OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA PENALE DEL 15 settembre 2010 DI LUCIA GIZZI

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1 OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA PENALE DEL 15 settembre 2010 DI LUCIA GIZZI CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE, SENTENZA 3 agosto 2010, n , sulla detenzione di sostanze stupefacenti. Con la sentenza in esame, la suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui, a seguito della soppressione della distinzione tabellare tra droghe leggere e droghe pesanti operata dalla L. n. 49 del 2006, la detenzione contestuale di sostanze stupefacenti di natura e tipo diversi integra un unico reato e non più una pluralità di reati in continuazione tra loro (in senso conforme: Cass. n /08). Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, la detenzione e la distribuzione delle sostanze stupefacenti, pur costituendo ipotesi autonome di reato, non configurano, nella loro pluralità, un concorso di reati, e quindi a esse non risulta applicabile l'art. 81, commi 1 e 2, c.p. (nella specie, sulla base dell'enunciato principio, si è precisato che il detentore di sostanze stupefacenti ha il potere di disposizione delle stesse e perciò la cessione, la vendita e la distribuzione costituiscono modalità di esercizio di quel potere. Cass., 20 maggio 1983, Tosca, C.E.D. Cass., n ). Infatti, le condotte costituenti attività illecite minori perdono la loro individualità qualora integrino manifestazione del potere di disposizione, mediante frazionamento, della medesima sostanza detenuta in quantità non modica, restando cosí assorbite nella più grave ipotesi di detenzione di quantitativi, peraltro, subordinato al

2 duplice presupposto che si tratti dello stesso oggetto materiale e che le due condotte, quella più grave e quella meno grave, siano state poste in essere dal medesimo soggetto e siano contestuali, cioè indirizzate ad un unico fine e non separate temporalmente da apprezzabili soluzioni di continuità (Cass., 18 novembre 1987, Ansaldi, C.E.D. Cass., n ; Cass., 8 luglio 1994, Pancrazio, ivi, n ; Cass., 17 novembre 1999, D Antoni, ivi, n ; M. CERASE, In tema di unità e pluralità di reati, in Cass. pen. 1993, 2843; R. PACIONI, In tema di norme a più fattispecie e disposizioni a più norme, in Cass. pen. 1994, 1958). Si ritiene, invece, che nella ipotesi di vendita in più riprese della sostanza stupefacente detenuta si realizza la consumazione di più distinti fatti di «spaccio» uniti, sotto il vincolo della continuazione, con la pregressa ipotesi di detenzione complessiva del medesimo stupefacente (Cass., 5 aprile 1988, Marangoni, C.E.D. Cass., n , Cass., 27 febbraio 1989, Fabbro, ivi, n ). L'art. 73 t.u. d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 elenca una serie di condotte tipiche, con la previsione della «detenzione» in funzione di chiusura rispetto agli altri comportamenti illeciti descritti, tutti puniti allo stesso modo e costituenti, perciò, ipotesi criminose equivalenti che si pongono in rapporto di alternatività formale. Le diverse condotte dalle norme previste perdono la loro individualità se costituiscono manifestazione del potere di disposizione della medesima sostanza. Tale assorbimento con conseguente esclusione del concorso di reati è subordinato al duplice presupposto che si tratti della stessa sostanza stupefacente e che le condotte siano state poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine e senza apprezzabile soluzione di continuità. Quando, invece, le differenti

3 azioni tipiche (detenzione, vendita, offerta in vendita, cessione etc.) siano distinte sul piano ontologico, cronologico, psicologico e funzionale, esse costituiscono più violazioni della stessa disposizione di legge e, quindi, distinti reati eventualmente unificati nel vincolo della continuazione (Cass., 13 novembre 1992, De Vitis, C.E.D. Cass., n ; Cass., 19 settembre 1989, Montagner, ivi, n ; Cass., 6 dicembre 1989, Giusti, ivi, n , Cass., 12 ottobre 1989, Fuss, ivi, n ). L'art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990, infatti, ha natura giuridica di norma a più fattispecie, con la conseguenza che va escluso il concorso formale di reati quanto un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere contestualmente dal medesimo soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente, poiché in tal caso le condotte illecite minori perdono la loro individualità per essere assorbite nell'ipotesi più grave. Nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente configurato il concorso formale tra le condotte di "detenzione" e "vendita" di sostanze stupefacenti, poste in essere in contesti diversi (Cass., sez. IV, 26 giugno 2008, n , ivi, n ). La simultanea illecita detenzione di più sostanze stupefacenti dà luogo a distinte fattispecie criminose, ai sensi delle disposizioni dell'art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990, solo allorché dette sostanze non appartengono alla medesima tabella o al medesimo gruppo omogeneo di tabelle. In tale caso le distinte ipotesi di reato, ricorrendone i presupposti, possono essere unificate sotto il vincolo della continuazione e del concorso formale. Quando invece si tratti di illecita detenzione di sostanze stupefacenti rientranti nella medesima tabella o nel medesimo

4 gruppo omogeneo di tabelle e la stessa avvenga simultaneamente in un unico contesto, la fattispecie criminosa è unica, come unica è la condotta, indipendentemente dalla diversità delle sostanze, purché aventi le stesse caratteristiche. (Nella specie è stato ritenuto costituire unico reato la simultanea e contestuale detenzione di eroina e cocaina. Cass., sez. I, 12 maggio 2004, n , C.E.D. Cass., n ; Cass., 10 ottobre 1994, Napoli, ivi, n ; conforme Cass., 21 febbraio 1997, Buttazzo, ivi, n ; Cass., 1 febbraio 1995, ivi, n ; Cass., 3 maggio 1993, Bizioli, ivi, n ; Cass., 25 maggio 1992, Sagripanti, ivi, n ; Cass., 21 settembre 1990, Manzo, ivi, n ; Cass., 15 marzo 1990, Awiszus, ivi, n ; v. anche Cass., 10 luglio 1992, Mazzoni, ivi, n , ove si precisa che il comma 4 dell'art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 non prevede una circostanza attenuante o una diminuente rispetto alle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo dello stesso articolo, perché la diversa natura della sostanza stupefacente o psicotropa cui si fa riferimento nella norma classificazione nelle tabelle 2 e 4 per il comma 4 e nelle tabelle 1 e 3 dell'art. 14 per i commi 1, 2 e 3 è elemento non già accidentale, che incide quindi sulla sola sanzione, bensí costitutivo della fattispecie, che incide sul precetto e distingue conseguentemente, specializzandola, l'una dalle altre figure delittuose). Si è pure ritenuto che il compimento di più atti di cessione, anche se attuato in un unico contesto, dà luogo a più violazioni della stessa disposizione incriminatrice, con la conseguente necessaria applicazione o delle disposizioni relative al concorso materiale dei reati o di quella relativa alla continuazione nel reato (Cass., 31 ottobre 1986, Buonocunto, ivi, n ).

5 Oggi invece, a seguito della soppressione della distinzione tabellare tra droghe leggere e droghe pesanti operata dalla L. n. 49 del 2006, la giurisprudenza di legittimità ritiene che la detenzione contestuale di sostanze stupefacenti di natura e tipo diversi integri un unico reato e non più una pluralità di reati in continuazione tra loro. CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II PENALE, SENTENZA 20 luglio 2010, n.28192, sulla natura giuridica del reato continuato. Con la sentenza in esame, la suprema Corte torna ad affrontare il problema della natura giuridica del reato continuato. Già con la sentenza del 23 gennaio 2009 n. 3286, le Sezioni unite avevano affrontato il problema della natura giuridica del reato continuato, domandandosi se esso debba essere considerato come un unico reato ovvero come una pluralità di illeciti, che conservano la loro autonomia tranne che per alcuni aspetti espressamente disciplinati dalla legge. L occasione per prendere posizione su questa controversa questione era derivata dalla necessità di risolvere il contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità, in ordine all applicabilità delle circostanze attenuanti di cui ai nn. 4 e 6 dell art. 62 c.p. e della circostanza aggravante di cui al n. 7 dell art. 61 c.p. nell ipotesi di una pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione. Sul punto, infatti, era rinvenibile un orientamento secondo il quale, in forza del principio dell unitarietà del reato continuato, le valutazioni attenuative e aggravanti devono riferirsi a tutti i reati unificati dal vincolo

6 della continuazione e non solo a quello più grave o a taluno di essi. Per contro, secondo altro e diverso indirizzo ermeneutico, che afferma l autonomia giuridica delle singole violazioni commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, le circostanze attenuanti e aggravanti dovevano essere considerate in relazione al singolo reato, e non riferite mai al reato continuato nel suo complesso ovvero a tutti gli altri reati concorrenti. Come si è accennato, la questione controversa sottoposta all esame delle Sezioni Unite concerne l applicabilità delle circostanze attenuanti di cui ai nn. 4 e 6 dell art. 62 c.p. e della circostanza aggravante di cui al n. 7 dell art. 61 c.p. nell ipotesi di una pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione, e consiste nello stabilire se, nel caso di reato continuato, ai fini dell applicazione dell aggravante di cui all art. 61 n. 7 c.p. e delle attenuanti di cui all art. 62 nn. 4 e 6 c.p., debba tenersi conto del danno complessivo ovvero di quello cagionato da ogni singolo reato. In particolare, per quanto attiene all attenuante di cui all art. 62 n. 6 c.p., secondo l orientamento giurisprudenziale prevalente, nell ipotesi di reato continuato, detta circostanza attenuante è applicabile solo quando il risarcimento integrale del danno sia intervenuto in relazione a tutti i fatti avvinti dal vincolo della continuazione e non solo per quello più grave o per taluno di essi 1. 1 Così, tra le altre: Cass. pen., Sez. VI, 8 maggio2003, Kolli; Sez. II, 24 febbraio 1994, Perfetti; Sez. II, 31 maggio 1990, Bevilacqua; Sez. VI, 17 marzo 1987, Contarin.

7 Secondo altro minoritario orientamento, invece, nel reato continuato, la circostanza attenuante dell integrale riparazione del danno deve essere applicata anche se il risarcimento non concerne tutte le violazioni, ma soltanto quella più grave o un altro dei singoli illeciti confluiti nel medesimo contesto 2. Analogo contrasto si è manifestato con riferimento all attenuante di cui all art. 62 n. 4 c.p., in quanto mentre alcune pronunce hanno affermato che la valutazione della speciale tenuità del danno, nel caso di reato continuato, va effettuata non in relazione all importo complessivo delle somme contestate, ma con riguardo al danno cagionato per ogni singolo fatto di reato 3, in altre decisioni si è precisato che, per la concessione dell attenuante in oggetto, è sufficiente che essa ricorra in relazione al reato ritenuto più grave 4. Secondo un diverso orientamento, invece, l attenuante può essere concessa soltanto ove ricorra in tutti i fatti unificati nel vincolo della continuazione 5. Per ciò che concerne, infine, l aggravante di cui all art. 61 n. 7 c.p., secondo il prevalente indirizzo, poiché in caso di reato continuato vale, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell aggravante del danno di rilevante gravità deve essere operata con riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo cagionato dalla somma delle violazioni. Non è necessaria, cioè, la 2 Così: Cass. pen., Sez. I, 1 giugno 1990, Sassolino; Sez. II, 9 marzo 1990, Drago. 3 In tal senso: Cass. pen., Sez. VI, 24 luglio 2007, Bortolotto; Sez. III, 2 dicembre 1993, Lamanna. 4 Si veda: Cass. pen., Sez. II, 14 gennaio 1992, Cantoni e 25 maggio 1988, Scida. 5 Così: Cass. pen., Sez. VI, 24 gennaio 1990, Corsi; Sez. II, 22 giugno 1989, Ravasio.

8 sussistenza della rilevante gravità del danno patrimoniale in relazione ad ogni singolo reato, potendo ravvisarsi la cennata circostanza in relazione al reato continuato, a tal fine considerato unitariamente 6. Altre decisioni, invece, si sono espresse nel senso che nell ipotesi di una pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione, la determinazione del danno patrimoniale di particolare gravità, ai fini della sussistenza dell aggravante di cui all art. 61 n. 7 c.p. deve essere fatta con riferimento a ciascuno dei reati concorrenti, posto che l unificazione è una finzione giuridica quoad poenam, mantenendo i singoli reati ogni loro caratteristica e particolarità immutata in relazione a qualsiasi altro istituto giuridico 7. Con la sentenza del 23 gennaio, le Sezioni Unite della suprema Corte hanno ritenuto di dover fornire una soluzione unitaria alle diverse questioni su cui sono sorti i denunciati contrasti giurisprudenziali, rilevando correttamente che esse rientrano in un contesto avente un denominatore comune: la contrapposizione tra una considerazione unitaria del reato continuato e la diversa prospettiva dell autonomia giuridica delle singole violazioni che nel reato continuato confluiscono. Per risolvere la controversa questione sottoposta al loro esame, dunque, i giudici di legittimità hanno ritenuto di dover affrontare il pregiudiziale problema della natura giuridica e della disciplina dell istituto della continuazione. La suprema Corte ha condiviso l orientamento dottrinale e giurisprudenziale ormai prevalente, secondo 6 Si Veda: Cass. pen., Sez. VI, 22 settembre 2005, Garacci; sez. II, 27 marzo 2003, Miragliotta; sez. II, 21 ottobre 2000, Vignuzzi. 7 Così: Cass. pen., Sez. I, 23 luglio 1984, Boscariol; sez. VI, 27 gennaio 1984, Parmiggiani.

9 cui l unitarietà del reato continuato deve affermarsi solamente ove vi sia un apposita disposizione normativa in tal senso o dove la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non dovendo dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della ratio del reato continuato. Secondo le Sezioni Unite, quindi, non vi è una struttura unitaria da assumere come punto di partenza di rilievo generale. Al contrario, la considerazione unitaria del reato continuato richiede due condizioni alternative: deve essere espressamente prevista da apposita disposizione di legge o, comunque, deve garantire un risultato favorevole al reo. Ne deriva che, al di fuori di queste due ipotesi, non vi è alcuna unitarietà di cui tener conto e, di conseguenza, vige e opera la considerazione della pluralità dei reati nella loro autonomia e distinzione che, pertanto, costituisce la regola generale nelle ipotesi di violazioni avvinte da un medesimo disegno criminoso. Questo orientamento, tra l altro, era già stato condiviso dalle Sezioni Unite della suprema Corte in alcune precedenti pronunce, che la sentenza del 23 gennaio ha espressamente richiamato e ribadito 8. La suddetta soluzione, inoltre, è stata confermata dalla Corte Costituzionale, che già con la sentenza n. 115 del 1987 aveva rilevato che, dopo la riforma del 1974, con la quale era stata modificata la formulazione originaria dell art. 81 c.p., estendendosi il trattamento 8 Cass., s.u., 26 febbaio 1997, Mammoliti, n.1, in Riv. pen., 1997, pag. 571, in tema di computo dei termini di durata massima della custodia cautelare; Cass., s.u., 2 giugno 1988, Sanna, n. 1508, in tema di indulto; Cass., s.u., 24 gennaio, 1996, Panigoni, n. 278, in Riv. pen., 1996, pag. 711, in tema di prescrizione.

10 sanzionatorio previsto per il reato continuato all ipotesi di violazione di disposizioni di legge diverse, con l introduzione di una nozione eterogenea di reato continuato, non conservava più importanza il problema dell unità reale o fittizia dei reati. Nella realtà esistono più reati ontologicamente distinti, che vengono unificati soltanto a fini sanzionatori. In quest occasione, il Giudice delle leggi aveva precisato che ogni qualvolta l unificazione si risolve a danno dell imputato, è lecito operare la scissione, parziale o totale, a seconda che lo richieda il favor rei. Successivamente, con la sentenza n. 361 del 1994, la Consulta aveva espresso adesione, in caso di reati unificati dal vincolo della continuazione, all insegnamento giurisprudenziale della necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedono la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene. Infine, con la più recente sentenza n. 324 del riferita ai rapporti tra cessazione della continuazione e computo del termine prescrizionale, in presenza di una pluralità di condotte avvinte dal medesimo disegno criminoso, alla stregua delle modifiche apportate all art. 158 c.p. dalla legge n. 251/2005 -, la Corte Costituzionale ha rilevato che la previgente formulazione dell art. 158 c.p. non costituiva espressione di una regola generale di unitarietà del reato continuato e andava riguardata come norma speciale, dovendosi individuare, al contrario, quale disciplina di carattere generale, quella che considera autonomamente ciascun reato legato dal vincolo della continuazione,

11 anche sotto il profilo dell individuazione del dies a quo del termine di prescrizione. A questo panorama giurisprudenziale, devono aggiungersi, secondo la suprema Corte, le modifiche apportate dal legislatore alla disciplina del reato continuato. Già la riforma del 1974 aveva incrinato la concezione unitaria del reato continuato, facendogli perdere quella caratteristica essenziale, data dall omogeneità delle violazioni, che costituiva l originaria condizione per la riconducibilità ad un unico reato delle plurime condotte illecite sorrette dall identità del disegno criminoso. La stessa riforma, inoltre, aveva significativamente soppresso l inciso prima contenuto nel terzo comma dell art. 81 per il quale le diverse violazioni si considerano come un solo reato. Il recente intervento novellistico, attuato dalla legge n. 251 del 2005, ha eliminato poi la disposizione, contenuta nella formulazione originaria dell art. 158 c.p., per la quale nel reato continuato il termine di prescrizione decorreva, per i singoli illeciti, dalla cessazione della continuazione, con la conseguenza che ogni reato tra quelli posti in continuazione criminosa con altri ha ormai un proprio termine di decorrenza iniziale della prescrizione, da fissarsi secondo le regole di cui allo stesso art. 158 c.p. Insomma, alla luce dell evoluzione normativa e giurisprudenziale, deve ritenersi, secondo le Sezioni Unite, definitivamente superata la concezione dell unitarietà del reato continuato. Questo si configura,

12 invece, come una pluralità di illeciti, ossia quale particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo. Sulla base di queste considerazioni, le Sezioni Unite della suprema Corte affermano il principio secondo il quale i reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alle circostanze attenuanti ed aggravanti, conservano la loro autonomia e si considerano come reati distinti. Ne consegue che rispetto all aggravante della rilevanza economica del pregiudizio patrimoniale (art. 61 n. 7 c.p.) e alle attenuanti della speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.) e dell intervenuto risarcimento (art. 62 n. 6 c.p.) l entità del danno e l efficacia della condotta riparatoria devono essere valutate in relazione ad ogni singolo reato e non al complesso di tutti i fatti illeciti avvinti dal vincolo della continuazione. Questa soluzione ermeneutica, ovviamente, ha importanti ricadute sulla disciplina del reato continuato. Il principio secondo cui le circostanze aggravanti e attenuanti devono essere considerate in relazione al singolo reato cui si riferiscono, ancorchè commesso in continuazione con altri, incide, innanzitutto, sull individuazione del

13 reato più grave, che dovrà essere effettuata tenendo conto anche dell eventuale applicabilità di circostanze aggravanti o attenuanti ai singoli reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso. In secondo luogo, la soluzione interpretativa abbracciata dalla suprema Corte influisce sulla determinazione della pena-base, che, nel caso in cui la sussistenza della circostanza riguardi la violazione ritenuta più grave, dovrà tener conto dell aumento o della diminuzione di pena, rispetto a quella edittale, determinata appunto dall applicazione della circostanza, rispettivamente aggravante o attenuante. In caso di circostanza inerente ad uno ovvero a più tra gli altri reati posti in continuazione, invece, di essa si dovrà tener conto per la determinazione del quantum dei rispettivi aumenti di pena. Con la sentenza in esame, la suprema Corte ha ribadito che il reato continuato si configura quale particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo. Quindi, superata la concezione dell unitarietà del reato continuato, ciascuna fattispecie di reato riacquista la sua autonomia, sia quanto a pena edittale, sia quanto a pena applicata o applicabile in concreto e va considerato anche a tali fini come una pluralità di illeciti. L attenuante dell art. 625 bis c.p. deve, quindi, essere valutata in relazione ad ogni singolo reato satellite di furto, potendo incidere sulla determinazione del quantum dei rispettivi

14 aumenti di pena, in caso di circostanza inerente ad uno ovvero a più tra gli altri reati posti in continuazione.

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