati ad un aumento della duttilità. La perlite, eutettoide del sistema binario ferro cementite, è un aggregato di Fe 3 C e di soluzione solida che, osservato al microscopio, risulta costituito da grani detti colonie ; ciascuna di queste è un insieme lamellare nel quale si alternano una lamella di soluzione solida ed una di Fe 3 C. La fase nucleante è la cementite. La formazione della perlite è un esempio del 9

10 meccanismo di nucleazione e crescita. E un costituente comune delle ghise in grado di far sviluppare buone caratteristiche di resistenza con una adeguata duttilità rendendole idonee a molte applicazioni ingegneristiche. La martensite è una soluzione solida sovrassatura di carbonio in reticolo tetragonale ottenuta nel caso di una elevata velocità di raffreddamento ed è caratterizzata da elevata durezza e fragilità. Tale durezza dipende essenzialmente dalla distorsione reticolare provocata dall inserimento interstiziale degli atomi di carbonio e dalla elevata densità di dislocazioni. Il fenomeno della formazione della martensite si differenzia dalle altre reazioni allo stato solido per il fatto che non procede per nucleazione ed accrescimento. La formazione della Martensite corrisponde ad un passaggio da una struttura CFC, propria dell Austenite, ad una tetragonale a corpo centrato, prossima ad una CCC, con un associato aumento di volume. L austenite è una fase presente ad elevate temperature consistente in una soluzione solida interstiziale di carbonio nel ferro con struttura CFC. Nelle ghise austenitiche viene stabilizzata fino a temperatura ambiente con la messa in soluzione di nichel variabile tra il 18 e il 36%. La dimensione del grano austenitico influenza la struttura e di conseguenza il comportamento meccanico di queste ghise. La matrice delle ghise austenitiche garantisce resistenza e duttilità a tutte le temperature, buona resistenza alla corrosione e buone caratteristiche alle elevate temperature specialmente se sottoposte a severi cicli termici. La bainite prende il nome dal suo scopritore, Bain, è un aggregato di ferrite e cementite a forme aciculari. Si ottiene per velocità di raffreddamento abbastanza elevate e in queste condizioni la diffusione del carbonio è ancora possibile ma i carburi che si formano sono costituiti da fasi sempre 10

11 più fini. La bainite si genera dalla trasformazione del reticolo austenitico a seguito della realizzazione di leghe o trattamenti termici. Dalla stessa colata di ghisa, variando la velocità di raffreddamento o aggiungendo elementi grafitizzanti, come il Si, o antigrafitizzanti, come il Mn, possono essere ottenuta ghise bianche, grigie o di altra tipologia. La Ghisa Bianca (fig. 1.2), o Cementitica, solidifica secondo il diagramma metastabile. Figura 1.2: Ghisa bianca a 100x [1] E chiamata così per il colore chiaro della superficie di frattura. Nella struttura della Ghisa Bianca è quasi completamente assente la grafite. Non può essere deformata a freddo, ma possiede, comunque, una elevata resistenza all usura ed all abrasione. La sua durezza è funzione della percentuale di carbonio. Partendo da ghise completamente bianche, applicando un opportuno trattamento termico, si ottengono dei prodotti dotati di una certa plasticità a freddo, da cui deriva il nome a loro attribuito di ghise malleabili. 11

12 Figura 1.3: Micrografia di una ghisa malleabile[1]. Fra queste, si possono distinguere: Ghisa Malleabile a cuore nero, chiamata anche ghisa malleabile perlitica perché presenta una matrice prevalentemente perlitica. La grafite è presente sotto forma di noduli. La ghisa malleabile a cuore nero è ottenuta dalla ricottura della ghisa bianca (per provocare la decomposizione della cementite contenuta): si riscalda il pezzo a 950 C per diverse ore per ottenere la decomposizione della cementite Fe 3 C 3Fe+C. Tale decomposizione comporta il passaggio dal diagramma metastabile a quello stabile, con una diminuzione della solubilità del carbonio nel ferro ; questo eccesso di carbonio precipita allo stato di carbonio di ricottura. Il periodo di tale processo può essere ridotto aumentando il tenore di silicio e diminuendo quello di carbonio. Durante il raffreddamento, la velocità di migrazione degli atomi di carbonio verso i noduli precedentemente formati diminuisce, mentre la resistenza della matrice metallica al deposito di carbonio (che avviene con aumento di volume) continua a crescere. Per compensare questi due effetti, la 12

13 velocità di raffreddamento deve essere molto lenta. Infatti si accelera il raffreddamento di ricottura fino a 760 C, rallentandolo poi fino a 650 C; in questo intervallo la velocità di raffreddamento non C supera i 3 5. h Ghisa Malleabile a cuore bianco, presenta una matrice prevalentemente ferritica. Per ottenere la decarburazione si procede riscaldando il getto a C all interno di contenitori contenenti ematite (Fe 2 O 3 ), lasciandolo per ore. A tale temperatura l ossigeno contenuto si lega con il carbonio della cementite e dell austenite presente sulla superficie formando CO 2. Il carbonio dal centro del pezzo, per diffusione, migra verso la superficie decarburata, che in combinazione con l ematite trasforma la CO in CO 2. Il trattamento, dura circa ore. La ghisa malleabile a cuore bianco è utilizzata in getti che presentano spessori sottili affinché sia efficace la decarburazione, e anche perché la più alta percentuale di C assicura una buona lavorabilità. Ghisa Malleabile perlitica, prodotta con un trattamento termico di malleabilizzazione alla fine del quale la matrice è quasi completamente perlitica con noduli di carbonio di ricottura formatisi alla temperatura di decomposizione della cementite. Il tenore di carbonio è per quelle a cuore nero intorno al 2,10 2,75, e per quelle a cuore bianco intorno al 2,80 3,40. Le ghise malleabili sono caratterizzate da una buona resistenza a fatica e buon comportamento in presenza di intagli. 13

14 La ghisa grigia contiene quantità relativamente importanti di silicio. La sua solidificazione è ipoeutettica avviene secondo il diagramma d equilibrio stabile. Al termine della solidificazione la struttura è formata da austenite satura e da grafite in forma lamellare (fig. 1.4). 100µm Figura 1.4: Ghisa grigia o lamellare [5] Fig.1.5: Micrografia della ghisa grigia. Le frecce indicano le lamelle di grafite [5]. Le lamelle di grafite conferiscono alla ghisa la tipica frattura grigio scura della ghisa, la mancanza di duttilità e la scarsa resistenza meccanica [1]. Esse permettono però un agevole rottura del truciolo in fase di lavorazione 14

15 agendo anche da lubrificante. Le Ghise Grigie hanno una buona resistenza all usura e discreta stabilità dimensionale. L aggiunta di elementi leganti come il molibdeno ed il cromo ne aumentano il carico di rottura [9]. 15

16 CAPITOLO 2: LE GHISE SFEROIDALI CENNI STORICI Nonostante i numerosi successi ottenuti nella prima metà del 900 nell applicazione delle ghise grigie e malleabili, i ricercatori continuarono ad impegnarsi nella ricerca di una ghisa dalle caratteristiche superiori a quelle della ghisa malleabile. Nel 1943, durante un convegno dell American Foundrymen s Society, partendo dalla considerazione che le caratteristiche meccaniche di una ghisa sono funzione della morfologia della grafite, venne posto il problema se si potesse controllare la forma della grafite nella realizzazione delle ghise grigie. Alcune settimane dopo nei laboratori della International Nickel Company Reserch la ricercatrice Keith Dwight Millis, attraverso l aggiunta di piccole quantità di magnesio, sotto forma di una lega a base di rame magnesio, notò che, a solidificazione avvenuta, la ghisa non conteneva lamelle di carbonio ma degli sferoidi di grafite quasi regolari[4]. Gli sferoidi di grafite hanno, a parità di volume, la minima superficie quindi determinano una sezione della matrice maggiore, caratterizzata da minore discontinuità ed esaltandone le proprietà meccaniche. Da allora, in tutto il mondo, si è avuta una crescita rapidissima della richiesta di questo materiale, dovuta alle sue notevoli proprietà meccaniche e di economicità. I vantaggi che hanno permesso il successo della ghisa sferoidale sono molti, fra cui la versatilità, le elevate caratteristiche di resistenza, i costi inferiori se comparate alle ghise malleabili [5]. 16

17 Questa versatilità è anche legata alla notevole varietà di proprietà meccaniche che possono offrire, con una elevata duttilità, un allungamento percentuale a rottura che può arrivare al 18% ed una resistenza a trazione che può superare gli 800 MPa (fino a 1600MPa le ghise sferoidali austemperate). Dal 1948, l impiego delle ghise sferoidali è cresciuto notevolmente in maniera costante [5]. 17

18 2.1 PROPRIETÀ Le ghise sferoidali possono essere considerate come leghe ternarie Fe C Si in cui la concentrazione di carbonio varia tra il 2,4 ed il 2,8% e quella del Si tra lo 0,7 e l 1,7%. La scelta della composizione chimica dipende dalle dimensioni del manufatto e dalle caratteristiche meccaniche che si desiderano ottenere. Diversamente dalle ghise grigie, in cui la grafite precipita sotto forma di flocculi, nelle ghise sferoidali essa precipita sotto forma di noduli la cui formazione dipende esclusivamente dalla presenza in lega di elementi sferoidizzanti. La quantità di grafite contenuta nelle fasi metalliche è controllata comunque dalle percentuali di C e Si e dalle modalità di raffreddamento. 2.2 COMPOSIZIONE CHIMICA E MICROSTRUTTURA La composizione chimica è tipicamente formata da C = 3,4 4,0% ; Si = 2 3% ; Mn = 0,1 0,8%; P < 0,01% ; S < 0,02%; Mg = 0,02 0,1%. Il C, il Si, ed il P sono elementi grafitizzanti ed il loro effetto combinato sulla formazione di grafite può essere stimato calcolando il tenore del carbonio equivalente (CE), secondo la seguente relazione: CE= %C+ 1/3(%Si + %P) Il Si favorisce la formazione di grafite : esso comporta la diminuzione della solubilità del carbonio nell austenite, un incremento della temperatura eutettica e favorisce la precipitazione della grafite, come mostrato nella Fig Contemporaneamente induce un aumento della differenza tra la temperatura eutettica sui diagrammi stabile e metastabile [18]. 18

19 Fig : Effetto del Si sulle curve di solidificazione nel diagramma stabile[18]. Quest ultimo effetto è molto importante perché favorisce la formazione di un eutettico grafitico. Inoltre il Si aumenta la temperatura dell eutettoide. Il Si presente in soluzione solida nella ferrite, al massimo il 4% a temperatura ambiente [5], aumenta la durezza e la resistenza delle ghise, ma ne peggiora la duttilità e la deformabilità. Quando viene aggiunto come inoculante, FeSi, produce un aumento dei punti di nucleazione e di formazione dei noduli. Di conseguenza riduce il processo diffusivo del carbonio durante la trasformazione eutettoide, aumentando la percentuale di ferrite nella struttura. Lo zolfo ha una grande rilevanza nel processo di nucleazione e crescita delle particelle di grafite. Esso ha un elevato potere grafitizzante per la sua alta reattività superficiale ma favorisce la formazione di flocculi di grafite, invece che di noduli. Una percentuale troppo bassa comporta un numero troppo basso di noduli, mentre una percentuale troppo elevata impedisce 19

20 la sferoidizzazione della grafite. La percentuale raccomandata è di circa % in peso. Per ottenere la sferoidizzazione della grafite, i principali elementi di lega solitamente utilizzati sono il magnesio ed il cerio. Il loro ruolo principale è quello di neutralizzare gli elementi superficialmente attivi, come S oppure O, che vengono assorbiti preferenzialmente dai cristalli di grafite. Gli elementi sferoidizzanti reagiscono con questi elementi per formare dei composti che evaporano, o che fungono da nuove sedi per la nucleazione. Queste reazioni impoveriscono la miscela di partenza di ossigeno e zolfo. Fig.2.2.1: Effetto degli elementi di lega sulla formazione della perlite Il Magnesio è uno degli elementi sferoidizzanti più comunemente usato principalmente per i suoi bassi costi. La concentrazione tipica residua varia tra %. Esso contribuisce alla formazione dei nuclei di precipitazione grafitici, ed alla regolarità degli sferoidi. A volte viene aggiunto insieme ad una piccola quantità di terre rare che ne esaltano l effetto [36]. 20

21 Per quanto riguarda la formazione degli sferoidi vi sono diverse teorie, una di esse fa osservare che i noduli dovrebbero svilupparsi all interno dei grani di austenite primaria; si è quindi di fronte ad un fenomeno di nucleazione ed accrescimento in fase solida con apporto di carbonio attraverso l austenite. Se l austenite è omogenea, l accrescimento degli sferoidi avviene nello stesso modo in tutte le direzioni, spiegando così l origine della loro forma regolare[7]. C. LABRECQUE, M. GAGNE: DUCTILE IRON [4] Effetto degli elementi di lega Campo di variabilità raccomandato Effetti sulla temperatura di stabilità e metastabilità eutettica Effetti sulla temperature dell eutettoide Effetti sulla matrice strutturale Effetti sulla temprabilità Cu dallo 0.03% nella ferrite all 1% nella perlite Aumenta la differenza tra la temperatura dell eutettico stabile e metastabile Riduce la temperatura dell eutettoide (stabilizza l austenite) Promuove la formazione di perlite ritardando la diffusion del C. Stabilizza la perlite. Aumenta la temprabilità ma meno del Mo Ni dallo 0.1% nella Ferrite allo 0.25% nella perlite Aumenta la differenza tra la temperatura dell eutettico stabile e metastabile Riduce la temperatura dell eutettoide (stabilizza l austenite) Promuove la formazione di perlite debolmente Aumenta la temprabilità ma meno del Cu Mo dallo 0.02% Diminuisce entrambe le temperature eutettiche Aumenta la temperatura dell eutettoide (stabilizza la ferrite) Promuove la formazione di perlite meno efficacemente del Cu e lo Sn Aumenta la temprabilità, ritardando la formazione di perlite Mn dallo 0.15% nella ferrite allo 0.35% Nella perlite Diminuisce entrambe le temperature eutettiche Riduce la temperatura dell eutettoide (stabilizza l austenite) Promuove la formazione di perlite 5 volte più efficacemente del Ni Aumenta la temprabilità, ritardando la formazione di perlite diminuendo la T L implementazione delle proprietà meccaniche delle ghise sfeoridali, viene quindi ottenuta aggiungendo elementi di lega come il cromo, il nichel, ed il molibdeno ed ottimizzando una serie di trattamenti termici. 21

22 L importanza della matrice nel controllo delle proprietà meccaniche viene enfatizzata dal fatto che le ghise sferoidali vengano classificate in base alla nomenclatura della matrice stessa. In particolare si hanno: Ghise Sferoidali Ferritiche Sono ghise carattterizzate da buone caratteristiche di duttilità e resilienza accompagnate da un elevato carico di rottura e di snervamento, paragonabili a quelli di un acciaio a basso contenuto di carbonio. Si ottengono sottoponendo la ghisa ad un trattamento di ricottura. Ghise sferoidali Ferrito Perlitiche Prodotta direttamente come getto, questa, è la forma più comune delle ghise sferoidali. Gli sferoidi di grafite sono dispersi una matrice costituita da ferrite e perlite. Le proprietà sono intermedie tra quelle totalmente ferritiche e quelle totalmente perlitiche, con una buona lavorabilità e bassi costi di produzione. Ghise Sferoidali Perlitiche Nel caso delle ghise sferoidali a matrice perlitica si ottiene una elevata resistenza e moderata duttilità, insieme ad una buona resistenza agli urti. La lavorabilità di questa ghisa, arriva ad essere superiore a quella di un acciaio con simili proprietà fisiche. Si ottiene con un 22

23 processo di normalizzazione della ghisa. Queste tre classi di ghisa sferoidale sono le più comuni e le più usate per getti. Le ghise sferoidali possono essere anche legate o sottoposte a trattamenti termici per poter essere utilizzate in una vasta gamma di applicazioni: Ghise Sferoidali Martensitiche Vengono realizzate usando sia un quantitativo sufficiente di elementi di lega, in modo da prevenire la formazione della perlite, sia effettuando un trattamento termico di tempra e rinvenimento. Il risultato è lo sviluppo di una matrice martensitica temprata con elevata resistenza ma con bassi livelli di duttilità e tenacità. Ghisa sferoidale Bainitica Può essere prodotta sia tramite trattamenti termici che utilizzando elementi di lega. Il risultato è un materiale duro con buone caratteristiche di resistenza. Ghisa Sferoidale Austenitica Utilizzando degli elementi leganti si ottiene una matrice austenitica che garantisce a questa ghisa sferoidale una buona resistenza all ossidazione e alla corrosione, buone proprietà magnetiche e stabilità dimensionale alle elevate temperature. 23

24 Ghisa Sferoidale Austemperata (ADI) Di recentissima ottimizzazione, questa tipologia di ghise sferodiali viene prodotta effettuando un particolare trattamento termico denominato austempering. Quasi due volte più resistente di una ghisa sferoidale perlitica, l ADI continua ad avere un buon allungamento percentuale ed un ottima resistenza a fatica. Per ghisa sferoidale si intende dunque una famiglia di ghise molto versatile che possiede una vasta gamma di proprietà ottenute dal controllo della microstruttura. L elemento comune che la distingue dalle altre ghise è la presenza di noduli di grafite. La matrice in cui sono dispersi gli sferoidi gioca un ruolo significante nella determinazione delle proprietà meccaniche[1]. 2.3 PROPRIETÀ MECCANICHE DELLE GHISE SFEROIDALI RESISTENZA A TRAZIONE La resistenza a trazione di una comune ghisa grigia lamellare è decisamente inferiore a quella di un acciaio al carbonio (figura ): valori del modulo di Young decisamente più bassi, scostamento dalla proporzionalità che ha luogo per valori decisamente più bassi rispetto al carico unitario di snervamento dell acciaio al carbonio, valore massimo raggiunto molto più basso e, infine, un allungamento a rottura decisamente modesto. Nel caso delle ghise sferoidali, il miglioramento è evidente, come pure è evidente 24

25 l influenza della microstruttura della matrice sull andamento delle curve (. Figura : Comportamento elastico e plastico di ghise sferoidali, ghise grigie e acciai. La R di rottura per una ghisa sferoidale varia, normalmente, tra i 400 MPa circa per una ghisa sferoidale con matrice completamente ferritica ed i 1600 MPa di una ghisa sferoidale austemperata [7]. Il modulo di Poisson,, definito come rapporto tra la deformazione trasversale, e quella longitudinale realizzate nella prova di trazione, per le ghise sferoidali assume un valore di 0,275, inferiore rispetto allo 0,3 caratteristico degli acciai. 2.4 ALLUNGAMENTO PERCENTUALE A ROTTURA Un importante caratteristica meccanica, dei materiali di interesse ingegneristico, evidenziata nella prova di resistenza a trazione, è 25

26 l allungamento percentuale a rottura, definito come l allungamento che subisce il provino, nella prova di trazione, quando viene portato a rottura. Figura Relazione tra allungamento e durezza Brinnel di una ghisa sferoidale [6] Si indica con A ed è definita come: Lu Lo A% *100 L o dove L u, lunghezza ultima dopo la rottura, si determina riaccostando le due parti della provetta in modo che combacino le superfici di frattura e misurando la distanza tra due sezioni di riferimento. L allungamento viene spesso utilizzato come prima indicazione della duttilità a trazione ed incluso nelle specifiche delle ghise sferoidali. I materiali fragili come le ghise grigie possono arrivare a rottura per trazione senza presentare alcun significante allungamento; d altro canto le ghise sferoidali ferritiche possono avere un allungamento percentuale a 26

27 rottura superiore al 25%. Le ghise sferoidali austemperate mostrano la migliore combinazione di resistenza ed allungamento. 2.4 LA DUREZZA La maggior parte dei getti in ghisa sferoidale, con una durezza di 150 BHN, possiede un carico di rottura tra i MPa, mentre, per esempio, ad una durezza di 250 BHN corrisponde un campo di variabilità del carico di rottura tra i MPa. La figura evidenzia una complessa relazione tra la durezza BHN e l allungamento percentuale. Per un valore di 150 BHN il 90% dei getti possiede un allungamento tra il 13 24%. Per un valore di 250 BHN i valori corrispondenti variano tra il 2,5 8,5%. 2.5 CMMH ( COMPOSITE MATRIX MICRO HARDNESS) Considerata la loro peculiare microstruttura, le ghise sferoidali possono essere considerate alla stregua di un materiale composito naturale. Il loro comportamento macroscopico è legato alla resistenza dei singoli costituenti. Utilizzando i valori della CMMH si ottengono le rette di regressione per il carico di rottura, di snervamento e l allungamento percentuale e, trascurando in prima approssimazione il contributo della grafite, quantificare la durezza della ghisa misurando la durezza dei costituenti microstrutturali e la loro frazione volumetrica. Nel caso delle 27

28 ghise ferrito perlitiche il CMMH (Composite Matrix Micro Hardness) è definito come : CMMH ( HF % F ) ( HP % P) 100 Dove HF e %F e HP e %P sono rispettivamente la durezza e la frazione volumetrica della ferrite e della perlite. Fig : Rette di regressione per il carico di rottura, di snervamento e l allungamento percentuale, in funzione del CMMH[4]. La figura evidenzia le rette di regressione per il carico di rottura, di snervamento e l allungamento percentuale, in funzione del CMMH. In particolare all aumentare del valore di CMMH il carico di rottura e di snervamento aumentano, mentre l allungamento diminuisce. Le equazioni delle rette dei tre parametri sono: Carico di Rottura (Ksi) = 0,10 0, 36 CMMH 28

29 Carico di Snervamento (Ksi) = 12 0, 18 CMMH Allungamento ( % ) = 37,65 0, 093 CMMH 2.6 LA NODULARITÀ E NUMEROSITÀ DEI NODULI Per nodularità si intende la percentuale di grafite sferoidale rispetto a tutto il contenuto di grafite. Come ci si può aspettare dalla notevole differenza di proprietà meccaniche possedute dalle ghise grigie rispetto a quelle sferoidali, la nodularità gioca un ruolo significativo nella determinazione delle loro proprietà. La nodularità e la morfologia delle particelle non sferoidali prodotte al suo diminuire, influenzano notevolmente i valori del carico di rottura e di snervamento. Fig : Relazione esistente tra resistenza a trazione e nodularità per una ghisa sferoidale ferritica [4]. 29

30 La figura evidenzia la relazione esistente tra resistenza a trazione e nodularità per una ghisa sferoidale ferritica in cui la nodularità è stata modificata attraverso due metodi: il controllo del magnesio e il controllo del piombo. Quando si diminuisce la nodularità con la riduzione del contenuto di magnesio residuo (il più comune agente sferoidizzante usato commercialmente nella produzione delle ghise sferoidali) i noduli diventano più allungati ma sempre rotondeggianti, senza spigoli. Un decremento del 30% della nodularità corrisponde, ad esempio, ad un decremento del 10% del carico di snervamento e del 15% del carico di rottura. Una piccola aggiunta di piombo riduce, anch essa, la nodularità producendo una rete intergranulare di grafite lamellare, che riduce notevolmente le proprietà di resistenza. Fig : Curve con un diverso valore della nodularità, 90% 70% 40%, per delle ghise sferoidali perlitiche. 30

31 Nella figura sono riportate tre curve con un diverso valore della nodularità, 90% 70% 40%, per delle ghise sferoidali perlitiche ottenute mantenendo costante il contenuto di cementite. Si evince che la perdita di nodularità per una ghisa sferoidale ferritica produce degli effetti minori rispetto a quelli che si hanno in una ghisa sferoidale perlitica a seguito della stessa diminuzione. Inoltre, per bassi livelli di cementite, tipici di una ghisa sferoidale di buona qualità, la perdita di resistenza è relativamente ridotta con un livello di nodularità del 70%. Il valore ottimale di nodularità è di circa l 80 85%. Questo criterio permette di prevenire la formazione di grafite lamellare o aciculare intergranulare, utilizzando nel processo produttivo il controllo del magnesio o utilizzando piccole aggiunte di cerio. Anche la numerosità dei noduli, espressa come numero di noduli/mm 2, influenza le caratteristiche meccaniche delle ghise sferoidali, anche se non così direttamente come accade per la forma. 2.7 EFFETTO DEI COSTITUENTI MICROSTRUTTURALI SULLE PROPRIETÀ MECCANICHE DELLE GHISE SFEROIDALI Il contenuto di cementite ha effetti diretti e indiretti sulle proprietà dei getti in ghisa sferoidale. Aumentando la quantità di cementite, caratterizzata da elevata fragilità e durezza, aumenta il carico di snervamento e diminuisce quello di rottura. La formazione di cementite eutettica, durante la solidificazione, si oppone a quella della grafite in quanto entrambe, per la loro formazione hanno bisogno del carbonio contenuto nella ghisa fusa. Una frazione volumetrica del 15% in cementite 31

32 richiede, circa l 1% di carbonio, riducendone la quantità disponibile per la grafite di circa 1/3. Normalmente, per minimizzare gli effetti negativi sulle proprietà meccaniche, si specifica un contenuto di cementite che non deve superare il 5%. Le caratteristiche meccaniche delle ghise sferoidali che presentano una cospicua presenza di sferoidi di forma regolare e un basso contenuto di cementite, dipendono essenzialmente dalla matrice, dai suoi costituenti e dalla loro durezza. Per le ghise sferoidali comuni, la matrice è di tipo ferritica e/o perlitica. La ferrite possiede bassa resistenza a trazione e bassa durezza unite ad un elevata duttilità e buona lavorabilità. La perlite è costituita da lamelle alternate di cementite e ferrite. Rispetto alla ferrite la cementite possiede migliori caratteristiche meccaniche ma una minore duttilità. Le proprietà meccaniche di una ghisa sferoidale ferrito perlitica sono quindi determinate dal rapporto dei due costituenti nella matrice e, come vedremo nel corso di questo lavoro, dalla loro distribuzione. Il rapporto volumetrico ferrite/perlite può essere controllato, nelle condizioni di getto, andando ad agire sulla composizione della ghisa e tenendo conto della velocità di raffreddamento. Tale rapporto può essere inoltre modificato con un trattamento termico di ricottura, che favorisce una matrice totalmente ferritica, o di normalizzazione, che massimizza il contenuto di perlite [7]. Nella figura sono evidenziate le correlazioni tra le proprietà di trazione, durezza e la frazione volumetrica di perlite. Utilizzando combinazioni differenti di rame stagno e stagno manganese il contenuto di perlite varia tra il 15% ed il 100%. 32

33 Fig : Correlazione tra le proprietà di trazione, durezza e contenuto di perlite L aggiunta di rame, sottoforma di lega rame manganese, in una matrice totalmente perlitica fa aumentare sia il carico di snervamento che quello di rottura. Questo effetto è probabilmente dovuto al consolidamento della soluzione solida. L aggiunta di stagno come lega stagno manganese per ottenere una matrice totalmente perlitica non ha effetti sul livelli del carico di snervamento, ma comporta una diminuzione del carico di rottura che probabilmente dipende dalla formazione intercellulare di grafite degenerata. 2.8 COMPORTAMENTO ALLE BASSE TEMPERATURE Le ghise sferoidali sono strutturalmente stabili fino a temperature molto basse, ma quando si progettano applicazioni a queste temperature non si 33

34 devono trascurare gli effetti sulla tenacità, l allungamento percentuale e il carico di rottura. Figura 2.8.1: Effetti della diminuzione della temperatura sulle principali proprietà meccaniche di una ghisa sferoidale ferritica [14]. Generalmente per queste applicazioni si preferiscono le ghise sferoidali ferritiche poiché la loro duttilità in bassi campi di temperatura è superiore a quella delle ghise sferoidali a matrice perlitica. La figura evidenzia gli effetti della diminuzione della temperatura sulle principali proprietà meccaniche di una ghisa sferoidale ferritica che ha subito il trattamento termico di ricottura. Al diminuire della temperatura, diminuiscono sia il carico di snervamento che quello di rottura, anche se, il 34

35 primo, avendo una pendenza maggiore evidenzia una dipendenza maggiore dalla temperatura[15]. Un buon allungamento del 25% viene mantenuto fino a temperature relativamente basse dell ordine di 130 C, ma al contrario delle caratteristiche di trazione si evidenzia un rapido decremento fino ad arrivare ad un valore del 2% a 300 C. Figura 2.8.2: Le ghise sferoidali perlitiche, a basse temperature della temperatura Le ghise sferoidali perlitiche, come evidenziato in figura 2.8.2, sono caratterizzate da comportamento notevolmente differente al diminuire della temperatura. Per bassi valori della temperatura il carico di snervamento aumenta ma quello di rottura e l allungamento decrescono costantemente. Come risultato di questi comportamenti queste ghise dovranno essere utilizzate con cautela in questo campo di temperature. 35

36 2.9 COMPORTAMENTO ALLE ALTE TEMPERATURE Le ghise sferoidali possiedono diverse proprietà che non permettono loro di essere utilizzate vantaggiosamente alle alte temperature. Quelle non legate mantengono una buona resistenza meccanica anche a temperature moderatamente elevate opponendosi all ossidazione meglio delle normali ghise grigie. Quelle legate continuano ad avere alle elevate temperature buona resistenza alla deformazione e all ossidazione. Le uniche applicazioni in cui le ghise sferoidali non possiedono buone proprietà se paragonate a quelle degli altri materiali sono quelli che prevedono severi cicli termici. Per la bassa conducibilità termica e l elevato modulo elastico, si creano elevate tensioni interne che possono portare a distorsioni o all insorgenza di cricche. Figura 2.9.1: Comportamento al variare della temperature di una ghisa sferoidale ferritica sottoposta a ricottura [16]. 36

37 Figura 2.9.2: Comportamento al variare della temperature di una ghisa sferoidale perlitica normalizzata Le figure e mostrano rispettivamente che, nel breve periodo e per elevate temperature, il carico di rottura per una ghisa sferoidale ferritica ed una perlitica, diminuisce lentamente di 1/3 del suo valore, fino ad arrivare a 425 C, superati i quali, il carico di rottura di entrambe le ghise diminuisce, più o meno rapidamente, all aumentare della temperatura[17]. La ghisa sferoidale perlitica evidenzia una resistenza migliore a tutte le temperature. Questo comportamento è dovuto ad una combinazione di buone proprietà a temperatura ambiente e ad effetti ridotti sulla resistenza alle elevate temperature. Nelle figure sono riportate anche le curve che evidenziano il rilassamento delle tensioni dopo un periodo di tempo di h, ed il comportamento alle elevate temperature per un tempo molto prolungato, cioè il fenomeno del creep o scorrimento viscoso. Per elevate temperature (0,4 0,5 temperatura di fusione ) un metallo sottoposto ad una sollecitazione anche inferiore al limite elastico presenta una deformazione plastica che evolve nel tempo fino ad arrivare alla 37

38 rottura del pezzo, questo tipo di danneggiamento è denominato scorrimento viscoso. Le curve di creep definiscono la tensione richiesta per una data temperatura per avere la velocità minima di allungamento di 0,0001%/h per entrambe le ghise. Come per le caratteristiche di resistenza a trazione, anche per lo scorrimento viscoso le ghise sferoidali perlitiche evidenziano un comportamento migliore di quelle ferritiche, anche se nel lungo periodo hanno per lo più un comportamento identico. In conclusione, nella progettazione statica, per temperature inferiori a 300 C ci si può riferire al carico di snervamento calcolato a temperatura ambiente, mentre per temperature superiori, nelle applicazioni in cui la stabilità dimensionale sia importante non si può sottovalutare il fenomeno del creep ricorrendo a dei calcoli adeguati. Figura 2.9.3: Comportamento al variare della temperature di ghise sferoidali non legate, basso legate ed al Si Mo Al. 38

39 La stabilità strutturale delle ghise sferoidali non legate alle alte temperature dipende sia dalla matrice che dalla temperatura stessa (fig )[18] RESISTENZA ALLA CORROSIONE Le ghise sferoidali a matrice ferritica sono stabili fino all intervallo critico, circa 730 C, mentre quelle perlitiche manifestano un attacco corrosivo attraverso la grafitizzazione della cementite per temperature superiori a 540 C. Al disopra degli 815 C entrambe le ghise subiscono più facilmente l attacco corrosivo, anche se è più abbondante nel caso della matrice perlitica a causa della grafitizzazione. Aumento in peso Profondità ossido Tipo ghisa Silicio Leghe mg/cm 2 mils mm G. S. perlitiche G. S. perlitiche Al G. S. perlitiche Mo 0.6 Al G. S. perlitiche Mo 1.0 Al G. S. perlitiche Mo 0.9 Al G. S. austenitiche Ni 0.4 Cr G. S. austenitiche Ni 5.0 Cr G. S. austenitiche Ni 2.5 Cr Mo Ghise grigie Cr Tabella : Comportamento all ossidazione di ghise sferoidali ferritiche e austenitiche in aria a 815 C per 500 ore [12]. La velocità di ossidazione può essere rallentata aggiungendo degli elementi di lega quali il cromo o il molibdeno o semplice, mente aumentando il contenuto di silicio. 39

40 Figura : Effetti dell esposizione di diverse ghise sferoidali ad un ambiente umido per 30 giorni. In Figura sono riassunti gli effetti dell esposizione di diverse ghise sferoidali ad un ambiente umido per 30 giorni. Dalle curve si nota che il limite elastico non viene influenzato per ghise con durezza inferiore a 275B, mentre diminuisce molto sensibilmente, fino a valori di perdita del 40%, per durezze intorno a 450B. Inoltre si evince che le ghise sferoidali ferriti che non vengono grandemente influenzate dall esposizione ad un ambiente umido[19] RESISTENZA A FATICA Il limite di fatica delle ghise sferoidali è influenzato dai seguenti fattori; resistenza a rottura, dimensione forma e distribuzione degli sferoidi, frazione volumica delle inclusioni metalliche, quantità e posizione della porosità, presenza di intensificazioni delle tensioni [27]. 40

41 La figura mostra due differenti curve S N per due provini di ghisa sferoidale ferritica, con carico di rottura di 454 MPa uno di questi intagliato e l altro integro. Figura : Curve S N per provini di ghisa sferoidale ferritica [4]. Come si vede possiedono una resistenza a fatica di 117 MPa e 193 MPa, rispettivamente. Questo materiale possiede un fattore di sensibilità all intaglio pari a 1,65 e un rapporto di fatica R=0,43. La figura mostra l influenza della modularità [26] sul limite di fatica di due provini di ghisa sferoidale perlitica uno intagliato a V e l altro integro. Il limite di fatica per quello intagliato varia molto poco anche per grandi variazioni molto. della nodularità, mentre quello integro ne risente Questo risultato indica che la presenza di grafite non sferoidale, e quindi nel caso di bassa nodularità, l innesco della cricca per un provino non intagliato è facilitiato, mentre l intensificazione delle tensioni che si ha 41

42 all apice dell intaglio a V è talmente alto da non risentire della nodularità di tutto il provino. Figura : Influenza della nodularità sul limite di fatica di due provini di ghisa sferoidale perlitica (uno intagliato a V e l altro non intagliato) [26]. Nel caso di fatica torsionale o a flessione rotante, in cui le tensioni di taglio raggiungono i massimi valori, la resistenza a fatica viene inficiata dalla presenza di inclusioni, scorie metalliche, o altri difetti superficiali che possono facilitare l innesco della cricca. La figura evidenzia come all aumentare della frazione volumica delle inclusioni non metalliche si ha un peggioramento del limite di fatica nel caso di flessione rotante. Inoltre più la matrice è dura e più questo effetto è sentito. L utilizzo dei getti così come escono dalla terra di fonderia, senza subire successive lavorazioni, ha richiesto l eliminazione di difetti superficiali in quelle applicazioni in cui è richiesto un ottima resistenza a fatica. 42

43 Figura : Comportamento della ghisa sferoidale in funzione di inclusioni non metalliche. Figura : Effetto della granulometria sul limite di fatica. In questi casi, come è evidenziato in figura , per migliorare la finitura superficiale si possono utilizzare dei filtri per setacciare la terra di fonderia in modo da ridurre la granulometria della sabbia e di conseguenza la 43

44 rugosità della superficie del manufatto. Utilizzando questo sistema si ottiene una crescita del 25% sulla vita a fatica. Poiché le rotture per fatica, generalmente, avvengono dopo che è trascorso un periodo di tempo significante, il comportamento a fatica del materiale può essere influenzato da fattori ambientali che lo possono accelerare o ritardare. Figura : Riduzione della resistenza a fatica causata dall esposizione a diversi agenti corrosivi. La figura mostra la riduzione di resistenza a fatica causata dalla esposizione ad un getto di diversi agenti corrosivi, da semplice aria a soluzioni acquose con maggiore potere aggressivo. Nella peggiore condizione la resistenza a fatica è stata diminuita del 28%. In accordo con la dipendenza tra tempo e natura della corrosione, l effetto degli ambienti corrosivi diminuisce al diminuire della vita a fatica[30]. Si è visto che ricoprendo l oggetto di ghisa sferoidale con una pellicola di zinco o alluminio si ottiene una buona protezione in presenza di ambienti corrosivi non evidenziando perdite nella resistenza a fatica. Nelle situazioni 44

45 di fatica in cui i cicli di tensione raggiungono i valori più elevati, la vita a fatica dipende dalla geometria della superficie, dalla presenza di stati residui di tensione e dalle proprietà superficiali delle zone di lavoro. Figura : Relazione tra resistenza a fatica e diversi trattamenti superficiali. L utilizzo di opportune metodologie come la rullatura superficiale, la pallinatura, la tempra a fiamma o la nitrurazione possono aumentare in modo consistente la resistenza a fatica dei componenti in ghisa sferoidale (figura ). Questi trattamenti migliorano la resistenza a fatica aumentando il carico di rottura e creando degli stati di tensione residui di compressione sulle superfici trattate del pezzo. La pallinatura con la riduzione della rugosità superficiale diminuisce anche l effetto di intensificazione che potevano creare le irregolarità superficiali. La figura mostra il miglioramento della resistenza a fatica che si ottiene in una ghisa sferoidale perlitica per diverse intensità della pallinatura. Il pezzo lavorato alle macchine utensili, per migliorarne la finitura, essendo privo di difetti superficiali possiede delle caratteristiche migliori a fatica con una resistenza a fatica di 275MPa. 45

46 Per fatica termica si intende uno speciale tipo di fatica in cui i cicli termici producono nel pezzo cicli di tensione e deformazione attraverso espansioni e contrazioni derivanti dai gradienti di temperatura. All aumentare dei campi di variazione della temperatura si ha un aumento degli effetti della fatica termica in quanto aumentano anche le velocità di riscaldamento e di raffreddamento. Le proprietà che migliorano la resistenza a fatica termica sono un elevata conducibilità, un basso modulo di elasticità, elevata resistenza e duttilità. Sotto severi cicli termici l elevata conducibilità ed il basso modulo elastico di una ghisa grigia ad elevato contenuto di carbonio ne fanno un materiale superiore rispetto a quelle sferoidali ferritiche, normali o legate, e alle ghise a grafite compatta RESILIENZA Le ghise sferoidali, come la maggior parte delle leghe ferrose, possiedono un comportamento a rottura che varia in funzione della composizione, della microstruttura, della temperatura della velocità di deformazione e dello stato di tensione. A basse temperature si manifesta una rottura fragile con la formazione di cricche per clivaggio. Ne conseguono deformazioni molto piccole risultanti da un basso assorbimento di energia ed una bassa tenacità. Con l aumento della temperatura si ha un abbassamento nel diagramma delle tensioni, la rottura avviene per deformazione plastica, principalmente a partire dallo spostamento e moltiplicazione delle dislocazioni. In questo caso la superficie di rottura si 46

47 presenta di colore grigio opaco e l energia assorbita sarà maggiore il che vuol dire una buona tenacità alla frattura. Tradizionalmente la rottura delle leghe ferrose è stata caratterizzata in accordo con i dati sperimentali e con l energia assorbita con la temperatura NDT ( Nil Ductility Transition ) utilizzata per indicare la transizione del comportamento di un metallo da duttile a fragile in funzione del campo di temperatura. Uno dei metodi più usati per caratterizzare il comportamento di un metallo sotto l azione di una sollecitazione dinamica è la prova di resilienza effettuata su un provino intagliato. La prova Charpy viene usato normalmente per caratterizzare sia la temperatura di transizione sia la resilienza delle ghise sferoidali e sono ormai numerosi i risultati disponibili in letteratura. Figura : Effetto della presenza dell intaglio nel comportamento a frattura per una ghisa sferoidale ferritica [37]. Nella figura si vede l effetto della presenza dell intaglio nel comportamento a frattura per una ghisa sferoidale ferritica. La forma dell intaglio influisce molto sul comportamento a rottura e si deve considerare il fatto che un intaglio a V produce degli effetti maggiori, 47

48 con una minor resistenza rispetto a quello ad U, questo per la maggiore intensificazione che produce il primo all apice della V [37]. Lo stato di triassialità delle tensioni e l aumento della velocità di deformazione può portare la temperatura di transizione fino a 60 C e far ridurre l energia massima assorbibile del 75%, ovvero le condizioni critiche si raggiungono molto prima. La figura mostra l effetto della velocità di deformazione sulla rottura. Si paragonano i risultati di una prova dinamica, quale è quella di Charpy, con una quasi statica realizzata su un provino preintagliato. Figura : Influenza della velocità di deformazione sul comportamento delle ghise sferoidali. L aumento della velocità di applicazione del carico nella prova con urto fa aumentare la temperatura di transizione a 64 C. Le figure evidenziano l elevata sensibilità del comportamento a frattura rispetto alle condizioni di test ed enfatizzano la stretta dipendenza delle proprietà delle ghise sferoidali con la velocità di deformazione. La resistenza all urto delle ghise sferoidali è influenzata molto dalla matrice micro strutturale[38]. Una matrice ferritica da ricottura conferisce alla ghisa la più bassa temperatura 48

49 di transizione fragile duttile e la maggiore capacità di assorbire energia. Quindi sono da utilizzarsi in quelle applicazioni in cui sono richieste una elevata duttilità in presenza di intagli ed una buona tenacità alle basse temperature. Queste ghise sferoidali nel test di Charpy con provino intagliato a V evidenziano una temperatura NDT che varia in un campo tra 0 e 60 C, che comunque è funzione del trattamento termico, della composizione e delle proprietà della grafite. Generalmente le ghise sferoidali perlitiche si utilizzano in applicazioni che richiedono limitata duttilità e tenacità e normalmente non se ne consiglia l utilizzo nelle applicazioni alle basse temperature che richiedano resistenza all urto. Le ghise sferoidali martensitiche, che hanno subito il trattamento di tempra e rinvenimento, normalmente hanno una combinazione di resistenza e tenacità alle basse temperature che le rendono superiori a quelle perlitiche FRAGILITÀ AL RINVENIMENTO Come avviene per gli acciai che hanno subito il trattamento termico di rinvenimento dopo la tempra, anche le ghise sferoidali sottoposte allo stesso trattamento possono presentare una certa fragilizzazione al rinvenimento, che a seconda della composizione può essere più o meno intensa. Questo comportamento non inficia le normali proprietà meccaniche ma crea abbassamenti notevoli della tenacità alla frattura[39]. In genere si manifesta nelle ghise sferoidali ad alto contenuto di silicio e di fosforo, che sono state rinvenute a C e poi raffreddate lentamente. 49

50 La fragilizzazione al rinvenimento può essere prevenuta abbassando i livelli di silicio o di fosforo e aggiungendo quantità di molibdeno fino allo 0,15% e controllando l evoluzione del trattamento termico RESISTENZA A COMPRESSIONE Il carico di snervamento a compressione con perdita di proporzionalità allo 0,2% può essere del 20% più elevato di quello a trazione misurato nelle stesse condizioni[44]. La figura mostra la relazione tra il carico di snervamento a compressione e la durezza Brinell. Il limite di proporzionalità a compressione è leggermente più elevato del carico di snervamento a compressione e non varia molto per diverse ghise sferoidali. Una buona stima del valore si ottiene paragonandolo al 75% del carico di snervamento a 0,2% per tutti i gradi di ghisa sferoidale. Figura : Carico di snervamento a compressione [4]. 50

51 2.15 SOLLECITAZIONE A TORSIONE La resistenza a sollecitazioni di taglio oppure a torsione è solitamente considerata pari a circa il 90% della resistenza a trazione. In ogni caso, si verifica nella letteratura una certa penuria di risultati sperimentali relativi a queste tipologie di sollecitazione. Per quanto riguarda lo snervamento a torsione, si può verificare sperimentalmente che questo è pari a circa il75% del valore dello snervamento a trazione [44] CAPACITÀ DI ASSORBIRE LE VIBRAZIONI La capacità di un materiale di assorbire le vibrazioni gioca un ruolo importante nella moderna progettazione. Una elevata capacità di smorzare le vibrazioni riduce il rumore e le vibrazioni subsoniche emesse dai componenti di macchinari che nel loro utilizzo sono sottoposti a carichi ciclici. I motori a combustione realizzati in materiali che possiedono questa qualità sono più silenziosi e trasmettono meno vibrazioni agli altri componenti, le macchine utensili risultano meno rumorose producendo una finitura superficiale migliore. L unico svantaggio è l ulteriore perdita per attrito interno ed aumento di calore che consegue all assorbimento dell energia vibratoria da parte del materiale. Questa capacità acquista un significato più importante se si evidenzia il suo contributo sulla resistenza a fatica. Considerando due materiali con la stessa resistenza a fatica ma con diversa capacità di assorbimento nelle condizioni d uso, questi evidenzieranno due comportamenti differenti. In molte applicazioni le 51

52 vibrazioni appaiono ad intermittenza e con diversa frequenza ed intensità. Un loro rapido assorbimento riduce la possibilità che con il tempo l ampiezza della vibrazione possa aumentare fino a portarsi oltre la resistenza a fatica. Come risultato un elevata capacità di assorbimento corrisponde ad una buona resistenza a fatica. L assorbimento è l abilità del materiale di smorzare le vibrazioni attraverso qualche forma di attrito interno. Nei metalli il primo meccanismo di assorbimento si manifesta come comportamento non elastico (microplastico). Figura : Effetto di carichi alternati. Sotto l effetto di carichi alternati questo comportamento microplastico, come evidenziato nel diagramma nel figura , produce un ciclo di isteresi la cui area è proporzionale all energia assorbita durante il ciclo (vibrazione). La figura mostra il diverso comportamento per tre materiali per quanto riguarda la capacità di assorbire vibrazioni attraverso una 52

53 comparazione della riduzione delle ampiezze delle vibrazioni nel tempo, in un sol termine smorzamento [4]. Figura : capacità di assorbire vibrazioni di tre diversi materiali RESISTENZA ALL USURA Per molti anni le ghise sono state considerate come materiali ideali per un ampio campo di applicazioni in presenza di usura e specialmente per attrito si esso lubrificato o asciutto. Nell attrito senza lubrificanti si possono generare quantitativi di calore sufficienti a saldare le superfici di lavoro dei 53

54 due corpi a contatto. In queste situazioni le particelle di grafite contenute nelle ghise agiscono da lubrificante riducendo l attrito ed il deterioramento superficiale causato dal surriscaldamento. Le ghise grafitiche hanno un buon comportamento anche in presenza dei lubrificanti, in questi casi le particelle agiscono sulla superficie di usura come dei serbatoi d olio che in caso di carichi più elevati realizzano una pellicola superficiale che amplifica l effetto lubrificante. La resistenza all usura delle ghise sferoidali è funzione principalmente della loro microstruttura, per molte applicazioni una frazione volumetrica del 8 11% di perlite garantisce sia la lubrificazione grafitica che l assorbimento dell olio. Una migliore resistenza all usura può essere ottenuta o attraverso trattamenti termici che producano una matrice martensitica o bainitica o utilizzando elementi di lega[3] PROPRIETÀ FISICHE DENSITÀ Normalmente a temperatura ambiente la densità delle ghise sferoidali è di 7,1 g/cm 3. Questo valore varia in funzione della percentuale di carbonio grafitizzato, con valori compresi dell intervallo di 6,8 7,4 g/cm 3 [45]. La densità di un tipico acciaio da getto è di 7,8 g/cm 3 10% superiore rispetto a quella delle ghise sferoidali. risultando almeno un La sostituzione dei getti in acciaio con quelli più leggeri in ghisa sferoidale ha migliorato il rapporto resistenza/peso, facendo risparmiare energia e 54

55 riducendo i costi, specialmente nella realizzazione dei componenti dei motori alternativi,come ad esempio gli alberi a gomiti ESPANSIONE TERMICA Il coefficiente di espansione termica lineare delle ghise sferoidali dipende principalmente dalla loro microstruttura anche se in modo minore è influenzato dalla temperatura e dalla struttura della grafite. Nelle ghise sferoidali non legate la composizione ha solo una piccola influenza sulla espansione termica mentre le ghise sferoidali austenitiche possono esibire un comportamento molto diverso come quello evidenziato in tabella Temperatura Ferritica Pearlitica Austenitica Intervallo % Ni F c 10 6 /F 10 6 /C 10 6 /F 10 6 /C 10 6 /F 10 6 /C Tabella : Effetto della temperatura sul coefficiente di espansione per diverse ghise sferoidali [49] CONDUCIBILITÀ TERMICA La conducibilità termica ed elettrica delle ghise grigie e sferoidali sono fortemente influenzate dalla morfologia della grafite. La conducibilità di quelle grigie è superiore a causa delle lamelle di grafite che realizzano costituiscono un reticolo quasi continuo. Per questo motivo la loro frazione volumetrica ha un ruolo importante per le ghise grigie ma non per quelle 55

56 sferoidali. Oltre alla forma della grafite anche la composizione microstrutturale e la temperatura influiscono sulla conducibilità. Le ghise sferoidali ferritiche possiedono una conducibilità termica superiore a quelle perlitiche, tra i 20 e i 500 C la loro conducibilità è di 30 W/mK mentre quella del grado perlitico alle stesse temperature è approssimativamente inferiore del 20%[49] CALORE SPECIFICO Il calore specifico è la quantità di energia termica necessaria per aumentare la temperatura dell unità di massa di un materiale di un grado. Generalmente cresce con la temperatura arrivando ad un massimo quando si ha una trasformazione di fase. Temperature Specific Heat C J/kg K Btu/lb F Tabella Per le ghise sferoidali non legate il calore specifico varia con la temperatura come mostrato nella tabella [52]. 56

57 CAPITOLO III ROTTURA PER FATICA E MECCANICA DELLA FRATTURA INTRODUZIONE Un materiale oppure un manufatto sollecitati con sforzi variabili nel tempo, possono arrivare a rottura anche se le tensioni massime sono inferiori al carico di rottura: tale fenomeno è stato denominato fatica nel 1839 da Poncelet [58]. Nonostante l implementazione di numerosi materiali metallici e non, le rotture di fatica in esercizio sono ancora oggi numerose: rappresentano di gran lunga il tipo più frequente in confronto a quelle che si verificano per altre cause. Solitamente, le rotture per fatica hanno inizio, con una piccola (microscopica) frattura posta in una zona critica, caratterizzata da elevati livelli locali di tensione: questa si trova quasi sempre in corrispondenza di zone di concentrazione delle tensioni. Di fondamentale importanza è l aspetto della superficie di frattura del pezzo una volta che questo sia giunto a rottura per fatica (fig 3.1.1). La zona di innesco della cricca è solitamente riconoscibile in quanto le linee di riposo, che costituiscono le linee di avanzamento della cricca, convergono verso di essa. La zona ricoperta dalle linee di riposo ha un 57

58 aspetto opaco. Lo schianto sopraggiunge a seguito della diminuzione della sezione ed all eccessiva intensificazione degli sforzi: la superficie di frattura cambia completamente morfologia, presentando una evidente deformazione plastica (fig ). Figura 3.1.1: Superfici di frattura a fatica: sollecitazione a torsione (a sinistra) ed a flessione (a destra). Figura 3.1.2: Superfici di frattura a fatica: morfologie tipiche. 58

59 Dal punto di vista dell analisi della resistenza a fatica dei materiali metallici, sono sostanzialmente due gli approcci che possono essere utilizzati [59]: Approccio classico, nel quale non sono investigate le cause delle rotture a fatica ma piuttosto si considera il materiale solo nelle sue condizioni fondamentali, ovvero integro oppure rotto per fatica. Approccio secondo la Meccanica della Frattura, secondo il quale il materiale viene analizzato durante tutto il processo di danneggiamento per fatica, seguendo l evoluzione della principale discontinuità denominata cricca. In ogni caso, preliminare all analisi della resistenza a fatica di un materiale metallico, è sicuramente la definizione della tipologia di sollecitazione applicata. Spesso nelle sperimentazioni in laboratorio vengono considerate sollecitazioni con forma d onda semplice, ad esempio sinusoidale, con frequenza di sollecitazione costante. Solitamente il carico minimo min è superiore o pari a zero (fig ). Le grandezze necessarie per caratterizzare tale ciclo, oltre alla frequenza di applicazione della sollecitazione, sono: Rapporto di carico: R = min / max Sollecitazione (per unità di superficie) media: m = 0.5 ( min + max ) Semiampiezza della sollecitazione (per unità di superficie): 59

60 a = 0.5 ( max min ) = /2 Figura 3.1.3: Sollecitazione ciclica: esempio. 3.2 ANALISI CLASSICA DELLE ROTTURE PER FATICA Nel caso dell approccio classico all analisi della resistenza a fatica, è sicuramente necessario ricordare anzitutto il lavoro di Wöhler (fig.3.2.1) [60]. Nel 1860, August Wöhler affrontò per primo in modo sistematico e sperimentale lo studio della fatica degli assali ferroviari, costruendosi addirittura apposite macchine di prova (non disponibili commercialmente). In particolare, sviluppò la prova di fatica a flessione rotante, introducendo il concetto di limite di fatica. Wöhler riportò i risultati ottenuti sotto forma di tabelle (figura 3.2.2). Solo il suo successore, Spangenberg, riportò i risultati in un grafico (con assi lineari!!). Le curve S N furono denominate curve di Wöhler solo a partire dal 1936 (figura 3.2.3). 60

61 Figura 3.2.1: Pubblicazione dei risultati di August Wöhler. Figura 3.2.2: Tabelle di Wöhler. Figura 3.2.3: Curve di Wöhler. 61

62 Il diagramma di Wöhler è alla base dell approccio denominato Stress life S N (ampiezza della sollecitazione nominale Numero di cicli a rottura), in cui l ampiezza di sollecitazione nominale viene empiricamente correlata con il numero di cicli a rottura, senza considerare i meccanismi di danneggiamento. Alla base di tale approccio ci sono le curve di Wöhler con gli assi solitamente bi logaritmici: le linee tracciate rappresentano, solitamente, il valore medio ottenuto durante l attività sperimentale (fig ). Figura 3.2.4: Curva S N. Le prove sono svolte utilizzando provini non intagliati, in condizioni di controllo di carico, applicando una ampiezza di sollecitazione costante e misurando il numero di cicli necessario per portare il provino a rottura. Come primo commento alla curva S N, è possibile osservare che la vita a fatica aumenta con la diminuzione della sollecitazione applicata e che, sotto certe condizioni, può esistere un valore di carico corrispondente ad una vita infinita (curva A). Nel caso di ambienti di prova anche blandamente aggressivi, oppure di una certa rugosità della superficie del materiale, il comportamento del materiale può modificarsi in maniera sostanziale e la sua rappresentazione può diventare quello della curva B, in cui non si evidenzia alcuna condizione di vita infinita. Dal punto di vista 62

63 sperimentale si deve evidenziare, come ulteriore complicazione per quanto riguarda l analisi dei risultati sperimentali, che questi sono caratterizzati da una notevole dispersione nei risultati (anche di 4 10 volte). Nel diagramma si possono notare: una zona di fatica a lunga durata, definita dalla zona del tratto asintotico, dove la durata media diventa molto elevata, la dispersione ha per effetto di dare, per uno stesso livello di tensione, delle rotture o delle non rotture; una zona di fatica a termine, che comprende la porzione di curva in cui si ottengono durate a fatica limitate. Per la sua determinazione si sceglie un certo numero di livelli di tensione massima e per ciascun livello si determina la durata a rottura di un certo numero di provette. Il legame fra ampiezza di sollecitazione e numero di cicli a rottura puo essere descritto in questo caso secondo la seguente relazione: ' f 2 2 N f b L esistenza del limite di fatica è utilizzato nella progettazione basata sul criterio della vita infinita o del safe stress. La sua esistenza può essere collegata alla presenza di elementi interstiziali (ad esempio, C e N negli acciai), con conseguente blocco delle dislocazioni. Tale limite può non essere presente a causa di: - Periodiche sovrasollecitazioni, con conseguente sblocco delle dislocazioni - Ambienti aggressivi - Temperature elevate Il valore del limite di fatica può essere influenzato dalla: - Finitura superficiale - Temperatura 63

64 - Intensificazione degli sforzi - Sensibilità all intaglio - Dimensione - Ambiente Considerando che solitamente le curve S N sono ottenute in laboratorio per valori di R = 1 (ovvero m = 0), e che gli spettri di sollecitazione effettivi prevedono invece spesso la presenza di un valore di sollecitazione medio non nullo, sono disponibili dei diagrammi che correlano i valori di a e m che permettono di ottenere la medesima vita a fatica (diagramma di Haigh, fig ). Figura 3.2.5: Diagramma di Haigh. Esistono modelli numerici che permettono l applicazione dei dati disponibili per R = 1 alle altre condizioni del carico (fig ). Ad esempio: a / e + m / u = 1 Goodman (1899) a / e + ( m / u )2 = 1 Gerber (1874) a / e + m / y = 1 Soderberg (1930) a / e + m / f = 1 Morrow (1960) dove: u = UTS; y = YS 64

65 Figura 3.2.6: Confronto fra modelli. Fino all inizio degli anni 50 del secolo scorso, l approccio di Wöhler era praticamente l unico disponibile. Sicuramente utile, esso però presentava alcuni limiti, fra i quali si può ricordare la difficoltà nell interpretazione corretta dei casi di rottura che avvengono con pochi cicli di sollecitazione applicati (fatica oligociclica), dove si verifica una elevata plasticizzazione durante la sollecitazione di fatica. In questo caso è risultato più efficace il cosiddetto approccio strain life. Questo approccio fu proposto nel 1954 da Coffin e Manson [61] che, lavorando indipendentemente su problemi di fatica termica, proposero una caratterizzazione della vita a fatica basata sull ampiezza della deformazione plastica. Questi, infatti, notarono che il legame fra il logaritmo dell ampiezza della deformazione plastica p /2 ed il logaritmo del numero di cicli a rottura 2N f era sostanzialmente lineare: 2 p ' f 2N f c Infatti, se, dopo aver raggiunto e superato il carico di snervamento, ad esempio in corrispondenza di un valore di sollecitazione pari a max, si inverte la direzione di deformazione, la curva stress strain segue una curva caratterizzata da una pendenza equivalente al modulo di Young E. Proseguendo la deformazione fino a raggiungere un valore di sollecitazione 65

66 di compressione pari a max, la curva segue l andamento riportato in fig Figura 3.2.7: Reversibilità della deformazione plastica. Invertendo nuovamente la direzione di deformazione fino a raggiungere ancora il valore di sollecitazione pari a max, si ottiene il ciclo di isteresi riportato in fig L area all interno del ciclo corrisponde all energia per unità di volume dissipata durante il ciclo. Sottoponendo un materiale ad una serie di cicli di sollecitazione come quello ora descritto (in condizioni di controllo della deformazione), si può evidenziare come la risposta del materiale nel diagramma varia con il numero dei cicli applicato. Figura 3.2.8: Deformazione plastica ciclica: ciclo di isteresi. Infatti, sollecitando ciclicamente un materiale metallico in campo plastico ed in controllo di deformazione, la sua risposta può cambiare con il numero di cicli applicato (fig e ): 66

67 - Se per ogni ciclo, la max aumenta, si parlerà di hardening ciclico; - Se per ogni ciclo, la max diminuisce, si parlerà di softening ciclico; - Se per ogni ciclo, la max è stabile, il materiale sarà considerato come ciclicamente stabile. Il materiale tende a stabilizzarsi dopo un numero di cicli relativamente piccolo, inferiore al 10% della vita totale. Figura 3.2.9: Hardening e softening ciclico. Figura : Hardening e softening ciclico: influenza della microstruttura Raggiunta la stabilizzazione, i valori di e corrispondenti sono utilizzati per ottenere la curva ciclica. Questa è una proprietà del metallo e descrive la resistenza del materiale alle sollecitazioni cicliche con elevata deformazione plastica. 67

68 Considerando che per sollecitazioni in campo elastico, ovvero dove risulta valido l approccio di Wöhler, il comportamento del materiale può essere descritto secondo la relazione di Basquin: ' f e 2E E (2 N ) f b La relazione che invece permette di descrivere il legame fra la deformazione plastica ed il numero di cicli a rottura può essere scritta come segue: (2 N ) c ' p f f La curva strain life è quindi data dalla somma della componente elastica e della componente plastica: E ' f ' (2 ) b (2 ) c t e p N f f N f Dal diagramma in fig è possibile definire agevolmente il campo in cui predomina la sollecitazione plastica, ovvero il campo della cosiddetta fatica oligociclica (LCF, Low Cycle Fatigue) ed il campo in cui è predominante la componente elastica, ovvero il campo della fatica ad elevato numero di cicli (HCF, High cycle fatigue). Figura : Resistenza a fatica: stress life e strain life. 68

69 3.3 PROPAGAZIONE DELLA CRICCA DI FATICA Come evidenziato nel paragrafo precedente, l approccio classico alla rottura dei materiali per fatica, sia secondo il criterio stress life (Wöhler) che secondo il criterio strain life (Coffin e Manson) considera il materiale solamente nelle sue due condizioni fondamentali: integro oppure fratturato. Entrambi gli approcci risultano essere insufficienti in quei casi è necessario assicurare una elevatissima affidabilità dei componenti meccanici, oppure in quei casi in cui è necessario definire in maniera affidabile una vita a fatica residua del manufatto in oggetto. Tale esigenze sono sicuramente particolarmente sentite in campo aerospaziale, nucleare, chimico e petrolchimico. Nel 1961, Paris propose di applicare i principi della meccanica della frattura all analisi dell avanzamento della cricca di fatica, proponendo una semplice correlazione fra la velocità di avanzamento della cricca di fatica e l ampiezza del fattore di intensificazione degli sforzi K [62]. Tale parametro permette di definire lo stato degli sforzi all apice della cricca e, definito il modo di sollecitazione (modo I, II oppure III, vedi fig ), racchiude l effetto della geometria del corpo e del difetto e l effetto delle sollecitazioni applicate. Figura 3.3.1: Modi di sollecitazione di una cricca. Lo stesso Paris descrive le difficoltà incontrate nel far accettare tale approccio innovativo. 69

70 ...In 1960, Paris and his coworkers failed to find a receptive audience for their ideas on applying fracture mechanics principles to fatigue crack growth. Although Paris et al. provided convincing experimental and theoretical arguments for their approach, it seems that design engineers were not yet ready to abandon their S N curves in favor of a more rigorous approach to fatigue design. The resistance to this work was so intense that Paris and his collegues were unable to find a peer reviewed technical journal that was willing to publish their manuscript. They finally opted to publish their work in a University of Washington periodical entitled The Trend in Engineering. Interessante anche l accoglienza ricevuta dall ambito industriale. Sempre secondo le parole di Paris:... In 1957, as a faculty summer associate at Boeing Seattle, Paris suggested that fatigue crack growth rates could be correlated using the elastic crack tip stress intensity parameter, K, and that data so represented could be related through this parameter to predict growth rates in structural cracks from laboratory data for the material and environment of interest. The paper written on that work at that time was not published until 1960, since it was delayed by rejection by three journals (ASME, AIAA, and Phil. Mag.). Though that method is widely accepted today, in the late 1960s at Boeing it was rejected by an outside review panel for federal supersonic transport exploratory studies as it simply won t work. Nell approccio proposto da Paris, e sviluppato negli ultimi quarant anni, si assume che il componente presenti al suo interno una discontinuità chiamata cricca e che la sua crescita sia controllata dal fattore di intensificazione degli sforzi K I (nel caso di modo I, quello generalmente più studiato). 70

71 Le prove di propagazione sono effettuate secondo la normativa ASTM E647, solitamente utilizzando provini CT oppure MT (fig e 3.3.3). Figura 3.3.2: Provino CT (Compact Type). Figura 3.3.3: Provino MT. Si effettua una prima fase di precriccaggio in modo da generare, in modo controllato, all apice dell intaglio una cricca di dimensioni minime normate (solitamente circa 2 mm a partire dall intaglio). Dopodiché può iniziare la vera e propria prova di fatica, fissando con accuratezza le condizioni di prova (ambiente, frequenza di sollecitazione, forma d onda, rapporto di carico R, ampiezza del carico applicato P). Tale procedura di prova, denominata ad ampiezza di carico costante è valida per velocità di avanzamento superiori a 10 8 m/ciclo. La misura della propagazione della cricca può essere effettuata sia in modo diretto, mediante un microscopio ottico, che in modo indiretto, ad esempio mediante estensimetria. 71

72 Per ogni lunghezza a raggiunta dalla cricca durante la propagazione è possibile calcolare il valore della sua velocità di avanzamento da/dn (per frequenza costante) mediante il metodo della parabola per sette punti applicato alla curva a N ed il valore del K, conoscendo la correlazione fra il K, il P applicato e la geometria del provino (fig ). Ad esempio, nel caso del provino CT: P K 3 0,866 4, 64 13,32 14, 72 5, 6 B W 1 2 0, 2 W Figura 3.3.4: Diagrammi a N e da/dn K. Il diagramma che si ottiene (da/dn K) presenta alcune analogie con il diagramma di Wöhler. Entrambi i diagrammi possono essere distinti in tre zone, aventi ciascuna un significato analogo. Focalizzando l attenzione sul diagramma di Paris (figura 3.3.5), si possono distinguere: Zona A: assenza di propagazione della cricca (analogo alla vita infinita nel diagramma di Whöler). Tale situazione si presenta nel caso in cui l organo meccanico, contentene una cricca di dimensione nota, sia sollecitato con un talmente basso da generare all apice della cricca un K inferiore al valore di soglia K th ). La velocità di propagazione della cricca in questo caso è nulla. 72

73 Zona B: propagazione della cricca (equivalente allo stadio di Whöler denominato come vita finita ). Per un dato valore di K si ha una certa velocità di propagazione della cricca. In tale zona, l avanzamento della cricca comporta un aumento del K applicato e quindi della velocità di avanzamento fino a comportare la rottura di schianto del manufatto. Il valore di K per cui da vita infinita si passa a vita finita viene indicato con K th (cioè K soglia ; infatti il pedice th è l abbreviazione di threshold). Zona C: propagazione rapida (rottura immediata). In tale zona il campo di tensione applicato è talmente elevato che la rottura si verifica alla prima applicazione della sollecitazione (rottura di tipo statico). Figura 3.3.5: Diagramma da/dn K (anche detto di Paris ) Considerato che il diagramma da/dn K presenta entrambi gli assi con scala logaritmica, la zona B caratterizzata solitamente da un andamento lineare, può essere compiutamente descritta da una relazione semplice proposta appunto da Paris nel 1961: 73

74 da C K dn m dove C ed m sono costanti di regressione determinate sperimentalmente. Negli anni, oltre alla relazione di Paris, sono state proposte decine di altre relazioni interpolanti, in grado di descrivere le curve da/dn K non solo nella zona lineare, ma anche nella zona di soglia e talvolta nella fase finale (rottura di schianto). In ogni caso, nessuna delle relazioni proposte ha ottenuto il successo raggiunto dalla relazione di Paris. Ad esempio, si riporta qui di seguito la relazione di Forman: m da C K dn (1 R) K K IC Il diagramma da/dn K permette di analizzare solo i processi di avanzamento della cricca e non il suo innesco. Questo potrà aver luogo in corrispondenza di una inclusione, per la presenza di difettosità macroscopiche (eccessiva rugosità superficiale, presenza di intagli etc.), oppure ancora a causa della formazione di bande di scorrimento persistenti dovute alla sollecitazione ciclica (fig ). Figura 3.3.6: Innesco della cricca a seguito della formazione di bande di scorrimento. 74

75 Dopo l innesco della cricca, il suo avanzamento avverrà secondo meccanismi discontinui oppure continui (fig ), in funzione dello stato di sollecitazione ( K) che agisce sull apice. Nel caso di K non elevati, di poco superiori alla soglia, sarà necessario una sorta di meccanismo di accumulo del danneggiamento per permettere l avanzamento della cricca. Nel caso di K più elevati (nella zona lineare), il meccanismo di avanzamento sarà invece continuo e schematizzabile come in fig Durante la crescita della sollecitazione, si attiva lo scorrimento delle dislocazioni lungo i piani con elevata sollecitazione a taglio, implicando una deformazione plastica locale. Durante la diminuzione della sollecitazione, un processo di intrusione comporta l avanzamento della cricca di fatica, con la generazione di quella morfologia peculiare denominata striatura. Nel di un avanzamento continuo, ad ogni ciclo di sollecitazione corrisponde una striatura, mentre nel caso del meccanismo discontinuo (bassi K), occorre un certo numero di cicli per ottenere la formazione di una striatura. Il risultato complessivo, sia sotto forma di schema che come osservazione al microscopio elettronico a scansione, è riportato nella fig L approccio all analisi della resistenza alla propagazione della cricca di fatica basata sulla Meccanica della Frattura consente di comprendere meglio i meccanismi di alcuni fenomeni, fra cui i più importanti sono sicuramente l effetto di ritardo e l effetto di chiusura. Nel primo caso, eventuali sovrasollecitazioni inserite all interno del ciclo di sollecitazione implicano un ritardo nell avanzamento della cricca di fatica. 75

76 Figura 3.3.7: Meccanismo continuo di avanzamento della cricca. Figura 3.3.8: Avanzamento della cricca di fatica. Infatti, nel caso di un ciclo di sollecitazione con un K applicato costante (pari a K max K min ) la sovrasollecitazione implica la formazione all apice della cricca di una zona plasticizzata di raggio superiore a quello generato da K max. Di conseguenza, successivamente, la cricca si trova ad avanzare in una zona plasticizzata, con uno stato tensionale residuo a compressione. Ne consegue una diminuzione della velocità di 76

77 avanzamento della cricca e, in alcuni casi, addirittura un suo arresto (fig ). Figura 3.3.9: Effetto ritardo. L effetto di chiusura [64, 65] si riferisce invece alla possibilità che il K che effettivamente agisce sull apice della cricca ( K eff ) sia in alcuni casi inferiore al K applicato ( K app ). Ciò può avvenire nel caso in cui si verifichino alcuni fenomeni, quali, ad esempio, la formazione di ossidi, la formazione di una superficie di frattura con elevata rugosità, oppure una elevata plasticizzazione dell apice della cricca (fig ). Figura : Effetto chiusura. 77

78 Nei primi due casi, infatti, si evidenzia l impossibilità, durante l applicazione della sollecitazione, di raggiungere il valore di Kmin previsto a causa di un impedimento meccanico : di conseguenza il Keff risulta minore del Kapp. Nel caso dell elevata plasticizzazione, la completa chiusura della cricca risulta impedita da un parziale arrotondamento dell apice, con un influenza sul K analoga ai due casi precedentemente descritti. Da ricordare che l effetto di chiusura è solitamente più evidente nel caso di bassi valori di R, divenendo trascurabile al di sopra di circa

79 CAPITOLO IV MATERIALI E METODOLOGIE SPERIMENTALI 4.1 INTRODUZIONE L obiettivo di questo lavoro è l analisi dell influenza della microstruttura sui micromeccanismi di avanzamento della cricca di fatica nelle ghise sferoidali. A tal fine sono state considerate cinque ghise sferoidali caratterizzate differenti microstrutture e sono state effettuate prove di propagazione della cricca di fatica in aria. I principali micromeccanismi di avanzamento sono stati analizzati sia mediante microscopia ottica (LOM) che mediante microscopio elettronico a scansione (SEM). Le analisi sono state effettuate sia durante lo svolgimento della prove di propagazione che al loro termine e sono consistite in: Analisi del profilo di avanzamento della cricca effettuato durante la prova di fatica, con interruzione della medesima, mediante SEM; Analisi tradizionale della superficie di frattura effettuata mediante SEM. Analisi del profilo trasversale della cricca di fatica, mediante osservazione LOM di superfici di frattura nichelate e preparate metallo graficamente. 4.2 GHISE SFEROIDALI INVESTIGATE Sono state investigate cinque ghise sferoidali con differenti microstrutture della matrice metallica e caratterizzate da una elevata nodularizzazione degli elementi di grafite. 79

80 Sono state considerate anzitutto tre ghise sferoidali caratterizzate da una matrice ferrito perlitica, partendo da una da una matrice completamente ferritica, per arrivare ad una quasi completamente perlitica. Le composizioni chimiche e le frazioni volumetriche sono riportate nelle Tab C SI MN S P CU CR MG SN Tabella 4.1: Composizione chimica della ghisa sferoidale EN GJS (100% ferrite), Fig. 4.1 C SI MN S P CU CR MG SN Tabella 4.2: Composizione chimica della ghisa sferoidale EN GJS500 7 (50% ferrite 50% perlite), Fig. III.2. C SI MN S P CU MO NI CR MG SN Tabella 4.3: Composizione chimica della ghisa sferoidale EN GJS700 2 (100% perlite), Fig E stata quindi considerata una ghisa sferoidale ferrito perlitica (frazioni volumetriche pari circa al 50%) ottenuta non mediante il controllo della composizione chimica, come per la EN GJS500 7, ma mediante ricottura di una ghisa perlitica EN GJS700 2 (Tab. 4.3). Come si può osservare nella Fig. 4.4, la ferrite non risulta essere localizzata intorno agli sferoidi di grafite a formare una sorta di guscio, come invece evidenziato nella ghisa sferoidale 80

81 ferrito perlitica ottenuta mediante il controllo della composizione chimica (Fig. 4.2). La nodularità degli elementi di grafite resta comunque elevata. Figura 4.1: Ghisa sferoidale EN GJS (100% ferrite): microstruttura (Nital 3). Figura 4.2: Ghisa sferoidale EN GJS500 7 (50% ferrite 50% perlite): microstruttura (Nital 3). 81

82 Figura 4.3: Ghisa sferoidale EN GJS700 2 (100% perlite): microstruttura (Nital 3). Figura 4.4: Ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante ricottura di una ghisa sferoidale perlitica EN GJS700 2 (risultato finale: 50% ferrite 50% perlite circa): microstruttura (Nital 2). La quinta ghisa sferoidale investigata è invece una ghisa austemperata ADI, denominata GGG 70BA (composizione chimica in Tab. III.4). Tale ghisa è stata ottenuta effettuando il seguente trattamento termico: riscaldamento in forno a 910 C (70 minuti); raffreddamento in bagno di sali fusi (2 ore a 370 C e, quindi, 60, secondi a 320 C) raffreddamento in aria fino alla temperatura ambiente. 82

83 Dopo tale trattamento è possibile osservare una ridotta degenerazione degli sferoidi di grafite ed una buona omogeneità della microstruttura bainitica (la frazione volumetrica di ferrite residua è decisamente ridotta). C Si Mn Mo Ni Sn S Tabella 4.4: Composizione chimica della ghisa sferoidale austemperata GGG 70BA (completamente bainitica), Fig Figura 4.5: Ghisa sferoidale austemperata (ADI) GGG 70BA: microstruttura (Nital 3). 4.3 MODALITÀ DI ESECUZIONE DELLE PROVE DI PROPAGAZIONE DELLE CRICCHE DI FATICA IN ARIA PRECRICCAGGIO Il precriccaggio è stato effettuato nelle condizioni di laboratorio, utilizzando una macchina servoidraulica INSTRON 8501 (100kN) controllata mediante computer (Fig ), applicando la sollecitazione secondo una forma d onda sinusoidale, con una frequenza di applicazione del carico pari a 20 Hz. 83

84 Al fine di ottenere al termine del precriccaggio una condizione di ridotta plasticizzazione dell apice della cricca, si è scelto di utilizzare la procedura relativa alla tecnica del load shedding utilizzata solitamente per determinare i valori di soglia nella propagazione della cricca di fatica: è stato sempre utilizzato un rapporto di carico pari a 0.1, con K decrescente C( a-a0 ) secondo un rateo esponenziale, D K =D K e dove K 0 ed a 0 sono rispettivamente il K iniziale e la lunghezza iniziale della cricca, 1 d( DK) mentre C = (in questo caso scelto pari a 0.291). In questo D K da modo, al termine del precriccaggio, i valori del carico massimo P max sono risultati essere sicuramente inferiori a quelli relativi alla successiva fase di propagazione, per qualunque rapporto di carico investigato. La lunghezza della cricca è stata misurata mediante estensimetro meccanico e controllata durante l avanzamento mediante microscopio ottico (x40). 0 Figura 4.3.1: Macchina per prove meccaniche idraulica INSTRON 8501 (si può osservare un provino CT durante l esecuzione di una prova di propagazione della cricca di fatica in aria). 84

85 4.3.2 PROVE DI PROPAGAZIONE DELLA CRICCA DI FATICA IN ARIA. Le prove sono state effettuate alla temperatura ambiente, utilizzando una macchina servoidraulica INSTRON 8501 (100kN) controllata mediante computer, in condizioni di ampiezza di carico costante (forma d onda sinusoidale), con una frequenza di applicazione del carico pari a 20 Hz. Le prove sono state effettuate in accordo con la normativa ASTM E647 [66] utilizzando provini CT (Compact Type) dello spessore di 10 mm: sono stati investigati tre differenti valori del rapporto di carico (R = P min /P max = 0.1; 0.5; 0.75). La lunghezza della cricca è stata misurata mediante estensimetro meccanico (Fig e ) e saltuariamente controllata mediante microscopio ottico (ingrandimento 40x). Figura : Estensimetro meccanico montato sul provino CT. 85

86 Figura : Montaggio del provino nella macchina di prova. Nella parte superiore si può osservare la cella di carico, mentre in basso il provino è collegato all attuatore ANALISI DEI MICROMECCANISMI DI DANNEGGIAMENTO Al fine di analizzare i micromeccanismi di avanzamento della cricca di fatica, sono state utilizzate differenti procedure: osservazione al microscopio elettronico a scansione (SEM) della superficie laterale del provino, effettuata seguendo il percorso della cricca e le sue interazioni con gli sferoidi. analisi di tipo tradizionale della superficie di frattura utilizzando un microscopio elettronico a scansione (SEM); analisi della superficie di frattura al SEM con ricostruzione 3D della superficie di frattura; analisi dei profili di frattura mediante osservazione al microscopio ottico (LOM). Queste quattro metodologie possono essere descritte come segue. 86

87 OSSERVAZIONE AL MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE (SEM) DELLA SUPERFICIE LATERALE DEL PROVINO La procedura di prova adottata per seguire l avanzamento della cricca di fatica durante l esecuzione della prova di fatica è stata la seguente: preparazione metallografica dei provini CT utilizzati per la prova di propagazione della cricca di fatica; esecuzione della prova di avanzamento della cricca di fatica effettuando alcune interruzioni (fino a tre); durante ogni interruzione, si effettua l osservazione al SEM della superficie laterale del provino, effettuata seguendo il percorso della cricca e le sue interazioni con gli sferoidi, analizzando anche lo stato di danneggiamento al suo apice. Questa analisi viene effettuata per ogni interruzione a partire dall apice della cricca, in modo da poter evidenziare l eventuale evoluzione del danneggiamento nella ghisa con l avanzamento della cricca di fatica ANALISI SEM DELLA SUPERFICIE DI FRATTURA DI TIPO TRADIZIONALE Al termine della prova di propagazione della cricca di fatica, si sottopone la superficie di frattura ad una operazione di pulizia in bagno ad ultrasuoni di alcool etilico. Successivamente, si inserisce il provino nella camera a vuoto del SEM Philips 505, iniziando così l osservazione della superficie di frattura a partire dall intaglio meccanico (Fig ): in corrispondenza di alcune lunghezze della cricca, cui corrisponde un valore del K noto, sono state effettuate le osservazioni utilizzando differenti ingrandimenti in modo da mettere in evidenza le morfologie di interesse. Tutte le frattografie 87

88 riportate nel presente lavoro saranno caratterizzate da una direzione di avanzamento della cricca da sinistra verso destra. Figura : Microscopio elettronico a scansione SEM Philips 505. A sinistra: fotocamera digitale. A destra: camera a vuoto ANALISI SEM DELLA SUPERFICIE DI FRATTURA CON RICOSTRUZIONE 3D L analisi al SEM con ricostruzione 3D della superficie è stata effettuata ottenendo una immagine stereoscopica del campione oggetto dell esame. Questo risultato è stato ottenuto catturando due immagini della stessa posizione, effettuando una rotazione eucentrica intorno all asse verticale (la rotazione eucentrica si ottiene facendo corrispondere al centro di rotazione un punto sulla superficie del campione, Fig ). La ricostruzione 3D della superficie è stata quindi ottenuta mediante software Alicona MeX (Fig ). 88

89 Figura : Esempio di rotazione eucentrica. Figura : Principio di funzionamento del software Alicona MeX. Tale procedura è stata utilizzata al fine di determinare l influenza della microstruttura sul meccanismo di distacco degli sferoidi di grafite dalla matrice metallica. In corrispondenza della stessa posizione del provino è stata ottenuta una immagine stereoscopica mediante una rotazione eucentrica per un angolo pari a 8, catturando due differenti immagini. Il 89

90 software Alicona MeX ha consentito quindi di effettuare una ricostruzione 3D, ottenendo immagini come quella riportata nella Fig. III.12. Dopo tale ricostruzione, sempre utilizzando il software Alicona MeX, è stata analizzata quantitativamente l evoluzione dei profili della superficie (Fig ). Figure : Ricostruzione 3D della superficie di frattura (ghisa sferoidale 50% ferrite 50% perlite ottenuta controllando la composizione chimica). Per ognuna delle ghise investigate (Tab ) sono stati considerati almeno 50 cavità lasciate dagli sferoidi di grafite: i profili ottenuti sono stati quindi analizzati come riportato in Fig Ciascuna cavità è stata caratterizzata determinando la sfera in grado di meglio approssimare la cavità stessa, considerando tre differenti parametri geometrici: - La profondità della cavità M [ m]; - Il diametro della cavità L [ m]; - Il diametro della sfera approssimante D [ m] Le relazioni fra detti parametri dipendono dalla tipologia del meccanismo di distacco. Infatti, se il meccanismo di distacco è completamente fragile, ne deve conseguire una limitata o nulla deformazione plastica della matrice e, di conseguenza devono essere valide le seguenti relazioni: 90

91 - M D/2 - L D/2. Se invece si verifica un distacco duttile, la deformazione plastica della matrice implica la validità delle seguenti relazioni: - M > D/2 - L > D/2 In questo caso le differenze diventano sempre più importanti con l aumentare della deformazione plastica della matrice. Figura : Analisi quantitativa dell evoluzione del profilo della superficie di frattura ANALISI LOM DEI PROFILI DI FRATTURA Un ulteriore analisi dei micromeccanismi di danneggiamento è stata effettuata mediante il microscopio ottico (LOM), osservando sezioni trasversali dei provini CT dopo l esecuzione della prova di propagazione 91

92 della cricca di fatica. La preparazione dei provini è stata effettuata secondo la seguente procedura: rivestimento della superficie di frattura mediante deposito di Nichel (al fine di proteggere detta superficie dalle successive operazioni; taglio dei provini mediante troncatrice diamantata, ortogonalmente alla direzione di propagazione della cricca (ovvero secondo un valore di K approssimativamente costante, Fig ); inglobamento delle sezioni ottenute e loro preparazione metallografica (fino ad utilizzare una soluzione acquosa contenente Al 2 O 3 con granulometria pari a 0.2 m); attacco chimico del provino (Nital 2, 5 s); osservazione mediante microscopio metallografico (LOM) della sezione trasversale del provino. Figura : Modalità di preparazione del provino CT dopo rottura a fatica per l osservazione del profilo di frattura. 92

93 Per quanto riguarda le attività sperimentali i cui risultati sono riportati nel presente lavoro di tesi, è necessario evidenziare che: alcune prove di propagazione della cricca di fatica non sono state effettuate durante il presente lavoro di tesi, ma precedentemente ad esso; i risultati sono stati comunque considerati in quanto i provini, dopo rottura a fatica, sono stati oggetto delle analisi dedicate alla determinazione dei micro meccanismi di avanzamento; non tutte le procedure di analisi al SEM oppure LOM sono state utilizzate per tutte le ghise e per tutti i provini investigati. Nella Tab è riportato un quadro complessivo delle attività sperimentali i cui risultati sono stati analizzati in questo lavoro di tesi. In particolare sono indicate con il simbolo le attività svolte in questo lavoro di tesi, e con il simbolo quelle svolte in precedenti attività sperimentali, ma comunque qui inserite in modo da avere un quadro dei risultati completo. 93

94 Prove SEM Ricostruzione SEM Analisi fatica profilo 3D tradizionale LOM sezioni R = % F R = 0.5 R = %F + R = %P R = 0.5 (comp. chim) R = 0.75 R = % P R = 0.5 R = %F + R = %P R = 0.5 (tratt. term) R = 0.75 R = 0.1 ADI R = 0.5 R = 0.75 Tabella : Tabella complessiva dei risultati analizzati nel presente lavoro di tesi. Con il simbolo le attività svolte in questo lavoro di tesi, e con il simbolo quelle svolte in precedenti attività sperimentali 94

95 CAPITOLO IV RISULTATI E COMMENTI 4.1 INTRODUZIONE In questo capitolo vengono riportati i risultati delle prove di propagazione della cricca di fatica effettuate, analizzando inizialmente l influenza del rapporto di carico e comparando successivamente le differenti ghise investigate (diagrammi da/dn K, velocità di avanzamento della cricca, ampiezza del fattore di intensificazione degli sforzi applicato). Si considereranno inizialmente le tre ghise ferrito perlitiche ottenute mediante il controllo della composizione chimica, e si riporteranno successivamente i risultati relativi alle due ghise sferoidali ottenute mediante trattamento termico (la ferrito perlitica e la ADI). Verranno quindi investigati e comparati i micromeccanismi di propagazione, analizzati secondo le metodologie descritte nel capitolo precedente. 4.2 RESISTENZA ALLA PROPAGAZIONE DELLA CRICCA DI FATICA NELLE GHISE SFEROIDALI L influenza del rapporto di carico (R=P min /P max ) sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica è riportato nelle Fig , partendo dalle ghise ferrito perlitiche (controllo della composizione chimica), per passare a quelle trattate termicamente, con matrice ferritoperlitica (sottoposta a ricottura) oppure bainitica (austemperata). 95

96 10-6 da/dn [m/ciclo] % ferrite R = 0.1 R = 0.5 R = K [MPa m 1/2 ] Figura 4.2.1: Ghisa sferoidale a matrice ferritica: influenza del rapporto di carico sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica da/dn [m/ciclo] % ferrite + 50% perlite (da composizione chimica) R = 0.1 R = 0.5 R = 0.75 K [MPa m 1/2 ] 50 Figura 4.2.2: Ghisa sferoidale a matrice ferrito perlitica (da composizione chimica): influenza del rapporto di carico sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica. 96

97 10-6 da/dn [m/ciclo] % perlite R = 0.1 R = 0.5 R = K [MPa m 1/2 ] Figura 4.2.3: Ghisa sferoidale a matrice perlitica: influenza del rapporto di carico sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica da/dn [m/ciclo] % F - 50% P (ricottura ghisa perlitica) R = 0.1 R = 0.5 R = K [MPa m 1/2 ] Figura 4.2.4: Ghisa sferoidale a matrice ferrito perlitica (da trattamento termico): influenza del rapporto di carico sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica. 97

98 10-6 da/dn [m/ciclo] Austemperata R = 0.1 R = 0.5 R = K [MPa m 1/2 ] Figura 4.2.5: Ghisa sferoidale austemperata (ADI): influenza del rapporto di carico sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica. Per tutte le ghise sferoidali investigate, si può osservare una evidente influenza del rapporto di carico sulla propagazione della cricca di fatica dovuto all effetto di chiusura. All aumentare del rapporto di carico, infatti, le velocità di avanzamento aumentano (per K costante) e si evidenzia una diminuzione del valore di soglia K th e del valore del K corrispondente alla rottura di schianto. Tali differenze sono maggiormente evidenti per valori di R più bassi (fra 0.1 e 0.5), mentre per rapporti di carico più elevati sono meno evidenti. L analisi dell influenza della microstruttura è riportata nelle Fig e Nella Fig si analizza l influenza della microstruttura sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica nelle ghise ferritoperlitiche in cui le fasi sono controllate dalla composizione chimica. La peculiare distribuzione della ferrite e della perlite nella ghisa ferritoperlitica EN GJS500 7 comporta una più elevata resistenza alla 98

99 propagazione della cricca di fatica, specialmente per valori più elevati del rapporto di carico e del K applicato da/dn [m/ciclo] % F R = 0.1 R = 0.5 R = % F + 50% P R = 0.5 R = 0.1 R = % P R = 0.1 R = 0.5 R = K [MPa m 1/2 ] 50 Figura 4.2.6: Influenza del rapporto di carico e della microstruttura sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica nelle ghise sferoidali ferrito perlitiche (controllo composizione chimica). La Fig invece raffronta il comportamento della ghisa ferrito perlitica EN GJS500 7, quella caratterizzata dalla più elevata resistenza alla propagazione della cricca di fatica fra le ghise ferrito perlitiche ottenute mediante il controllo della composizione chimica ed investigate in questo lavoro, con il comportamento delle due ghise trattate termicamente, ovvero quella perlitica sottoposta a ricottura, con una struttura finale ferrito perlitica, e quella austemperata, con una microstruttura quasi completamente bainitica. 99

100 10-6 da/dn [m/ciclo] % F - 50% P (composizione chimica) R = 0.1 R = 0.5 R = % F - 50% P (ricottura ghisa perlitica) R = 0.1 R = 0.5 R = 0.75 Austemperata R = 0.1 R = 0.5 R = K [MPa m 1/2 ] Figura 4.2.7: Influenza del rapporto di carico e della microstruttura sulla resistenza alla propagazione della cricca di fatica nelle ghise sferoidali ferrito perlitiche (ottenute con controllo composizione chimica oppure del trattamento termico) e nella ghisa austemperata. Confrontando le due ghise ferrito perlitiche caratterizzate da analoghe frazioni volumetriche di ferrite e perlite, si può osservare come quella ottenuta mediante il controllo della composizione chimica, e caratterizzata da una localizzazione della ferrite intorno agli sferoidi di grafite, risulta avere una resistenza alla propagazione della cricca più elevata rispetto alla ghisa ferrito perlitica ottenuta mediante ricottura di un ghisa perlitica. Le differenze diventano sempre più evidenti con l incremento del rapporto di carico. Nel caso della ghisa austemperata la resistenza alla propagazione della cricca è simile a quella offerta dalla ghisa ferrito perlitica ottenuta mediante il controllo della composizione chimica, per tutti i rapporti di carico investigati. 100

101 4.3 OSSERVAZIONE AL MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE (SEM) DELLA SUPERFICIE LATERALE DEL PROVINO DURANTE L ESECUZIONE DELLA PROVA DI PROPAGAZIONE DELLA CRICCA DI FATICA: RISULTATI Come riportato nella Tab , solo alcune fra le ghise sferoidali investigate sono state sottoposte a questa procedura di analisi. Nel caso della ghisa a matrice ferritica, una analisi qualitativa consente di affermare che il profilo della cricca è caratterizzato da un andamento piuttosto tortuoso. L interfaccia matrice metallica sferoide di grafite non costituisce necessariamente un cammino preferenziale di avanzamento della cricca: infatti, la cricca può superare lo sferoide senza incontrarlo anche se prossimo (Fig ), attraversarlo (Fig , caso più raro), oppure ancora avanzare in corrispondenza dell interfaccia sferoide matrice (Fig ). In quest ultimo caso il distacco (debonding) non è mai netto, ma permangono residui di grafite all interno della cavità lasciata dallo sferoide. Sono talora presenti delle cricche secondarie: le ramificazioni possono innescarsi in corrispondenza di uno sferoide (Fig ) oppure all interno della matrice (Fig ), avanzando per alcune decine di micron, per arrestarsi nella matrice oppure ricongiungendosi con il percorso principale della cricca (Fig ). All interno degli sferoidi si può osservare la presenza di un danneggiamento ulteriore rispetto alla cricca principale, consistente in microcricche (ad esempio, Fig ). 101

102 Figura 4.3.1: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.1, K = 10 MPa m). Figura 4.3.2: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.5, K = 10 MPa m). Figura 4.3.3: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.1, K = 15 MPa m). 102

103 Figura 4.3.4: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.5, K = 12 MPa m). Figura 4.3.5: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.75, K = 9 MPa m). 103

104 Figura 4.3.6: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.1, K = 14 MPa m). Figura 4.3.7: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.5, K = 13 MPa m). Figura 4.3.8: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.5, K = 18 MPa m). 104

105 Gli sferoidi in prossimità della cricca, ma non da essa direttamente incontrati, non presentano alcuna forma di danneggiamento, né al loro interno e tanto meno all interfaccia sferoide matrice. All aumentare del K applicato, si osserva una diminuzione della tortuosità del profilo. All aumentare del K, quindi, l importanza dell effetto di chiusura dovuto alla rugosità della superficie diminuisce, mentre aumenta l importanza dell effetto di chiusura dovuto alla plasticizzazione dell apice della cricca. Infatti, considerando che le prove sono condotte per P= cost, questo implica un aumento del K max con l avanzamento della cricca e, quindi, un conseguente incremento del valore del raggio di plasticizzazione. Nel caso della ghisa sferoidale con matrice completamente perlitica, il percorso della cricca sembra essere decisamente meno tortuoso rispetto alla ghisa a matrice ferritica analizzata nelle pagine precedenti (Fig ). La cricca può talora attraversare gli sferoidi (Fig ), anche se la tipologia prevalente di interazione sferoide cricca di fatica consiste nel distacco netto (debonding) dello sferoide dalla matrice metallica (Fig ). 105

106 Figura 4.3.9: Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 13 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 15 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.5, K = 10 MPa m). 106

107 Le lamelle di ferrite e di perlite non costituiscono necessariamente un percorso preferenziale per l avanzamento della cricca di fatica. Infatti, anche se talvolta si può osservare un distacco delle lamelle appunto dovuto al passaggio della cricca (Fig ), la morfologia prevalente è quella di una sostanziale indifferenza della cricca rispetto alla direzione delle lamelle, anche nel caso di lamelle orientate in maniera decisamente favorevole al loro distacco, ovvero nel caso di un angolo fra il piano delle lamelle e la direzione di propagazione della cricca estremamente ridotto (Fig ). Figura : Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 17 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.75, K = 7 MPa m). 107

108 Figura : Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 12 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.75, K = 8 MPa m). La presenza di cricche secondarie è molto più rara rispetto alla ghisa a matrice ferritica (Fig ). Tali cricche tendono comunque sempre a ricongiungersi con il percorso della cricca principale piuttosto che fermarsi all interno della matrice metallica. E possibile osservare il danneggiamento di sferoidi non interessati direttamente dal passaggio della cricca, sotto 108

109 forma di cricche interne, preferenzialmente, ma non unicamente, sotto forma di cricche centrali (Fig ). Figura : Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 11.5 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale perlitica (la cricca si trova nella parte bassa della foto, a circa 30 m; le condizioni di sollecitazione della cricca per quella lunghezza sono R = 0.5, K = 20 MPa m). La ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante ricottura della ghisa perlitica presenta un profilo di avanzamento che risulta essere intermedio 109

110 rispetto alle due ghise precedentemente analizzate. Infatti, come la ghisa ferritica, sono numerose le cricche secondarie che si diramano dal percorso principale, spesso riunendosi nuovamente con la cricca principale (Fig ), mentre, come la ghisa perlitica, presenta un distacco netto degli sferoidi dalla matrice metallica per tutte le condizioni di sollecitazione investigate (Fig ). Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica da trattamento (R = 0.75, K = 6 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica da trattamento (R = 0.1, K = 10 MPa m). 110

111 Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica da trattamento (R = 0.5, K = 8 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica da trattamento (R = 0.75, K = 8 MPa m). 4.4 ANALISI SEM DI TIPO TRADIZIONALE DELLE SUPERFICI DI FRATTURA L analisi SEM delle superfici di frattura è stata effettuata su tutte e cinque le ghise sferoidali investigate in questo lavoro. La ghisa sferoidale ferritica è caratterizzata dalla presenza di cricche secondarie (Fig ), rottura per clivaggio dei grani ferritici (Fig 4.4.2), ed un distacco degli sferoidi dalla matrice metallica che sovente comporta una 111

112 parziale frantumazione dello sferoide, con la presenza di grafite nella cavità lasciata dallo sferoide (Fig ). Tale parziale frantumazione è confermata sia nel caso di sferoidi che restano inglobati nella matrice (Fig , punto 1), che nel caso di sferoidi asportati con un evidente residuo nella cavità (Fig , punto 2). Dopo il passaggio della cricca, il contatto fra matrice ferritica e sferoidi di grafite non è completo: si verifica una evidente deformazione plastica della matrice (Fig ). Tutte le morfologie di frattura sono sostanzialmente indipendenti dalle condizioni di applicazione della sollecitazione (R e/o K). Figura 4.4.1: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.1, K = 10 MPa m). Figura 4.4.2: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.1, K = 12 MPa m). 112

113 Figura 4.4.3: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.1, K = 19 MPa m). Figura 4.4.4: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.5, K = 9 MPa m). Figura 4.4.5: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.75, K = 11 MPa m). 113

114 L analisi SEM delle superfici di frattura della ghisa sferoidale con matrice completamente perlitica non mostra la presenza di cricche secondarie, se non in casi molto rari e con estensione limitata a poche decine di micron (ad esempio, Fig ). La presenza di clivaggio è estremamente limitata, se non completamente assente (Fig ), mentre è molto più evidente la presenza di una morfologia di frattura simile alle striature di fatica. Nel caso della ghisa perlitica, infatti, piuttosto che di vere e proprie striature di fatica, si tratta di colonie di perlite fratturate dal passaggio della cricca, come peraltro evidenziato nell analisi del profilo di avanzamento (Fig ). Ne consegue che anche i rari clivaggi altro non sono che i segni della cricca che, per un breve percorso, ha delaminato le lamelle di perlite (confrontare Fig con Fig ). Per quanto riguarda il distacco degli sferoidi, questo avviene sempre senza lasciare residui nella cavità e senza disgregazione (Fig ). Il distacco (debonding) sferoidi matrice perlitica non presenta alcuno dei caratteri di duttilità evidenziati nella ghisa a matrice ferritica. Figura 4.4.6: Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.5, K = 10 MPa m). 114

115 Figura 4.4.7: Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 14 MPa m). Figura 4.4.8: Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.75, K = 8 MPa m). Figura 4.4.9: Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 16 MPa m). 115

116 Le superfici di frattura ottenute dalla propagazione della cricca di fatica nella ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante il controllo della composizione chimica presentano sovente un clivaggio della ferrite che risulta essere localizzata intorno agli sferoidi di grafite (Fig ). Come nel caso della ghisa a matrice ferritica, gli sferoidi presentano una seppur minima disgregazione ed un distacco duttile dal guscio ferritico (Fig ), mentre, come nella ghisa perlitica, si evidenza una pressoché completa mancanza di cricche secondarie. La matrice perlitica presenta una evidenza di quelle striature che sono già state evidenziate nella ghisa sferoidale con matrice completamente perlitica: anche in questo caso, si tratta della frattura delle colonie perlitiche e solo molto raramente una eventuale delaminazione delle lamelle può risultare in una sorta di clivaggio non localizzato intorno agli sferoidi. Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica (ottenuta mediante controllo composizione chimica. R = 0.1, K = 15 MPa m). 116

117 Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica (ottenuta mediante controllo composizione chimica. R = 0.1, K = 18 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica (ottenuta mediante controllo composizione chimica. R = 0.75, K = 8 MPa m). Come già evidenziato nel capitolo precedente, la ghisa sferoidale ferritoperlitica ottenuta mediante ricottura di una ghisa con matrice perlitica presenta una distribuzione delle fasi differente rispetto a quella che caratterizza la ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante il controllo della composizione chimica: la ferrite non risulta essere localizzata intorno agli sferoidi di grafite e la perlite non costituisce una 117

118 sorta di matrice, ma, piuttosto, i due costituenti strutturali risultano essere notevolmente più mescolati. Il clivaggio della ferrite intorno agli sferoidi è quindi assente, mentre si osservano aree di clivaggio di estensione ridotta e più distribuite nella matrice metallica (Fig ). Gli sferoidi possono essere sia parzialmente disgregati (Fig ) che assolutamente integri (Fig ), con rare cricche secondarie di estensione limitata (Fig ). Anche in queste ghise è presente un certo distacco duttile fra sferoide e matrice metallica (Fig ). Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica (ottenuta mediante trattamento termico. R = 0.5, K = 6 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica (ottenuta mediante trattamento termico. R = 0.75, K = 7 MPa m). 118

119 Figura : Ghisa sferoidale ferrito perlitica (ottenuta mediante trattamento termico. R = 0.1, K = 12 MPa m). La ghisa sferoidale austemperata, con la sua microstruttura prevalentemente bainitica e, quindi, più fine se comparata alle strutture ferrito perlitiche analizzate nelle pagine precedenti, può comunque presentare delle morfologie di delaminazione simili a quelle precedentemente incontrate (Fig ). Gli sferoidi possono essere parzialmente disgregati (Fig ) anche se la morfologia più frequentemente osservata consiste in sferoidi sostanzialmente integri (Fig ), con un evidente distacco duttile sferoidi matrice metallica. Le cricche secondarie sono sostanzialmente assenti, oppure di dimensioni estremamente ridotte (Fig ). 119

120 Figura : Ghisa sferoidale austemperata (R = 0.5, K = 12 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale austemperata (R = 0.1, K = 6 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale austemperata (R = 0.1, K = 18 MPa m). 120

121 4.5 ANALISI SEM CON RICOSTRUZIONE 3D DELLE SUPERFICI DI FRATTURA Per tutte le microstrutture analizzate, quasi tutte le cavità analizzate sono state caratterizzate da una relazione fra L e D del tipo L > D, a testimoniare la presenza di una componente duttile, magari minima, nel distacco dello sferoide dalla matrice, indipendentemente dalla matrice. La microstruttura influenza però notevolmente la distribuzione dei risultati. La ghisa a matrice perlitica è caratterizzata da valori di L veramente molto vicini a D (un distacco completamente fragile dello sferoide dalla matrice deve corrispondere ad un valore L D =0 ), mentre la ghisa con matrice perlitica è caratterizzata da valori più elevati della differenza L D, ovvero il distacco sferoidi matrice presenta caratteri più marcati di duttilità (Fig ). La ghisa ferrito perlitica (ottenuta mediante il controllo della composizione chimica) presenta valori intermedi. Il differente comportamento meccanico dei gusci di ferrite e della matrice perlitica probabilmente induce la formazione di uno stato di stress di compressione nei gusci ferritici in corrispondenza del K min. Ne consegue in incremento dell importanza dell effetto di chiusura dovuto alla plasticizzazione dell apice della cricca ed una diminuzione della velocità di avanzamento della cricca. La ghisa austemperata ADI è caratterizzata da una distribuzione dei risultati L D che risulta essere comparabile a quello ottenuto con la ghisa ferrito perlitica: presumibilmente il meccanismo di chiusura è simile a quello già proposto per la ghisa ferrito perlitica, considerando la presenza di ferrite residua intorno agli sferoidi. 121

122 Anche i risultati ottenuti nel diagramma M D (profondità della cavita Diametro della sfera di approssimazione ) suggeriscono una classificazione dell influenza della microstruttura sulla deformazione duttile nel meccanismo di distacco sferoidi matrice, con la ghisa completamente perlitica che risulta essere caratterizzata da una relazione del tipo M D/2 (ovvero con un distacco completamente fragile). Le altre microstrutture investigate sono caratterizzata da una più elevata importanza della deformazione duttile, e da una elevata dispersione dei risultati (Fig ). Diametro cavità "L" [ m] % F 50% F + 50% P (comp. chimica) 100% P ADI Diametro "sfera di approssimazione" "D" [ m] Figura Ricostruzione 3D delle superfici di frattura: diagramma L D 122

123 Profondità cavità "M" [ m] % F 50% F + 50% P (comp. chimica) 100% P ADI Diametro "sfera di approssimazione" "D" [ m] Figura 4.5.2: Ricostruzione 3D delle superfici di frattura: diagramma M D. 4.6 ANALISI LOM DEI PROFILI DI FRATTURA Nel caso della ghisa ferritica, l analisi al microscopio ottico (LOM) delle sezioni trasversali della superficie della cricca conferma la frequente frantumazione degli sferoidi (Fig ). Anche nel caso di sferoidi completamente asportati, si osserva spesso nella sede della cavità la presenza di residui di grafite (Fig ). I tratti rettilinei del profilo testimoniano l importanza del clivaggio nella superficie di frattura per tutte le condizioni di applicazione della sollecitazione. 123

124 Figura 4.6.1: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.1, K = 15 MPa m). Figura 4.6.2: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.5, K = 15 MPa m). Figura 4.6.3: Ghisa sferoidale ferritica (R = 0.5, K = 10 MPa m). 124

125 L analisi LOM della ghisa sferoidale con matrice completamente perlitica evidenzia, e conferma, invece un distacco sferoide grafite di tipo fragile, senza frantumazione degli sferoidi (Fig ) e con cavità prive di residui di grafite. Figura 4.6.4: Ghisa sferoidale perlitica (R = 0.1, K = 10 MPa m). La ghisa ferrito perlitica ottenuta mediante il controllo della composizione chimica presenta sferoidi integri e parzialmente frantumati (Fig ), con cavità che possono presentare residui di grafite. La presenza degli sferoidi circondati dai gusci di grafite non costituisce necessariamente un percorso preferenziale per l avanzamento della cricca, come è possibile evidenziare nel caso dello sferoide al centro della Fig Gli sferoidi di grafite possono rimanere aderenti alla superficie di frattura anche nel caso in cui la superficie di contatto sia inferiore al 50% della superficie dello sferoide (ad esempio, Fig ). 125

126 Figura 4.6.5: Ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante controllo della composizione chimica (R = 0.5, K = 9 MPa m). Figura 4.6.6: Ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante controllo della composizione chimica (R = 0.1, K = 15 MPa m). Nel caso della ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante trattamento termico, si può osservare una densità di sferoidi parzialmente frantumati più elevata rispetto alla ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta controllando la composizione chimica (Fig ). Sono comunque presenti numerosi sferoidi non frantumati, distaccati dalla superficie di frattura secondo un meccanismo fragile, senza deformazione plastica evidente della matrice (Fig.4.6.8). 126

127 Figura 4.6.7: Ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante trattamento termico (R = 0.1, K = 10 MPa m). Figura 4.6.8: Ghisa sferoidale ferrito perlitica ottenuta mediante trattamento termico (R = 0.1, K = 15 MPa m). La ghisa austemperata presenta anch essa sferoidi completamente integri (Fig ), oppure frantumati (Fig ). Il guscio intorno agli sferoidi non è costituito esclusivamente da ferrite, ma è sempre bene evidente. 127

128 Figura 4.6.9: Ghisa sferoidale austemperata (R = 0.1, K = 15 MPa m). Figura : Ghisa sferoidale austemperata (R = 0.1, K = 9 MPa m). 4.7 COMMENTI E CONCLUSIONI L analisi della resistenza alla propagazione della cricca di fatica delle ghise sferoidali effettuata in questo lavoro ha permesso di evidenziare come, al fine di ottenere una implementazione di tale resistenza, oltre all ovvia importanza di una elevata nodularità degli elementi di grafite, sia necessario ottimizzare la microstruttura. L importanza della microstruttura della matrice metallica non è esclusivamente legata alla tipologia delle fasi 128

129 presenti ma anche, e, forse, soprattutto, alle loro frazioni volumetriche ed alla loro distribuzione. La resistenza alla propagazione della cricca di fatica non è dipendente solo dalle caratteristiche meccaniche delle fasi e dei costituenti strutturali presenti nella matrice metallica, ma dipende anche dalle possibili interazioni della matrice con gli sferoidi di grafite. Dalle evidenze sperimentali riportate in questo lavoro, si può evidenziare come gli sferoidi di grafite non siano una mera soluzione di continuità della matrice metallica e non agiscano esclusivamente come crack arresters, grazie alla loro forma peculiare che riduce notevolmente l intensificazione delle sollecitazioni, ma piuttosto possano, in taluni casi, migliorare la resistenza alla propagazione della cricca di fatica. L azione principale risulta legata all incremento dell importanza dell effetto di chiusura, con una conseguente diminuzione del K che effettivamente sull apice della cricca ( K eff ). Fra i principali meccanismi osservati su tutte le ghise investigate, il distacco (debonding) duttile o fragile della matrice dagli sferoidi è forse il principale. Nel caso di un distacco privo di deformazione plastica si può parlare di distacco fragile, mentre nel caso di una deformazione plastica della matrice si può parlare di distacco duttile. Il carattere duttile oppure fragile del distacco degli sferoidi, e la sua interazione con la cricca, può essere riassunta nella Fig , con particolare riferimento al caso di una matrice completamente ferritica oppure perlitica. Nel caso delle ghise sferoidali con matrice completamente ferritica oppure completamente perlitica, il ruolo svolto dagli sferoidi è piuttosto semplice: nel caso della matrice ferritica la deformazione plastica che ha luogo durante il distacco dello sferoide impedisce una completa chiusura della cricca in corrispondenza del K min. Ne consegue un effetto di chiusura legato 129

130 ad un semplice impedimento meccanico, simile, per intendersi, al ruolo svolto da ossidi eventualmente presenti sulla superficie di frattura [64, 65]. Tale meccanismo risulta avere una importanza decisamente ridotta nel caso della matrice completamente perlitica, nella quale il distacco fragile non implica una importante deformazione plastica della matrice. Di conseguenza, le velocità di propagazione macroscopiche nel caso della ghisa ferritica risultano inferiori rispetto alla ghisa perlitica, in particolare per valori più elevati di R e K. Le ghise ferrito perlitiche e bainitico ferritiche sono caratterizzate da una analoga distribuzione delle fasi, con la ferrite a formare gusci intorno agli sferoidi (più evidenti nella ghisa ferrito perlitica) e la perlite, o la bainite, a formare una matrice legante. Considerando che sia la perlite che la bainite sono caratterizzate da una duttilità inferiore alla ferrite e da valori più elevati dello snervamento, è possibile proporre un secondo meccanismo di chiusura che si aggiunge a quello precedentemente descritto come un mero impedimento meccanico alla chiusura della cricca: tale meccanismo è legato alla peculiare distribuzione delle fasi ed al loro differente comportamento meccanico. Durante il ciclo di fatica, il livello di deformazione nella ferrite e nella perlite (oppure nella bainite), può essere molto diverso, specialmente nel caso di elevate valori di R e di K: In corrispondenza del K max, i gusci di ferrite possono più facilmente deformarsi plasticamente rispetto alla matrice perlitica (o bainitica); In corrispondenza di valori di K prossimi al K min, la matrice perlitica (oppure bainitica) induce sui gusci di ferrite (e quindi sugli sferoidi di grafite) uno stato di sollecitazione a compressione, con un conseguente incremento dell importanza dell effetto di chiusura. 130

131 Figura 4.7.1: Schema dell interazione fra matrice e sferoidi di grafite nelle ghise sferoidali. Nel caso della ghisa ferrito perlitica ottenuta mediante ricottura di una ghisa perlitica, la distribuzione delle fasi non presenta la localizzazione della ferrite a formare un guscio intorno agli sferoidi: il meccanismo di chiusura prima descritto non può avere luogo e la sua resistenza alla propagazione della cricca di fatica risulta più vicina alla ghisa completamente perlitica, piuttosto che alla ghisa ferrito perlitica ottenuta controllando la composizione chimica (Fig e 4.2.7). Il meccanismo proposto nella Fig non prende però in considerazione altri meccanismi di danneggiamento evidenziati in questo studio, ovvero la presenza di cricche secondarie, l eventuale disgregazione degli sferoidi ed il possibile danneggiamento di sferoidi non incontrati direttamente dalla cricca (evidenziato in particolare nella ghisa con matrice completamente perlitica). Per quanto riguarda la formazione di cricche secondarie, questa sembra essere prevalentemente, ma non unicamente, collegata alla presenza di 131

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