UN MESTIERE DIFFICILE

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1 ISER STEFANINI UN MESTIERE DIFFICILE ARNESI PER INSEGNARE LE FISICHE

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3 Una vecchia bicicletta, consumata da un lungo uso su strade diverse, molte accidentate come i viottoli di campagna che frequento alla ricerca di memorie. Non un immagine da computer o da lavagna interattiva. La sola interazione di cui è testimonianza è quella tra me e l ambiente, incerta e faticosa. Una bicicletta a due posti, per rispondere all esigenza di ogni uomo di avere qualcuno con cui dialogare. Un fenomeno comune tra gli alpinisti solitari. Nel 1911 Paul Preuss, in solitaria, aprì una via sulla parete Est del Campanil Basso di Brenta che è un capolavoro di bellezza e di audacia. I primi ripetitori, 17 anni dopo, trovarono un (lacero, sporco) biglietto che Preuss aveva infilato in una fessura, con la scritta: 8 Juli 1911, osten wand, Paul Preuss mit. Quel mit fu per molti anni oggetto di discussione fra gli alpinisti e gli psicologi, che cercavano di capire che cosa intendesse Preuss, essendo certo che su quella parete era perfettamente solo. Simile a Preuss è il fisico che, nella sua lezione, sostiene un dialogo con un compagno che occupa il sellino posteriore e la cui presenza è avvertita solo da lui, più o meno consapevolmente. Ma il senso dell immagine è anche un altro: è una bicicletta contraddittoria. E noto infatti che per mantenere l equilibrio, è necessario che la bicicletta sia dotata, sul piano, di due gradi di libertà: nel nostro caso, il numero dei vincoli con il terreno ne impedirebbe gli spostamenti trasversali: uno strumento dotato di un solo grado di libertà. Se ve ne siete accorti, siete già a buon punto. Alla memoria di mio nonno Funti dal quale imparai l arte del remo e della vanga

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5 INDICE 1. RIFLESSIONI DI UN VECCHIO PROFESSORE Una fisica da osteria. Lo scienziato, il pastore, il fanciullo. Una madeleine scolastica. La rivoluzione americana. L ideologia del P.S.S.C. L apologo di Zanzibar. Ricerca didattica? La famigerata teoria degli errori. L arte di scegliere la carta giusta affinché ogni grafico sia una retta. Siamo progressisti: torniamo al passato. Il metodo scientifico. Le formule: malattia infantile della fisica scolastica. L uguaglianza in fisica non è sempre una virtù. Conclusioni.. TECNICA DI CAMINO. 3. UNO STRUMENTO ALPINISTICO CON ASCENDENZE MATEMATICHE. 4. UN ASCENSORE SPAZIALE. 5. UN ATTIVITA DIDATTICA SU UNA MEMORIA OTTOCENTESCA DI FISICA SOLARE. Pouillet e la nascita della fisica solare. Un utilizzo didattico della memoria di Pouillet. Un pireliometro scolastico. Il testo. Nota 1. Un esercizio di trigonometria. Nota. Nota 3. Nota 4. Nota 5. 6.BATTIMENTI DIVERSI Battimenti tra due pendoli. Lampada stroboscopica. Il calibro a nonio. Periodo di rivoluzione. Battimenti sonori. Figure di Moiré. 7. BOYLE, UNA COSTELLAZIONE E UN DIPINTO. 8. TUTTO CIÓ CHE BISOGNEREBBE SAPERE SULLA CINEMATICA SOLARE. Sistemi di riferimento. A che ora è mezzogiorno? Distanza zenitale del sole a mezzogiorno (all equatore). Distanza zenitale del sole a mezzogiorno (alla latitudine φ). Altezza del sole ad ore diverse. Quando e dove cala il sole. 9. CIRCUITO DERIVATORE. 10. CIRCUITO INTEGRATORE. 11. SUI VALORI EFFICACI. Se la tensione è sinusoidale. Per una tensione raddrizzata con un diodo.

6 Per una tensione raddrizzata con un ponte. Per un onda quadra. Per un onda a denti di sega. 1. A CHE SERVE LA CORDA DA ALPINISMO? Considerazioni generali. Conversione in energia elastica. Conversione in energia termica. 13. COSTANTI FONDAMENTALI. Equivalente meccanico della caloria. Costante di gravitazione universale. Costante dei gas. Numero di Avogradro. Costante di Boltzmann. Velocità della luce. Costante dielettrica del vuoto. Permeabilità magnetica del vuoto. Quadrato della velocità della luce. Costante di Planck. Un numero puro: π. Uno sguardo d insieme. 14. COSTELLAZIONI E ILLUMINISMO. 15. DIAMETRO ANGOLARE DEL SOLE. 16. DUE PARADOSSI SULL ENERGIA. 17. DUE PROBLEMI DI FISICA QUALITATIVA. 18. ESPLORAZIONE DEL SISTEMA SOLARE CON UNA VELA A LUCE. 19. FISICA DELLA CANDELA. Osservazioni preliminari. Osservazioni sul funzionamento. Il ruolo della convezione. Questioni di stabilità. Perché cera o paraffina? Per riflettere ulteriormente. 0. QUANTA FISICA IN UN PROBLEMA DI FISICA? 1. UN ESPERIMENTO PER FAR RIFLETTERE.. ARISTOTELE È VIVO E LOTTA CON NOI. Forza viscosa. Legge di Ohm. Legge di Faraday. 3. FRA DIDATTICA E STORIA: LA BOTTIGLIA DI MARIOTTE. 4. GIOCARE CON UN ASTA. 5. GONFIARE UN PALLONCINO. 6. IL CASO DELLA TERRA PIATTA. 7. IL CIRCUITO DI FIBONACCI 8. IL GALILEIANO PROBLEMA DELLA BITTA. 9. IL MOTO PERPETUO DEL RE D INGHILTERRA. 30. IL MULINO SUL LAGO. 31. IL VOLUME DELL UOVO. 3. LA BICICLETTA. Domanda preliminare. La moltiplica come amplificatore di velocità. Il passo della bicicletta.

7 La bicicletta come macchina. Un fecondo quesito. 33. LA CADUTA DI UNA BALLA. 34. LA MASSA IN AMBITO RELATIVISTICO. Premessa didattica. Per una particella. Sulle unità di misura. Digressione sulle dimensioni (disumane) delle unità di misura. Massa di un sistema di particelle. Annichilazione di una coppia. Creazione di particelle. 35. LA TEMPERATURA PERCEPITA. 36. LA VERSIONE SCOLASTICA DI NEWTON. 37. LA PRIMA FORMULAZIONE DELLA SECONDA LEGGE DI NEWTON. 38. LA LEGGE DI NEWCOMB-BENFORD. Dichiarazione d intenti. Una nostalgica premessa. Breve storia della legge di Benford. Un applicazione empirica della legge di Benford. Appendice: una deduzione della legge di Benford. 39. L INSPIEGABILE EFFICACIA DEL QUADRATO NELLA LEGGE DI GRAVITAZIONE. 40. L INSPIEGABILE EFFICACIA DELLA LEGGE DI OHM. 41. UN LIMITE AL RENDIMENTO DELLE MACCHINE IDRAULICHE IN UN TESTO DI FINE NEWTON E SANTA LUCIA. 43. NOMI DIVERSI DELLA FORZA. 44. OBIEZIONI DI UN PERIPATETICO A GALILEO. 45. PADRE CASTELLI E IL DILUVIO. 46. PRESSIONE E DIMENSIONI DEI PALLONI. 47. PRESSIONE E DEFORMABILITÀ DELLE PALLE. 48. UN APPARECCHIO DELLA FINE DEL 700 PER LA REGISTRAZIONE ORARIA DELLA TEMPERATURA. 49. RELÉ E FEED-BACK. 50. SOSTIENE ESIODO. 51. STRANE FORME CONTURBANO I FISICI ALPINISTI. 5. STRANE FORME CONTURBANO I FISICI CICLISTI. 53. ONDE IN UNA CORDA VERTICALE. 54. SUGGERIMENTI DI UN MAESTRO SULL ATTIVITÀ DI LABORATORIO. Errori. Osservazioni. La registrazione delle osservazioni. Trattamento aritmetico dei dati. Osservazioni generali. 55. SUL RAGGIO DELLE RUOTE. 56. THE POOR LITTLE JOHN AND HIS CLOCK. 57. UN ERRORE DI GALILEO: LA FORMA DEI CAVI SOSPESI. 58. UN PROBLEMA DI STAGIONE. 59. UNA FERROVIA PNEUMATICA. 60. UNA FOLUMA DIABOLICA. 61. UN ATTIVITÀ DIDATTICA FRA FISICA E STORIA.

8 6. UNA ROMANTICA MISURA DI TEMPI BREVI. 63. UN ESERCITAZIONE DI ASTRONOMIA. 64. VITA DA POLLICINO 65. UNA MISURA AD OCCHIO. 66. DOVE VANNO A FINIRE I PALLONCINI? 67. DOVE S INCONTRANO LE ROTAIE. 68. COMPOSIZIONE DI ROTAZIONI. 69. CENTRO DI MASSA DEL CORPO UMANO. 70. UN ATTIVITÀ CINEMATICA SUL C.D. 71. DIAMETRO DELLA PUPILLA. 7. DIMENSIONI DEL PARTICOLATO. 73. NEI CIELI BIGI. 74. FILO E ROCCHETTO FILO E ROCCHETTO. 76. FORZE MAGNETICHE. 77. IL VASO DI TANTALO. 78. IL VOLUME DELLE SFERE. 79. ILLUSIONI PER BEVITORI. 80. IMMAGINI DA UN FORO. 81. INGANNEVOLI PROFONDITÀ. 8. LA VELOCITÀ ANGOLARE DEL CIELO. 83. MECCANICA DELL ALTALENA. 84. MEDIATORI ELETTRICI. 85. PEDALANDO SULLA CICLETTE. 86. SCARICA DI UN CONDENSATORE. 87. SOLE DI MEZZANOTTE. 88. SOVRAPPOSIZIONE DI COLORI. 89. UN AMPLIFICATORE CASALINGO DI VELOCITÀ ANGOLARE. 90. UNO ZERO CHE FA LA DIFFERENZA.

9 RIFLESSIONI DI UN VECCHIO PROFESSORE UNA FISICA DA OSTERIA Il testo di Galileo in cui più chiaramente viene svelata la rottura con le forme tradizionali del sapere scientifico è Il Saggiatore [1]. In questo saggio, con il quale ogni insegnante di fisica dovrebbe avere familiarità, Galileo tratteggia la nuova filosofia della scienza, ovvero le forme in cui si concretizza la conoscenza dei fenomeni. Il nuovo filosofo della natura deve rinunciare, per principio, alla pretesa di attingere una verità assoluta e definitiva, da tradurre in testi sui quali appoggiare le proprie argomentazioni. Per Galileo, ogni verità è solo un lacerto di verità al quale bisogna essere disposti a rinunciare per adottarne una nuova e inaspettata. In questa continua ricerca lo scienziato non deve disdegnare di sporcarsi le mani e confrontarsi con le osservazioni e le esperienze degli operai e degli artigiani. Forse, la lettura più adatta per marcare il contrasto con il brano che proponiamo è quella del Cap. 7 de I promessi sposi e in particolare le pagine dedicate alla descrizione della biblioteca di don Ferrante. Perché non bisogna dimenticare che quello era l ambiente culturale in cui si trovò a vivere il grande scienziato. Il tema del suono viene anche ripreso nella Prima giornata della sua opera scientifica più matura ( Discorsi e dimostrazioni matematiche)[]. La figura dello scienziato che viene proposta nel brano è quella di un uomo che osserva i fenomeni naturali, parla con i pastori e non esita ad entrare in un tugurio per imparare da un fanciullo che suona uno strumento ad arco. Soprattutto, non si fa scrupolo di frequentare persino l osteria, dove impara che si possono produrre suoni piacevoli e anche strofinando col dito l orlo di un bicchiero più o meno pieno di vino. Parmi d aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità. Nacque già in un luogo assai solitario un uomo dotato da natura d uno ingegno perspicacissimo e d una curiosità straordinaria; e per suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del lor canto, e con grandissima meraviglia andava osservanto con che bell artificio, colla stess aria con la quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi, e tutti soavissimi. Accadde che una notte vicino a casa sua sentì un delicato suono, né potendosi immaginar che fusse altro che qualche uccelletto, si mosse per prenderlo; e venuto nella strada, trovò un pastorello, che soffiando in certo legno forato e movendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori che vi erano, ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle di un uccello, ma con maniera diversissima. Stupefatto e mosso dalla sua natural curiosità, donò al pastore un vitello per aver quel zufolo; e ritiratosi in se stesso, e conoscendo che se non s abbatteva a passar colui, egli non avrebbe mai imparato che ci erano in natura due modi da formar voci e canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando di potere incontrar qualche altra avventura. Ed occorse il giorno seguente, che passando presso a un piccolo tugurio, sentì risonarvi dentro una simil voce; e per certificarsi se era uno zufolo o pure un merlo, entrò dentro, e trovò un fanciullo che andava con l archetto, ch ei teneva nella man destra, segando alcuni nervi tesi sopra certo legno concavo, e con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra movendo le dita, e senz altro fiato ne traeva voci diverse e molto soavi. Or qual fusse il suo stupore giudichino chi participa dell ingegno e della curiosità che aveva colui;il qual, vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il canto tanto inopinati, cominciò a creder ch altri ancora ve ne potessero essere in natura. Ma qual fu la sua meraviglia, quando entrando in certo tempio si mire a 1 1

10 guardar dietro alla porta per veder chi aveva sonato, e s accorse che il suono era uscito dagli arpioni e dalle bandelle nell aprir la porta? Un altra volta, spinto dalla curiosità, entrò in un osteria, e credendo d aver a veder uno che coll archetto toccasse leggermente le corde d un violino, vide uno che fregando ol polpastrello d un dito sopra l orlo d un bicchiero, ne cavava soavissimo suono. Ma quando poi gli venne osservato che le vespe, le zanzare e i mosconi, non, come i suoi primi uccelli, col respirare formavano voci interrotte, ma col velocissimo batter dell ali rendevano un suono perpetuo, quanto crebbe in esso lo stupore, tanto si scemò l opinione ch egli aveva circa il sapere come si generi un suono; né tutte l esperienze già vedute sarebbono state bastanti a fargli comprendere o credere che i grilli, già che non volavano, potessero, non col fiato, ma collo scuoter l ali, cacciar sibili così dolci e sonori.ma quando ei si credeva non potere esser quasi possibile che vi fussero altre maniere di formar voci, dopo l avere, oltre a i modi narrati, osservato ancora tanti organi, trombe, pifferi, strumenti da corde, di tante e tante sorte, e sino a quella linguetta di ferro che, sospesa fra i denti, si serve in modo strano della cavità della bocca per corpo della risonanza e del fiato per veicolo del suono; quando, dico, ei credeva d aver veduto il tutto, trovossi più che mai rinvolto nell ignoranza e nello stupore nel capitargli in mano una cicala, e che né per serrarle la bocca né per fermarle l ali poteva né pur diminuire il suo altissimo stridore, né le vedeva muovere squamme né altra parte, e che finalmente, alzandole il casso del petto e vedendovi sotto alcune cartilagini dure ma sottili, e credendo che lo strepito derivasse dallo scuoter di quelle, si ridusse a romperle per farla chetare, e tutto fu in vano, sin che, spingendo l ago più a dentro, non le tolse, trafiggendola, colla voce la vita, sì che né anco poté accertarsi se il canto derivava da quelle: onde si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo potervene essere cento altri incogniti ed opinabili. LO SCIENZIATO, IL PASTORE, IL FANCIULLO Il peccato originale dell insegnamento della fisica nella scuola pre-universitaria è che viene proposta come una sorta di mutamento culturale coatto. Il ragazzo viene condotto per un palazzo di cemento dove tutto è già stato previsto e costruito prima di lui, indipendentemente da lui, un architettura che pare non avere altro scopo che quello di far sentire il visitatore come un ospite temporaneo di cui non resterà traccia. Senza riguardo per il fatto che il ragazzo che si avvicina alla fisica scolastica è portatore di alcune ben collaudate e degne di rispetto teorie sui fenomeni, che possiamo inquadrare come fisica ingenua o intuitiva. Per fare un esempio, tutti posseggono la nozione di velocità e tuttavia, a scuola, si sente la necessità di fargli confessare essere la velocità nient altro che il limite per t tendente a zero, ecc. Anche quella di tempo è una nozione ingenua, e tuttavia la scuola rinuncia a darne una definizione (posto che fosse possibile). Anche la scolastica velocità istantanea è un non-osservabile ( come il tempo) e tuttavia su questo la didattica si accanisce, a somiglianza di quegli illusionisti che agitano una mano per sviare l attenzione su quello che fa l altra. Gli scritti di Galileo mostrano che questo non era il suo atteggiamento. Frequentava i cantieri e le officine con l atteggiamento di chi sa di poter imparare dagli artigiani, dagli operai e perfino dai fanciulli. Lui stesso odiava il portar la toga e si cimentava nei lavori manuali, con la mente aperta ai suggerimenti che gli potevano venire dai meccanici. Per l insegnante, il confronto con la fisica intuitiva è ineludibile, anzi è lo strumento principale. La sfida è quella di partire da questa per procedere verso costruzioni teoriche più ampie e coerenti. Ciò richiede il passaggio attraverso due tappe: 1. mostrare che le strutture teoriche ingenue non sempre descrivono correttamente la realtà fenomenica;. mostrare che la teoria scolastica, non solo descrive meglio ciò che si osserva, ma apre il campo ad una quantità di problemi che non hanno luogo nella fisica ingenua.

11 Tutto ciò richiede da parte dell insegnante un atteggiamento dinamico e mature capacità creative. Il suo ruolo è quello dell animatore, e commetterebbe un grave errore quando non coinvolgesse l intera squadra. La guida alpina che accompagna il cliente a fare una scalata, conosce bene la via, sa come affrontare le difficoltà che si incontrano ed ha la certezza di raggiungere la vetta; tuttavia, non dà al cliente l impressione che l esito dell impresa sia indipendente dalla sua partecipazione. Così l insegnante: 1. Propone un problema accessibile agli allievi;. li guida con decisione verso la soluzione, Tuttavia, 3. non mostra che l esito sia stabilito e assicurato, e, soprattutto, 4. non anticipa mai le conclusioni. UNA MADELEINE SCOLASTICA Fino agli anni 60, nella scuola italiana si conoscevano solo le dimostrazioni. Anzi, in tutte le scuole o almeno nelle più fortunate vi era un aula a ciò deputata, come allora si diceva, in cui operava l assistente, figura scolastica istituita quando, con la riforma Gentile, al professore di matematica era stato attribuito anche l insegnamento della fisica. A tale scopo era stata creato il corso di laurea in matematica e fisica. Il rapporto tra le due figure il professore e l assistente era formalmente rispettoso, ma connaturato da profondo e reciproco sospetto. L insegnante, generalmente, amava poco la fisica sperimentale o, meglio, gradiva solo la fisica del manuale, del gesso e dei problemi posti ( ma solo di rado) alla fine dei capitoli; insomma la fisica che era molto simile alla matematica scolastica. Ma quando la fisica veniva trasferita in laboratorio diventava (diventa) qualcosa di profondamente diverso, tanto da riuscire quasi irriconoscibile. Non più punti materiali e carrucole ad attrito nullo; perfino il rapporto dei seni, nonostante le tavole a sette decimali, cessava di essere costante. La stessa legge di Coulomb, traslata nel gabinetto di fisica, cessava di funzionare. La conseguenza era che le dimostrazioni equivoche che si realizzavano finivano per minare la fiducia degli studenti nella fisica e soprattutto nell insegnante. Questi tendeva, perciò, a chiamarsi fuori dai fallimenti sperimentali, tacitamente attribuiti alla povertà dei mezzi disponibili o all imperizia dell assistente. Il quale, generalmente, aveva un repertorio costituito da un certo numero di esperienze, sostenute da anni di reiterazioni. Si trattava di esperienze acquistate a scatola chiusa che venivano realizzate con strumenti progettati allo scopo e secondo rigidi protocolli operativi. L assistente le preparava in determinati periodi dell anno scolastico e le classi si recavano a turno ad assistervi, sotto la supervisione dell insegnante. Questi si limitativa ad assistere alle operazioni; con l atteggiamento di chi avrebbe molto da dire ( o ridire); ma che preferiva osservare il più totale riserbo. Le dimostrazioni, comunque, avevano ben scarso rilievo nello sviluppo del corso, ed erano spesso ricordate dagli studenti solo per le magre collezionate dall assistente, sotto lo sguardo di beffarda solidarietà del docente. Le scuole con una certa anzianità conservano grandi armadi in cui vengono custoditi numerosi strumenti che vengono buoni per realizzare le mostre di fine anno scolastico e di cui non è sempre facile decifrare le finalità. Fontane di Erone, bocce di Woulf a due e a tre colli, aeripsometri, macchine di Hauksbee e di Nollet, ecc. che fanno una bellissima figura negli armadi, ma di cui sarebbe difficile trovare un utilizzo nella corrente prassi didattica. Basta poi sfogliare i manuali scolastici in uso fino agli anni 70 perché quattro differenze fondamentali saltino agli occhi. E sono 1. La descrizione degli strumenti è molto accurata ed estesa.. Il linguaggio matematico è estremamente ridotto. 3. Non vi sono i problemi di fisica in appendice ai capitoli. 4. L elettromagnetismo rappresenta il contenuto più avanzato. 3 3

12 I gabinetti di fisica di cui i ricordati strumenti erano parte riflettevano questo modo di intendere l educazione alla fisica: minore estensione rispetto all attuale, minore spessore teorico, in altre parole, un diverso modo di intendere la cultura fisica. Un retaggio che ha le sue origini nei manuali francesi di inizio 800 e in particolare in quello di Ganot [3] che ebbe diverse traduzioni italiane e innumerevoli adattamenti. Fino agli anni 60 attività di laboratorio era basata su una nobile tradizione che risaliva alle scuole inglese e tedesca. Se qualcuno vuole farsene un idea non ha che da andare a sfogliare due testi di G.F.C. Searle [4] e di Robert Pohl [5] che hanno informato una didattica. LA RIVOLUZIONE AMERICANA A partire dagli anni 70, nei manuali scolastici si è sempre più affermata la veste teorica delle tre aree fenomeniche: la meccanica, la termodinamica, l elettromagnetismo. Con questo intendiamo dire che la varietà di fenomeni elettrici e magnetici (ad esempio) che venivano accuratamente descritti nei manuali ottocenteschi non erano compatibili con il solo impianto teorico di Maxwell ( che, tra l altro, nei manuali italiani comparve solo verso la metà del secolo scorso), così come il funzionamento delle macchine termiche non era spiegabile solo alla luce della termodinamica di Clausius. Ciò che è avvenuto, da qualche decennio a questa parte, è che la struttura teorica ha preso il sopravvento sulla descrizione dei puri fenomeni, in tutte e tre le aree ricordate. Se mai, la descrizione dei fenomeni è, per così dire, al servizio della teoria, talvolta in maniera sfacciatamente forzata. [6] Scriveva Thomas Kuhn in un saggio sul quale gli insegnanti dovrebbero riflettere:.. l educazione scientifica rimane un iniziazione relativamente dogmatica ad una tradizione precostituita di soluzioni di problemi che lo studente non è invitato a valutare né preparato per farlo. [7]. Tutto ciò ha ben poco da spartire con la lezione di Galileo a proposito del grande libro della natura. I manuali correnti sono pieni di punti materiali, cariche puntiformi, trasformazioni reversibili, che sono al servizio dei principi di Newton, delle equazioni di Maxwell e dei principi della termodinamica ( che hanno padri diversi); mentre sono scomparse le macchine meccaniche, le macchine a vapore e i campanelli elettrici. Naturalmente è legittimo finalizzare la propria azione didattica allo stabilimento di una teoria; ma è difficile che il ragazzo prenda coscienza del suo significato se non poggia su un corposo terreno di fenomeni. Inoltre, l insegnante dovrebbe prendere coscienza che le forme che oggi ha l insegnamento corrente della fisica non è un invariante, ma il risultato di scelte culturali e ideologiche, che nel tempo hanno subito variazioni e cercare di portare alla luce quale tipo di preparazione culturale tali scelte perseguono. La rivoluzione didattica avvenne a partire dal 68, promossa anche dal ministero e importata, come sempre le rivoluzioni nel nostro Paese. Il P.S.S.C. (Physical Science Study Comitee), elaborato negli Stati Uniti da un numeroso gruppo di scienziati ed insegnanti, prevedeva la sperimentazione diretta e personale da parte degli allievi. In alcune scuole (dichiarate pilota) l aula a gradoni per le dimostrazioni, con il massiccio bancone, venne sostituita dall aula per le sperimentazioni degli allievi, con numerosi tavoli e fughe di armadi a vetri nei quali venivano conservati i kit degli esperimenti: sei carrelli, sei molle, sei metri da muratore, ecc. Un esperienza che ebbe il grande merito di dare agli insegnanti il senso del loro ruolo e che per una decina d anni riportò nella scuola un entusiasmo non mai visto in precedenza. 4 4

13 L IDEOLOGIA DEL P.S.S.C. Le carenze più gravi del corso erano di carattere epistemologico ( e non si giudichi fuor di luogo parlare di epistemologia in ambito didattico) e segnò profondamente la prassi didattica: l ingenua pretesa che le leggi fisiche emergano con una propria impositiva evidenza dagli esperimenti. Qualcuno, come ad es. Vasco Ronchi scrisse pagine molto profonde sulla filosofia della scienza che sosteneva il P.S.S.C. ( erano tempi in cui anche gli scienziati si occupavano di scuola) [8]. Il corso ebbe il merito di smuovere le acque stagnanti della tradizione e dare a molti insegnanti la consapevolezza che nella didattica si possono seguire vie diverse e che le esperienze possono essere realizzate (e progettate) da chiunque abbia voglia di procurarsi vaschette di plastica, elastici di gomma, pattini a rotelle, cannucce da bibita, ecc. Soprattutto fu merito del P.S.S.C. se gli insegnanti impararono che era loro compito occuparsi dell attività di laboratorio. Ma i problemi di fondo, legati ad una carente formazione professionale, rimanevano. Anche se nei corsi ministeriali molti insegnanti avevano imparato ad usare il cronometro e il tester, era sempre con malcelato senso di vergogna che si imponeva al ragazzino di vedere una relazione lineare in certe distribuzioni nelle quali, ad essere onesti, si coglieva una correlazione debole tra due grandezze. L evoluzione fu tipicamente italiana. Le bilance realizzate con una cannuccia da bibita e uno spillo previste dal corso originale furono sostituite da bilance digitali al milligrammo che alcune ditte si erano affrettate a mettere sul mercato. I cicalini marcatempo ricavati da campanelli elettrici da orologi elettronici al millisecondo con traguardi ottici, i dischi stroboscopici girati a mano da lampade stroboscopiche a frequenza variabile, dotate naturalmente di frequenzimetro. Purtroppo, l efficacia didattica non segue le strade della sicurezza tecnica. Il valore dell accelerazione di gravità si può misurare con la tecnica della sfera che cade su un disco rotante, e la misura si traduce in un avventura didattica se l insegnante è capace di coinvolgere gli allievi. Se fatta con una pallina d acciaio fatta cadere da un comando elettromagnetico, con un orologio elettronico, diventa un fatto banale, sostanzialmente estraneo al processo di apprendimento. È opinione dello scrivente che l efficacia di un attività di laboratorio si accompagni sempre ad un certo grado di inquietudine ( dell insegnante e degli allievi). Un altro passo nella stessa direzione cioè di un P.S.S.C. snaturato si compì negli anni 80, quando il mercato di apparecchiature didattiche cominciò ad offrire strumenti elettronici sofisticati; apparecchiature che, associate, al calcolatore, consentono di raccogliere numerosi dati ed elaborarli in breve tempo. Forniscono all insegnante la possibilità di mostrare agli allievi il grafico velocità-tempo di una riga che cade, ricavare il best fit (basta chiamare il programma apposito) e ricavare il valore dell accelerazione di gravità: tutto questo in pochi minuti. Se viene 9,8 il professore è soddisfatto; se il risultato è troppo lontano dal valore canonico, si avverte il tecnico che è necessario rimandare l apparecchiatura alla ditta per una revisione. Le dimostrazioni proposte nei testi della tradizione europea consistevano nel presentare dei fenomeni; qualche volta nel compiere la misura di una grandezza, mai nella dimostrazione quantitativa di leggi. Questa è stata introdotta nella scuola italiana dal P.S.S.C., cioè l idea che il fisico vada alla ricerca di leggi come l archeologo di testimonianze sepolte. Un caso paradigmatico di come dall esperienza si ricavi la legge è rappresentato dalla (cosiddetta) seconda legge della dinamica, propriamente nella forma F = ma ( 1). Di solito si procede nel modo seguente. Sulla slitta di una rotaia a cuscino d aria si fissano dei pesetti, in modo da poterne variare la massa. La slitta è collegata ad un peso mediante un filo e una carrucola. 5 5

14 Fig.1. Dispositivo sperimentale per la verifica della seconda legge della dinamica. Si libera il sistema e, mediante due traguardi ottici e un cronometro, se ne misura l accelerazione. Se diamo per buona la meccanica newtoniana, e indichiamo con M la massa della slitta e con m quella del peso che la traina, l accelerazione è m a = g m + M ( ) Le variabili in gioco sono tre: massa, forza ed accelerazione. Per ridurle a due bisogna lavorare con la stessa massa, che è la somma delle due. Si sposta allora un pesetto dalla slitta al peso traente. Con ciò si ottiene che il denominatore rimanga invariato, mentre si fa aumentare il numeratore, la forza traente. La cosa si può ripetere alcune volte, tanto da raccogliere una decina di coppie di dati e il gioco è fatto: la seconda legge ne emerge evidente. Ciò che è invece viene messo in evidenza è una rozza concezione del significato epistemologico del fare fisica e una grossolana interpretazione della funzione didattica. La prima cosa che salta agli occhi è che una legge fisica non si presenta mai con il segno di uguaglianza. Stabilisce infatti una relazione matematica tra grandezze diverse, espresse in unità diverse. La relazione è indipendente dalle unità adottate: i volumi sono proporzionali ai cubi delle dimensioni a prescindere dalle unità. Il segno di uguaglianza fa la sua comparsa quando si scelgono opportunamente le unità, e questa scelta è determinata appunto dalle leggi fisiche. Quello che facciamo alla forma (1) con cui si esprime la seconda legge della dinamica non è un mero appunto formale; ma riguarda il significato profondo delle leggi e le conseguenze che ne derivano sulla didattica. Un altra cosa che si può dire è che una teoria è un tutt uno e che nessun principio conserva significato se non nel contesto degli altri. Quindi non ha neppure senso enunciare il secondo principio, se non simultaneamente al primo e al terzo, per esempio. Solo all interno di una sconfinata ingenuità di può pensare di dimostrare una delle leggi di Maxwell. Tutto ciò che si può fare è di preparare una dimostrazione e leggerla alla luce dell elettromagnetismo di Maxwell. E questo vale anche per l esperimento precedente tanto diffuso nelle scuole italiane. Si tratta di una sorta di tautologia sperimentale, in cui si finge di ricavare dall esperimento ciò che vi si è introdotto concependolo. Una situazione più comune di quanto di pensi. A questo proposito vi è un divertente apologo dello stesso Searle che abbiamo già citato. L APOLOGO DI ZANZIBAR G.F.C. Searle, professore di fisica sperimentale presso il Cavendish Laboratory per cinquant anni, un riconosciuto maestro della sperimentazione, amava raccontare la storiella che riportiamo, non sappiamo se inventata da lui stesso o ricavata da altre fonti. Noi l abbiamo trovata nel magnifico libro di Eric Rogers [9] 6 6

15 Un capitano di marina ebbe la disgrazia di trovare che il suo orologio ( il cronometro di bordo) si era fermato. Si trattava di un fatto grave, prima dell avvento della radio, perché era dall orologio di bordo che si ricavava la longitudine. Puntò allora verso il porto di Zanzibar, nella speranza di poter regolare il suo orologio sulla base del tempo del luogo. Si informò intorno al porto e ci fu chi gli disse: - Si, c è un orologiaio giù in città, che possiede un cronometro molto accurato. Uno strumento di cui va molto orgoglioso e che gli dà tante soddisfazioni. Il capitano portò il suo orologio dall orologiaio, che gli assicurò: - Potete avere piena fiducia nel mio orologio. Batte il tempo perfettamente. Il capitano allora registrò il suo cronometro. Ma, per sicurezza, chiese: - Come fate ad essere sicuro che il vostro orologio sia giusto? - Lo registro con il cannone del guardacoste che viene sparato tutti i giorni a mezzogiorno; quello non sgarra di un secondo. Se il mio orologio è in anticipo o in ritardo rispetto al segnale, lo rimetto a posto. Il capitano era soddisfatto; così riprese il suo orologio e prese la strada del porto per riportarlo sulla nave. Mentre camminava sulla banchina del porto incontrò il guardacoste e, solo per essere sicuro, gli chiese del suo cannone. - Buon giorno. - Buon giorno, signore. - Voi possedete un cannone e lo sparate ogni giorno a mezzogiorno? - Sissignore; ogni giorno a mezzogiorno! - Lo sparate quando è pressappoco mezzogiorno o esattamente a mezzogiorno? - Esattamente a mezzogiorno, signore! - Esattamente? - Sissignore! Positivo, signore! - E come fate a sapere che è esattamente mezzogiorno? - Oh, ne sono sicuro, signore! Vedete, vi è un orologiaio giù in città che possiede un orologio molto accurato, e La storiella, come tutti gli apologhi raccontati dai fisici, ha un significato e un insegnamento in ambito fisico. Per illustrane la morale facciamo ricorso ad un esempio illustre. Riportiamo la planche che illustra il finissimo apparato sperimentale di Coulomb, mediante il quale, secondo la vulgata, il grande fisico francese avrebbe scoperto la legge che ne porta il nome e che tanta parte ha nei manuali scolastici. 7 7

16 Fig.. Dispositivo sperimentale di Coulomb. Da Collection de mémoires relatifs à la physique, Tome I, Paris, 1884 Riportiamo anche i risultati che ottenne dalle sue misure, sui quali fondò la relazione fra intensità dell attrazione elettrica e la distanza. 8 8

17 Fig. 3. Confronto fra teoria ed esperienza nella memoria di Coulomb. Da Collection de mémoires relatifs à la physique, Tome I, Paris, 1884 L apparato era costituito da un globo ( G in figura) di un piede di diametro e da un dischetto ( l in figura) di 7 linee di diametro. Le prove riportate, come si vede, sono tre. La sezione finale della memoria di Coulomb ( Explication et résultat de cette expérience) inizia con la seguente osservazione: Quanto tutti i punti di una superficie sferica agiscono mediante una forza attrattiva o repulsiva in ragione inversa del quadrato delle distanze su un punto posto ad una distanza qualunque da questa superficie, si sa che l azione è la stessa che si avrebbe se tutta la superficie sferica fosse concentrata nel centro della sfera. [10] La conclusione di Coulomb è che o (tre) risultati sperimentali sono compatibili con la legge dell inverso del quadrato della distanza. Vi sono esempi di ragionamento alla Zanzibar anche a livello quotidiano, che si incontrano nei manuali scolastici. Per esempio, per introdurre il concetto di temperatura nell insegnamento elementare si fa ricorso al termometro a mercurio, definendo la temperatura come proporzionale al volume di una certa massa di mercurio. Una volta realizzato il termometro, con la definizione dei due punti fissi, si utilizza lo strumento per indagare la relazione tra la lunghezza di una sbarra e la temperatura (definita nel modo che abbiamo detto). Si arriva ad una legge empirica che si usa scrivere nel modo seguente: L( t) L L 0 = λ t ( 3) 0 che afferma che l allungamento termico relativo della sbarra è proporzionale all aumento della temperatura. In realtà, il significato di questo risultato è semplicemente che Su piccoli intervalli di temperatura, gli aumenti relativi di volume della sbarra e del mercurio sono (pressappoco) proporzionali. Vale a dire che si potrebbero scambiare i ruoli e assumere come termometro una sbarra metallica e con questo strumento studiare le variazioni di volume del mercurio. RICERCA DIDATTICA? Vi fu un tempo in cui si dibatteva se fosse o no appropriato attribuire all insegnamento il carattere di ricerca. In un paese in cui si diventa ricercatori per concorso non c è da meravigliarsi se si accendono discussioni di questo genere. L evidenza sperimentale è che per la maggior parte degli insegnanti l attività docente si riduce alla diuturna fatica della ripetizione, anche perché la quantità e la varietà degli impegni di altra natura, inimmaginabili qualche decennio fa, hanno soffocato anche le più nobili e tenaci aspirazioni intellettuali. Tuttavia, il discrimine tra la mortificata e mortificante ripetizione di formule e il fascino di una trattazione vivace e appagante è così sottile che talvolta, senza volerlo, viene superato. In un senso o nell altro. Nuotare in piscina è sicuro ed evita i problemi; ma affrontare il mare aperto e i pericoli che presenta è ben altrimenti vivificante e formativo; per l insegnante intendo. Il fine dell insegnamento pre-universitario della 9 9

18 fisica non può essere quello della trasmissione di alcune formule di pensiero ( che non concorrono mai, per necessità di cose, alla formazione di un quadro teorico complessivo un paradigma, per dirlo alla Kuhn); ma della formazione di interessi, della provocazione nei riguardi delle idee naïf circa la natura delle cose. Vi è, tra le altre, anche una radicata convinzione da combattere: che gli esperimenti servano agli studenti. Servono prima di tutto all insegnante. Si crede ( e gli insegnanti lo lasciano credere) che un laureato in fisica abbia avuto esperienza diretta di ciò di cui parla. Che abbia provato, come Örsted, l effetto prodotto su una bussola da un filo percorso da corrente; che sappia riconoscere i battimenti nel suono delle campane; che abbia sperimentato la realtà dell immagine prodotta da uno specchio concavo; che abbia osservato il moto di Brown. Non è così, purtroppo. Il laureato in fisica è uno che queste cose le ha lette, che si è formato in un mondo di carta; che non ha idea degli ordini di grandezza, dei fattori di scala e, perché no?, dei costi che l osservazione di questi fenomeni comporta. In un sapido articolo comparso alcuni anni fa, Giulio Cortini uno dei pochi accademici che si è occupato di didattica ha acutamente tratteggiato i sintomi di quella che che definiva sindrome di Persico, dal nome del fisico romano che per primo la descrisse sul Giornale di Fisica [11]. I sintomi sono questi: uno studente di fisica è capace di integrare le equazioni di Maxwell o di ricavarne l equazione delle onde; ma non ha idea dell ordine di grandezza della corrente che ha sopra la testa. La maggior parte degli insegnanti di fisica delle nostre scuole è portatore della sindrome di Persico; a cagione della quale si rifugia nella frequentazione del gesso e della lavagna, delle dimostrazioni pre-confezionate e delle simulazioni al calcolatore. Se si vuole che le cose cambino realmente è necessario che l insegnante acquisti la capacità di essere allievo di se stesso, colui che, prima degli allievi, trae soddisfazione dall ideazione, progettazione e realizzazione di un esperienza didattica. Rifare un esperimento di Faraday non è facile e l esito tutt altro che garantito; forse gli studenti si mostreranno disinteressati;,tuttavia, se la cosa gratifica l insegnante e mi piace pensarlo con le maniche rimboccate e le mani sporche il suo entusiasmo non può non trasmettersi ai suoi allievi. I quali non diverranno fisici; ma conserveranno il senso della gioia che può nascere da un atteggiamento attivo nei confronti dei fenomeni. Oltre tutto, l abitudine alla progettazione di dimostrazioni didattiche che, per loro natura, hanno sempre carattere qualitativo restituisce il senso della difficoltà della ricerca scientifica ed evita di cadere nella rappresentazione caricaturale veicolata implicitamente da tanti project o, almeno, dalle interpretazioni che hanno avuto in Italia. LA FAMIGERATA TEORIA DEGLI ERRORI Nel 1663 Blaise Pascal pubblicò il Traitez sur l equilibre des liqueurs [1], un testo fondamentale nella storia della fisica. Consiste nella descrizione di una quantità di esperimenti che riguardano la pressione atmosferica, compreso quello famoso compiuto (da suo cognato) sul Puy de Dome. Vi è anche una capitolo ( il IX) dedicato al calcolo della pesanteur de la masse de l air

19 Fig.4. Il frontespizio del Traitez di Pascal. Il testo, con qualche riduzione, è il seguente: Queste esperienze ci dicono che l aria che è sopra il livello del mare pesa quanto uno strato d acqua di 31 piedi e due pollici E poiché non ci sarebbe niente di più facile che calcolare quante libbre peserebbe uno strato d acqua che circondasse tutta la terra con uno spessore di 31 piedi ho voluto concedermi questo piacere e ho fatto il conto in questo modo: Un piede cubo d acqua pesa 7 libbre. Ciò posto, è molto facile fare il calcolo che cerchiamo. Poiché la terra ha per cerchio massimo gradi. Ha di conseguenza una circonferenza di..700 leghe. E per la proporzione della circonferenza con il Diametro il suo Diametro sarà di.91 leghe. Dunque, moltiplicando il Diametro della terra per la circonferenza del suo cerchio massimo, si troverà che ha una superficie Sferica totale di leghe quadrate. Vale a dire tese quadrate. Cioè piedi quadrati. E poiché un piede cubo d acqua pesa 7 libbre, ne segue che un prisma d acqua di un piede quadrato di base, e di 31 piedi di altezza, pesa 3 libbre

20 Dunque se la terra fosse coperta d acqua fino all altezza di 31 piedi, vi sarebbero tanti prismi d acqua di 31 piedi di altezza, quanta è tutta la superficie in piedi quadri. ( So bene che questi non sarebbero dei prismi, ma dei settori di Sfera; e trascuro volutamente questa precisazione.) E pertanto essa sosterrebbe tante 3 libbre d acqua quanti sono i piedi quadrati della sua superficie. Dunque, questa massa d acqua intera peserebbe libbre. Vale a dire, otto milioni di milioni di milioni, duecento ottantatre mila ottocento ottantanove milioni di milioni, quattrocento quaranta mila milioni di libbre. Un calcolo, quello di Pascal, basato su dati caratterizzati da due (massimo tre) cifre significative e conduce a un risultato con nove cifre significative. Secondo gli scrupolosi autori dei manuali più accreditati, il calcolo del filosofo francese sarebbe da respingere perché non ha tenuto conto degli errori e della loro propagazione. Con l aggravante che, in luogo di π, nel calcolo della circonferenza, utilizza /7. In realtà, l ingenuità di Pascal non toglie nulla all importanza del calcolo, che risiede nel fatto che, per la prima volta nella storia, si ricava un ordine per una grandezza che fino ad allora si sarebbe ritenuta non misurabile. Il risultato conseguito e il percorso logico seguito hanno rappresentato un cambiamento decisivo nella rappresentazione della realtà fisica che non viene per nulla sminuito dall ingenua fiducia nel potere dell aritmetica. Al contrario, è pratica didattica diffusa assegnare una sorta di catechismo costituito da alcune regole da rispettare rigidamente. O, meglio, formalmente. E uno dei danni collaterali del P.S.S.C. in salsa italiana, conseguenza inevitabile del tentativo di voler trovare sperimentalmente la correlazione matematica tra due grandezze : in altre parole, la legge. Un aspetto positivo c è e consiste nel cercare di rendere il ragazzo consapevole del fatto che una misura è sempre una costruzione mentale che cerchiamo di far indossare alla realtà. La finalità per la quale facciamo una misura determina la scelta della procedura, degli strumenti e quindi l incertezza che le è associata. Tutto sommato, è una consapevolezza che appartiene a tutti: il peso di una persona è espresso al chilo, l età all anno. l altezza al centimetro e così via. Le misure sono sempre esprimibili in numeri interi, con un limitato numero di cifre, determinato dallo scopo per sono fatte. Quando si utilizza il diametro di una ruota da bicicletta per determinare la lunghezza dello pneumatico, è comodo servirsi di un numero irrazionale, ma con la consapevolezza di utilizzare un modello matematico. Una cosa curiosa e gustosa è che diversi manuali scolastici dedicano vari capitoli, generalmente iniziali, alla teoria degli errori, associando il ± ad una quantità di misure (prevalentemente lunghezze). Poi, tutto questo viene accantonato e, nei problemi di fine capitolo, fanno la loro 3 metri e correnti di intensità π ampère. Cosa che rivela l incapacità comparsa finestre alte di distinguere tra realtà fisica e modello. Ma la scolastica teoria degli errori ha, nell attività di insegnamento, un ruolo molto più importante e rivelatore di una diffusa filosofia della fisica. Chiunque utilizzi un metro da muratore o una bilancia da cucina sa bene qual è l attendibilità dello strumento. Molto meno marcata è tale consapevolezza nel caso in cui si utilizzino strumenti di misura digitali; per questo ne andrebbe evitato l uso in ambito scolastico. Ma è legittimo interrogarsi sui motivi che hanno determinato il diffondersi di questo pseudocontenuto in una scuola che, fino agli anni 70 ne ignorava l esistenza. Il più importante risiede in una caratteristica culturale di fondo degli insegnanti, dotati di un sistema immunitario culturale estremamente carente che non fornisce difesa nei confronti di chi produce i manuali scolastici. Gli insegnanti si sono anche resi parte diligente nella definizione e nella diffusione di questo contenuto perché gli fornisce un terreno sicuro e gli consente di buttarla in matematica. Derivano da qui le decine di problemi sugli errori assoluti e relativi e sulla propagazione nel calcolo di perimetri, aree e di volumi. Tutte cose che si possono proporre nel compito in classe: 1 1

21 Due e due quattro quattro e quattro otto otto e otto sedici Ripetete! dice il maestro Due e due quattro quattro e quattro otto otto e otto sedici. [ J. Prévert, Compito in classe] L ARTE DI SCEGLIERE LA CARTA GIUSTA PERCHE OGNI GRAFICO SIA UNA RETTA E il titolo dato ad uno scherzoso ( ma non del tutto) articolo di S.A. Rodin comparso sul Journal of irreproducible risults nel Ne riportiamo un estratto perché ha a che fare con un problema che si pone anche nell attività di laboratorio didattico, dove l esigenza di ottenere best fit rettilinei è anche più pressante e la tentazione di barare è talvolta si presenta sia agli studenti che all insegnante. Come tutti sanno, la retta è la via più breve tra due punti. Se il punto A è quello su cui vi trovate e il punto B quello in cui si trova una banconota, è importante passare da A a B lungo una linea la più retta possibile. Inoltre, si presenta come la più scientifica. Questa è la ragione per cui sono state inventati i diversi tipi di carte per i grafici. La prima inventata fu la semplice carta millimetrata, che contribuì a rendere popolare la linea retta (Fig.1). In seguito, come risposta all esigenza di rendere rettilinei grafici che altrimenti non lo sarebbero, vennero inventate le carte semilogaritmiche (Figg. e 3). Qualora aveste a che fare con una variabile molto galoppina, potrete sempre ricorrere alla carta Log-Log (Fig.4) 13 13

22 Per gli statistici vi è sempre il grafico probabilistico che trasforma una normale ogiva in una retta o una normale curva in una tenda. E molto popolare tra gli statistici perché fa apparire il loro lavoro molto preciso (Fig.5). Talvolta i diagrammi di diffusione intorno a un punto hanno l aspetto di un centrino (Fig. 6A). Ma se utilizzerete la carta di correlazione di Pearson, otterrete punti distribuiti intorno ad una retta. (Fig. 6B). Se doveste ottenere un andamento ciclico al posto di una retta, potreste adottare il seguente metodo. Dapprima, sul grafico originale, segnate i picchi e le gole delle oscillazioni (Fig. 7A). Appoggiate poi sopra il grafico un foglio di carta da lucido e riportate solo i punti che avevate marcato. Ora, è ovvio che questi punti indicano solo scostamenti da una retta, che rappresenterete come un tratteggio (Fig. 7B). Per finire, non resta che riportare la retta su un altro grafico (Fig. 7C)

23 SIAMO PROGRESSISTI: TORNIAMO AL PASSATO Laboratorio è stata la parola magica degli anni 70 e 80, quando veniva associata a molti altri termini e ci si illudeva di aver trovato lo strumento che appianasse le difficoltà dell insegnamento. Nella varietà dei significati, non sempre espliciti, in cui è stato coniugato il termine, sembra che uno abbia assunto il ruolo di canonico, tanto che lo si avverte anche all interno delle indicazioni ministeriali ed è l edizione scolastica di quella corrente di pensiero epistemologico che gli specialisti indicano come realismo ingenuo. Secondo questa le esperienze di laboratorio hanno come scopo quello di costringere la natura a rendere manifeste le sue leggi. Come se le grandezze fisiche e le relazioni tra esse avessero una loro esistenza al di fuori delle teorie. Come se, ad esempio, i termini massa, forza, energia, ecc. avessero un significato intrinseco, indipendente dalla meccanica newtoniana, o il concetto di temperatura dalla termodinamica classica. [13] Discende da questa visione ingenua della realtà e del significato della filosofia naturale, la prassi di cui abbiamo fornito un esempio: quella vorrebbe estrarre dall esperienza la seconda legge della dinamica [14]. Un altro esempio diffuso è relativo alla legge di Ohm. I ragazzi trovano sul tavolo un generatore di tensione, un voltmetro e un amperometro, mediante i quali dimostrare che la corrente risulta proporzionale alla tensione. Il portato più dannoso di questo modo di fare il laboratorio consiste nel messaggio che trasmette, ovvero nella banalizzazione delle difficoltà legate alla costruzione di una teoria. Nel caso della citata dimostrazione della legge di Ohm si misura semplicemente una stessa grandezza ( l intensità di corrente) in due modi diversi e ci sarebbe da meravigliarsi se i risultati ottenuti non fossero proporzionali. Questo è un caso limite, ma spesso le esperienze di laboratorio hanno carattere tautologico. Ne è prova il fatto che, se l insegnante non fornisse, insieme agli strumenti, anche le interpretazioni canoniche delle azioni che si compiono e dei risultati che si ottengono, delle esperienze sarebbe impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi [sarebbe] un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. (Il Saggiatore). Ciò che conta nelle esperienze di laboratorio o in quelle che, una volta, si chiamavano dimostrazioni non è il fatto che riescano oppure no; ma la loro descrizione, cioè il linguaggio usato nel descrivere il fenomeno, che è sempre, necessariamente, emanazione della teoria. [15] Si pensi ad un esperienza banale ( ma nulla è mai banale nell insegnamento): si mette un bicchier d acqua sotto una campana pneumatica e poi si accende la pompa. Una vera esperienza istruttiva per l insegnante è lasciare ai ragazzi il compito di descrivere ciò che accade; si scopre così quanto ampia sia la varietà dei modi in cui si può interpretare un fenomeno che si osserva. Un manuale tra i più diffusi porta il disegno di un auto sulla quale sono caricati due massi: uno sul davanti e uno nel baule. Secondo gli autori, il fatto che l auto resti ferma è una dimostrazione del terzo principio della meccanica di Newton. Ma proviamo a mostrare la vignetta a dei ragazzi e chiediamo loro che cosa dimostra. La varietà delle risposte è una vera e propria esperienza per gli studenti e per l insegnante: lo induce a scoprire che è il fisico a sovrapporre ai fenomeni una propria griglia concettuale. Sarebbe tempo di tornare ad un laboratorio minimalista, quale era ai tempi dei gabinetti di fisica, corredato di strumenti che illustrano le leve, il torchio idraulico, il sifone e il campanello 15 15

24 elettrico, lasciando perdere le (assurde) dimostrazioni di leggi. Molto meglio mostrare fenomeni ( come il fatto che non si può sollevare l acqua più di 18 braccia fiorentine, o che un filo percorso da corrente fa spostare un ago magnetico) che andare alla ricerca di giustificazioni sperimentali dei principi, proposizione assurda e falsa in filosofia e perniciosa nella didattica. Oppure studiare il funzionamento di semplici strumenti (come la bicicletta, o un relé ricavato da una vecchia lavatrice, una dinamo da bicicletta) e spiegarlo ricorrendo ai termini del vocabolario collegato alla teoria più consona. Nel caso della bicicletta sarà d uopo ricorrere a termini come momento d inerzia, forza centrifuga, ecc.che sono propri della meccanica; in quello della dinamo al campo magnetico, alla legge di Faraday, ecc. che sono propri dell elettromagnetismo. COMPUTERS IN THE CLASSROOM I ve paid my due in physics and astronomy, and in those basic sciences, computers have nothing to do with learning. No computer can help someone understand the meaning of a wave function, angular momentum, or the relativistic-twins paradox. Software can simulate these on a glass screen, but these simplifications depend on sameone else s understanding, chic may be quite limited. Up and down the line, computer programs fede us someone else s logic, instead of encouraging us to develop our down. When confronted by a quandary, we re fed someone else s rubric rather tram creating our assaults on the problem. [ Clifford Stoll, Silicon Snake Oil, Doubleday, New York, 1995] IL METODO SCIENTIFICO Talvolta il dogmatismo didattico può andare incontro a crisi salutari. Accade quando l insegnante ha la fortuna di avere tra i suoi allievi un ragazzo dotato della serena consapevolezza del valore delle sue argomentazioni. Ce lo insegna un testo che dobbiamo alla penna del fisico americano Alexander Calandra ( ) e che risale al 1964, ma conserva inalterata la sua attualità. The Barometer Story Some time ago I received a call from a colleague who asked if I would be the referee on the grading of an examination question. He was about to give a student a zero for his answer to a physics question, while the student claimed he should receive a perfect score and would if the system were not set up against the student. The instructor and the student agreed to submit this to an impartial arbiter, and I was selected. I went to my colleague's office and read the examination question, "Show how it is possible to determine the height of a tall building with the aid of a barometer." The student had answered, "Take a barometer to the top of the building, attach a long rope to it, lower the barometer to the street and then bring it up, measuring the length of the rope. The length of the rope is the height of the building." I pointed out that the student really had a strong case for full credit since he had answered the question completely and correctly. On the other hand, if full credit was given, it could well contribute to a high grade for the student in his physics course. A high grade is supposed to certify competence in physics, but the answer did not confirm this. I suggested that the student have another try at answering the question. I was not surprised that my colleague agreed, but I was surprised that the student did. I gave the student six minutes to answer the question with the warning that the answer should show some knowledge of physics. At the end of five minutes, he had not written anything. I asked if he wished to give up, but he said no. He had many answers to this problem; he was just thinking of the best one. I excused myself for interrupting him and asked him to please go on. In the next minute he 16 16

25 dashed off his answer which read, "Take the barometer to the top of the building and lean over the edge of the roof. Drop that barometer, timing its fall with a stopwatch. Then using the formula S = ½at², calculate the height of the building." At this point I asked my colleague if he would give up. He conceded, and I gave the student almost full credit. In leaving my colleague's office, I recalled that the student had said he had many other answers to the problem, so I asked him what they were. "Oh yes," said the student. "There are a great many ways of getting the height of a tall building with a barometer. For example, you could take the barometer out on a sunny day and measure the height of the barometer and the length of its shadow, and the length of the shadow of the building and by the use of a simple proportion, determine the height of the building." "Fine," I asked. "And the others?" "Yes," said the student." There is a very basic measurement method that you will like. In this method you take the barometer and begin to walk up the stairs. As you climb the stairs, you mark off the length of the barometer along the wall. You then count the number of marks, and this will give you the height of the building in barometer units. A very direct method." "Of course, if you want a more sophisticated method, you can tie the barometer to the end of a string, swing it as a pendulum, and determine the value of 'g' at the street level and at the top of the building. From the difference of the two values of 'g' the height of the building can be calculated." Finally, he concluded, there are many other ways of solving the problem. "Probably the best," he said, "is to take the barometer to the basement and knock on the superintendent's door. When the superintendent answers, you speak to him as follows, 'Mr. Superintendent, here I have a fine barometer. If you tell me the height of this building, I will give you this barometer.'" At this point I asked the student if he really did know the conventional answer to this question. He admitted that he did, said that he was fed up with high school and college instructors trying to teach him how to think, using the "scientific method" LE FORMULE: MALATTIA INFANTILE DELLA FISICA SCOLASTICA Un testo che ambisca ad essere riconosciuto come poesia è generalmente caratterizzato dalle righe brevi o dalla rima; ma nessuno sostiene che questa sia condizione ( non necessaria e tantomeno sufficiente) perché di poesia si tratti. Similmente, sembra che il carattere distintivo di un testo di fisica scolastica sia la presenza delle formule, ciascuna con il proprio segno di uguaglianza. Nella didattica si presentano quindi due problemi ( o, meglio, un problema e un sotto-problema): il primo è che le formule siano l'essenza della fisica; il secondo che il segno di uguaglianza sia l'essenza delle formule. Cominceremo col prendere il considerazione quest'ultimo. Il segno di uguaglianza ( = ), introdotto nel 1557 da Robert Welshman, è componente essenziale delle formule. Quelle che rimangono, dopo il liceo, anche a chi fa studi di letteratura o giurisprudenza: f = m a; V= R i; E = m c, ecc. Qualcuno ne ricava l'idea che la fisica non potrebbe esprimere relazioni quantitative senza il segno di eguaglianza; ma è un grossolano fraintendimento del ruolo della scrittura simbolica. Se in Galileo e in Newton non vi è neppure una formula, significa che le forme della comunicazione, in fisica come nel linguaggio ordinario, sono soggette alla storia. L uso del segno di uguaglianza entrato nell uso alla fine del ha enormemente facilitato il calcolo; ma ha anche finito per fare da schermo alla comprensione del significato fisico delle espressioni matematiche. Per comprenderne il significato è necessario tener presente che una relazione fisica quantitativa tra due grandezze non porta necessariamente ad una data espressione. Per esempio, la relazione fra il 17 17

26 volume della sfera e il raggio viene solitamente espressa nella forma 4 V = π R 3 3 ( 4) che è valida solo se come unità di volume si prende il cubo che ha come spigolo l unità di misura adottata per le lunghezze. Se si misurassero i raggi in metri e i volumi in pinte, la relazione sarebbe molto diversa: V = R 3 ( 5) Tuttavia, una cosa non cambierebbe nel passaggio dalla forma (1) alla (): la dipendenza del volume dalla terza potenza delle dimensioni, e questa rappresenta il contenuto fisico della proposizione: 3 V R ( 6) È questa dipendenza che orienta nella scelta delle unità di misura. Solo se scelgo come unità di volume un cubo che ha come spigolo l unità di lunghezza, la relazione tra volume e spigolo per il cubo assume le forma semplice 3 V = R ( 7) nella quale non compare alcuna costante di proporzionalità. La costante di proporzionalità è il prezzo che si paga all introduzione del segno di uguaglianza. La legge di Coulomb la conoscono tutti: q q F = k d 1 ( 8) Il valore della costante k dipende dalle unità di misura adottate. Sappiamo che se si misurano le cariche in coulomb e le distanze in metri, il valore della carica è k 9 8, N m = C Questa è la scelta più popolare. Ma si può anche optare per dine cm k = 1 ; ( u. e. s. ) basta misurare le distanze in centimetri, le forze in dine e le cariche in unità elettrostatiche. Il coulomb è stato introdotto a causa della semplice relazione che lo lega ad ampère, volt, ohm, ecc. In effetti il contenuto significativo della legge di Coulomb risiede nell affermazione della dipendenza della forza dall inverso del quadrato della distanza. Un altro esempio è fornito dalla legge di Gauss relativa al flusso del campo elettrostatico. L espressione più diffusa è nella forma ur Φ = 1 ( E) qint ( 9) ε 0 dove s intende che le cariche sono in coulomb. Ma è anche possibile esprimerla nella forma ur Φ = ( E) 4 π qint ( 10 ) dove la costante dielettrica del vuoto è apparentemente scomparsa. Anche in questo caso, il contenuto fisico è che il flusso del campo attraverso la superficie è proporzionale alla carica contenuta dentro la superficie. Nei testi di meccanica celeste non è raro incontrare la legge 18 18

27 T 3 = R ( 11) che può lasciare perplessi. Si tratta della terza legge di Keplero con la costante resa uguale a 1. Allo scopo basta misurare i periodo in anni e le distante un unità astronomiche. A ben guardare, la potenza di sintesi della fisica è inversamente proporzionale alla quantità di costanti di cui ha bisogno che, a sua volta, dipende dal numero delle unità di cui si serve. Naturalmente, per le costanti universali vale un altro discorso. L UGUAGLIANZA IN FISICA NON E SEMPRE UNA VIRTU Tutto è cominciato nel 1557 quando Robert Welshman introdusse il segno di uguaglianza. =. Questo simbolo rimase in incubazione per un paio di secoli tant è vero che non se ne trova traccia in Galileo, Newton, Pascal e poi, come componente essenziale delle formule, si diffuse nei trattati scientifici e nei manuali di scuola. Non per niente, le formule sono spesso tutto ciò che resta degli studi liceali di fisica: f = m a; V= R i; E = m c, ecc. Qualcuno ne ricava l'idea che la fisica non potrebbe esprimere relazioni quantitative senza il segno di eguaglianza. Ma sbaglia, perchè il segno di uguaglianza non ha, in fisica, sempre lo stesso significato e non è sempre facile intenderne la valenza, spesso neppure per chi lo scrive. Proponiamo qui alcune riflessioni sui modi in cui tale segno di uguaglianza viene declinato e sui caveat che sarebbe opportuno avere presenti nella pratica dell insegnamento, adottando simboli diversi per le diverse accezioni. 1. UGUAGLIANZA PRESSAPPOCO Vi sono formule nelle quali il segno di uguaglianza sottintende l avverbio pressappoco. Di queste ve n è una quantità, tutte raccolte sotto il titolo di leggi ; che è una denominazione del tutto impropria perché non scaturiscono dagli assiomi di una teoria e non sono neppure il risultato di accurate osservazioni empiriche. Un esempio calzante è quello della dilatazione termica l = l + λt ( ) 0 1 dove l è la lunghezza di una sbarra a temperatura t ( in gradi centigradi) l 0 la sua lunghezza alla temperatura zero (gradi centigradi) e λ il cosiddetto coefficiente di dilatazione lineare. Il contenuto fisico di questa proposizione è: se prendo bacchette di materiali diversi ( e di lunghezze diverse), le metto in un ambiente freddo e poi in un ambiente caldo, le loro variazioni relative di lunghezza sono pressappoco proporzionali. Il significato della proposizione, in realtà, è equivoco: si potrebbe assumere come definizione di (variazione di) temperatura e/o come misura di una proprietà di materiali diversi [16]. E ovvio che le variazioni di una grandezza in funzione di un altra vengano descritte da una relazione lineare, a condizione che queste variazioni siano accettabilmente piccole. In fondo si tratta di descrivere la relazione con il primo termine del suo sviluppo in serie. Così, quando si studia il moto del pendolo e ci si limita alle piccole oscillazioni, la bella uguaglianza che si attinge - la famosa legge del pendolo - discende dall assunto che la forza agente sul pendolo sia direttamente proporzionale allo spostamento dalla posizione di equilibrio, il che è vero solo se si identifica il seno dell elongazione con l elongazione stessa: sinϑ ϑ ( 1). Altri esempi sono rappresentati dalla relazione tra resistività di un conduttore e temperatura e tra 19 19

28 sforzo e deformazione di un materiale elastico. Un esempio comune è la relazione lineare che viene assunta tra pressione atmosferica e quota, utilizzata per la taratura degli altimetri. In tutti questi casi si assumono dipendenze lineari solo perché forniscono risultati accettabili, entro determinati limiti di variabilità, unicamente ai fini pratici. La taratura di un comune tester fornisce un esempio visivo del fatto che qualunque relazione si può descrivere come lineare a condizione che il campo di variabilità sia sufficientemente ristretto.. LEGGI EMPIRICHE Con questo titolo intendiamo relazioni tra grandezze fisiche che sintetizzano i risultati di accurate osservazioni su ampi intervalli delle variabili. Le leggi che stanno alla base della chimica classica ( Lavoisier, Dalton, Prout, ecc.) ne sono esempi mirabili. Nell ambito della fisica classica, le leggi che hanno a che fare con le proprietà della materia non sono leggi, almeno in senso rigoroso. Tra queste potremmo collocare anche la legge di Ohm che pure gioca un ruolo tanto importante nell elettromagnetismo ( e nell insegnamento liceale). Non vi è nulla, infatti, nella teoria di Maxwell da cui si possa far discendere la misteriosa proprietà dei conduttori che va sotto il nome di resistenza, tant è vero che questa non è una qualità che si possa attribuire a tutti i corpi che possono condurre una corrente elettrica. Di questo non dobbiamo meravigliarci: la fisica classica non si occupa della costituzione della materia. L unica teoria classica che tenta una cosa del genere è la teoria cinetica dei gas che, infatti, fornisce un interpretazione teorica della (il nome è appropriato) regola di Dulong e Petit relativa ai calori molari dei gas. Pertanto, le proposizioni che riguardano le proprietà elettriche o termiche o elastiche dei materiali, hanno validità empirica e non sono leggi in quanto non rientrano nella struttura assiomatica della teoria. Vale la pena di ricordare quanto scrive, a proposito della legge di Ohm, un grande cosmologo: Desidero ricordarvi come è stata gentile con noi la Natura in relazione all elettromagnetismo; è il caso, in particolare, dello strano colpo di fortuna che rese la teoria elettromagnetica molto più intelligibile di quanto non sarebbe stato altrimenti alludo alla legge di Ohm. La situazione è questa: molti materiali ordinari soddisfano una legge eccezionalmente semplice, che non segue in modo diretto da alcun presupposto altrettanto semplice La legge di Ohm ci dà per la dissipazione dell energia un espressione di una semplicità che, a quanto ne so, non si riscontra in nessun altra legge fisica Ancora una volta, quello che si è stato di così grande aiuto nello sviluppo della teoria elettromagnetica, ci ha portato alla rovina: ci aspettiamo dovunque la stessa semplicità.[17] Vero è che molte leggi empiriche sono state promosse a leggi tout court; ma questo è avvenuto mutando o ampliando il quadro teorico. L esempio più classico è rappresentato dalle leggi di Keplero originariamente basate solo sull osservazione - e quindi valide, al cimento, solo pressappoco. Assumono la dignità di legge solo quando sono accolte nel sistema del mondo di Newton; poiché è solo in questo contesto teorico che risultano deducibili dagli assiomi. Questa operazione, tuttavia, ha avuto un prezzo: l introduzione dell ipotesi gravitazionale. Una relazione empirica che ha seguito una sorte diversa è la cosiddetta legge di Titius e Bode che teorizza le distanze dei pianeti dal sole. Un altro esempio è rappresentatati dalle leggi di Wien e di Stephan- Boltzmann relative all emissione del corpo nero. Queste hanno diritto al titolo di leggi in quanto sono deducibili dalle ipotesi di Planck : sappiamo tuttavia, quanto questa rappresenti una rottura con l elettromagnetismo classico. Sarebbe quindi necessario allegare qualche avvertenza alle affermazioni che si traducono in uguaglianze - relative al comportamento termico, elastico o elettrico dei materiali. 3. DEFINIZIONI 0 0

29 In molte formule il segno di uguaglianza esprime una definizione. E' il caso, ad esempio, della F pressione p = S, dell'intensità del campo magnetico r r r ( F = B i l). o del lavoro meccanico L = F r o s r. ( ) Non è sempre facile distinguere una definizione da una relazione funzionale tra due grandezze diverse. Ad esempio, la f =ma può essere una legge, ma anche una definizione ( o di forza o di massa), a seconda del contesto. Lo stesso vale per la legge di Hooke che è, generalmente, solo la definizione di forza. Taluni autori utilizzano segni diversi per i due valori del segno di uguaglianza ( = e ); ma spesso si preferisce utilizzare il solo segno tradizionale proprio a motivo del fatto che non è sempre evidente il suo significato. Le difficoltà che presenta l'impresa di distinguere il contenuto fisico delle formule dalle definizioni è peculiare della fisica in quanto le teorie, quali i fisici le intendono e le utilizzano, non hanno quasi mai una struttura rigorosamente assiomatica; ma sono il risultato di un processo di maturazione che tende ad una sistemazione di tipo razionale e, nel contempo, si alimenta di osservazioni empiriche e analogie. Così come i teoremi della geometria euclidea sono sì dedotti dagli assiomi; ma suggeriti dall'intuizione che attinge all'esperienza. Ne sono un esempio la meccanica classica e la termodinamica, nelle quali il significato stesso dei nomi è profondamente mutato nel tempo. Un altro esempio è fornito dalla legge di gravitazione universale: m1m F = G ( 13) r che talvolta viene intesa come definizione di massa gravitazionale, talaltra - quando fa comodol'affermazione del principio di equivalenza. La stessa equazione caratteristica dei gas nrt = pv 14 ( ) viene intesa talvolta come legge dei gas, talaltra come definizione operativa di temperatura. Partecipano di questa doppia natura scritture come m o m. Indicano un regolo da 1 m e un quadrato di 1 m di lato in scritture come L= 3 m o S= 16 m ; ma indicano numeri quando si risponde a domande del tipo: Calcolare il volume dell aria contenuta in una stanza con un pavimento di 16 m, alta 3 m. Determinare la sezione di un tubo da,5 pollici di diametro. In questi casi si applicano ai simboli che indicano le unità di misura le ordinarie regole dell algebra dei numeri reali. 4. LEGGI Le leggi sono proposizioni che riguardano grandezze fisiche definite in modo indipendente. Per esempio, definite operativamente la pressione, il volume e la temperatura di un gas, acquista significato l affermazione che il volume è ( a temperatura costante) inversamente proporzionale alla pressione. Questa affermazione, tuttavia, non è del tutto equivalente alla scrittura p V = k. L utilizzo del segno di uguaglianza presuppone l adozione di due unità di misura ( una per la pressione e una per il volume) e sono le unità adottate a determinare le dimensioni fisiche e il valore della costante. Il segno di uguaglianza consente di tradurre una legge fisica in un equazione, ma questo è possibile solo nel contesto di un sistema di unità di misura. In sostanza, l affermazione che il volume è inversamente proporzionale alla pressione è indipendente dalle unità adottate, la sua espressione tramite un uguaglianza dipende dal sistema delle unità. 1 1

30 E stato Galileo ad enunciare per primo la legge di caduta dei gravi: Lo spazio percorso è proporzionale al quadrato dei tempi di caduta che qualcuno esprime nella forma s t ; proposizione indipendente dalle unità di misura adottate [18]. E solo dopo aver stabilito le unità per gli spazi e i tempi, che la stessa asserzione può assumere la forma: 1 s = g t ( 15) nella quale fa la sua comparsa una costante ( 1 g ) che non entrava nell originaria formulazione. Affermare che tale costante di proporzionalità vale 4,9 m significa prima di tutto indicare quali s debbono essere le unità da adottare per gli spazi e i tempi. Se immaginiamo di essere in contatto con un lontano interlocutore, con cui non abbiamo statuito unità di misura condivise, il valore della costante non ha alcun significato. La legge, nell enunciazione galileiana, rimane valida a prescindere dal sistema delle unità di misura. L analogo vale per la cosiddetta terza legge nella formulazione di Keplero: essere i periodi di 3 rivoluzione in proporzione sesquilatera con i raggi delle loro orbite: T R. Solo quando si immerge tale legge nella meccanica di Newton e nel corrente sistema di unità di misura, assume la forma in cui compare il segno di uguaglianza: 4π 3 T = R ( 16) GM 4π Tale segno trascina con sé la costante di proporzionalità che acquista significato solo GM all interno di due riferimenti: a) il sistema delle unità di misura; b) il sistema teorico della meccanica newtoniana. La formula non contiene solo la legge di Keplero, ma anche gli assiomi del paradigma newtoniano ( cioè i principi che ne definiscono le grandezze e l ipotesi della gravitazione) e il sistema di unità adottato [19]. Ovviamente, la legge di Keplero conserverebbe il suo ruolo anche in presenza di un diverso sistema di unità, e la presenza del simbolo di uguaglianza nella sua enunciazione non aggiunge nulla al suo significato fisico; ma la ancora ad un sistema convenuto di unità. Volendo fare un esempio più elementare, prendiamo la legge ( che di questo appunto si tratta) del volume della sfera: π ( 17) 3 VS = D 6 dove D indica la misura del diametro. Questa discende dalla legge del volume del cubo: 3 VC = d ( 18). Questa equivale a scegliere come unità di misura dei volumi il cubo che ha come spigolo l unità di lunghezza.: se le lunghezze si misurano in metri, il volumi si devono misurare in cubi di spigolo 1 m. Potremmo convenire di misurare i volumi in sfere di diametro unitario. Questa scelta porterebbe a due formule diverse VS = D e VC = D ( 19) [0]. π Ciò che rimane valido, indipendentemente dal sistema delle unità, è la proporzionalità del volume alla terza potenza delle dimensioni lineari: questa è l essenza della legge fisica. Le costanti che il segno di uguaglianza trascina con sé dipendono dalla teoria adottata ( la geometria di Euclide) e dalla scelta delle unità per il volume.

31 Non è, comunque, vero in assoluto che il segno di uguaglianza, nell espressione di una legge fisica, comporti sempre un costante. Quando la relazione è espressa da una funzione trascendente, come un esponenziale o una funzione goniometrica, allora il fattore di proporzionalità è rigorosamente una pura unità. Un esempio è la legge di scarica del condensatore t V = V0 exp ( 0). RC Nei manuali scolastici la legge viene presentata in modo che la costante V 0 sembra svolgere il ruolo che, ad esempio, nella legge di Ohm è della resistenza; mentre non è così. V 0 ha piuttosto il ruolo di unità naturale di misura. La scrittura V t = exp ( 1) V0 RC è matematicamente equivalente alla precedente; ma mette in evidenza che la sua validità non è legata all adozione di un certo sistema di unità di misura. La sola condizione è che le tensioni siano espresse nella stessa unità e la costante RC nella stessa unità del tempo. Pertanto, questa rappresenta una relazione funzionale tra numeri puri, poiché tali sono tutte le variabili che vi compaiono, indipendentemente dalle unità adottate. Lo stesso si potrebbe ripetere per l equazione delle onde: y sin t x = π ( ) y0 T λ dove T e λ hanno il consueto significato di periodo e lunghezza d onda. 5. F = m a? La legge più popolare della fisica elementare ( ma la legge non lo è) non risponde ai criteri che abbiamo illustrato. Abbiamo infatti chiarito che non vi può essere una relazione tra grandezze fisiche definite in maniera indipendente in cui non compaia un fattore di proporzionalità. A volte tale fattore è solo latente come quando si scrive il volume del cubo come V = L [1] o la legge di 3 Keplero nella forma T = R ( basta misurare i tempi di rivoluzione in anni e i raggi delle orbite in unità astronomiche). Ma il fattore di proporzionalità non si può sopprimere e questo vale anche per l assioma di Newton. Una prima possibilità è quella che sia la massa a giocare tale ruolo. In tal caso, definite operativamente la forza (attraverso una molla campione) e l accelerazione (attraverso metri e cronometri), si afferma che le due grandezze sono proporzionali. Per esprimere la legge utilizzando il segno di uguaglianza siamo costretti ad introdurre una costante di proporzionalità che chiamiamo massa ( inerziale). Ma potremmo anche definire operativamente la massa e l accelerazione e stabilire che le due grandezze, riferite ad un corpo, sono inversamente proporzionali. Questa potrebbe essere una definizione dinamica della grandezza forza : F ma ( 3) Scelta legittima ed opportuna adottata di frequente nei manuali di meccanica razionale. Un altra opzione potrebbe essere quella di definire in maniera indipendente le tre grandezze: forza (statica), massa (gravitazionale) e accelerazione. La legge di Newton diverrebbe allora F = k ma ( 4) cioè comporterebbe l introduzione di una nuova grandezza. Potremmo farla (apparentemente) scomparire, scegliendo opportunamente le unità di misura, come si fa per il volume del cubo o l area del quadrato. Per esempio, basta scegliere come unità di forza il prodotto dell unità di massa per l unità di accelerazione, per ridurre la legge alla sua forma corrente []. Tra queste opzioni i manuali diffusi nella scuola non fanno alcuna scelta esplicita. O, meglio, passano con disinvoltura dall una all altra, a seconda della convenienza. Abbiamo visto che il contenuto fisico delle leggi non risiede nel segno di uguaglianza, ma nella relazione funzionale. Quello dell assioma di Newton non può quindi essere ridotto al fatto che, per qualche oscuro 3 3 3

32 motivo, la forza è uguale alla massa moltiplicata per l accelerazione. Tutto ciò che avremmo il diritto di richiedere sarebbe una maggiore consapevolezza dei problemi che si presentano quando si stabiliscono i fondamenti delle regulae philosophandi della meccanica newtoniana. 6. UGUAGLIANZA E PROBLEMI DI FISICA Vi è uno stretto legame tra la mole di problemi che hanno da qualche anno invaso i manuali scolastici di fisica e la diffusione del segno di uguaglianza. E facile spiegare il motivo della correlazione: è il segno di uguaglianza che consente di trasformare la fisica in algebra e di trasferire la riflessione dai fenomeni e dalle ipotesi alle regole di calcolo. Consideriamo l esperienza classica dei due fili paralleli percorsi da corrente che si attraggono. La fisica del fenomeno consiste nel fatto che la forza di attrazione, per unità di lunghezza, è proporzionale al quadrato dell intensità di F i corrente e inversamente proporzionale alla distanza: e su questo non è possibile costruire L d problemi algebricamente complessi. Tuttavia, se alla stessa legge si conferisce la forma F µ i 0 = 5 L π d ( ) si possono proporre quattro tipi di problemi diversi che consistono nel determinare il valore di una delle variabili, date le altre tre. In realtà, il valore della costante di proporzionalità non ha alcun significato fisico in quanto è determinato dalla definizione adottata per l unità di corrente elettrica [3]. L errore didattico ( e culturale) di fondo non è di quelli veniali. Consiste nell incapacità di distinguere tra la descrizione quantitativa dei fenomeni e le misure. In geometria euclidea la proposizione che afferma essere il volume della sfera i /3 del volume del cilindro circoscritto è valida a prescindere dalle unità adottate per la misura delle lunghezze e dei volumi; la formula 4 3 V = π R è valida solo se l unità di volume è il cubo che ha come spigolo l unità di lunghezza. 3 L esempio non è casuale: ciò che sta accadendo nella didattica della fisica è già accaduto per la geometria, ormai da tempo sinonimo di geometria analitica. Questa ha consentito di sostituire alle capacità di analisi e di sintesi personali, procedure standard che consistono nel trasformare qualsiasi problema geometrico in un problema algebrico. Così l affermazione, che prendiamo da Galileo, se dal primo istante o inizio del moto avremo preso successivamente un numero qualsiasi di tempi uguali, ; questi spazi staranno tra di loro come i numeri impari ab unitate, cioè come 1, 3, 5, 7,, questa affermazione è indipendente dal sistema delle unità adottate per gli spazi e i tempi. La comparsa dei problemi nei manuali di fisica negli anni 70 venne salutata come un miglioramento dell insegnamento. Oggi ne vediamo i limiti e le conseguenze negative. CONCLUSIONI Il corpo di nozioni che rappresentano lo zoccolo duro della formazione culturale di un insegnante di fisica è rappresentato dai corsi di meccanica ed elettromagnetismo che segue nei primi due anni di studi universitari. Queste nozioni dovrebbero costituire il ceppo di base, destinato, una volta messo a dimora, a mettere radici e crescere, tanto da assumere forma propria, nella quale risulti quasi impossibile riconoscere l originaria, schematica e dogmatica, formazione. Ma non possono 4 4

33 rimanere le originarie informazioni i soli ferri del mestiere di cui un buon insegnante dispone; anzi, il numero e la qualità dei ferri dovrebbe accrescersi con le occasioni di esperienza. Certo, l insegnante che si trova ad operare in completo isolamento o, peggio, all interno di una struttura scolastica in cui la tradizione si è mutata in sclerosi, incontra difficoltà enormi, anche perché la cultura dominante nella scuola riduce l insegnamento della fisica più o meno alla trasmissione delle nozioni contenute nel manuale scolastico. E questo è il motivo per cui l unico sentiero battuto verso un falso rinnovamento è stato, da una parte l accrescimento volumico dei manuali, dall altro un superficiale rinnovamento degli strumenti didattici che ha lasciato inalterato il sostrato pedagogico ed anzi accresciuto la distanza dalla personale esperienza del ragazzo. E convinzione di chi scrive che l insegnamento sia lavoro artigianale e che sull artigiano gravi la responsabilità della scelta delle strategie e degli strumenti, senza mai dimenticare che il mondo reale sta fuori dal libro di scuola e che gli studi acquistano prestigio agli occhi del ragazzo solo se gli forniscono più potenti mezzi di lettura della realtà fisica. E purtroppo diffuso nella scuola una sorta di ingenuo realismo secondo il quale le proposizioni scientifiche sono ben fondate in quanto poggiano sull evidenza sperimentale. Convinzione falsa o, per lo meno, ingenua. Scriveva Enrico Bellone: La natura, in sostanza, non risponde a coloro che la fissano a lungo o ne toccano i frammenti senza essere guidati da aspettative. Per costringere la natura a risponderci è invece necessario intervenire su di essa ponendole domande è necessario, cioè, progettare esperienze, manipolare tecniche e macchinari, porre in campo congetture e teorie, interpretare segnali di risposta che non sono sempre chiari e univoci. L arte di interrogare la natura si è singolarmente arricchita durante gli ultimi secoli e, oggi, i cosiddetti fenomeni naturali hanno ben poco da dire a chi li affronta in povertà di concetti. Un osservazione che conserva tutta la sua validità anche nella didattica, nell ambito della quale il far derivare le leggi e i concetti da presunte evidenze sperimentali costituisce un vero e proprio errore epistemologico e una sorta di violenza pedagogica. La sola strada che può percorrere l insegnante è quello di legare in maniera non artificiosa i concetti e le leggi della fisica scolastica al grande mondo dei fenomeni e delle idee, senza paura di esporli alla prova della realtà. Naturalmente, i ferri da adottare dipendono dal problema che si presenta e dalla situazione scolastica generale: può trattarsi di semplici osservazioni sperimentali o di connessioni tra concetti diversi o osservazioni di carattere storico e culturale. Il fine ultimo, a ben vedere, è quello di stabilire un rapporto affettivo con i metodi e i concetti della fisica scolastica; il solo modo perché le esili pianticelle concettuali piantate negli anni di scuola, mettano radici e, talvolta, diventino alberi vigorosi. A ben vedere, il problema di fondo è la diffusa misconoscenza dell entità della sfida a cui è chiamato l insegnante; che debba cercare di trasmettere il senso della bellezza di Dante o di Kant o delle leggi di Keplero. Ciascun percorso è oltre misura difficile e solo raramente conduce alla meta. Vi è, nel rapporto educativo, una componente indefinita - il mezzo attraverso il quale viene veicolato il messaggio - che non si acquisisce sui manuali ( né di fisica, né di pedagogia) ma scaturisce piuttosto dalla consapevolezza del valore di ciò che si fa, nella veste di insegnante o in quella di studente. Nella nostra tradizione culturale l insegnante di fisica è ritenuto un fisico minore; come se all insegnamento fossero destinati i laureati meno dotati e preparati. Non diamo troppo credito a questa diffusa opinione, figlia di una disastrosa sottovalutazione del ruolo della scuola e di una desolante inferiorità culturale in campo scientifico. Condurre lo studente a riconoscere come problema la strana immagine assunta da un lampione visto attraverso la tela di un ombrello è una grande sfida, sintesi del fine dell insegnamento: riconoscere problemi. Ieri mattina (presto) sorgeva 5 5

34 la luna; un disco grigio con una falce sottile luminosissima. Da dove quella luce cinerina? Perché stamattina, alla stessa ora, la luna non c era più? Certo, l insegnante, più di altri operatori culturali, non deve aspettarsi gratificazioni diverse da quelle morali: rare anche queste. Tuttavia, accade talvolta di riconoscere nella crescita intellettuale di un giovane, autonoma e non pre-determinabile ( grazie a Dio), un nostro contributo che, per vie misteriose, ha dato frutto. Questa è la più grande tra le ricompense a cui può aspirare l insegnante: riconosce nell albero il seme che pensava disperso. [1] G. Galilei, Il saggiatore. Nel quale con bilancia esquisita, e giusta si ponderano le cose contenute nella libra astronomica e filosofica di Lotario Sarsi Sigensano, Roma, 163. [] G. Galileo, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, Leida, appresso gli Elzeviri, [3] Ganot, Adolphe, Trattato elementare di fisica sperimentale ed applicata e di meteorologia, Pagnoni, MI, 1861 [4] Searle, G.F.C., Experimental Physics: a Selection of Experiments, Cambridge University Press, [5] Pohl, R.W., Trattato di fisica, pubblicato nel , ed. italiana Piccin, Padova, 197 [6] Pyenson,L., L art d enseigner la Physique, Les éditions du Septentrion, Paris, 00 [7] Kuhn, Thomas S., La funzione del dogma nella ricerca scientifica, in Dogma contro critica, a cura di S. Gattei, Raffaello Cortina Editore, MI, 000. [8] Ronchi, Vasco, Sui fondamenti dell acustica e dell ottica, Olshki, Firenze, [9] Rogers, E., Physics for Inquiring Mind, Princeton University Press, 1960, p [10] Coulomb, A., Collection de mémoires relatifs à la physique, Tome I, Deuxième Mèmoire (1785), Paris, 1884, p [11] Persico, Enrico, Che cos è che non va?, Giornale di Fisica, 1,1956, pp [1] Pascal, B., Traitez sur l equilibre des liqueurs et de la pesanteur de la masse de l air, Paris, [13] Kuhn, Thomas S., Commensurabilità, comparabilità, comunicabilità, in Dogma contro critica, op. cit. [14] Viennot,L., Reasoning in Physics, the Part of Common Sense, Dordrecht, Kluwer Academic Publisher, 001, Part 1. [15] Holton, Gerald R., What is conveyed by Demonstration, in Physics Demonstration Experiments, Edited by Harry F. Meiners, The Ronald Press Co, 1970 [16] Ageno, M., La costruzione operativa della fisica, Boringhieri, TO, 1970, Cap. 6. [17] Bondi, H., Miti e ipotesi nella teoria fisica, Zanichelli (BO), 1971, pag. 4. [18] Drake, S., Galileo s physical measurements, Am. J. Phys. 54 (4), April [19] Stefanini, L., Medie kepleriane, Giornale di Fisica, Vol. XXXVII (1996), N.3. [0] Cercignani, C., Spazio, Tempo, Movimento, Zanichelli (BO), 1994, Cap. 7. [1] Levy-Leblond, J.M.,On the Conceptual Nature of the Physical Constant, La Rivista del Nuovo Cimento, Vol.7, N., [] Feynmann, R.P., Lectures on Physics, Addison-Wesley P.C., 1966, Vol.1, Cap. 9. [3] Jackson, J.D., Appendice sulle unità di misura e sulle dimensioni, in Elettrodinamica classica, Zanichelli (BO),

35 TECNICA DI CAMINO La figura rappresenta uno scalatore fermo in un camino liscio. Fig. 1. Un alpinista che applica la tecnica di opposizione. Quali fattori influiscono sulla possibilità di non cadere? E ragionevole pensare che dipenda dal coefficiente d attrito tra le suole e la parete e dal peso dell alpinista; ma anche dalla larghezza L del camino in relazione alla lunghezza l delle gambe. Possiamo schematizzare la situazione nel modo illustrato in Fig.. Fig.. Diagramma delle forze agenti sull alpinista. 7

36 Indichiamo con α l angolo tra la gamba e la parete : L / sinα = ( 1) l La forza che la parete esercita su ogni piede ( e che ha la direzione della gamba) dev essere tale da equilibrare metà del peso del corpo. Inoltre, se si decompone tale forza in direzione normale alla parete e tangente, dev essere Ftan g = Fattrito µ Fnorm ( ) dove µ è il coefficiente d attrito statico e F norm P = tanα 3 Dalla () si ricava che F µ > F attr norm e infine ( 4) ( ) l µ > 1 ( 5) L Il coefficiente d attrito tra la scarpa e la parete dev essere tanto maggiore quanto più il camino è stretto ( rispetto alla lunghezza della gamba). 8

37 UNO STRUMENTO ALPINISTICO CON ASCENDENZE MATEMATICHE Sia una fessura nella roccia (preferibilmente granito)di larghezza L e un compasso di lunghezza b. θ S Sullo snodo è applicata una forza S e vogliamo che sia equilibrata dall attrito contro le pareti. Le componenti di S lungo le braccia del compasso sono cos normale alle pareti hanno intensità S S sinθ = tanθ cosθ La forza massima d attrito è quindi S F A = µ tanθ dove µ è, more solito, il coefficiente d attrito. Se si vuole che l apparecchio non scivoli è necessario che S µ tanθ S S θ le cui componenti in direzione Cosa sorprendente, la condizione è indipendente dalla forza applicata S, e la possiamo scrivere nella forma 9

38 1 tanθ µ In altre parole, vi è un apertura minima che garantisce la tenuta allo strappo ed è θ min 1 = arctan µ Significa che se l attrito è grande, l apertura del compasso può essere piccola; ma se le pareti sono lisce, il compasso dev essere molto aperto. θ S S Basso attrito GRANDE ATTRITO Ora, in montagna le fessure non sono tutte della stessa larghezza. Se dispongo di uno strumento di questo tipo a braccia di lunghezza fissa e lo inserisco in una fessura stretta è facile che la forza massima d attrito sia troppo bassa per resistere allo strappo S; devo quindi diminuire la lunghezza dei bracci in modo che l angolo θ tra il braccio e la parete sia costante e sufficientemente grande. Il problema di statica ( e di sopravvivenza) si trasforma così in un problema di geometria. Si tratta di trovare un profilo polare definito da questa proprietà: che la tangente alla curva formi con il raggio condotto dal polo un angolo costante ( e sufficientemente grande). La curva che gode di questa proprietà la si conosce dai tempi di Cartesio e fu studiata da uno dei Bernoulli [eadem mutata resurgo]: stiamo parlando della spirale logaritmica. Nel riferimento polare la sua equazione è θ ρ = ρ0 exp tan * θ dove θ* è un conveniente valore assunto per l angolo tra la parete e la congiungente il polo con il punto di contatto. 30

39 La spirale logaritmica Che c entra questa storia con l alpinismo? Uno degli oggetti ( a volte più d uno) che si vedono appesi agli imbrachi degli alpinisti è sicuramente un friend. Lo si riconosce dalla cura con cui il proprietario lo sorveglia (sono molto costosi) I friend, che sono dei blocchi a struttura variabile che si inseriscono nelle fessure della roccia allo scopo di bloccare un eventuale caduta dell alpinista. Un friend inserito in una fessura Il loro profilo è una spirale logaritmica; anche se gli alpinisti non lo sanno. 31

40 3

41 UN ASCENSORE SPAZIALE Su Tuttoscienze del marzo 011 c era un articolo di Nicola Pugno, docente di Scienza delle costruzioni, sulla possibilità di realizzare una torre talmente alta da non pesare niente. Questo propone un problema didatticamente interessante che potremmo proporre ai nostri allievi. Prima domanda: a quale altezza ( nel riferimento della Terra) un oggetto ha peso zero? Le forze agenti su un corpo (di massa 1 kg,fermo rispetto alla Terra) e a quota z sul piano dell equatore) sono due: l attrazione gravitazionale che tira in giù: g g = 0 z 1+ R ( 1) dove g 0 è 9,8 N ed R il raggio della Terra e z la quota, e la forza centrifuga che tira in su: z Ω R 1+ R ( ) Le due si fanno equilibrio quando g 0 z 1+ R ovvero 3 z = Ω R 1+ 3 R ( ) z g = ( 4) R Ω R 5 rad Poiché Ω = 7,3 10 è facile fare i conti: s z g = ,6 ( 5) R Ω R cioè circa 36 mila km. Un oggetto alla quota di 36 mila km ha peso nullo. Vogliamo ora di costruire una torre ( al cui interno ci sarà l ascensore spaziale) talmente alta che, alla base, non pesi niente. 33

42 Vediamo quanto pesa una torre di altezza H. Se la densità lineare è λ, la massa di un tratto di torre ( a quota z) di lunghezza dz è λ dz e il suo peso g0 z dp = λ dz Ω R 1+ 6 z R 1+ R Il peso di tutta la torre ( gravante sulla base) è quindi l integrale di questo tra 0 ed H: ( ) H R H 1 H P = λ g0r Ω R 1 7 H + 1+ R R R ( ) La domanda è: per quale altezza H il peso alla base si annulla? Elementare Watson! Quando 1 H H g = 8 R R Ω R ( ) bellissima equazione di secondo grado alla portata di tutte le tasche. Che fornisce H R 1 g = Ω R ( ) La cosa più divertente è fare il conto: quanto dev essere lunga la corda di un fachiro che stia su da sola? H 1 = ,6 10 R ( ) Ora,,6 raggi terrestri sono circa 145 mila km. Il giornale ipotizza circa 100 mila km, ma solo perché pensa ad una torre più grande in alto che in basso ( una sorta di pera rovesciata). 34

43 Lo sforzo massimo sulla struttura si ha in corrispondenza della quota di peso nullo H R g = 3 0 Ω R ( ) 1 5, 6 11 perché il pezzo di torre che si trova a questa altezza deve sostenere il tratto che va da lì fino a terra e il tratto che da lì va fino a,6 raggi terrestri. Il peso del tratto alto 5,6 raggi terrestri è 5,6 1 6 P = λr g0 Ω R 5,6 1+ 5,6 = 48,6 10 λ ,6 ( ) Per decidere se una cosa del genere è fattibile, pensiamo ad una torre di 0 m di diametro, di cemento. Ogni metro di torre pesa 3 λ 10 kg per cui la tensione nel punto in cui è massima vale circa 9 Tmax 48,6 10 ovvero 9 Tmax 5 10 kg p N Non c è cemento armato che possa resistere ad una tensione del genere. A meno che Per sapere a meno che andatevi a leggere l articolo: è in Internet. 35

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45 UN ATTIVITA DIDATTICA SU UNA MEMORIA OTTOCENTESCA DI FISICA SOLARE 1. POUILLET E LA NASCITA DELLA FISICA SOLARE La fisica solare ha una precisa data di nascita: il 1838, segnata dalla pubblicazione sui Comptes Rendus dell Accademia delle Scienze di Parigi di una Memoria che porta un lungo titolo: Memoria sul calore solare, sui poteri di irraggiamento e di assorbimento dell aria atmosferica, e sulla temperatura dello spazio par M. Pouillet. Il questo lungo saggio ( 41 pagine) la fisica solare non è il fine ma solo il punto di partenza per uno studio approfondito delle condizioni fisiche sulla superficie terrestre. Infatti, solo qualche anno prima J.Fourier aveva dimostrato che gli scambi termici con l interno influiscono in maniera trascurabile sulla temperatura superficiale terrestre, e che questa è determinata essenzialmente dal bilancio tra l energia radiante ricevuta dal Sole e quella riemessa nello spazio. I problemi di fisica solare che Poillet affronta nella sua Memoria sono i seguenti: 1.Descrizione di uno strumento (piroeliometro) per la misura dell intensità della radiazione solare;. Definizione della costante solare e sua determinazione dalle misure raccolte; 3. Stima della luminosità e della brillanza solari; 4. Stima della temperatura superficiale del Sole. 5. Riflessione sulla rapidità di raffreddamento del Sole in assenza di sorgenti interne di energia. La costante solare è l intensità della radiazione solare al di fuori dell atmosfera terrestre. Poiché tale radiazione, nell attraversare lo strato di atmosfera, subisce processi di riflessione, diffusione e assorbimento, la potenza solare che raggiunge il livello del mare è solo una frazione di quella che arriva al limite dell atmosfera. Poiché, poi, lo spessore dello strato attraversato dipende dall altezza del Sole, le misure danno valori che dipendono dalla latitudine del luogo di osservazione, dall ora e dalla data. L idea di Pouillet è quella di compiere misure con spessori diversi di atmosfera e, dai dati raccolti, estrapolare il valore dell intensità corrispondente a spessore nullo. Tutto ciò richiede di ipotizzare una relazione tra intensità e spessore attraversato dalla radiazione. La relazione ipotizzata da Pouillet è nota come legge di Lambert [1]: S = S e kx 0 dove x è lo spessore dell atmosfera attraversato dalla radiazione alla data e all ora della misura, S 0 il valore dell intensità al limite dell atmosfera, e k un parametro che varia con il luogo e la data dell osservazione in cui confluiscono le condizioni di trasparenza e umidità dell aria. [1] Nota anche come legge di Lambert-Beer, fu scoperta da P.Bouguer nel 179, ma divenne nota agli studiosi grazie ad un opera di H. Lambert ( Photometria, 1760). Una conferma della legge, attribuita al matematico Stigler, che si enuncia nei termini: Una legge non porta mai il nome di chi l ha scoperta. In questo modo, Pouillet perviene a definire e misurare la costante solare, ottenendo: valore molto prossimo a quello attualmente accettato ( 1,34 kw m ). 1,3 kw m ; un Una volta in possesso del valore della costante solare, è facile ricavare il valore della luminosità solare, cioè della potenza complessivamente emessa e della brillanza solare, vale a dire della potenza emessa per unità di superficie. Tutte grandezze la determinazione delle quali non richiede ipotesi sulla natura fisica del Sole, se non quella che abbia una superficie che lo limita []. 37

46 [] Dufresne, Jean-Luc (008), La determination de la constante solare par Claude Matthias Pouillet, La Météorologie, No.60, pp Quando si spinge a cercare di determinare la temperatura superficiale, tuttavia, Poillet non può evitare di introdurre un primo modello fisico del Sole: la radiazione è emessa dalla sua superficie. Ciò di cui non dispone è, però, di una relazione che colleghi la brillanza con la temperatura della superficie radiante. Gli mancano insomma le leggi relative al radiatore ideale ( corpo nero) e, in particolare quella che è nota come legge di Stefan-Boltzmann, che stabilisce una proporzionalità tra la brillanza e la quarta potenza della temperatura assoluta. Per la verità, Pouillet non dispone neppure del concetto di temperatura assoluta, che verrà introdotta solo dieci anni dopo da W. Thomson, che più tardi divenne Lord Kelvin [3]. [3] Chang, H.(004), Inventing Temperature, Oxford University Press, New York, Cap. 4. Egli si affida, giustamente, ad una legge in cui Dulong e Petit avevano sintetizzato i loro studi sull emissione radiativa da parte di superfici calde, secondo la quale tra brillanza e temperatura della superficie emittente vi è una relazione esponenziale. La procedura di Pouillet è corretta, ma la legge su cui poggia sbagliata, per cui il valore di temperatura che determina è notevolmente inferiore a quello reale: circa un terzo. Questo non significa che il lavoro di Pouillet sia stato inutile; anche solo l ordine di grandezza della temperatura superficiale del Sole è un parametro indispensabile per l impostazione di successive ricerche teoriche e sperimentali. L ultimo dei problemi di fisica solare di cui si occupa Pouillet nella sua Memoria è quello del possibile raffreddamento del Sole. Se assimiliamo il Sole ad una sfera di massa perde energia al tasso di kg che 34, e se facciamo l ipotesi che sia costituito da materiale 1, 10 J anno perfettamente conduttore ( tale cioè che la temperatura all interno sia uniforme), possiamo calcolare di quanto si dovrebbe abbassare, ogni anno, la sua temperatura. Naturalmente, il calcolo richiede di conoscere il calore specifico del materiale di cui è costituito il Sole, e questo era un dato che Pouillet non possedeva e allora, da buon fisico qual era, avanza un ipotesi: che il calore specifico sia di due ordini di grandezza superiore a quello dell acqua ( Per la precisione 133). Ma anche sulla base di questa ipotesi ( e su quella, ancora più arrischiata, della perfetta conducibilità) si arriverebbe alla conclusione che, a causa delle perdite di energia non compensate da una fonte interna, il Sole si raffredderebbe di 1 ogni secolo. Il punto importante è che questo non si verifica; al contrario vi sono molte evidenze che la temperatura del Sole è rimasta costante per milioni di anni e per spiegare l assenza di questo effetto è allora necessario pensare a meccanismi di produzione dell energia di efficacia tale da compensare le perdite. Hanno la loro radice in questa osservazione di Pouillet le speculazioni di J.R. Mayer (1848), di Helmholtz (1854) e, infine, di Lord Kelvin (1897) per trovare una possibile sorgente meccanica di energia.. UN UTILIZZO DIDATTICO DELLA MEMORIA DI POUILLET Si è parlato spesso della necessità di introdurre, nei corsi liceali, qualche elemento di storia della fisica. E qualcosa si è fatto in questo senso [4] 38

47 [4] L esempio più notevole è rappresentato dall Harvard Project Physics, realizzato negli anni 70, sotto la direzione di J. Rutherford, Gerald Holton e F. Watson, che ebbe anche un edizione italiana sotto il titolo: La Fisica di Harvard ( edita da Zanichelli. Ma, dobbiamo riconoscere che i risultati sono stati modesti, in quanto, ineluttabilmente, gli elementi di storia si presentano come corpi estranei al corso di fisica. A ragione, perché il corso è strutturato in modo razionale ( o fa mostra di esserlo) mentre allo sviluppo della fisica non concorrono solo elementi di razionalità interna e, soprattutto, non ha carattere lineare. Ciononostante, o forse proprio per questo, l incontro con un testo scientifico di due secoli fa può rappresentare un esperienza altamente apprezzabile dal punto di vista pedagogico. Tanto più apprezzabile se non si tratta dell esposizione di contenuti ormai canonici; ma piuttosto di questioni oggetto di dibattito scientifico, a proposito delle quali non si conoscono ancora le risposte e neppure se le domande che ci si pone siano quelle corrette. Il linguaggio con cui si espongono le questioni è diverso da quello attualmente in uso poiché è diverso il substrato teorico che lo sostiene, sono diverse le unità di misura, e diversa è l interpretazione stessa dei fenomeni. Tutte cose che rendono evidente l evoluzione dei concetti, dei metodi sperimentali e del linguaggio che è intervenuta da allora. La Memoria di Claude Pouillet Sur la chaleur solaire, pubblicata nel 1838, può rappresentare uno strumento didattico di grande utilità, non solo perché fornisce l occasione di rivedere, per così dire, dal di fuori, le nozioni scientifiche di due secoli fa, ma anche quelle attuali, ritenute, a torto, non passibili di dubbio e discussione. Tra i pregi didattici più apprezzabili del testo vi è quello di metterete in evidenza le doti di creatività che richiede la ricerca scientifica e i rischi di insuccesso che si corrono quando si estrapolano leggi al di fuori dell intervallo coperto dai dati sperimentali acquisiti. La prima cosa che salta agli occhi, in questo scritto, è l assenza del termine energia; il suo ruolo essendo svolto dal termine calore, misurato in calorie. Anche le unità di misura adottate sono inconsuete: per l unità di superficie il centimetro quadrato; per l unità di tempo il minuto. Naturalmente, diverse sono anche le scale termometriche: in luogo della scala assoluta (Kelvin) Pouillet utilizza la scala Celsius ( o centigrada). La cosa più importante è il fatto che Pouillet applica al Sole gli strumenti concettuali della fisica ordinaria, trasformandolo in un oggetto fisico. Questo rappresenta il contenuto più rivoluzionario di questo saggio; perché è vero che risale a Galileo ( e a Giordano Bruno) questo modo di intendere come vadano le cose del cielo, ma nella meccanica newtoniana le sole proprietà dei corpi sono le dimensioni e la massa, non vi hanno luogo le grandezze che ne descrivono la struttura interna. Pertanto, con il suo saggio, Pouillet apre una finestra su un laboratorio del tutto nuovo: i fisici, oltre che occuparsi di temperature di forni e di macchine termiche, potranno studiare un oggetto nuovo, e questo richiederà la costruzione di strumenti e concetti nuovi. 3. UN PIROELIOMETRO SCOLASTICO Consigliamo di dare inizio all attività con alcune misure compiute dagli studenti con uno strumento da loro stessi realizzato. Lo strumento è una versione semplificata del piroeliometro di Abbot, proposto, a fini didattici nel più bel libro didattica dell astronomia che sia mai stato scritto [5] [4] Minnaert. M.G. J. (1969), Practical Work in Elementary Astronomy, D. Reidel Publishin Co., Dordrecht, Holland Si tratta di un calorimetro costituito da un disco di ottone la cui faccia anteriore, annerita con del nerofumo, esposta al Sole, assorbe le radiazioni. Un termometro al decimo di grado, alloggiato in un foro praticato lateralmente al disco, indica il corrispondente aumento di temperatura. Il disco è alloggiato in un cilindro di polistirolo che ne lascia esposta solo la faccia annerita. Il tutto è contenuto in un tubo di plastica, sostenuto da un treppiede da macchina fotografica ( fig. 1) che consente di variarne l orientamento. Naturalmente, in luogo del termometro a bulbo, può essere 39

48 comodo utilizzare un moderno termometro a raggi infrarossi, ma, dal punto di vista didattico, non è altrettanto efficace. TERMOMETRO POLISTIROLO Fig.1. Schema del pireliometro La capacità termica del calorimetro è il prodotto della massa per il calore specifico del metallo: C = M c. Per l ottone, che ha un calore specifico di 380 J kgk, uno spessore consigliabile è tra 1 e cm, con un diametro di circa 5 cm. Ne viene una capacità termica di circa 80 J K. Ora, ciò che vorremmo determinare è il valore dell intensità della radiazione solare al limite dell atmosfera, mentre le misure che facciamo sono, ovviamente al suolo. Pertanto, il risultato non può che derivare da una estrapolazione a spessore nullo di atmosfera. Ma, scolasticamente, conviene accontentarsi di determinare l ordine di grandezza della costante solare. In una giornata di sole si esce all aperto con lo strumento e un orologio. Si cerca di orientare il piroeliometro verso il Sole, tenendolo però schermato, e poi, presa nota della temperatura di partenza, si toglie lo schermo e si segue la temperatura per cinque minuti. Una volta misurato l aumento T della temperatura registrata nel tempo t, nota la capacità del calorimetro, si ricava la potenza raccolta per unità di superficie: Mc T W W = S t m. dove S indica la superficie della faccia esposta al Sole. Naturalmente, quella che misuriamo non è la costante solare, perché l intensità si riduce nell attraversare lo strato dell atmosfera, per riflessione, diffusione e assorbimento. Lo strumento pone quindi un problema: come, da misure effettuate al suolo sia possibile stimare il valore che si otterrebbe ai limiti dell atmosfera. 40

49 4. IL TESTO (ESTRATTO) COMPTE RENDUS DES SÉANCES DE L ACADÉMIE DES SCIENCES SÉANCE DU LUNDI JUILLET 1838 PRESIDENCE DE M. BEQUEREL PHYSIQUE.- Mémoire sur la chaleur solaire, sur les pouvoirs rayonnants ed absorbants de l aire atmosphérique, et sur la temperature de l espace; par M. POUILLET Questa memoria ha per oggetto: la quantità di calore solare che cade perpendicolarmente, in un dato tempo, su una data superficie; - la parte di tale calore che viene assorbita dall atmosfera lungo il tragitto verticale; - la legge dell assorbimento per diverse inclinazioni; - la quantità totale di calore che la terra riceve dal Sole durante un anno; - la quantità totale di calore che viene emessa ad ogni istante dall intera superficie solare; - gli elementi che bisognerebbe conoscere per sapere se la massa del Sole se raffredda gradualmente di secolo in secolo, o se vi è una causa destinata a riprodurre la quantità di calore che viene emessa senza sosta; - gli elementi che permetterebbero di determinarne la temperatura; - la quantità assoluta di calore emesso da un corpo di cui si conoscono la superficie, la temperatura e il potere radiante; - le leggi del raffreddamento di un corpo che perde calore senza riceverne; - le condizioni generali di equilibrio della temperatura di un corpo protetto da un involucro diatermano analogo all atmosfera; - la causa del raffreddamento delle zone alte dell atmosfera; - la legge di questo raffreddamento; - la temperatura dello spazio; - la la temperatura che si misurerebbe sulla superficie della Terra se non ci fosse l azione del Sole; - l aumento di temperatura prodotto dal calore solare; - rapporto delle quantità di calore che la Terra riceve da parte del Sole e da parte dello spazio ovvero da tutti gli altri corpi celesti. 1. Ho cercato di determinare la quantità di calore solare con tre procedure diverse: 1 Per mezzo dell apparecchio descritto nelle prime due edizioni dei miei Elements de Physique et de Méteorologie. 41

50 Per mezzo del pireliometro diretto. 3 Per mezzo di un pireliometro a lenti. Il pireliometro diretto è rappresentato nella figura seguente: Il vaso v è molto sottile, d argento o placcato d argento; ha un decimetro di diametro e 14 o 15 mm di altezza; contiene circa 100 g d acqua. Il tappo, che fissa il termometro al vaso, s adatta a un tubo di metallo che è sostenuto verso le sue estremità da due colletti, c, c sui quali ruota liberamente, di modo che, girando ila ghiera b, tutto l apparecchio ruota intorno all asse del termometro, e l acqua del termometro viene agitata senza posa, in modo che la temperatura sia uniforme. Il cerchio d, che riceve l ombra del vaso, serve ad orientare l apparecchio: La superficie del vaso che riceve l azione solare è accuratamente annerita con nerofumo. L esperienza si fa nel modo seguente: con l acqua del vaso alla temperatura ambiente, si tiene il pireliometro all ombra, ma vicino al luogo in cui verrà esposto al Sole; e là, per 4 minuti, si segna, ogni minuto il suo riscaldamento o il suo raffreddamento; durante il minuto successivo lo si pone dietro uno schermo e lo si orienta in modo tale che, tolto lo schermo, venga investito perpendicolarmente dai raggi del Sole. A questo punto si toglie lo schermo e per i 5 minuti successivi, sotto l azione del Sole, si registra, di minuto in minuto, il suo riscaldamento, che diventa piuttosto rapido, e si mantiene l acqua in agitazione senza sosta; alla fine del quinto minuto si rimette lo schermo, si ritira l apparecchio nella medesima posizione, e per 5 minuti ancora si osserva il suo raffreddamento. Sia R il riscaldamento prodotto dai 5 minuti di esposizione al Sole, r ed r i raffreddamenti i raffreddamenti ottenuti durante i 5 minuti precedenti e successivi. E facile vedere che l aumento di temperatura prodotto dall azione solare è r + r ' t = R 4

51 Sia d il diametro del vaso, espresso in centimetri, p il peso dell acqua che contiene, espresso in grammi, p il peso dello stesso vaso e della parte chiusa dal termometro, essendo questo peso ridotto a quel che sarebbe per un calore specifico unitario, si vede che l aumento di temperatura osservato t, corrisponde ad una quantità di calore t p + p '. ( ) Poiché questo calore è caduto in 5 minuti su una superficie superficie ha ricevuto ( + ) 4 p p ' t π d durante i 5 minuti e ( + ) π d 4, ogni unità di 4 p p ' t 5π d durante 1 minuto. Per il mio apparecchio la quantità di calore ricevuta da ogni centimetro quadrato in un minuto è 0,64 t.. La tabella seguente contiene alcuni dei dati ottenuti Osservazioni del 8 giugno 1837 ORA SPESSORE ATMOSFERICO AUMENTO DI TEMPERATURA 7, 30 1, ,107 4,70 1 1,13 4,65 1,16 4,60 3 1,370 4,60 4 1,648 4,00 5,151 4,00 6 3,165,40 Osservazioni del 7 luglio 1837 ORA SPESSORE ATMOSFERICO AUMENTO DI TEMPERATURA 1 1,147 4,90 1 1,174 4,85 1,66 4,75 3 1,444 4,50 4 1,764 4,10 5,174 3,50 Osservazioni del settembre1837 ORA SPESSORE ATMOSFERICO AUMENTO DI TEMPERATURA 1 1,507 4,60 1 1,559 4,50 43

52 1,73 4,30 3,10 4,00 4,898 3,10 5 4,99 3,10 6 3,70 3,35 Osservazioni del 4 maggio1838 ORA SPESSORE ATMOSFERICO AUMENTO DI TEMPERATURA 1 1,191 4,80 1 1,3 4,70 1,35 4,60 3 1,59 4,30 4 1,91 3,90 5,603 3,0 6 4,311 1,95 Osservazioni dell 11 Maggio 1838 ORA SPESSORE ATMOSFERICO AUMENTO DI TEMPERATURA 11 1,193 5,05 1 1,164 5,10 1 1,193 5,05 1,88 4,85 3 1,473 4,70 4 1,81 4,0 5,465 3,65 6 3,943,70 3. Dopo aver ottenuto, durante molti anni, un numero molto grande di serie di dati analoghi ai precedenti, ho cercato una legge che potesse rappresentare i risultati delle osservazioni. A questo scopo ho calcolato lo spessore dell atmosfera che i raggi solari devono attraversare in ogni esperienza. Questi spessori ε sono dati dalla formula ε = hr + h + r cos z r cos z dove r è il raggio medio della Terra, h l altezza dell atmosfera, z la distanza zenitale del Sole, per i quali ho adottato h = 1 r = 80. NOTA 1. UN ESERCIZIO DI TRIGONOMETRIA 44

53 S L C r O h Z C = centro della Terra L = punto in cui il raggio solare entra nell atmosfera O = osservatore h = spessore dell atmosfera S = Sole Z = Zenit dell osservatore L angolo ZOS è la distanza zenitale del Sole nel momento in cui si fa la misura ε = OL = spessore attraversato dal raggio. Si tratta di risolvere il triangolo: L r+h ε z C r O h Applicando il teorema del coseno al triangolo OCL ( ) ε r + h = r + + rε cos z da cui ( ) ε + rε cos z h + rh = 0 che, risolta, fornisce la formula di Pouillet: 45

54 ε = hr + h + r cos z r cos z. 4. Confrontando gli aumenti di temperatura osservati al pireliometro con gli spessori atmosferici corrispondenti, ho osservato che è possibile rappresentare molto bene i risultati mediante la formula t = A p ε essendo A e p due costanti. Inoltre, determinando queste due costanti mediante due osservazioni di una stessa serie, si ritrova lo stesso valore di A, per tutte le serie, con valori di p molto diversi tra una serie e l altra. Così A è una costante fissa, indipendente dallo stato dell atmosfera, e p una costante che è fissa solamente per un dato giorno, e che varia da un giorno all altro, a seconda se il cielo sia più o meno sereno. Dunque, nella formula, A è la costante solare ovvero quella che contiene, come elemento essenziale, la potenza calorica costante del Sole, mentre p è la costante atmosferica, ovvero quella che contiene, come elemento essenziale, la potenza di trasmissione variabile in cui si trova l atmosfera per lasciare arrivare fino alla superficie della Terra delle parti più o meno grandi del calore solare incidente. Le esperienze danno per A il valore di 6,7 e per p i valori contenuti nella tabella seguente: data valore di p 8 0,744 giu 7 0,7585 lug sett 0, ,7556 ma g 11 ma g 0,7488 NOTA L argomentazione di Pouillet si può sintetizzare nei termini seguenti: Il calore raccolto dal pireliometro dipende da due fattori: 1. la potenza solare A al limite dell atmosfera ( la costante solare);. dallo spessore s dell atmosfera attraversata. L azione di assorbimento di quest ultimo non può essere descritta che da una relazione esponenziale; per cui ipotizza che sia t = Ae ks dove il fattore k ( che dipende dallo stato dell atmosfera in quel giorno: trasparenza e contenuto di vapore) varia solo da giorno a giorno. (Pouillet non sapeva che, in realtà, il parametro k, non è in realtà costante al variare dello spessore d aria traversato dalla radiazione). 46

55 Da questa, passando ai logaritmi, ln t = ln A + ks che è una relazione lineare. Per il primo giorno, per esempio s t ln(t) 1,86 3,8 1, ,107 4,7 1, ,13 4,65 1, ,16 4,6 1, ,37 4,6 1, , ,386944, , da cui si ottiene, k = 0,33 L ultimo giorno s t ln(t) 1,164 5,1 1,6941 1,193 5,05 1, ,88 4,85 1, ,473 4,7 1, ,81 4, 1,435085,465 3,65 1,9477 3,943,7 0,9935 ln A = 1,91 A = 6,75 da cui si ottiene k = 0,37 ln A = 1,93 A = 6,85 Ciò conferma quanto abbiamo detto in precedenza: il valore di k cambia da giorno a giorno; quello di A rimane costante. Dal complesso dei dati raccolti Pouillet ricava A = 6,7 5. Se nella formula precedente si pone p=1, ovvero ε = 0, si trova t = 6,7 vale a dire che il pireliometro indicherebbe un incremento di 6,7 se l atmosfera potesse trasmettere integralmente tutto il calore solare, senza assorbirne nessuna parte, o anche se l apparecchio potesse essere trasportato ai limiti dell atmosfera per ricevere là, senza alcuna perdita, tutti il calore che il Sole ci manda. Questo valore di t moltiplicato per 0,64, fornisce 1,7633 Questa è quindi la quantità di calore che il Sole fornisce su ogni centimetro quadrato ogni minuto, al limite dell atmosfera, e che fornirebbe sulla superficie della Terra, se l aria non assorbisse nessuno dei raggi incidenti. 47

56 [Ricordiamo che Pouillet ha stabilito prima che la capacità termica, per unità di superficie, del suo strumento è cal 0, 64 C min cm ] 8. Conoscendo la quantità di calore che il Sole invia verso la Terra in un minuto, per ogni centimetro quadrato, è facile determinare la quantità totale di calore che la Terra intera riceve ogni minuto. Infatti, questa quantità di calore è quella che cadrebbe sul cerchio di illuminazione, se l emisfero della Terra, che viene illuminato e riscaldato dal π R, la quantità di calore che riceve è Sole, fosse piatto. Ora, essendo la superficie 1,7633 π R. Se questo calore venisse uniformemente distribuito su tutti i punti della superficie terrestre, ogni centimetro quadrato ne riceverebbe 1, 7633 π R ovvero 0, π R E facile vedere, dopo di ciò, che nel corso di un anno, la quantità totale di calore ricevuta dalla Terra da parte del Sole è la stessa che nello stesso tempo dovrebbe attraversare ogni centimetro quadrato della superficie che limita l atmosfera: unità. Se si trasforma questa quantità di calore in quantità di ghiaccio fuso, si arriva al risultato seguente: Se la quantità totale di calore che la Terra riceve dal Sole, nel corso di un anno, fosse uniformemente ripartita su tutta la superficie del globo, e fosse utilizzata, senza perdita alcuna, per fondere ghiaccio, sarebbe in grado di fondere uno strato di ghiaccio che m avviluppasse la Terra intera, con uno spessore di 30,89, cioè circa 31 m; tale è la espressione più semplice della quantità totale di calore che la Terra riceve in un anno dal Sole. NOTA 3 Utilizzando simbologia e valori attuali, se P = S π R S =, la potenza intercettata dalla Terra è 1340 W m Distribuendola sull intera superficie, poiché la superficie è quadrupla rispetto a quella del cerchio massimo, la potenza che compete ad ogni metro è 1 P ' = S 4 7 Se, invece che al secondo, facciamo riferimento all anno ( 1 anno 3,15 10 s) solare diventa =, la costante 48

57 S e J = 3, , 4 10 = 4, 4 10 m anno 1 10 J P ' = S = 1, m anno J m anno Per fondere 1 g di giaccio occorrono 80 calorie cioè 80 X 4, J = 336 J. Per fondere 1 m 3 di giaccio ( g) occorrono 3,36 10 J. Questo è il calore di fusione del ghiaccio. Se immaginiamo una colonna di ghiaccio di base 1 m, con la potenza P se ne fonde un tratto di altezza 10 P' 1,1 10 h = = m = 3,7m cal. fus. 8 3, Lo stesso dato fondamentale ci consente di risolvere un altra questione, che potrebbe apparire più ardua e la cui soluzione, invece, assai semplice. Ci permette di trovare la quantità totale di calore che sfugge dall intero globo solare in un dato tempo, senza bisogno di introdurre altre ipotesi, se non che aree uguali della superficie emettano la stessa quantità di calore, indipendentemente dalla loro posizione; cosa che appare confermata dall esperienza, poiché i diversi aspetti che presenta il Sole a causa della sua rotazione, sembra che non abbiano influenza sulle temperature terrestri. Consideriamo il centro del Sole come centro di una superficie sferica di raggio uguale alla distanza media della Terra dal Sole; è evidente che su questa sfera, ciascun centimetro quadrato riceve in un minuto, da parte del Sole, precisamente la stessa quantità di calore che riceve un centimetro quadrato della Terra, vale a dire 1,7633; e di conseguenza, la quantità di totale di calore che riceve è uguale alla sua area, espressa in centimetri quadri, moltiplicata per 1,7633, vale a dire 1,7633 4π D Questo calore incidente non è altro che la somma totale delle quantità di calore emesse in tutte le direzioni dall intero globo solare, vale a dire da una superficie essendo R il raggio del Sole. Cosicché, ogni centimetro quadrato emette ovvero 1,7633 D R 1, 7633 sin ω ; 4π R, essendo ω il semiangolo visuale sotto il quale la Terra vede il Sole, vale a dire 15' 40"; il che dà 84888; cosicché ogni centimetro quadrato della superficie solare emette in un minuto unità di calore. Se si trasforma questo calore in quantità di ghiaccio fuso, si arriva al risultato seguente: Se la quantità di calore emessa dal Sole fosse interamente impiegata a fondere uno strato di ghiaccio che fosse disteso sul globo solare e lo coprisse interamente, questa quantità di calore sarebbe in grado di fondere in un minuto uno strato di 11 m,80 di spessore e in un giorno uno spessore di 1699 m ovvero 4 leghe e ¼. Questa determinazione non dipende, come si è potuto vedere, su alcuna ipotesi; è indipendente dalla natura del Sole, dalla materia che lo compone, dal suo potere radiante, dalla sua temperatura e dal suo calore specifico; è semplicemente la conseguenza immediata dei principi meglio stabiliti in relazione al calore radiante e dal numero che abbiamo determinato mediante l esperienza. 49

58 NOTA 4 Si tratta della determinazione della brillanza solare, cioè della potenza emessa dall unità di superficie del Sole. Partiamo dalla luminosità solare, ovvero dalla potenza emessa globalmente dalla superficie del Sole. La potenza che cade sull unità di superficie alla distanza della Terra è la costante solare ( S= 1340W/m ). La potenza emessa complessivamente sarà il prodotto della costante solare per la superficie della sfera che ha come raggio la distanza Sole-Terra ( D = 1,5 X m): 3 6 L = S 4π D = 1, π 1,5 10 W = 3, W 8 Il raggio del Sole misura R 7 10 m = e la sua superficie 4π R = 4π 7 10 m = 6,16 10 m. La brillanza solare è quindi L W B = = 4π R m 7 6,15 10 o, se la riferiamo al minuto, J B = 6, = 36,9 10 m min 7 8 Abbiamo visto che il calore di fusione del ghiaccio è 80 4,18 10 J = 3,34 10 m J m m Se si utilizza l energia emessa da ogni m di superficie ogni minuto per fondere ghiaccio, la quantità che ne viene fusa è 8 36,9 10 J m = 11,1 8 3,34 10 m min min facendo riferimento ad un cilindro di base unitaria. ========== J min 10. Lo stesso tema può suscitare una moltitudine di problemi; prenderemo in esame i due seguenti, non tanto per risolverli, quanto per indicare il numero e la natura dei parametri incogniti dai quali dipende la loro soluzione. Il primo problema è di sapere se vi è, all interno del Sole, una sorgente destinata a produrre calore, per compensare in una qualche maniera, attraverso processi chimici, elettrici o altro, le perdite di raggi calorici che si producono in ogni momento; oppure, se queste perdite si verificano incessantemente, senza alcuna compensazione, ne consegue, di secolo in secolo, un abbassamento progressivo di temperatura a cui deve partecipare anche il globo terrestre. Da ciò che osserviamo, ogni centimetro quadrato di Sole perde in un minuto una quantità di calore v = unità; quindi in un numero m di minuti, ne perde mv; ed il Sole intero ne perde 4π R mv. 50

59 Ora, se supponiamo che la massa del Sole abbia per il calore una conducibilità perfetta, di modo che la temperatura sia ovunque la stessa; se indichiamo con da la sua densità media e con c il calore specifico medio, è facile vedere che per abbassare di 1 la sua temperatura, la massa intera del Sole dovrebbe perdere una quantità di calore che è espressa da 4 3 R d c π 3, per cui, se in un tempo di m minuti perde 4π R mv unità di calore; in questo tempo si dovrebbe produrre un abbassamento della temperatura pari a 4π R mv 3mv = 4 3 π R d c R d c 3 Ora, il raggio del Sole, espresso in centimetri è 70 miliardi e la sua densità media, relativa all acqua, 1,4, come si deduce dal fatto che la densità media della Terra è 5,48, la massa del Sole è 355 mila volte quella della Terra, e dal suo volume che è 1384 volte quello terrestre. Se prendiamo per m il numero di minuti che ci sono in un anno, vale a dire 56000, e al posto di v inseriamo 84888, il rapporto diventa 4 3 c. Tale è il numero di gradi di cui la massa del Sole si dovrebbe raffreddare in un anno, nell ipotesi di una conducibilità perfetta; se poi, a questa prima ipotesi se ne aggiunge una seconda in relazione al calore specifico e si suppone, per esempio, che sia 133 volte quello dell acqua, si trova che l intera massa del Sole dovrebbe raffreddarsi di 1 di grado all ' anno 100 o1 grado al sec olo o100 gradi ogni 10 mila anni Cosicché la soluzione della questione di cui si tratta non dipende che da due parametri che rimarranno per sempre sconosciuti e cioè: la conducibilità della massa solare, e la sua capacità termica, e si vede come, quando arrivassimo a conoscerli, il problema si potrebbe risolvere in maniera rigorosa. Quanto alle ipotesi che ho avanzato al loro riguardo, non hanno altro scopo che di mostrare il limite delle incertezze a cui la scienza è condannata su questo punto. 11. E al medesimo scopo che prenderemo in esame ancora un altra questione che, rispetto alle precedenti, ha il vantaggio di essere più accessibile alla scienza, ed è la questione di sapere se la temperatura del Sole può avere qualche analogia con le temperature che possiamo produrre mediante processi chimici o elettrici. Vedremo, nell articolo seguente, che la quantità totale di calore emessa in un minuto da un centimetro quadrato di superficie è sempre espressa da 1,146 t f a dove f è il potere emissivo [ oggi: emissività] di questa superficie, t la sua temperatura ed a il numero 1, 0077 determinato con grande esattezza dai Sigg. Dulong e Petit. 51

60 Abbiamo trovato, d altra parte, che per il Sole questa quantità di calore è Pertanto, per f per f = 1, t = =, t = Così la temperatura del Sole dipende dall irraggiamento di calore e dal potere emissivo della superficie del Sole o della sua atmosfera. In una Memoria precedente ( Comptes Rendus de l Academie des Sciences, t. III, pag. 78) ho fatto conoscere un pirometro ad aria, mediante il quale ho determinato tutte le alte temperature fino alla fusione del ferro; e poi, ho verificato che la legge dell irraggiamento si applica a temperature che superano 1000 ; e queste esperienze mi faranno presto sapere se se la legge di cui trattiamo si estende in effetti a temperature di 1400 o 1500 ; ma già da ora possiamo considerare questa estensione come molto probabile. Quanto al potere emissivo del Sole, rimane incognito, ma non può essere maggiore dell unità. Ne risulta dunque che la temperatura del Sole è almeno di 1461, vale a dire pressappoco quella della fusione del ferro, e che potrebbe essere di 1761 se il potere emissivo del Sole fosse analogo a quello dei metalli lisci. Questi numeri non scartano molto da quelli che avevo determinato attraverso altri principi e mezzi di osservazione nella mia memoria del 18. ====================== NOTA 5. Il metodo oggi utilizzato per la determinazione della temperatura superficiale del Sole è analogo a quello di Pouillet, ma basato sulla legge di Stefan-Boltzmann, invece che su quella di Dulong e Petit. La legge di Stefan-Boltzmann, ricavata sperimentalmente da Stefan e confermata teoricamente da Boltzmann, fornisce la brillanza del radiatore ideale ( corpo nero) in relazione alla sua temperatura: 4 B = σ T dove σ è una costante il cui valore è 8 W σ = 5, m K Poco sopra abbiamo ricavato che la brillanza solare vale 7 6,15 10 W B =. Inserendola nella m legge di Stefan- Boltzmann, se aggiungiamo l ipotesi che l emissività della superficie sia quella del corpo nero, ne ricaviamo la temperatura superficiale del Sole: 7 4 B 6, T = = K T = 5800 K σ 8 5,67 10 Anche la legge di Dulong e Petit si riferisce alla brillanza del corpo nero in relazione alla temperatura, ma in maniera diversa: 3 7,67 10 t 1,146 f e nella quale f svolge il ruolo dell emissività e t indica la temperatura centigrada. Se si passa alla temperatura assoluta, al secondo e alle unità standard di energia e di superficie, questa assume la forma. 5

61 3 7,67 10 T W B = 3,5 f e m Per una temperatura di 1000 K ( e per il corpo nero) la legge di Stefan- Boltzmann prevede una brillanza B = σ T = 5, = 5,67 10 W m mentre la legge di Dulong e Petit prevede 3 7,67 10 T 7,67 4 B = 3,5 e = 3,5 e = 5,04 10 Le previsioni delle due leggi, fino a un migliaio di gradi, non sono molto diverse. Se, tuttavia inseriamo il valore delle brillanza solare nella legge di Stefan- Boltzmann otteniamo ( come si è visto) una temperatura di 5800K. Se lo stesso valore lo inseriamo nella legge di Dulong e Petit W m 3 7,67 10 T 6 3,5 e = 61,5 10 e 3 7, e infine T =, T = 1,9 10 K che è la terza parte del valore prodotto dalla legge di Stefan-Boltzmann. Pertanto, il fatto che Pouillet abbia sottostimato la temperatura del Sole non è dovuto ad un errore di ragionamento, ma al fatto che la legge di emissione del corpo nero non era ancora nota. 53

62 54

63 UN PROCEDIMENTO DI INTERPOLAZIONE DI J.-B.BIOT 1. IL METODO DI NEWTON Nel 1816 il fisico francese Jean-Baptiste Biot ( ) pubblicò un trattato di fisica [1] [1] Biot, J.-B., Traité de physique expérimentale et mathématique, Paris, 1816 che ha rappresentato un riferimento importante per l insegnamento per tutto il XIX secolo. Nella prefazione, dedicata al chimico Berthollet, Biot esplicita quello che è il ruolo della matematica per i ricercatori dell epoca e lo fa derivare da Newton: Per vedere come questo metodo sia sicuro e fino a dove possa condurre, basta vedere l uso che ne fa Newton nelle sue ricerche sulle proprietà più sottili della luce. Quando abbia scoperto, attraverso le misure, e fissato le leggi semplici che descrivono le intermittenze di riflessione e trasmissione, sotto incidenza perpendicolare, per avere un idea di questi fenomeni, li studia sperimentalmente in condizioni di incidenza obliqua. Che cosa fa Newton? Li osserva e li misura di nuovo sotto un gran numero di incidenze diverse; costruisce una tabella numerica dei loro mutamenti; poi lega tutti questi numeri mediante una formula empirica che ne riproduca i valori con un approssimazione pressoché uguale a quella delle osservazioni stesse; e, una volta in possesso dell espressione generale del fenomeno, quantunque empirica, per tutte le incidenze possibili, la introduce come elemento, in tutte le questioni in cui l effetto successivo delle intermittenze si combina con l obliquità d incidenza delle particelle di luce, e con la lunghezza del tragitto che devono percorrere per raggiungere le superfici che devono riflettere o trasmettere Il tema venne ripreso da Biot nella lunga biografia di Newton che scrisse per la Biographie universelle di Michaud nel 18 [] [] Biot, J.-B., Voce Newton ne la Biographie universelle ancienne et moderne, Tome trenteunième, Paris, chez L.G. Michaud, 18 pp che fu la prima pubblicata in Francia dopo l Éloge di Fontanelle e che, ripubblicata a Londra in traduzione inglese, fu oggetto di violente polemiche [3]. [3] Higgitt, R., Recreating Newton, Pickering & Chatto, London, 007, cap.. Per comprendere la posizione di Biot sul problema del rapporto tra matematica e fisica, è necessario tener conto che apparteneva al gruppo che faceva capo al grande Laplace ed era quindi mosso dal desiderio di mostrare che la concezione che Laplace aveva del ruolo della matematica nella ricerca scientifica aveva avuto un predecessore in Newton. Mentre era impegnato a scrivere il suo trattato, trovò nell igrometria l occasione di applicare quello che chiamò il metodo di Newton. Al tema aveva già dedicato un capitolo ( il XVII ) del primo volume: ma l opportunità di presentò mentre era impegnato col secondo, dedicato all acustica e all elettricità. Venne infatti a conoscenza dei risultati ottenuti da Gay-Lussac e, per darne notizia, fu costretto ad inserire, tra l acustica e l elettrologia, un Supplément à l hygromètrie [4] [4] Biot, J.-B., Op. cit., Vol. II in cui raccolse i risultati sperimentali ottenuti dall amico. E in questo caso l espressione non è fuori luogo, dato che Biot e Gay-Lussac avevano collaborato in diverse imprese scientifiche. In particolare, avevano affrontato insieme un avventurosa ascensione in pallone aerostatico nel corso della quale avevano raggiunto la quota di 6400 m., con l obiettivo principale di verificare se il campo magnetico diminuisce all aumentare della quota. [5] 55

64 [5] Guy-Lussac, J.-L., et Biot, J.-B., Extrait de la relation d un Voyage aérostatique, fait par MM. Guy-Lussac et Biot, lue à la Classe des Sciences mathématiques et physiques de l Institut national, le 8 fructidor an 1, Journal de physique, de chimie et d histoire naturelle, 1804, 59, p. 314 Gay-Lussac, tuttavia, si era limitato a pubblicare i dati sotto forma di tabella, senza sintetizzarli in una formulazione matematica. A questo provvide Biot.. L IGROMETRIA E GAY-LUSSAC L igrometria, un campo di ricerca nato alla fine del 700, si occupa delle proprietà fisiche dell aria umida. Per misurare il grado di umidità vennero proposti vari strumenti, e tra questi, quello che si dimostrò più valido fu ideato da De Saussure, uno strumento che introdusse nelle ricerche in questo campo una precisione fino ad allora sconosciuta. Fig.1. Igrometro di De Saussure L igrometro di De Saussure, rappresentato in Fig.1, è costituito da un capello sgrassato la cui estremità superiore è fissata in d mediante un morsetto, quella inferiore al bordo di una puleggia girevole intorno a un perno, tirata da una parte dal capello, dall altra da un pesetto p. Alla puleggia 56

65 è fissato un lungo ago con funzione di indice. Quando il capello si accorcia fa ruotare l indice in un senso; quando si allunga, il pesetto lo fa ruotare in senso inverso. Per la taratura, si mette l igrometro in aria preventivamente seccata mediante una sostanza igroscopica e si segna la posizione dell indice. Si mette poi lo strumento in aria completamente satura, cioè in presenza di acqua, si attende che il capello raggiunga la lunghezza massima e si segna questa nuova posizione corrispondente alla saturazione. L intervallo viene poi diviso in gradi centesimali. L esperienza mostra che le indicazioni dell igrometro non sono proporzionali allo stato igrometrico dell aria. Si è quindi cercato di determinare sperimentalmente lo stato igrometrico corrispondente alle indicazioni dello strumento. Gay-Lussac ha risolto il problema osservando che la tensione del vapore prodotto da una soluzione salina o acida è inferiore a quella prodotta dall acqua distillata e che la differenza è proporzionale alla concentrazione della soluzione. La procedura era la seguente: Gay-Lussac collocava l igrometro a capello sotto una campana pneumatica in presenza di una soluzione di acido solforico e segnava il grado indicato dallo strumento quando l aria era satura. Per misurare la tensione di vapore nell aria contenuta nella campana, faceva passare nella camera a vuoto di un barometro qualche goccia della stessa soluzione. Il calo di pressione segnato dal mercurio forniva la tensione di vapore sotto la campana, dato che, per la cosiddetta legge di Dalton, nello stato di saturazione ( e alla stessa temperatura) la pressione del vapore è la stessa nel vuoto e nell aria. Cercando infine, sulle tavole la tensione di vapore saturo, egli ricavava i due termini del rapporto che rappresentava lo stato idrometrico dell aria corrispondente al grado indicato dall igrometro. Ripetendo questa procedura con soluzioni acide più o meno concentrate alla temperatura di 10 - Gay-Lussac ha ricavato i dieci termini della tabella seguente Soluzione Densità Tens. della soluzione Grado dell igrometro Acqua ,0 100,0 Cloruro di sodio ,6 97,7 idem ,3 9, idem ,9 87,4 Cloruro di calcio ,0 8,0 idem ,5 71,0 idem ,6 61,3 Acido solforico ,1 33,1 idem , 5,3 idem 170,4 6,1 idem ,0 0,0 A questo punto, un fisico moderno cercherebbe una funzione interpolatrice di tipo polinomiale y a bx cx 1 con valori dei parametri tali da rendere minima la somma dei quadrati degli scarti a bxi cxi y i dove le x i indicano i valori dell umidità e le y i quelli letti sull igrometro a capello. Questo si può fare con uno dei programmi di calcolo che sono accessibili in rete e il risultato sarebbe una curva del tipo rappresentato in figura 57

66 Fig.. Interpolazione dei dati ricavati da Gay-Lussac. Ma ai tempi in cui Biot era impegnato nella stesura del suo trattato di fisica, il metodo dei minimi quadrati era ancora oggetto della riflessione di Gauss; venne infatti pubblicato solo alcuni anni dopo [6]. [6] Gauss, C.F. Theoria combinationis observationum erroribus minimis obnoxiae. Gottinga, 183. L approccio di Biot al problema della taratura dell igrometro è quindi molto diverso da quello che verrebbe attualmente seguito ( sulle orme di Gauss) e la matematica che utilizza ( la geometria analitica) rivela un ispirazione concettuale chiaramente newtoniana che si manifesta nella convinzione non motivata che la curva sia un iperbole. Nel pensiero di Biot non v è luogo per la consapevolezza che la relazione tra l allungamento del capello e l umidità dell aria non sia universale e quindi non descrivibile in termini matematici se non come un utile approssimazione euristica; per lui, accertato che le due grandezze sono correlate, tale correlazione è formulabile come una funzione matematica, anzi, secondo l insegnamento di Newton, come una curva. 3. L INTERPOLAZIONE DI BIOT L atteggiamento mentale di Biot si manifesta nella dichiarazione iniziale: Per avere un idea generale dell andamento di questi risultati, non c è che da rappresentarli graficamente sotto forma di curva, prendendo per esempio la tensione di vapore in ascissa e i gradi dell igrometro come ordinata. L origine corrisponde quindi alla secchezza assoluta, mentre l altro estremo, di coordinate (100,100) corrisponde allo stato di saturazione. 58

67 Gay-Lussac Serie1 Fig.3. Rappresentazione grafica dei dati di Gay-Lussac Ciò posto dice Biot si troverà facilmente che questa curva è un iperbole con la concavità rivolta verso l asse delle x e che ha come asse la diagonale del quadrato che ha i vertici nell origine e nel punto (100, 100). Si tratta di un risultato che era impossibile immaginare a priori; perché si sarebbe piuttosto portati a credere che la curva, qualunque fosse, avrebbe dovuto avere come limite asintotico l ultima ordinata, che rappresenta il punto di saturazione completa, invece che tagliare questa ordinata obliquamente, così come l asse delle y; poiché si sarebbero potuti avere dei gradi di umidità oltre la tensione libera del vapore, e al di là della secchezza assoluta. Questa è un ulteriore prova della convenienza che deriva dalla rappresentazione grafica dei risultati delle esperienze, allo scopo di ricavarne un idea generale del loro andamento, prima di cercare di ricavarne delle formule numeriche. Perché le curve che risultano dalle osservazioni indicano sempre l andamento che le formule devono seguire, e talvolta le presentano con immediatezza. Qui, per esempio, una volta riconosciuta la forma iperbolica, si può facilmente verificare fino a che punto è prossima ai risultati; poiché rivelando la posizione del suo asse, e sapendo inoltre che deve passare per le estremità della scala, sono sufficienti due osservazioni per determinarla completamente. Il fine che Biot si pone è di trovare un espressione analitica per la relazione tra le due grandezze. Come abbiamo detto, l ipotesi fondamentale è che i punti del grafico appartengano ad un iperbole; la secondaria che il suo asse di simmetria sia la diagonale del quadrato in cui si colloca tale grafico. Naturalmente quest ultima è legittima solo se le scale assunte sui due assi sono le stesse; il che non ha alcuna giustificazione. Ma se la si accetta, la prima cosa da fare è scegliere due nuovi assi di riferimento x e y ruotati di 45 in senso orario rispetto agli originali e scegliere una nuova origine sull asse dell iperbole. Le equazioni della trasformazione sono pertanto 1 x x0 y ' x' 1 y y0 y x ' ' 3 Dove x 0 e y 0 sono le coordinate delle nuova origine degli assi che converrà prendere sull asse di simmetria della curva. Adotteremo anche nuove unità di modo che l equazione dell asse sia x y 1 4. Le coordinate della nuova origine dovranno soddisfare a questa equazione. Sommando le (3) si ricava 59

68 x y x0 y0 y' 5 che, per la (4), si riduce a x y 1 y' 6 ovvero a x y 1 y ' 7 Se allora prendiamo un punto della tabella, possiamo servircene per determinale la posizione dell origine. Per esempio, per il cloruro di calcio di densità 1397, la coppia dei valori è x=0,376, y= 0,613 e questi, introdotti nella (7), forniscono y' 0, Si vede che tale valore è tanto piccolo che si può ritenere che tale punto si trovi sull asse delle ascisse x. y y 0,6184 0,37815 x x Fig.4. I nuovi assi traslati e ruotati di 45. Pertanto l asse x si trova spostato di 0, in direzione della bisettrice degli assi; pertanto, non sarà un grande errore stabilire che x0 0,376. Ciò assodato, le equazioni della trasformazione diventano x y 1 y' ; x' x 0,3815 y' 8 TABELLA 1 x y y' x' 0,906 0,977 0, , ,83 0,9 0, , ,759 0,874 0, , ,66 0,8 0, , ,505 0,71 0,1508 0,067 0,376 0,613-0,

69 0,181 0,331-0, , ,1 0,53-0, , ,04 0,061-0,647 0, , , Biot sceglie tre dati tra quelli della tabella e opera la trasformazione delle coordinate: Fig.5. Le tre coppie di valori scelti da Biot. Questi tre punti basteranno a determinare l equazione dell iperbole. Intanto, dato che è simmetrica rispetto all asse x, e che passa per l origine, avrà un equazione del tipo y' ax' bx' 9 Inserendo le coordinate dei due punti si perviene al sistema 0,167584a, b 0,500 0,074953a 0, b 0, che, grazie alla calcolatrice, si risolve facilmente e produce a,3000; b 4, L equazione dell iperbole è quindi y',300 4,0795 x' x' 1 Questa ci consente di ricostruire la tabella (1) con i valori calcolati: TABELLA x' y'(calc) 0, , , , , , , , ,067 0, , , , , , , , , A questo punto si pone il problema del ritorno alle coordinate primitive. A tal fine basta osservare che dalle (6) si ricava 61

70 x' y' x 0,3815 y y ' 1 x 13 Inserendo in queste i valori della tab.(), si ricavano le coordinate originali: Fig.6. Confronto tra i risultati ricavati dall interpolazione e quelli ottenuti da Gay-Lussac. Come si può vedere, l accordo tra i valori calcolati e quelli misurati è pienamente soddisfacente. A questo punto, Biot fa un osservazione sconcertante a proposito dell assunto che la curva sia un iperbole: specifica che tale iperbole è simmetrica rispetto alla direzione della bisettrice. Equivale ad ammettere che se alla tensione di vapore x l igrometro risponde con il grado y, allora alla tensione 1-y risponderà con il grado 1-x.Constatazione che consente di alleggerire il calcolo della tabella. In realtà, l autore dimentica che quella in questione è solo la rappresentazione grafica della funzione che lega due grandezze diverse: l umidità relativa e l allungamento relativo del capello. Le due scale assunte sui due assi sono, di conseguenza, affatto arbitrarie e con una scelta la curva appare presentare la simmetria segnalata, con una scelta diversa tale simmetria non si mantiene. D altra parte, in un grafico del genere hanno significato fisico solo le distanze parallele a uno dei due assi, non quelle misurate parallelamente alle bisettrici. 4. CONCLUSIONI: BIOT E CELSIUS L impegno profuso da Biot nella determinazione della relazione tra allungamento del capello e grado di umidità dell aria può far sorridere oggi, ma è interessante dal punto di vista storico e istruttivo sul piano didattico. E infatti simile all impegno che tradizionalmente viene impiegato nello stabilire la relazione fra temperatura centigrada e volume del mercurio contenuto nel bulbo. L analogia è sostenuta anche dal fatto che, in ambedue i casi, si presentano due punti fissi, rappresentati da un lato dai due valori estremi dell umidità, nell altro da due punti termometrici. Per questi ultimi Celsius scelse quelli corrispondenti al ghiaccio fondente e all acqua bollente, mentre 6

71 Fahrenheit optava per una miscela di acqua, ghiaccio e sale. Tra i due casi vi è, tuttavia, una differenza che attribuisce al problema di Biot una natura epistemica completamente diversa da quello di Celsius e Faranheit : consiste nel fatto che Biot ha a che fare con una grandezza l umidità dell aria rigorosamente definita e misurabile con altri mezzi. Per contro, i due scienziati che hanno dato il nome alle due importanti scale termometriche, avevano a che fare con una grandezza la temperatura che non aveva una definizione univoca e non era misurabile con altre procedure. Anzi, fino alla metà del XIX secolo, si affinò progressivamente l arte di costruire strumenti (termometri) per misurare sempre più accuratamente una grandezza di cui non esisteva un soddisfacente immagine fisica [7]. [6] Chang,Hasok, Inventing Temperature, Oxford Unversity Press,New York, 004. Lo stesso Biot ha ben chiaro che la lunghezza del capello che costituisce il trasduttore dell igrometro dipende funzionalmente dall umidità dell atmosfera nella quale è immerso; ma non è l umidità, tant è vero che adotta per la relazione una funzione quadratica. Il fatto che per la relazione tra volume dell argento vivo e la temperatura si sia assunta una relazione lineare ha favorito il diffondersi della fallace convinzione che il termometro a mercurio consenta una definizione operativa della grandezza. 63

72 64

73 BATTIMENTI DIVERSI 1. BATTIMENTI TRA DUE PENDOLI Si realizzano due pendoli di lunghezze leggermente diverse (Fig.1) Fig.1. Due pendoli di lunghezze leggermente diverse. Si mettono in moto (piccole oscillazioni) simultaneamente e si osserva che sono sfasati. Si osserva anche che, dopo un certo numero di oscillazioni, ritornano in fase, se pure transitoriamente. Indichiamo con T la differenza tra i due periodi: T1 T = T ( 1) I due pendoli ritornano in fase quando ad n oscillazioni del pendolo più lento corrispondono n+1 oscillazioni dell altro, cioè dopo un tempo T b ( periodo dei battimenti) tale che T = nt = n + T ( 1) ( ) b 1 Da queste si ricava T 1 = T n n + ( 1) ( 3) b Misurando il periodo dei battimenti, cioè il numero delle oscillazioni del pendolo più lento, possiamo conoscere la differenza fra i due periodi.. LAMPADA STROBOSCOPICA Un disco fissato all asse di un motorino a velocità regolabile. Sul disco, nero, è segnato un raggio bianco (Fig.). 65

74 Fig.. Il disco ruota fissato all asse di un motorino elettrico. Messo in rotazione il disco, si trova per tentativi la frequenza dello stroboscopio, in corrispondenza della quale il raggio appare fermo. Significa che le due frequenze sono uguali: ω = ω ( 4) strobo disco Ma mettiamo che la frequenza del disco sia di poco inferiore a quella dello strobo, cioè, ad esempio, ω strobo n + 1 = ω n disco ( 5) In tal caso, nel tempo che intercorre tra due lampo, il disco non compie una rotazione completa, ma solo n n + 1 opposto, di di una rotazione. Pertanto, si ha l impressione che il raggio si sia spostato, in senso 1 n + 1 di giro. Fig.3. Nel tempo che intercorre tra due lampi il raggio percorre solo una parte di giro. Per questo motivo si ha l impressione che il raggio ruoti in senso opposto con una velocità angolare ω 1 1 = n 1 ω = + n ω app strobo disco ( 6) 66

75 La velocità angolare apparente è facilmente misurabile e, se si conta il numero dei lampi che separano due posizioni identiche del raggio, si ottengono la velocità angolare del disco e la frequenza (angolare) dello stroboscopio. 3. IL CALIBRO A NONIO Un moderno video-proiettore consente di dare un immagine ingrandita del calibro e metterne a confronto le scale. La Fig. 4 è la riproduzione di un comune calibro, strumento utilizzato nelle officine per misure accurate di spessore. Il calibro presenta due scale: una fissa, tarata in millimetri, ed una mobile tarata in unità leggermente inferiori: 10 di queste unità corrispondono a nove mm. Pertanto, l unità della scala inferiore corrisponde a 9 1u = mm 10 Fig. 4. Un calibro a nonio. Fig. 5. Le due scale del calibro a confronto. Poniamo di inserire un oggetto tra le ganasce del calibro e sia x il suo spessore. Le linee della scala inferiore sono spostate rispetto a quelle della superiore; tuttavia, scorrendo le scale, si trova che due linee sono allineate. Nell esempio della figura lo spessore è compreso tra 1 e 13 mm e le linee 67

76 delle due scale che si corrispondono esattamente sono l ottava della scala del cursore e la 0-esima della scala di millimetri. Significa che x = 0 8 = = = 1,8 mm Naturalmente, le scale possono essere qualsiasi. Per esempio, consideriamo un reticolo costituito da una successione di aste parallele. La distanza tra due aste successive si chiama passo p del reticolo. Insieme a questo, consideriamo un secondo reticolo di passo q leggermente inferiore al primo. p q Poniamo che sia n q = p ( 7), n + 1 con n numero intero Fig.6. Le due scale del calibro a confronto. Mettiamo di aver sovrapposto le prime due aste dei reticoli. Ci chiediamo quali aste del reticolo saranno ancora sovrapposte. La sovrapposizione avviene per le aste per le quali ( n + 1) q = np ( 8) che è il passo π dei battimenti. La stessa si può scrivere nella forma = q p π ( 9) 4. PERIODO DI RIVOLUZIONE Consideriamo un pianeta ( ad es. Marte) che descrive un orbita (quasi) circolare intorno al Sole. Quando si fornisce il tempo impiegato nella rivoluzione è necessario distinguere tra Periodo Siderale e Periodo Sinodico. Il Periodo Siderale è il tempo impiegato a descrivere la sua orbita in un riferimento che ha l origine nel Sole ed è orientato verso le stelle. Per Marte, tale periodo è di 1,88 anni. Tuttavia, noi osserviamo il pianeta dalla Terra, che percorre un orbita più piccola 68

77 SOLE TERRA MARTE Fig.7. Opposizione di Marte. Poniamo che, ad una certa data, si osservi Marte in opposizione al Sole (Fig.7).. L opposizione si osserva di nuovo quando la Terra ha compiuto più di una rivoluzione (Fig. 8) MARTE TERRA SOLE Fig. 8. Nuova opposizione di Marte. Precisamente, dopo un tempo τ tale che 69

78 ( ) ω τ + π = ω τ 10 M T dove le ω indicano le velocità angolari di Marte e della Terra, rispettivamente. Se si ricorda che tra la velocità angolare e il periodo sussiste la relazione π T = ω si ricava τ = T T ( 11) ( 1) T M dove le T indicano i periodi siderali della Terra e di Marte e τ indica il periodo sinodico. E superfluo far notare l analogia di questa con la (9). 5. BATTIMENTI SONORI Una sorgente sonora si può considerare come una sorgente di impulsi che vengono emessi con un periodo caratteristico T o una data frequenza f 1 T = caratteristica. Consideriamo ora, accanto alla prima, una seconda sorgente caratterizzata da un periodo T non molto diverso da quello della prima, tanto che possiamo porre ( ) T ' = T T 13 con T<<T. Se consideriamo due impulsi emessi simultaneamente, quelli che seguono non lo saranno, se non dopo un tempo ( n 1) T n( T T ) ( 14) τ = = da cui si ricava T n = T ( 15) Il tempo τ dato dalla (14) è il periodo dei battimenti, cioè il tempo che separa due segnali emessi simultaneamente. In luogo del periodo si può dare la frequenza dei battimenti, cioè 1 1 τ = nt ' ( 16) A cui, grazie alla (15) si può dare la forma τ = T ' T ( 17) che abbiamo già incontrato. Realizzare battimenti sonori è facilissimo. Se si dispone di due diapason identici, bisogna fare in modo che vibrino su frequenze leggermente diverse. Questo si ottiene, di solito, fissando una piccola massa ad uno dei rebbi ( si chiamano così le due aste della forcella). Per il resto, si tratta solo di farli suonare contemporaneamente. Si possono ottenere battimenti anche con una chitarra o un pianoforte, suonando due note vicine. 70

79 6. FIGURE DI MOIRE Esempi di figure di Moiré si trovano facilmente, osservando ad esempio due cancellate parallele, o due tessuti trasparenti sovrapposti. Si possono fotografare e proiettare in classe le immagini. Il difficile è comprendere per quale motivo si formano. Consideriamo due reticoli dotati dello stesso passo, posti, paralleli, a distanze diverse da un osservatore. In tal caso, risultano diversi i passi angolari.. D O α d p Fig.9. Due reticoli paralleli, visti da O. Se il passo angolare del reticolo più vicino all osservatore è p ; quello del reticolo più lontano è D p D + d, essendo d la separazione tra i reticoli. L osservatore vede le aste allineate nella direzione α tale che d tanα = ( 18). p Questo è il passo angolare dei battimenti. Si ricava anche che D d = n 1 ( 19) Per una dimostrazione in classe occorrono due reticoli identici ( ad es. da 0 righe/cm) disposti parallelamente ad una distanza nota (Fig.10) 71

80 L S Fig. 10. Disposizione dei reticoli, della lampada e dello schermo. Si fronte ai reticoli si dispone una lampada L e su uno schermo S si può osservare l ombra proiettata: una successione di frange oscure la cui distanza dipende dalla distanza dei reticoli dalla lampada. Se x è il passo delle frange, misurato sullo schermo e D la distanza dalla lampada, per la (6-1) sarà tan α = x d ( 0) D = p. Misurando allora, passo delle frange, distanza della schermo dalla lampada e distanza dei reticoli, si ricava il passo p dei reticoli stessi. 7

81 TUTTO CIO CHE BISOGNEREBBE SAPERE SULLA CINEMATICA SOLARE ( e che non avete mai osato chiedere) Una delle tante contraddizioni dell istruzione scolastica è rappresentata dal fatto che i ragazzi che escono dal liceo sanno ripetere le leggi di Keplero; ma hanno idee molto vaghe su come vadano le cose del cielo come lo si vede. In particolare a che ora è mezzogiorno quale sia l altezza del sole a mezzogiorno quale sia l altezza del sole durante il giorno a che ora sorge e tramonta il sole dove sorge e tramonta. Alla luce di queste considerazioni, non saranno perse alcune lezioni in cui confluiscono la geografia astronomica e la trigonometria. SISTEMI DI RIFERIMENTO In tutto il discorso, i sistemi di riferimento adottati saranno due, amendue terrestri: quello ancorato al piano equatoriale e quello locale, ancorato al piano orizzontale che sostiene i nostri piedi. N Piano equatoriale S Riferimento equatoriale E il riferimento dei meridiani e dei paralleli, dove la latitudine dell equatore è zero e quella dei poli 90, dove la longitudine di Greenwich è zero e la nostra ( quella del meridiano dell Europa Centrale è 15 ). Non sarà inutile ricordare che per Mantova ϕ = 45 10' λ = 10 48'. 73

82 ZENIT MERIDIANO LOCALE SUD OSSERVATORE OVEST Riferimento locale Per individuare il riferimento locale bisogna individuare la direzione del sud. La verticale passante per il sud è il meridiano locale ( che a Mantova ha una longitudine di ). Come insegnano a scuola, se uno guarda a sud, la mano sinistra indica l est e la destra l ovest. Tutti sanno che il sole sorge ad est e tramonta ad ovest. E invece non è vero! A CHE ORA É MEZZOGIORNO? Chiamiamo mezzogiorno locale il momento in cui il sole passa per il meridiano locale. MERIGGIO POMERIGGIO MATTINO MERIDIANO LOCALE ORIZZONTE GUARDANDO VERSO SUD Il sole descrive intorno alla Terra un giro completo in 4 ore. Significa che si sposta, su un cerchio parallelo all equatore, di 74

83 ' 15" = = = 4ore ora min sec Definiamo mezzogiorno locale l istante in cui il sole passa per il meridiano locale, ovvero si trova esattamente a sud. Si definisce mezzogiorno convenzionale l istante in cui il sole passa per il meridiano dell Europa Centrale, ovvero il meridiano caratterizzato dalla longitudine 15 Est, cioè che si trova a 15 ( ovvero ad un ora) dal meridiano fondamentale che passa per Greenwich. L unica città italiana importante attraversata dal meridiano dell Europa Centrale è Catania. Nelle località che hanno longitudine maggiore di quella di Catania il mezzogiorno locale arriva prima di quello convenzionale, in quelle che hanno longitudine minore, il mezzogiorno locale arriva dopo. Per esempio, la longitudine di Mantova è λ = 10 48' Quindi la differenza di longitudine rispetto al meridiano di riferimento è λ = ' = 4 1' Ora, 4 1 equivalgono a 5' min = 16,8min 15' Il mezzogiorno a Mantova arriva 17 minuti dopo quello convenzionale. 75

84 DISTANZA ZENITALE DEL SOLE A MEZZOGIORNO (ALL EQUATORE) Per altezza del sole a mezzogiorno, intendiamo l angolo che la direzione del sole al mezzogiorno locale forma rispetto all orizzonte. Per distanza zenitale a mezzogiorno si intende l angolo che la direzione del sole forma con la verticale del luogo. ZENIT z ALTEZZA OSSERVATORE ORIZZONTALE SUD ALTEZZA A E DISTANZA ZENITALE z La distanza zenitale e l altezza del sole sono angoli complementari: A+ z = 90 In questo caso occorre una latitudine di riferimento e questa è quella dell equatore ( 0 ). Mettiamoci dunque all equatore. All equatore ( a mezzogiorno) può accadere che un palo infisso verticalmente ( gnomone) non faccia ombra; cioè che il sole sia esattamente allo zenit. Questa straordinaria situazione si verifica, però, solo due volte all anno: il 1 marzo e il 3 settembre ( equinozi). Per l osservatore equatoriale, il palo fa ombra in tutti gli altri giorni dell anno. Precisamente, tra il 1 marzo e il 3 settembre l ombra è proiettata a sud, per gli altri sei mesi verso nord. Si tratta di una cosa strana per noi: la nostra ombra ( a mezzogiorno) è sempre diretta verso nord. 76

85 ZENIT Tra il 1 III e il 3 IX Tra il 3 IX e il 1 III NORD SUD LE OMBRE PER UN EQUATORIANO L altezza del sole a mezzogiorno si chiama declinazione e, nel corso dell anno, all equatore, varia tra 3,5 ( a sud) e + 3,5 ( a nord). Raggiunge i valori estremi rispettivamente il 3 dicembre e il 1 giugno. 1 MAR 3 SETT 1 GIU 3 DIC +3,5-3,5 NORD OSSERVATORE SUD Oscillazione della posizione del sole all equatore ( a mezzogiorno) Tra questi due estremi il sole si muove di moto armonico che possiamo descrivere con un equazione del tipo t δ 3,5 sin π = 1 T ( ) 77

86 dove δ indica la declinazione solare, T la durata dell anno e t il tempo che separa la data scelta dall equinozio di primavera. Per esempio, il 1 maggio, che dista 40 giorni dal 1 marzo, la declinazione del sole è 40 δ = 3,5 sin π 365 dove è necessario tener presente che l argomento del seno è espresso in radianti. Si ottiene ( maggio) δ 1 = 16,18 Se si attribuisce all anno una durata di 360 giorni, allora, senza grande errore, la (1) prende la forma ( ) δ = 3,5 sint dove t indica il numero dei giorni a partire dall equinozio di primavera. DISTANZA ZENITALE DEL SOLE A MEZZOGIORNO (alla latitudine ) Se, ad una certa data, la distanza zenitale del sole all equatore a mezzodì ( la declinazione) è δ, la distanza zenitale ad una qualsiasi latitudine è la differenza tra la latitudine e la declinazione. Il motivo geometrico è evidenziato dalla figura: N φ δ φ δ EQUATORE S Pertanto ( ) = φ ( ) δ ( ) ( 3) z t luogo t Per esempio, la distanza zenitale del sole a mezzogiorno a Mantova ( latitudine ) il 1 maggio sarà 78

87 z ( 40) = 45 10' 16 11' = 9 L altezza del sole nello stesso luogo, a mezzogiorno della stessa data, sarà ( ) A = 90 z 40 = 61 Pertanto, per sapere l altezza del sole a mezzogiorno in un certo luogo a una certa data occorre conoscere la declinazione del sole a quella data e la latitudine del luogo. ALTEZZA DEL SOLE AD ORE DIVERSE Vogliamo calcolare l altezza del sole sull orizzonte ad un ora qualsiasi, posto di conoscere la sua altezza mezzogiorno. L altezza dipende dall ora e, poiché sappiamo che ogni ora corrisponde a 15, possiamo associare all orario un angolo. Si chiama azimut (H) quello che separa la posizione del sole dal meridiano del luogo. Per esempio, alle nove ( locali) del mattino mancano tre ore a mezzogiorno e tre ore corrispondono ad un azimut di 3 X 15 = 45. Lo stesso azimut caratterizza le tre del pomeriggio. E una questione di trigonometria elementare ricavare la relazione che ci occorre: 0 ( ) ( ) sin A = sin A cosφ cosδ 1 cos H 4 In questa A rappresenta l altezza del sole all ora a cui corrisponde l azimut H, A 0 l altezza del sole a mezzogiorno, φ la latitudine del luogo e δ la declinazione. Non cercheremo di ricavare questa formula, ma impareremo semplicemente ad usarla. Possiamo osservare che l altezza del sole raggiunge il massimo per H=0 ( mezzogiorno). Infatti, a quell ora, cos H=0 e il secondo termine a destra si annulla. Poniamo di voler determinare l altezza del sole a Mantova alle 9 del mattino del 1 maggio. Queste informazioni ci danno φ = 45 10' δ = 16,11' H = 45 Inserendo questi nella (4) si ottiene A = 43 quando a mezzogiorno l altezza è 61. QUANDO E DOVE CALA IL SOLE Possiamo anche chiedere alla (4) per quale valore di H l altezza del sole di annulla. Si verifica quando ( H ) A ( ) cosφ cosδ 1 cos = sin 5 cioè per ( φ δ ) cos 1 cos H = 6 cosφ cosδ 0 ( ) 79

88 da cui, con un po di trigonometria, ( ) cos H = tanφ tanδ 7 Questa fornisce l azimut del sole all alba e al tramonto; quindi l ora dell alba e del tramonto. Per esempio, sempre a Mantova, il 1 maggio, ( ) ( ) cos H = tan 45, 07 tan 16,18 = 0, 9 da cui H = 107 Chiediamo alla (7) quando H = 90. Ciò avviene quando tanδ = 0 ovvero per δ = 0 ovvero δ = 180, cioè in corrispondenza degli equinozi. Solo agli equinozi il sole sorge esattamente a est alle ore 6 e tramonta ad ovest alle ore 6. Il primo maggio, H = 107 che corrispondono a sette ore circa. Quindi, a Mantova il 1 Maggio, il sole sorge a 17 in direzione NE e tramonta a 17 in direzione NW, sette ore prima e sette ore dopo il mezzodì. 80

89 CIRCUITO DERIVATORE Si consideri il circuito V in C R V out ( valori indicativi: R=10 kω; C= 10 3 pf) Il suo comportamento è descritto dall equazione 1 Vin = q + Vout C da cui dvin 1 dv = i + out dt C dt o anche dvin 1 dv = V out out + dt RC dt Se la costante di tempo del circuito RC è molto piccola, l ultimo termine è trascurabile rispetto al primo che compare a destra dell equazione. Questa si riduce quindi a dvin 1 = Vout dt RC Questa ci dice che il segnale in uscita è la derivata (nel tempo) del segnale d ingresso. Se all ingresso si manda un onda sinusoidale, all uscita si ottiene ancora un segnale sinusoidale ma sfasato di un quarto di periodo. Se il segnale all ingresso è un onda quadra, ciò che si ottiene all uscita è una successione di cuspidi. 81

90 V in V out 8

91 CIRCUITO INTEGRATORE Nel precedente circuito scambiamo il resistore con il condensatore: V in R C V out (Valori indicativi R=100 kω; C = 10 nf) L equazione che regge il circuito è ancora: Vin = Ri + Vout dove 1 Vout = i dt C Mettiamo che la frequenza del segnale sia molto alta rispetto all inverso della costante di tempo del circuito, cioè che T << RC. In queste condizioni la tensione in uscita è molto minore di quella in entrata: Vout << Vin per cui V i in R Ne segue che 1 Vout Vin dt RC La risposta ad un onda sinusoidale è ancora un0nda sinusoidale, ma in anticipo di un quarto di periodo. La risposta ad un onda triangolare è un onda quadra: 83

92 V in V out 84

93 BOYLE, UNA COSTELLAZIONE E UN DIPINTO L Antlia Pneumatica è una piccola costellazione dell emisfero australe, priva di stelle di rilevante luminosità. E stata definita come costellazione nel 1763 dall abate Nicolas -Louis de Lacaille ( ) Sotto gli auspici dell Accademia delle Scienze francese, l appassionato astronomo, aveva intrapreso nel 1750 una spedizione al Capo di Buona Speranza durante il quale ebbe l opportunità di catalogare 10 mila stelle del cielo australe che raccolse nel Coelum Australe Stelliferum. Individuò anche 14 nuove costellazioni alle quali diede nomi di ispirazione diversa da quella della mitologia greca che caratterizzano le costellazioni dell emisfero boreale. Nomi che sono il segno di una nuova cultura ( che è quella che siamo soliti riferire all illuminismo) in quanto indicano oggetti in uso nel laboratorio artigiano o scientifico: la Bussola, il Bulino, il Compasso, la Fornace, la Macchina Pneumatica, la Mensa, il Microscopio, l'orologio, l'ottante, il Pittore, il Regolo, il Reticolo, lo Scultore ed il Telescopio. Nell grande Atlante Celeste che Bode ( quello della legge di Titius e Bode) pubblicò nel 1801 l Antlia Pneumatica è rappresentata in modo molto accurato. La Macchina Pneumatica nell Uranographia di Bode, 1801 Nell Atlante di La Caille la rappresentazione era più semplice. 85

94 La Macchina Pneumatica secondo Lacaille (1763) Ma forse Lacaille pensava ad una macchina pneumatica più rudimentale, quale quella che Boyle aveva descritto nel suo New Experiments Physico-Mechanical touching the Spring of the Air. pubblicato nel 168. Una tavola tratta da New Experiments Physico-Mechanical touching the Spring of the Air di Robert Boyle (168). 86

95 La macchina pneumatica di Boyle compare (come pompa) in un famoso quadro di Joseph Wright of Derby : An Experiment on a Bird in the Air Pump, dipinto Joseph Wright of Derby, An Experiment on a Bird in the Air Pump, 1768 Quello che viene ritratto è lo stesso esperimento accuratamente descritto da Boyle nel suo saggio sull elasticità dell aria ( Esperimento XXXIX): Per fare qualche misura sull importanza che la respirazione ha per gli animali che la Natura ha dotato di polmoni, (non avendo la possibilità di procurarci un altro uccello vivo abbastanza piccolo da stare nell ampolla) abbiamo preso un allodola con un ala rotta a causa di un colpo preso dall uomo che avevamo mandato a catturare qualche uccello per il nostro esperimento; ma, nonostante la ferita, era un allodola molto vivace e, chiusa nell ampolla, fece diversi salti di notevole altezza. Avendo chiuso l ampolla rapidamente ma con cura, mettemmo in funzione la pompa e l uccello per un poco si mantenne vivace, ma quando fu molta l aria estratta, cominciò manifestamente ad abbattersi e a perdere le forze e, poco dopo, venne preso da violente e irregolari convulsioni come quelle che si osservano nei polli quando gli si tira il collo. Così l uccello balzò in alto due o tre volte e ricadde con il petto in alto, la testa abbandonata e il collo torto. E nonostante dopo l apparire delle convulsioni avessimo chiuso la valvola, e reintrodotto aria, tuttavia fu troppo tardi; al che, buttando l occhio su uno di quegli accurati orologi che utilizzano un pendolo, ultimamente inventati dal nobile e sapiente Hugenius, constatammo che l intera tragedia si era conclusa in dieci minuti d ora, parte dei quali erano stati impiegati a tappare per bene l ampolla. Subito dopo venimmo in possesso di un passero 87

96 88 Nel dipinto di Wright si osservano reazioni diverse all esperimento in vivo: la freddezza dello scienziato occupato a spiegare che cosa succede, lo sgomento del bambino, il turbamento della signorina, consolata dal padre. La Macchina Pneumatica ( costellazione) non è visibile dal nostro emisfero.

97 A CHE SERVE LA CORDA DA ALPINISMO? CONSIDERAZIONI GENERALI Una delle prime lezioni che viene tenuta nei corsi di roccia del CAI è quella sulle corde. Va detto subito che il bagaglio tecnico degli allievi non ne viene migliorato in modo sensibile; tuttavia, la lezione rappresenta, per l istruttore, una magnifica occasione per riflettere sul fatto che la maggior parte degli allievi rimane pervicacemente aristotelica. La cosa è rivelata dalla domanda che rimane la sola a cui gli allievi cercano risposta: in caso di caduta, reggerà? La risposta è affermativa; con la postilla che la domanda dovrebbe essere un altra: il corpo reggerà? Per comprendere come vanno le cose è necessario partire da tre constatazioni: 1. Il corpo umano è esteso, intendendosi con questo che è costituito da parti diverse;. La corda (nonostante l imbrago) è applicata ad una di queste parti: la circonferenza esterna del torace; 3. Gli uomini vivono normalmente in un campo gravitazionale, cioè le diverse parti del corpo sono soggette a forze proporzionali alle loro masse. Come dire: viviamo felicemente sulla terra perché l accelerazione di gravità è indipendente dalla massa. Molto più dura sarebbe la vita se l accelerazione del cuore fosse diversa da quella del fegato, ecc. 89

98 Che la forza di gravità sia uniformemente distribuita sulla diverse parti del corpo risulta provato dal fatto che quando l alpinista vola. rimane compatto: l intero aggregato precipita con accelerazione g. Ma la forza applicata da una corda bloccata ad un ancoraggio ha un carattere diverso: Come dicevamo, è applicata ad un solo punto del corpo. Pertanto, il problema non è la tenuta della corda, ma quella del corpo. In termini newtoniani corretti la questione è: come disperdere l energia cinetica dell alpinista (che sta volando) mantenendo la decelerazione a livelli accettabili? CONVERSIONE IN ENERGIA ELASTICA Immaginiamo che, assicurato ad una corda bloccata ad un ancoraggio, il nostro alpinista sia caduto da un aereo terrazzino. Fig.1. Caduta di un alpinista L energia da dissipare è, come ci hanno insegnato, E = mgh ( 1) se m indica la massa, H la lunghezza del volo e g il campo gravitazionale. Se la corda, come si spera, è elastica, l energia cinetica si converte in elastica, secondo la solita equazione 1 F x = mgh ( ) dove abbiamo indicato con F la forza massima applicata all uomo. Questa è inversamente proporzionale al tratto di frenata. Ora, le norme UIAA ( Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche) richiedono che tale forza d arresto non possa superare i 1 kn. Per un uomo di 70 kg che abbia fatto un volo di 5 m, la frenata non dev essere minore di 60 cm. Vediamola in modo diverso: in 5 m di caduta l alpinista raggiunge la velocità di 10 m/s. che dobbiamo portare a zero con una decelerazione non troppo grande. Non troppo per l ancoraggio ( chiodi e cordini), ma in primo luogo per il corpo del disgraziato. Limitare la forza applicata al corpo dell alpinista significa limitare la decelerazione del tronco a qualche g ( per tempi molto brevi). E questo limite che impone che le corde da alpinismo siano elastiche. 90

99 L elasticità di una corda dipende dalla sua lunghezza: tanto più è lunga tanto più è elastica. Per questo è caratterizzata dalla legge L F = M L ( 3) dove L è la lunghezza della corda e L l allungamento subìto sotto la tensione F. M è un parametro detto modulo di elasticità che, per una normale corda da 1 mm, vale 40 kn. Significa che se ad un tratto di corda si appende un quintale, l allungamento è del,5 %. Mettiamo allora che il nostro sfortunato alpinista sia salito di un tratto L rispetto al punto di ancoraggio e poi sia caduto nel vuoto, legato alla corda. Fig.. Illustrazione dell incidente, ovvero l Alpe Omicida La lunghezza del volo è L ( per questo si parla di fattore di caduta ). Per la conservazione dell energia sarà 1 M mgl = 4 L ( L) ( ) che asserisce che l energia potenziale si è convertita in energia elastica della corda. Se ne ricava mg L = L 5 M ( ) che ci informa di cose ovvie: l allungamento della corda è tanto maggiore quanto più la corda è lunga e l uomo pesante e tanto meno quanto più grande è il modulo di elasticità. Ma la cosa ha una conseguenza meno banale di cui ci accorgiamo andando a sostituire questo risultato nella (3). Si ottiene infatti 91

100 mg F = 6 M ( ) cioè che la tensione della corda è indipendente dalla lunghezza della caduta. Questo, più che il corpo dell alpinista, riguarda lo strappo sull ancoraggio: questo è lo stesso indipendentemente dalla lunghezza del volo. E una cosa difficile da far capire agli allievi: quando si cade senza ancoraggi intermedi, lo strappo sulla sosta è lo stesso per un volo breve e per uno lungo. CONVERSIONE IN ENERGIA TERMICA La conversione dell energia cinetica dell alpinista in energia elastica ha il difetto che non comporta una produzione significativa di entropia. Non sui tempi brevi almeno. Dopo l allungamento, la corda torna a contrarsi e tira l uomo verso l alto. Con una corda ideale il disgraziato continuerebbe ad oscillare indefinitamente. Sapere che il periodo è ml T = π 7 M ( ) non gli sarebbe di conforto. Invece saremmo inclini a fermarlo nel tempo più breve possibile. Allo scopo ci costruiamo un altro modello di corda: come si leggeva sui testi di meccanica razionale, flessibile e inestensibile. E l avvolgiamo intorno ad una ( come si chiamano quelle che si trovano sulle banchine e servono all attracco delle barche? Ah sì: bitte) l avvolgiamo intorno ad una bitta. Qui l attrito gioca un ruolo fondamentale. La bitta ( nel nostro caso un moschettone) funge da amplificatore di forza. kf F Con una corda avvolta intorno ad una bitta, una forza F applicata ad un estremo fa equilibrio ad una forza anche molto maggiore applicato all altro. Il fattore di amplificazione k dipende dalle superfici a contatto e dal numero delle volte intorno alla bitta. Poniamo di voler ancora fermare il volo del nostro sfortunato alpinista applicandogli una forza tale che la sua decelerazione sia inferiore a qualche g. Per la conservazione dell energia sarà ( ) Fs = ma s = mg L 8 e se richiediamo che a < q g ( q sta per qualche) allora ( 9) 9

101 g a = L < q g 10 s produce s > L q ( 11) ( ) il che è banale: la frenata dev essere una frazione abbastanza grande del volo. Per esempio, se il volo è di 10 m e mettiamo che qualche significhi cinque, la frenata non dev essere minore di m. Fig.3. Il nodo mezzo barcaiolo Ma il punto è: che forza ci vuole per produrre una tale frenata? La forza dev essere 6 volte il suo peso. Il secondo di cordata ( quello che, come si dice, fa sicurezza) è in grado di applicare alla corda una tale forza? Non certo direttamente; ma se la corda è avvolta intorno alla bitta e se il coefficiente di amplificazione k è ragionevolmente grande, allora è possibile. Naturalmente, in parete non vi sono bitte, ma è possibile realizzarle mediante un moschettone (opportunamente ancorato) e un nodo che gli alpinisti chiamano mezzo barcaiolo ( e i tedeschi nodo italiano) o con altri attrezzi che sono stati messi in commercio negli ultimi anni. 93

102 94

103 COSTANTI FONDAMENTALI In molte formule della fisica compaiono delle costanti fisiche che hanno un ruolo essenziale in fisica. Sono dette fondamentali o universali. Ricordiamo quelle che si incontrano nello studio introduttivo della fisica. 1. EQUIVALENTE MECCANICO DELLA CALORIA Indica quanti joule di lavoro meccanico sono necessari per produrre gli stessi effetti della somministrazione di una caloria: ( 1 1) L = J Q dove J = 4,184 J cal Questo era il suo significato iniziale. Ma il primo principio della termodinamica afferma che si può produrre una determinata variazione di energia interna di un sistema trasmettendogli energia sotto forma di lavoro meccanico L e/o sotto forma di calore Q: U = Q L. Se si accetta il primo principio, non è più necessario utilizzare unità diverse per misurare il lavoro e il calore; di conseguenza la (1-1) si riduce a mera relazione di equivalenza tra due unità diverse di energia.. COSTANTE DI GRAVITAZIONE UNIVERSALE Compare nella legge di gravitazione universale di Newton: m1m F = G d ( 1) dove F indica la forza di attrazione che si esercita tra due corpi puntiformi di massa m 1 ed m, rispettivamente, posti a distanza d. Se si misurano le forze in N, le masse in kg e le distanze in m, il valore della costante di gravitazione è G = 6, Nm kg Il suo valore fu inizialmente misurato negli anni dall inglese Henry Cavendish, al, fine di determinare la densità media della Terra. 3. COSTANTE DEI GAS Stabilisce il legame tra la temperatura misurata con il termometro a gas ( temperatura assoluta) e la temperatura centigrada. L equazione dei gas perfetti stabilisce infatti che pv ( 3 1) = nrt dove p è la pressione, V il volume, T la temperatura assoluta ed n il numero di moli di gas. Il valore tabulato è 95

104 J R = 8,3143 K mole Si osservi che la costante dei gas ha le dimensioni di una energia per ogni grado e per ogni mole. 4. NUMERO DI AVOGADRO E basato sull idea che le masse dei corpi sono la somma delle masse delle molecole di cui sono costituiti. Il numero di Avogadro 3 1 A = 6, moli indica il numero delle molecole che costituiscono una mole, quindi si può interpretare come definizione di mole. Si assume che la massa molecolare M di un composto ( che è una grandezza microscopica, riferita alla massa dell atomo di idrogeno) sia proporzionale alla massa molare m ( che una grandezza macroscopica) secondo il numero di Avogadro: ( ) = (...) ( 4 1) m in grammi A M in u m a Una relazione analoga sussiste tra la carica dell elettrone e e la costante di Faraday F. Questa è una grandezza macroscopica che rappresenta la carica elettrica associata ad una mole di ioni con una singola carica elementare. Sussiste quindi la relazione ( 4 ) F = A e dove F = 96, C mole 5. COSTANTE DI BOLTZMANN E la versione microscopica della costante dei gas. Infatti tra la costante di Boltzmann k e la costante R dei gas passa la stessa relazione che vi è tra la massa molecolare e la massa molare: ( 5 1) R = A k Il valore della costante è quindi: k = 1, J K Si osservi che le sue dimensioni sono quelle dell entropia. La costante di Boltzmann compare nella Legge di Boltzmann che mette la temperatura assoluta in relazione con l energia cinetica media delle molecole 3 E = kt ( 5 ). 6. VELOCITA DELLA LUCE La prima stima della velocità della luce (con metodi astronomici) si deve al danese Roemer ( fine del XVII secolo). Misure terrestri vennero compiute a partire dalla metà del XIX secolo. Il valore attualmente accettato è 8 c =, m s 96

105 Il numero delle cifre significative è testimonianza dell importanza che questa costante riveste nella fisica contemporanea. Il suo significato va infatti ben oltre quello della velocità delle onde elettromagnetiche. La costante c svolge un ruolo in tutti i fenomeni elettromagnetici. Il fatto che il suo valore sia legato alle costanti che regolano le interazioni elettrostatiche e magnetostatiche 1 ε 0µ 0 = c ( 6 1) dimostra che il suo significato è molto più profondo che quello di una semplice velocità. In effetti, con l introduzione della teoria della relatività, la costante c assume il ruolo di invariante: il suo valore non muta nel passaggio da un sistema di riferimento inerziale all altro. Infatti, la trasformata di Lorentz Fitzgerald per la velocità v u v' = 6 1 uv ( ) ( dove si è assunto c = 1) fornisce v =1 come immagine di v =1. La costante c permette di distinguere i fenomeni ai quali è legittimo applicare la meccanica classica da quelli a cui va applicata la meccanica relativistica. Infatti, se le velocità in gioco sono piccole rispetto a c, allora è possibile applicare la meccanica classica; se, invece, sono confrontabili con la velocità della luce, allora è necessario applicare la meccanica relativistica. 7. COSTANTE DIELETTRICA DEL VUOTO La forza di interazione tra due cariche elettriche puntiformi è descritta dalla legge di Coulomb: Q1 Q F d ( 7 1) Per poter sostituire al segno di proporzionalità il segno di uguaglianza è necessario definire operativamente l unità di misura delle cariche elettriche. Definito in questo modo il coulomb, ne risulta determinata la costante di proporzionalità e la legge di Coulomb assume la forma 1 Q1Q F = 4πε d ( 7 ) 0 dove 1 C ε0 = 8, m N 8. PERMEABILITA MAGNETICA DEL VUOTO La permeabilità magnetica compare quando si voglia mettere in relazione il campo magnetico con l intensità di corrente che lo genera. Nel caso di un filo rettilineo, percorso da una corrente di intensità I, il campo magnetico dipende dalla distanza dal filo d: I B d ( 8 1) Se si vuole esprimere la legge con un segno di uguaglianza è necessario stabilire una definizione operativa di intensità di corrente. Se scegliamo l unità di misura per le correnti, risulta determinato 97

106 il coefficiente di proporzionalità. In realtà si fa il contrario: si definisce il fattore di proporzionalità nella relazione µ 0 I B = 8 π d nel modo seguente: ( ) N µ π A e si utilizza la legge per definire l unità di corrente (l ampère). Definita la permeabilità magnetica µ 0, e noto il valore della costante c, risulta definita la costante dielettrica: 1 1 C ε0 = = 8, µ 0c m N 9. QUADRATO DELLA VELOCITA DELLA LUCE Il quadrato di una velocità ha le dimensioni fisiche m kg m J c = = =. s kg s kg Questo mostra che in meccanica relativistica è possibile esprimere le masse in unità di energia, in base alla relazione di equivalenza ( 9 1) E = c m Per esempio, tra le costanti universali vi è la massa dell elettrone: 31 m e= 9, kg Ma, in luogo dei kg possiamo mettere i J, poiché, per la detta equivalenza, kg = 9 10 J = 5, MeV Sostituendo, si ottiene 31 9 e La massa di un elettrone è circa mezzo MeV. Poiché la massa del protone è m p = 1836 me, sarà m = 9, , MeV = 0,51MeV m = ,51MeV = 936 MeV p La relazione (9-1), che è ovviamente falsa in meccanica classica; in meccanica relativistica si riduce ad una mera relazione di equivalenza. Per un elettrone sparato dal cannoncino elettronico di un tubo televisivo ( tensione 10 kv) l energia cinetica (10 kev) è molto più piccola delle massa (510 kev) e quindi gli elettroni non sono relativistici. Quando invece l energia cinetica è confrontabile con la massa, allora l elettrone diventa relativistico. 98

107 10. COSTANTE DI PLANCK Introdotta da Max Planck in relazione allo spettro del radiatore ideale (corpo nero) ha le dimensioni di un azione, ovvero [ h] = [ energia tempo] Il suo valore è h = 6, J s Quando si misurano le energie in ev, il valore diventa 15 h = 4, ev s Come la velocità della luce, la costante di Planck rappresenta un ponte tra due teorie: l elettromagnetismo classico e la meccanica quantistica. La relazione che trasforma la frequenza ν di una radiazione nell energia di un fotone è dovuta ad Einstein, oltre che a Planck: ( 10 1) E = hν Questa è priva di significato in meccanica quantistica ( perché non vi ha significato la frequenza della radiazione) e non ne ha in elettromagnetismo ( perché non ha senso parlare dell energia di una radiazione). E necessario segnalare che con il nome costante di Planck si indica anche un'altra costante ( h tagliata) legata alla prima dalla relazione h h = π ( 10 ) La costante ħ compare nella formulazione dei due principi di indeterminazione di Heisenberg, fondamentali in meccanica quantistica: ( 10 3) x p h E t h dove le indicano le incertezze su x( posizione), p ( quantità di moto), E ( energia), t (tempo ). 11. UN NUMERO PURO: π Com è noto, π indica la somma degli angoli interni di un triangolo, oltre che il rapporto tra la lunghezza della circonferenza e il diametro. Il suo valore è π = 3, Diversamente dalle altre costanti fondamentali ( ad esclusione della permeabilità magnetica del vuoto µ 0 ) non è il risultato di una misura; ma una conseguenza degli assiomi della geometria euclidea. Pertanto, l introduzione di questa costante nelle leggi equivale ad affermare che tali leggi sono riferite ad uno spazio descritto dalla geometria di Euclide. 1 UNO SGUARDO D INSIEME Alcune delle costanti fondamentali svolgono il ruolo di sintesi fra grandezze diverse. Per esempio la cosiddetta equivalente meccanico della caloria consente di mettere in relazione il calore con l energia meccanica. Quando si veda nel calore nient altro che energia termica (in transito) lo si può misurare in unità di energia (Joule) e la costante J scompare. Lo stesso vale per la velocità della luce. In cinematica relativistica le distanze e i tempi si misurano nelle stesse unità e ciò equivale ad 99

108 assumere come unitaria la costante c. In dinamica relativistica sono le masse e le energie che si misurano nelle stesse unità e ciò equivale ad assumere come unitaria la costante c. Vi sono costanti fondamentali che usiamo senza rendercene conto perché abbiamo scelto in maniera opportuna le unità di misura. Ne sono esempio le costanti di proporzionalità tra le dimensioni e le superfici o tra le dimensioni e il volumi. E proprietà dello spazio euclideo il fatto che le aree siano proporzionali ai quadrati delle dimensioni lineari e i volumi ai cubi delle stesse. Nel caso dei volumi, ciò si esprime simbolicamente con 3 V ( 1 1) = k L dove k è una costante che ha per dimensioni fisiche il rapporto tra l unità di volume ( ad esempio, il litro o il gallone) e il cubo dell unità di lunghezza ( ad es. m 3 ). Nel caso in cui si assume per unità di volume quello di un cubo che ha come spigolo l unità di lunghezza ma solo in tal caso la costante k assume il valore unitario. 100

109 COSTELLAZIONI E ILLUMINISMO Johann Elert Bode ( ) fu direttore dell Osservatorio Astronomico di Berlino ed è passato alla storia per una legge la cui paternità deve condividere con Johann Daniel Titius ( ). In realtà, i suoi contributi all astronomia sono molti e tra questi un atlante celeste, cui diede il titolo di Uranographia (1801) che è nello stesso tempo un mirabile esempio di precisione scientifica e di abilità artistica. Si pone infatti come uno dei risultati più alti della rappresentazione artistica delle costellazioni e contemporaneamente uno dei primi atlanti celesti realizzati con l accuratezza scientifica richiesta dallo sviluppo delle tecniche di osservazione. L atlante di Bode è importante dal punto di vista storico perché rappresenta graficamente quello che era al tempo lo stato dell arte non solo dal punto di vista osservativo ma ed è su ciò che è focalizzato il nostro interesse anche per quanto concerne il sostrato culturale in senso lato. Il settecento, infatti è stato caratterizzato da un enorme sviluppo delle tecniche osservative, con la realizzazione di telescopi sempre più grandi ma anche di strumenti essenziali per le osservazioni, quali cronometri e micrometri. Inoltre, lo stesso secolo vede un enorme ampliamente delle regioni osservate: i grandi viaggi oltre l equatore mettono a disposizione dei naturalisti terre e cieli mai esplorati. L astronomo, posto di fronte a ad un cielo vergine, ha come primo compito quello di riconoscervi degli asterismi e di distinguerli con dei nomi. Ora, le costellazioni dell emisfero settentrionale, sono riconosciute da tempo immemorabile e portano i segni della cultura che le ha prodotte: Orione, il Toro, l Orsa, la Chioma di Berenice, la Lira, Andromeda, ecc. La cultura degli astronomi che alla fine del settecento hanno esercitato la loro creatività nell attribuire nomi a nuovi gruppi di stelle era, ovviamente, la cultura degli scienziati del tempo, quella che si ispira alle realizzazioni tecniche e scientifiche e che, proprio in quegli anni diede impulso alla realizzazione dell Encyclopédie. Nel suo atlante Bode raccolse e rappresentò graficamente le costellazioni nuove, con i nomi che astronomi viaggiatori come Louis Lacaille ( ) avevano liberamente attribuito agli asterismi che avevano riconosciuto nei cieli australi. Lacaille aveva compiuto tra il 1750 e il 1754 un viaggio al Capo di Buona Speranza allo scopo di portare a termine una campagna di osservazioni sull emisfero celeste australe. Le costellazioni a cui Lacaille ha dato nome non sono popolari, anche perché non compaiono mai né lo potrebbero, non intersecando l eclittica sulle rubriche astrologiche, ma sono di grande interesse per gli astronomi e per gli studiosi di storia della scienza. Lacaille raccolse dati accurati su 10 mila stelle dell emisfero australe, ma il nostro interesse è rivolto ai nomi che ha attribuito alle costellazioni che ha riconosciuto e che rappresentò graficamente in un proprio Atlante stellare. 101

110 Il planisfero australe secondo l Atlante dell Abate Lacaille Anche Bode, nella sua Uranographia, per la verità, si prese la libertà di imporre qualche nome, come ad esempio la costellazione Officina Typographica che introdusse per commemorare il 350º anniversario dell'invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg. Era e usiamo il passato perché oggi la costellazione non è più in uso era situata tra le gambe del Unicorno, alla sinistra di Orione. Poco sotto e a sinistra dell Officina Tipografica, si trova la Phyxis Nautica ( ovvero la Bussola), uscita dalla fantasia di Lacaille. 10

111 Una tavola dell Uranographia di Bode in cui sono rappresentate l Officina, la Bussola e il Bulino. Sotto il Cane Maggiore ( che si fregia della stella più luminosa del nostro emisfero: Sirio) e un poco a destra si può ammirare la costellazione del Bulino ( o dello Scalpello), anch essa proposta da Lacaille. Particolarmente curata, nell Atlante di Bode è la rappresentazione dell Antlia Pneumatica, ovvero della Macchina Pneumatica, che era stata sviluppata nel 600, anche con il contributo di Robert Boyle. Particolare di una tavola dell Uranografia di Bode che rappresenta l Antlia Pneumatica. 103

112 Una costellazione proposta dal grande astronomo Joseph-Jérôme Lalande ( ), pochi anni dopo la rivoluzione francese, vuole ricordare l invenzione dei fratelli Mongolfier. Nell atlante di Bode il Pallone Aerostatico è il nome di una costellazione sempre del cielo australe - che si trova a sud dell'acquario e del Capricorno. Particolare di una tavola dell Uranografia di Bode che rappresenta il Globo Aerostatico. Poco sotto l areostato, sulla destra, è visibile un altra costellazione introdotta da Lacaille, il cui nome si ispira ad uno strumento di laboratorio: il Microscopio. Particolare di una tavola dell Uranographia di Bode in cui riconoscono l Areostato e il Microscopio. 104

113 Poco sotto il Sagittario e della coda dello Scorpione si trovano altre due costellazioni introdotte da Lacaille: il Telescopio e il Regolo. Una tavola dell Uranographia di Bode in cui sono rappresentate il Telescopio e il Regolo. Di particolare interesse sono tre costellazioni che si trovano a sud della Balena: l Apparatus Chemicus, la Machina Electrica, e l Apparatus Sculptoris, che richiamano, rispettivamente, il laboratorio chimico ( forno per distillazione), il laboratorio di fisica ( una macchina a strofinio) e un atélier di scultura. Particolare di una tavola dell Uranographia di Bode in cui riconoscono il Forno Chimico, la Macchina Elettrostatica e l Apparato dello Scultore. 105

114 Nell Atlante di Lacaille la Fornace somiglia molto a quella che un tempo si chiamava cucina economica: La Fornace e il Bulino nell Atlante di Lacaille. Tavola dell Uranographia di Bode che rappresenta le costellazioni intorno al Polo Sud Celeste 106

115 Il Polo Sud Celeste è occupato dalla costellazione dell Ottante (vicina a quella del Tucano) che richiama uno strumento in uso presso i naviganti. In prossimità della costellazione del Pavone si trova il Triangolo Australe che confina con il Compasso (Circinus), ambedue introdotte da Lacaille. Non lontano da queste, in posizione simmetrica rispetto al Polo Sud Celeste, si trovano altre costellazioni che fanno riferimento alle attività tecnico-scientifiche. Importante è la costellazione a cui Lacaille ha posto nome Orologio, confinante con Eridano e la costellazione del Reticolo Romboidale, dal nome di uno strumento montato sull oculare del telescopio per misure di distanza angolare. Alla destra del Reticolo si trova la costellazione del Dorado ( o Pesce Spada), notevole perché entro i suoi confini si trova la Grande Nube di Magellano. Il Dorado, tuttavia, non fu creata da Lacaille. Fece la sua prima comparsa in un globo celeste realizzato nel 1597 da Plancius e Jodocus Hondius. Infine, alla destra del Pesce, troviamo una costellazione alla quale Lacaille ha imposto il nome di Cavalletto e Tavolozza, gli strumenti del pittore. Particolare di una tavola dell Uranographia di Bode in cui riconoscono le costellazioni del Pittore e della Mensa. Fra l Ottante e la spada del Pesce Spada si trova la Mensa. Si tratta di una costellazione battezzata da Lacaille con un nome ( Mons Mensae) che ha un origine diversa dalle altre. Deriva infatti dal nome della Table Mountain, oggi inglobata da Città del Capo, sulla quale Lacaille aveva posto la base per le sue rilevazioni sul cielo australe. 107

116 108

117 DIAMETRO ANGOLARE DEL SOLE Per diametro angolare del Sole si intende l ampiezza dell angolo che ha il vertice nell osservatore (Terra) e come corda un diametro del Sole (Fig.1). T θ d Fig.1. Diametro angolare del Sole. T indica la Terra, d il diametro del Sole, θ il diametro angolare. Il disegno non rappresenta adeguatamente la realtà, perché l angolo al vertice è molto più piccolo. Per la misura conviene procurarsi un vetro ricavato da una maschera da saldatore ( si trovano nei magazzini che vendono saldatori elettrici). Lo si fissa ad un sostegno e dietro vi si pone la macchina fotografica, sostenuta da un cavalletto. Fig.. Disposizione della macchina e del filtro per fotografare il Sole. Si aspetta qualche minuto fino a che il Sole entra nel campo della macchina e si fanno alcune fotografie, possibilmente su uno stesso fotogramma, alla distanza di 5 minuti l una dall altra. Il risultato che si ottiene è simile a quello rappresentato in Fig

118 Fig. 3. Fotografie del Sole scattate in tempi diversi. La fotografia può essere proiettata immediatamente su uno schermo o si può stampare in modo da fornirne copia agli studenti. Il Sole si sposta nel cielo di 15 ogni ora, ovvero di 15 ogni minuto; quindi in 5 minuti si sposta di 75. Se quindi disegniamo una retta tangente alle immagini, i punti di tangenza sono separati da un tempo di 5 minuti ovvero da un angolo di 75 (Fig.4) Fig..4. In cinque minuti il Sole si sposta di 75 minuti di grado. Questo fornisce la scala angolare sulla fotografia. Per avere il diametro angolare del Sole basta misurarlo sull immagine proiettata e confrontarla con lo spostamento compiuto tra uno scatto e l altro. 110

119 PARADOSSO 1 DUE PARADOSSI SULL ENERGIA Un auto parte da ferma e in intervallo di tempo t raggiunge la velocità v 0, con un incremento di energia cinetica 1 0 mv0 E = ( 1) Questa energia, ovviamente, è fornita dalla benzina che viene combusta nel motore. Un camionista viaggia con velocità v in direzione opposta a quella della vettura, per cui registra una velocità iniziale v ed una finale v + v 0. Per il sistema di riferimento dell autista del camion, la variazione di energia dell auto è E = m v + v0 mv = mv0 + mv0v ( ) ( ) che non coincide con la (1) poiché contiene un termine in più. Significa forse che nel sistema di riferimento del camion il consumo di energia è superiore che nel sistema di riferimento della strada? mv v che rappresenta un energia. Il punto è rendere conto del termine 0 Nei due sistemi di riferimento, la variazione di velocità si compie nello stesso tempo, ma non su uno stesso spazio. Rispettivamente: 1 x0 = at 1 x = vt at ( 3) ( 4) Il lavoro compiuto sul veicolo, nel primo caso, è 1 1 L ma at mv 0 = = 0 com è ovvio, mentre nel secondo ( 5) 1 1 L ma = vt + at = mv + mv0v ( 6) Pertanto, ciò che è invariante, nel passaggio dall un sistema di riferimento all altro, è il rapporto tra 111

120 la variazione di energia e la distanza percorsa, cioè L x ( 7) Rapporto che viene anche indicato con il nome di forza. PARADOSSO Si tratta del piano inclinato lungo il quale facciamo scendere una slitta affatto priva di attriti. H α Un classico problema di meccanica elementare che si risolve applicando la conservazione dell energia: 1 mv mgh v gh 1 = = ( ) Se la velocità finale è indipendente dall inclinazione del piano, non così per il tempo di discesa. Poiché la forza non equilibrata agente sul mobile è α, e la lunghezza del percorso H sinα H 1 t = g sinα, il tempo impiegato nella discesa è ( ) mg sin Poniamo ora che la discesa sia descritta da un osservatore che viaggia con velocità v 0 verso sinistra. Per lui il mobile ha una velocità iniziale v 0 e una velocità finale v0 + v = v0 + gh cioè subisce una variazione di energia cinetica 1 1 E = m v0 + gh mv0 = mgh + mv0 gh 3 ( ) ( ) Questa mette allo scoperto il nervo della questione: sul termine mgh siamo d accordo tutti; ma è 11

121 l altro termine ( mv0 ) gh che mette in crisi. Vi è un contributo di energia, oltre all ovvio mgh, di cui non si capisce la provenienza. Chi ( o cosa) fornisce questo surplus di energia? Il problema si trova proposto nel sito kantor@post.tau.ac.il e ne viene anche fornita una soluzione che non riporto perché non la condivido. La mia è diversa e mi provo ad esporla. mg sinα mg α La figura è la solita che si trova sui libri. Rappresenta le due forze agenti sul mobile: il peso e la reazione del piano, che è perpendicolare al piano stesso, in quanto non vi sono attriti. Che nel sistema di riferimento del terreno la traiettoria dello sciatore sia il profilo del pendio è ovvio. Ma non è questa la traiettoria nel sistema di riferimento dell osservatore in moto. In questo sistema di riferimento la traiettoria è una parabola con l asse parallelo al pendio, che interseca l orizzontale in un punto che si trova più avanti del termine della discesa. Infatti, nel tempo di discesa espresso dalla () e che è invariante nel passaggio dall uno all altro sistema, il pendio percorre un tratto di lunghezza v0 v0t = sinα H g ( 4) Per cui, l arco di parabola percorso in questo tempo si proietta, orizzontalmente, in un segmento di lunghezza H v0 H + tanα sinα g ( 5) mg sin La forza agente sullo sciatore, di intensità α è anch essa invariante per la trasformata di Galileo che si applica al passaggio dall uno all altro sistema, anche come direzione. Il lavoro che compie tale forza è il prodotto della forza per lo spostamento in quella direzione. 113

122 H H sinα H tanα v sinα 0 v sinα 0 H g H cosα g Lo spostamento nella direzione del pendio è quindi H v0 H + sinα sinα e il lavoro compiuto g ( ) cosα 6 ( ) L = mgh + mv0 cosα gh 7 Per la verità, qui c è un fattore cos α che non compare nella (3). Ma abbiamo pronta la spiegazione. Al termine del pendio, per l osservatore in moto, le velocità sono due, con direzioni diverse: α v 0 gh La velocità risultante, per il teorema del coseno, è tale che V = gh + v 0 + v 0 gh α ( ) cos ( 8) Ne viene che la (3) non è del tutto corretta. Andrebbe sostituita con 114

123 cosα 0 ( ) E = m gh v v gh mv + + = 0 ( ) = mgh + mv gh cosα 9 che coincide con la nostra. 115

124 116

125 DUE PROBLEMI DI FISICA QUALITATIVA 1. Quella che presentiamo è la fotografia (presa da dietro) di una cisterna (trasparente) per il trasporto di liquidi. Si osservi che la superficie del liquido è inclinata rispetto all asse di simmetria del veicolo. Si diano (almeno) tre spiegazioni del fenomeno.. La figura rappresenta un carro ferroviario che scende liberamente lungo un piano inclinato. Al suo interno è collocata una vasca per il bagno del macchinista A 117

126 B C Nelle immagini la superficie dell acqua contenuta nella vasca è disposta in tre modo diversi rispetto al pendio. Due immagini sono false e una sola è vela. Quale? 118

127 SUI VALORI EFFICACI Data una qualsiasi tensione variabile, il suo valore efficace è la radice quadrata del valor medio del suo quadrato. 1. SE LA TENSIONE E SINUSOIDALE Data una tensione π V = V0 sin t T Il suo quadrato è π V = V0 sin t T che si può scrivere nella forma V0 π V = 1 cos t T Si tratta di una funzione sinusoidale che ha periodo metà del precedente ed è sempre positiva: 119

128 Il suo valor medio è dato da T T T 1 V0 π V0 T π V V dt 1 cos t dt t sin t 0 T = T = = T T 4π T Pertanto, V V 0 eff = < V > =. PER UNA TENSIONE RADDRIZZATA CON UN DIODO Il quadrato della tensione è come prima, con la sola differenza che per metà periodo il valore è nullo. Pertanto, il valor medio diventa la metà del precedente e il valore efficace: V V 0 eff = < V > = 3. PER UNA TENSIONE RADDRIZZATA CON UN PONTE 10

129 Questa forma d onda è descritta da π V = V0 sin t T Il suo quadrato è lo stesso che nel caso della forma sinusoidale e quindi anche il valore efficace. 4. PER UN ONDA QUADRA V Il suo quadrato ha un valore costante e quindi il valore efficace è eff V = < V > = V 0 5. PER UN ONDA A DENTI DI SEGA 11

130 V Se V 0 T V = t per 0 < t < T e V0 T V = ( t T ) per < t < T T il quadrato della funzione è V0 T V = 4 t per 0 < t < T T/ T Sarà T / 3 1 V0 V0 1 T 1 < V >= 4 t dt 4 V 0 T / T = = T T Pertanto il valore efficace sarà dato da V V 0 eff = < V > = 3 1

131 FISICA DELLA CANDELA AVVERTENZA PER GLI INSEGNANTI The guiding motto in the life of every natural philosopher should be: Seek semplicity and distrust it! [Alfred Whitehead] La capacità di meravigliarsi è propria della maturità culturale. La candela, la solita candela costituita da un cilindro di cera o paraffina con lo stoppino come asse, si può considerare un oggetto troppo semplice e facile da realizzare perché possa suscitare meraviglia; questo sarebbe però un atteggiamento superficiale e improntato sull ignoranza dei processi che determinano il funzionamento della candela. Quella che proponiamo con la presente scheda è un attività inconsueta per la scuola italiana che non prevede quasi mai esperienze qualitative che abbiano come scopo quello di sollecitare le capacità di osservazione e riflessione personale dello studente. Inutile dire che, al contrario, la capacità di compiere osservazioni qualitative e di formulare ipotesi e, soprattutto, di scovare i problemi anche nei fenomeni che sembrano non presentarne, sarebbe una delle prime finalità dell insegnamento. Prima di intraprendere questa attività didattica non possiamo non ricordare che Michael Faraday si occupò dello stesso soggetto in una serie di sei lezioni tenute nel 1860 presso la Royal Institution of Great Britain sotto il titolo The Chemical History of a Candle". Il grande scienziato inglese, nelle sue lezioni, si è occupato dei fenomeni chimici; noi ci concentreremo su quelli fisici. OSSERVAZIONI PRELIMINARI Cominciamo da alcune banali osservazioni di natura geometrica: 1. Le candele hanno sempre forma cilindrica con un asse di simmetria rappresentato dallo stoppino. È vero che sono in vendita anche candele a sezione non circolare, ma si tratta di oggetti di arredamento, più atti a suscitare la curiosità che ad un vero e proprio funzionamento.. Le candele hanno dimensioni standard, con diametro nell intervallo che va da 1 (circa) a 4 cm. È vero che sono in vendita anche candele di diametro inferiore (per esempio da applicare alle torte per i compleanni) ma la loro durata è troppo breve per poter fungere da sorgenti di luce. 3. Nel caso di diametri maggiori (candele votive) ciò che aumenta non sono le dimensioni della fiamma, ma solo la sua durata temporale. In altri termini, per realizzare una candela che arda a lungo, si può fare una candela di spessore normale molto lunga, oppure una candela corta, ma di diametro maggiore. Ciò che importa è il volume del cilindro. 13

132 Possiamo dire che tra il diametro d e l altezza h di un insieme di candele di fissata durata sussiste la relazione: d h = cost 4. Le candele sono rettilinee e funzionano correttamente solo in posizione verticale. Se si inclina una candela, la fiamma rimane verticale. Per quanto riguarda il funzionamento della candela, proponiamo le seguenti osservazioni: 1. Il calore sviluppato dalla fiamma sale solo verso l alto, come si può accertare ponendo una mano sulla verticale della fiamma, anche a grande distanza. Per contro, è possibile avvicinare un dito fino a poca distanza dallo stoppino, purché sia al di sotto della fiamma.. Le dimensioni della fiamma dipendono solo dalla lunghezza dello stoppino che emerge dalla cera. 3. La candela dev essere innescata. Una volta accesa, la combustione si mantiene da sé. 4. Se si interrompe la combustione per un momento, la candela rimane spenta. 5. Per spegnere la candela, basta soffiare sulla fiamma. La cosa è abbastanza sorprendente, perché soffiare su un braciere di legna o carbone è un modo per ravvivare la fiamma. D altra parte è noto che la presenza di vento rende molto più difficile spegnere un incendio. Se si soffia sulla fiamma mediante una cannuccia ci si rende conto che l effetto è molto diverso a seconda che il soffio sia diretto sul piede o sul corpo della fiamma. Se si soffia sul piede, la fiamma si spegne, se sul corpo la fiamma si piega, ma si ravviva. 6. La candela si può spegnere con la tecnica che diremo del sagrestano : si copre per un momento la fiamma con una sorta di cappuccio a forma di cono. 7. Una tecnica di spegnimento è la seguente: si applica allo stoppino, sotto la fiamma, una molletta metallica, di quelle che si usano per tenere i capelli. OSSERVAZIONI SUL FUNZIONAMENTO Le tecniche di accensione e di spegnimento hanno in comune il fatto che si applicano solo per un tempo brevissimo: la combustione, una volta innescata, si mantiene; una volta interrotta, non riprende da sola. Vi è un modo istruttivo e spiritoso di simulare il comportamento della candela con un circuito elettrico. 14

133 FC L B T Il circuito che presentiamo è costituto da un alimentatore in continua B (una batteria) un transistor T, una fotocellula FC ed una lampadina L. La fotocellula è una resistenza elettrica sensibile alla luce. Quando è in ombra la sua resistenza è molto grande, e si riduce moltissimo quando viene illuminata. Quando la fotocellula è oscurata, si comporta come un interruttore aperto che comanda al transistor di non lasciar passare la corrente. Di conseguenza la lampadina L rimane spenta. Se, al contrario, la fotocellula è illuminata, si comporta come un interruttore chiuso e il transistor lascia passare una corrente tanto grande da accendere la lampadina. Pertanto, se indirizziamo sulla fotocellula il fascio di una torcia elettrica, la lampadina si accende quando la fotocellula viene illuminata e si spegne quando è in ombra. Questo se la lampada e la fotocellula sono lontane; ma immaginiamo che siano disposte l una di fronte all altra. Se la lampada è spenta, la fotocellula è in ombra e blocca il passaggio della corrente attraverso la lampada e quindi questa rimane spenta. Ma poniamo di inviare un lampo di luce sulla fotocellula. Questa allora comanda l accensione della lampada che, a sua volta, illumina la fotocellula: il ciclo si chiude. È un esempio di feedback positivo. Questo è caratterizzato dal fatto che, una volta innescato, si mantiene da sé. È vero anche il contrario, se, per un attimo, la fotocellula smette di vedere la lampada, il processo si interrompe e non riprende più, a meno che non lo inneschiamo di nuovo. Questo circuito viene scherzosamente chiamato candela elettronica proprio perché si comporta come una vera candela; per esempio, possiamo accenderla con un cerino che si passa davanti alla fotocellula. La similitudine tra il circuito e la candela è più stretta di quanto possa apparire. Cominciamo con l osservare che la combustione avviene sulla parte superiore dello stoppino. La cera fonde alla base e sale per capillarità lungo lo stoppino. Ad un certo punto la temperatura è abbastanza alta da provocare la vaporizzazione della cera (o meglio paraffina) per cui nella parte alta si forma una miscela di due gas: ossigeno e paraffina sotto forma di vapore, ad alta temperatura. È in questa miscela gassosa che ha luogo la reazione chimica di combustione. Per rendersi conto che le cose stanno così, possiamo fare un semplice esperimento che veniva suggerito anche da Faraday nelle lezioni che abbiamo ricordato. Dopo aver acceso una candela, la si lascia bruciare per un po in modo che la fiamma si stabilizzi e poi la si spegne con un soffio. Si osserva un filo di fumo che sale dallo stoppino. Se si avvicina un fiammifero acceso a questo fumo, anche a parecchi centimetri al di sopra dello stoppino, la candela si riaccende immediatamente. 15

134 IL RUOLO DELLA CONVEZIONE Il fatto che, una volta innescata, la combustione si mantiene, significa che è la combustione stessa ad auto-alimentarsi, cioè a produrre l arrivo nella regione dello stoppino di ossigeno e paraffina. Della paraffina abbiamo già detto: viene fusa nel cratere che si forma nella parte superiore della candela e vaporizzata nella parte superiore dello stoppino. Perché la combustione si mantenga è però necessario allontanare l anidride carbonica che si forma e sostituirla con ossigeno. Questo avviene per convezione; i gas prodotti dalla combustione sono caldi e quindi salgono verso l alto richiamando aria dal basso. L analogo di ciò che avviene in un camino a legna o una stufa a carbone: asportazione dei gas prodotti e richiamo di ossigeno. Sono i moti convettivi che fanno sì che la fiamma abbia la caratteristica forma simmetrica rispetto all asse verticale. Tutto ciò spiega anche perché la candela funziona solo se disposta verticalmente e perché si spegne con le tecniche che abbiamo indicato con i numeri 6 e 7. Con la prima si impedisce all anidride carbonica di disperdersi salendo nell aria, con la seconda si impedisce l afflusso della cera fusa. Il fatto che i moti convettivi giochino un ruolo essenziale nel funzionamento della candela è dimostrato dalla seguente, facile ed istruttiva, esperienza. Si prenda un grosso vaso di vetro dotato di chiusura automatica. Sulla base, all interno, si fissi un mozzicone di candela o un lumino. Si accenda la candela e, rapidamente, si tappi il vaso. Sappiamo già che, se aspettiamo abbastanza a lungo, la candela si spegnerà; ma questo richiede alcuni minuti. Invece, noi lasciamo cadere il vaso (e un nostro collaboratore dovrà afferrarlo al volo) oppure lo lanciamo ad un altro pronto a prenderlo: la candela si spegne immediatamente. Ovviamente, il fenomeno non può essere dovuto alla mancanza di ossigeno o al vento prodotto dal moto. Si tratta di un modo inusuale di spegnere le candele e il meccanismo è meno evidente che negli altri casi. L insegnante accorto si guarderà bene dal fornire la spiegazione standard e conserverà il segreto almeno per qualche giorno, sollecitando gli studenti a rifare la prova e pensare ad una spiegazione, che è la seguente: i moti convettivi sono causati dalla spinta idrostatica e questa è presente solo se il fluido è pesante, cioè solo in presenza del campo gravitazionale. All interno di un sistema in caduta libera qual è il vaso il campo gravitazionale è annullato e quindi non si possono produrre moti convettivi nell aria che vi è contenuta. Si potrebbe anche dire che per il funzionamento della candela è essenziale che nello spazio in cui si trova esistano una verticale, un alto e un basso. Un sistema in caduta libera è perfettamente inerziale e quindi privo di direzioni privilegiate: in un tale sistema una candela non può rimanere accesa. QUESTIONI DI STABILITA Finora abbiamo risposto alla domanda: perché la candela rimane accesa? Ma ve ne possono essere molte altre. Per esempio: perché la candela brucia uniformemente, cioè l ampiezza della fiamma rimane pressoché costante? La cosa non è scontata. Infatti, se si appicca il 16

135 fuoco ad una catasta di legna, l ampiezza della fiamma aumenta nel tempo, fino a che la legna inizia a mancare. Per una candela, come per il fornello a gas, sembra che operi un meccanismo che fornisce alla combustione la cera a tasso costante. A questo proposito si può osservare che, al diminuire della lunghezza della candela, la lunghezza dello stoppino rimane pressoché invariata. Significa che ciò che alimenta la fiamma (il combustibile) è la cera; lo stoppino serve solo come mezzo di trasporto della cera fusa verso l alto. Dello stoppino si consuma solo, e lentamente, l estremità superiore. La fiamma conserva le stesse dimensioni a causa del fatto che l intensità della corrente di cera fusa è costante. Una domanda che ci possiamo porre è come sia possibile realizzare una candela con una fiamma centrale di dimensioni superiori al normale. È chiaro che, se si mantiene lo stesso stoppino, il diametro della candela è ininfluente sulle dimensioni della fiamma. Se vogliamo che queste siano maggiori è necessario aumentare il diametro dello stoppino. Nelle vecchie lucerne a petrolio, lo stoppino era costituito da una striscia di cotone di qualche centimetro di cui si poteva regolare, entro certi limiti, la lunghezza. Ad una maggiore lunghezza corrispondeva una maggiore luminosità. Quindi è la lunghezza dello stoppino emergente che determina le dimensioni della fiamma. Ora, la candela è una buona sorgente luminosa proprio a motivo del fatto che le dimensioni della fiamma rimangono costanti durante la combustione, per cui deve esservi un meccanismo di autoregolazione. Osserviamo allora che se la lunghezza dello stoppino rimane costante, ciò è dovuto al fatto che la parte superiore viene bruciata con continuità. La parte bassa dello stoppino non brucia, perché protetta dallo strato di cera o paraffina che, si riscalda man mano che sale e ad un certo punto comincia a vaporizzare. A questa altezza lo stoppino rimane spoglio dello strato di cera e comincia a bruciale lui stesso, vaporizzandosi. Poniamo che, per qualche motivo, le dimensioni della fiamma aumentino. Una tale eventualità produce una maggiore combustione dello stoppino che, in questo modo, si accorcia e produce una diminuzione della fiamma. L opposto si verifica nel caso di un calo della fiamma. Si tratta di un semplice meccanismo, opposto a quello che mantiene accesa la candela e che, per questo si chiama feed-back negativo. PERCHE CERA O PARAFFINA? Un altra osservazione che si può fare sulla candela è la seguente: nonostante la fiamma abbia un alta temperatura, la cera rimane fredda anche a breve distanza dal cratere di fusione. Il motivo è ovvio: la cera è un ottimo isolante termico. Questa proprietà ha a che fare con il funzionamento della candela? Le fiamma riscalda la cera, che è più in basso, non per convezione, ma solo per irraggiamento. La potenza radiante che raggiunge la cera che sta alla base dello stoppino è quindi molto bassa e non potrebbe produrre un innalzamento della temperatura sufficientemente alto da 17

136 fonderla se la calore ricevuto si disperdesse rapidamente all intero corpo della candela. Invece, a causa della bassissima conducibilità della cera solida, il calore assorbito per irraggiamento rimane confinato ad un piccolo strato di cera che si riscalda e fonde. In questo modo può aderire e risalire lungo lo stoppino. PER RIFLETTERE ULTERIORMENTE Una domanda da rivolgere agli studenti a proposito di un gedanken experiment che è molto efficace dal punto di vista didattico, per gli allievi innanzitutto, ma anche per gli insegnanti. All interno di un grosso vaso di vetro dotato di chiusura, si fissa un lumino. Il vaso, a sua volta è posto su un carrello a bassissimo attrito che può correre su un piano inclinato particolarmente liscio. Si accende il lumino, si tappa il vaso e si lascia scendere liberamente il carrello lungo il piano. Si chiede in quale dei modi indicati in figura si disporrà la fiamma. (a) (b) (c) Dopo aver dato risposta al quesito, pensiamo di rifare l esperimento lanciando il carrello in salita lungo il piano inclinato. Presentiamo ancora tre configurazioni possibili: 18

137 (a ) (b ) (c ) Le risposte corrette sono la (a) e la (a ). Infatti la fiamma si dispone sempre secondo la verticale locale che in ambedue i casi coincide con la perpendicolare al piano. Un altro modo di dire la stessa cosa è il seguente: delle due componenti del campo gravitazionale, quella perpendicolare al piano e quella parallela, la discesa libera cancella la seconda. Rimane pertanto solo la componente ortogonale al piano. 19

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139 QUANTA FISICA IN UN PROBLEMA DI FISICA? Lasciata cadere una pietra in un pozzo, il suono che la pietra produce incontrando l'acqua si ode 3 secondi dopo che fu abbandonata. Si domanda a quale profondità trovasi l'acqua, sapendo che il suono percorre 337 metri per secondo. Il problema è tratto dal Trattato elementare di fisica sperimentale ed applicata di Ganot, edito a Milano da Pagnoni l anno dell Unità d Italia. [1] Il manuale fornisce anche la soluzione, che riportiamo integralmente: Si rappresenti con v la velocità del suono, con x la profondità a cui trovasi l'acqua, e con T il tempo che passa dal principio della caduta alla percezione del suono. Dalla formola nota deduce e x t = = g g e 1 = gt, si che rappresenta il tempo impiegato dalla pietra a cadere. Per trovare il tempo impiegato dal suono per giungere all'orecchio dell'osservatore, siccome lo spazio percorso in un secondo è v, per percorrere lo spazio x, occorreranno tanti secondi quante volte x contiene v, cioè x/v. Si dovrà dunque avere x g x g d'onde x + = T ossia v x = T v x Tx x = T + g v v Togliendo i denominatori e trasportando, si ha: ( ) gx v v + gt x + v gt = 0 Risolvendo, v x = gt v v gt v g + ± + ( ) E sostituendo a v, g e T i loro valori, si trova: { ( )} x = 337 9, ± 337 9, ,81 d'onde 337 x = 366,43 ± 365,4 9,81 { } la quale dà due soluzioni x = 5134m,9, ed x = 40m,8. Bisogna rifiutare la prima perchè rappresenta uno spazio maggiore di quello che percorre il suono in 3 secondi. È una soluzione 131

140 estranea dovuta all'innalzamento a quadrato del radicale Adunque la profondità del pozzo è di 40m,8. x g, nell'equazione del problema. Si tratta di un tipico problema quale si trova nei manuali correnti per la scuola secondaria attuale. Un tipico problema di matematica; non di fisica. Si riconosce da diverse caratteristiche. La più evidente è che l estensore ha in mente questa soluzione e solo questa. Allo scopo fornisce tutti e solo i dati che si utilizzano in questa soluzione. Non fornisce per esempio alcun dato relativo alla temperatura ambiente e alla pressione atmosferica, alla massa e alle dimensioni dell oggetto che viene lasciato cadere: parametri che influiscono sulla velocità del suono e sulla velocità di caduta. Per la verità, ci informa che si tratta di una pietra. E un modo di fare ricorso alla fisica intuiva ovvero alla riserva di conoscenze acquisite direttamente dall ambiente. Una pietra è un oggetto di alta densità, ovvero di massa grande in relazione alle dimensioni. Perché questi due parametri sono importanti nel determinare il tempo di caduta. Un modo per suggerire ( ma è una raccomandazione inutile) di non occuparsi della (fastidiosa) presenza dell aria. Se infatti, invece che una pietra, avesse fatto cadere una boccia di polistirolo, allora la massa e le dimensioni, in relazione alla presenza dell aria, sarebbero state importanti. Si sarebbe dovuto tener conto del fatto che sul corpo cadente agiscono due altre forze: la spinta aerostatica e la resistenza dell aria. La prima dipende da due parametri e cioè dal volume del corpo ( da R 3 se si tratta di una sfera) e dalla densità dell aria: aer 3 F R ρ g a ( 1) Ovviamente, g ha il ruolo principale, talmente importante che ci si dimentica di parlarne. Invece rappresenta una grandezza di cui tutti hanno esperienza diretta, quella che lega i corpi al loro peso. Se al posto di una pietra mettiamo una pietra d aria ( che non cade) sappiamo che il suo peso è di gran lunga minore. Ma solo se di una pietra si tratta. Perché se si trattasse di polistirolo, allora la spinta aerostatica non sarebbe per nulla trascurabile. Un ruolo più importante, nella caduta, è giocato dalla resistenza dell aria. Questa dipende dalle dimensioni dell oggetto, dalla sua velocità e dalla densità dell aria. Per trovare un espressione per questa forza possiamo affidarci all analisi dimensionale. Si tratta di combinare le tre grandezze ( dimensioni, velocità e densità dell aria) in modo da ottenere una grandezza che abbia le dimensioni di una forza. Intanto osserviamo che la resistenza dell aria dipenderà dalla sezione ( se è una sfera da R ) e cresce all aumentare di questa. Possiamo ipotizzare Raria ρar v ( ) oppure Raria ρar v ( 3) delle quali solo la seconda soddisfa alla nostra richiesta. Pertanto, la resistenza dell aria sarà descritta da una relazione del tipo R = kρ R v ( 4) aria a dove il parametro k dev essere ricavato dall esperienza. Il valore tabulato ( per una sfera) è 0,73. La resistenza dell aria fa equilibrio al peso della sfera quando 4 3 0,73 ρ a R v = 3 π R ρ g cioè per v 4 = π, ,73 R ρ g = R ρ ρ g a ρa In queste condizioni, la sfera cade con velocità costante. Assumendo per la densità dell aria il valore normale, tale velocità è ( ) 13

141 ( ) v =, Rρ g 6 Per comprendere il risultato dobbiamo ancora fare ricorso ad altre conoscenze. Presumiamo che un oggetto lasciato cadere in un pozzo abbia un raggio di qualche centimetro. Se la sua densità è 7 o 8 volte quella dell acqua, la resistenza dell acqua uguaglia il peso per una velocità di 100 m/s. Se invece si tratta di una pallina di polistirene espanso che ha una densità di 50 kg/m 3, tale velocità si riduce a qualche metro al secondo. Affinché il problema abbia senso è necessario fare l ipotesi che la sfera lasciata cadere abbia densità e raggio sufficientemente grandi, affinché siano trascurabili rispetto al peso sia la spinta aerostatica che la resistenza dell aria. Sono le condizioni che devono essere soddisfatte perché come modello del fenomeno si possa prendere quello della caduta in assenza di aria. Posto che le cose stiano così, in 3 secondi di caduta un corpo percorre un tratto 1 H = gt 45 m 45 che il suono percorre in t = s = 0,13 s, corrispondenti al 4% del tempo misurato. 337 La velocità finale del sasso sarebbe V = gt 30 m che, in 0,13 s, comporterebbe uno s spostamento H = V t 4 m. Questo si consente allora di apportare una correzione al risultato ottenuto: ( ) H m = 41 m. E non è possibile dire di più. Se non che in questa prova, la misura decisiva è, ovviamente, quella del tempo che intercorre tra la partenza del sasso e l arrivo del suono. Nella formulazione del problema si fornisce (barando) un valore privo di incertezza. Abbiamo visto che la finitezza della velocità del segnale acustico introduce un ritardo di circa 0,13 s, Per potersi porre il problema della correzione da apportare è quindi necessario che la misura del tempo sia accurata (per lo meno) al centesimo di secondo; il che richiederebbe un apparecchiatura più sofisticata di un semplice orologio comandato a mano, come sembra suggerire il testo. Si tratta di un problema altamente istruttivo per gli insegnanti, che consente di mettere in luce quale sia la vera logica a cui si ispirano i compilatori dei problemi che vengono posti alla fine dei capitoli. Molti anni fa Eric Mazur [] volle fornire un esempio di problema la cui soluzione richiede l abilità di immaginare modelli, formulare ipotesi, stimare ordini di grandezza. Il problema che propose era piuttosto fuori dagli schemi: On a Saturday afternoon, you pull into a parking lot with unmetered spaces near a shopping area. You circle around, but there are no empty spots. You decide to wait at one end of the lot where you can see ( and command) about 0 spaces. How long do you have to wait before someone frees up a space? Volutamente provocatorio nei confronti degli insegnanti. Il fatto è che la grande maggioranza dei problemi di fisica sono costruiti per saggiare le abilità matematiche degli studenti. In realtà, i procedimenti algebrici e le stesse risposte numeriche che dovrebbero essere solo un aspetto secondario della prova, confermano negli studenti la convinzione che la fisica sia solamente una raccolta complicata di fatti, equazioni e algoritmi. L analisi che abbiamo condotto sul problema del sasso che cade tende a mostrare che usare un equazione è una cosa; mostrare che si tratta dell equazione appropriata è un altra. Ma, soprattutto, che la fisica scolastica è chiusa in un proprio recinto concettuale che non lascia spazio alla creatività del ragazzo.[3] Ciò che i problemi di fine capitolo misurano è la capacità dello studente di adeguarsi alle regole scolastiche, e quasi per niente la sua capacità di rapportarsi con la realtà fisica. 133

142 134 [1] Ganot, Adolphe, Trattato elementare di fisica sperimentale e applicata, trad. di Gemello Gorini, Pagnoni, Milano, [] E. Mazur, The problem with problems, Optics & Photonic News, (June 1996) [3] Mahajan & Hogg, Introductory physics: The new scholasticism, arxiv:physics/

143 UN ESPERIMENTO PER FAR RIFLETTERE Dovrebbe essere il fine di ogni esperimento, ma sappiamo che raramente gli esperimenti scolastici mettono il ragazzo davanti ad un conflitto cognitivo. Viene di solito raccontato così: Se sul fondo della tazza di thè si trovano residui di foglie ( oggi è impossibile; bisogna rompere la bustina), quando si mescola col cucchiaino si osserva che alla fine le foglie si riuniscono al centro della tazza. Se ne può dare un edizione più newtoniana. Si prende una bacinella di plastica che contiene dell acqua. E la si appoggia sul piatto di un vecchio giradischi ( meglio se è un 78 giri). Si versa nell acqua della farina gialla o della sabbia fine, che cala sul fondo e si distribuisce uniformemente. A questo punto si spegne il motorino e si frena il piatto col dito. Si osserva allora che la farina o la sabbia corre ad accumularsi al centro. Se non si dispone di un giradischi, basta girare l acqua con una paletta. Si tratta di un fenomeno che lascia perplessi e in questo risiede il suo valore didattico. Ai ragazzi dev essere lasciato il tempo di provare da soli, anche a casa, e di tentare una spiegazione. Proibito fornire una spiegazione prima di qualche giorno: significherebbe non saper fare il proprio lavoro. Ed ora la spiegazione canonica ( la prima parte si può anche saltare): Un problema classico è quello di determinare il profilo della superficie di un liquido in rotazione con velocità angolare Ω. Un osservatore collocato nel sistema di riferimento del liquido avverte la rotazione sotto forma di una pseudo-gravità in cui il campo aumenta all aumentare della distanza dall asse di rotazione: g = Ω x ( 1) rot dove x indica appunto tale distanza. Se però è presente anche il solito campo gravitazionale, allora il campo risultante è la composizione dei vettori g e g rot. g rot g La pendenza ( rispetto alla verticale) del campo risultante è g rot ( ) tanϑ = g Una superficie equipotenziale in questo campo è in ogni punto perpendicolare al campo stesso; quindi è soluzione dell equazione 135

144 1 g = dy g dx rot Questa è soddisfatta da 1 Ω y = g x ( 4) ( 3) Pertanto, il profilo della superficie del liquido è una parabola. Il campo gravitazionale è perpendicolare a questa parabola e, in ogni punto, vale Ω x g ( ) 1 1 tan θ ( 5) G = g + Ω x = g + = g + = g cosθ Le linee del campo sono pressappoco come in figura: In realtà le verticali sono linee curve, poiché la forza centrifuga aumenta all aumentare della distanza; un fatto che abbiamo trascurato. In condizioni normali, cioè nel sistema inerziale, per ogni elemento di un liquido vale la cosiddetta condizione di equilibrio: dp dz = ρ g ( 6) dove z è la profondità. Questa afferma che l equilibrio richiede che la pressione idrostatica aumenti linearmente con la profondità. Per un liquido in rotazione (compatta) le cose vanno un po diversamente. Abbiamo già visto che la verticale locale dipende dalla distanza dall asse di rotazione. Lungo una delle linee di campo la condizione di equilibrio è dp dz = ρ G ( 7) Mettiamo ora di frenare il piatto fino a fermarlo. Come nell esperimento del secchio di Newton, il liquido continuerà a ruotare anche se il recipiente è fermo. Tuttavia, le pareti della bacinella esercitano un azione di freno sul liquido, o meglio, sugli strati immediatamente adiacenti. Pertanto, lo strato più basso, a contatto con il fondo, comincia a rallentare prima degli strati superiori, che 136

145 conservano la primitiva velocità angolare. Alla diminuzione della velocità angolare degli strati inferiori si accompagna una diminuzione della forza centrifuga, ovvero del campo (pseudo)gravitazionale. Gli elementi d acqua che si trovano in basso pesano meno di quelli che si trovano in alto e quindi, nel corpo del liquido, si genera un moto convettivo, analogo a quello che riprodurrebbe riscaldando il fondo del recipiente. Lo illustriamo con la figura che illustrava l articolo di Einstein su questo argomento: Se allora sul fondo del recipiente si trovano leggeri granelli, questi vengono trascinati verso il centro dal moto del liquido e danno luogo a quello che è noto come paradosso delle foglie del thé. 137

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147 ARISTOTELE E VIVO E LOTTA CON NOI FORZA VISCOSA Appellasi con questo nome una forza di resistenza che aumenta con la velocità. Consideriamo, ad esempio, un corpo trascinato nell olio. Su questo oggetto agiscono due forze; una è quella meccanica, trasmessa da un filo che tira l oggetto, l altra è quella d attrito esercitata dal fluido. Supponiamo che sia proporzionale alla velocità dell oggetto, cioè f = k v ( ) att. 1 dove k è un parametro caratteristico del fluido che ha le dimensioni del un azione su una superficie. N s m vale a dire di F Poiché la forza F applicata rimane costante, mentre la forza di resistenza aumenta con la velocità, le due si uguagliano quando k v = F. ( ) La costante determina quindi la velocità di regime : v R F k ( 3) =. Pertanto la velocità di regime è proporzionale alla forza meccanica applicata. La (3) si potrebbe intendere come espressione del principio fondamentale della meccanica aristotelica: essere la velocità di un corpo proporzionale alla forza applicata e inversamente proporzionale alla resistenza del mezzo. La relazione gioca, nell ambito della meccanica aristotelica ( o peripatetica) il ruolo che, nella newtoniana, è svolto dalla cosiddetta seconda legge. La forza viscosa compie lavoro e il lavoro compiuto nell unità di tempo è ( 4) P = F vr = k vr proporzionale all energia cinetica. Le forze di natura viscosa si manifestano anche in situazioni in cui per tradizione non vengono riconosciute come tali. Per esempio LA LEGGE DI OHM La legge di Ohm per i conduttori si scrive solitamente nella forma: V = R i ( 5) dove il significato dei simboli è ben noto. Introducendovi anche la cosiddetta seconda legge, prende la forma 139

148 V = l ρ i A ( 6) Vogliamo scriverla in una forma diversa. Intanto, se indichiamo con λ la quantità di carica contenuta nell unità di lunghezza del filo e con v la velocità con un tale carica scorre, l intensità di corrente è i = λ v ( 7) Inserendo quest ultima nella (6) si ottiene V l o anche ρ = λ v A V ρ λ = λ l A v ( 8) ( 9) L espressione a sinistra rappresenta la forza agente sulla carica contenuta nell unità di lunghezza del filo. Pertanto, la legge di Ohm esprime una relazione di proporzionalità tra forza applicata e velocità: una legge di viscosità.. La potenza emessa per effetto Joule è l P = V i = R i = ρ i A cui possiamo dare la forma P = l ρ λ A v ( 11) ( 10) che rappresenta la potenza emessa da un metro di filo. Si osservi che alla stessa avremmo potuto arrivare calcolando il lavoro compiuto nell unità di tempo dalla forza viscosa, ovvero moltiplicando per la v la (9). LA LEGGE DI FARADAY Un problema classico ( e molto importante) è il seguente: R F Un filo conduttore sagomato ad U sul quale scorre una sbarretta di lunghezza L, quasi falciando gli steli di un campo magnetico di intensità B che crescono normalmente al piano. Se la velocità è v, l area spazzata nell unità di tempo è L v e la variazione del flusso magnetico 140

149 Φ = t B Lv ( 1) Ma ci insegna Faraday - questa è anche la forza elettromotrice indotta; per cui si produce una corrente di intensità tale che i = B L v R ( 13) essendo R è la resistenza del circuito. Per la legge di Lenz tale corrente ha verso antiorario. Ma chi non sa che un filo percorso da corrente all interno di un campo magnetico è soggetto alla forza F = B i L ( ) 14? Inserendo in questa l espressione (13) della corrente, si ottiene F B L = R v ( 15) che è una relazione di proporzionalità tra forza applicata e velocità analoga alla (3). L energia emessa dal sistema nell unità di tempo è B L P = Fv = v 16 R ( ) l analogia della quale con la (4) e la (11) è superfluo sottolineare. 141

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151 FRA DIDATTICA E STORIA: LA BOTTIGLIA DI MARIOTTE La bottiglia di Mariotte era un componente normale dei gabinetti di fisica delle scuole fino alla metà del secolo scorso; attualmente scomparsa anche dai manuali scolatici. Ma è un peccato perché il suo comportamento può essere all origine di alcuni conflitti cognitivi che inducono ad un salutare ripensamento delle nostre nozioni in fatto di pressione atmosferica. A condizione che si sia capaci e la cosa è tutt altro che difficile di realizzarne, con bottiglie e tubi di plastica, almeno un esemplare. Crediamo che la descrizione migliore sia quella che Adolphe Ganot ha dato in un manuale che, nell 800, ha avuto innumerevoli edizioni in varie lingue, tra cui l italiano: TRATTATO ELEMENTARE DI FISICA SPERIMENTALE ED APPLICATA E DI METEOROLOGIA CON UNA NUMEROSA RACCOLTA DI PROBLEMI Illustrato con 586 incisioni sul legno intercalate nel testo DI A. GANOT PROFESSORE DI MATEMATICA E DI FISICA VERSIONE DEL DOTT. GEMELLO GORINI NUOVA EDIZIONE SULL'ULTIMA EDIZIONE ORIGINALE Aumentata di nuove incisioni, pure intercalate nel testo, e dei lavori più recenti nei diversi rami della Fisica MILANO FRANCESCO PAGNONI, TIPOGRAFO-EDITORE Contrada di Ciovasso N Il testo è il seguente: Bottiglia di Mariotte, ed uso della medesima. - La bottiglia di Mariotte è un apparato che offre diversi effetti rimarchevoli di pressione atmosferica. È una bottiglia alquanto grande, il cui collo è chiuso da un turacciolo, trapassato da un tubo di vetro aperto alle due estremità. Sulla superficie laterale della bottiglia vi sono tre tubulature a, b, c, ciascuna delle quali ad orifizio ristretto e chiuso da un piccolo turacciolo di legno. Ammesso che la bottiglia ed il tubo sieno pieni d'acqua, consideriamo ciò che accade quando si apre successivamente una delle tubulature a, b, c, supponendo, come mostra la figura, che l'estremità inferiore del tubo g si trovi tra le due tubulature b e c. I. Se si apre dapprincipio la tubulatura b, evvi efflusso, il livello si abbassa nel tubo g, ed appenachè è giunto in c cessa l'efflusso. Questi fenomeni trovano spiegazione nell'eccesso di pressione, che prima aveva luogo in b dall'interno all'esterno: eccesso di pressione che dispare quando il liquido nella bottiglia e nel tubo g è allo stesso livello. Infatti prima che incominciasse l'efflusso, la pressione su tutti i punti dello strato orizzontale be non era eguale. In e essa risultava e dalla pressione atmosferica e dal peso della colonna d'acqua ge, mentrecchè in b la pressione è soltanto eguale a quella dell'atmosfera. Ma quando il livello in b ed in e è lo stesso, evvi equilibrio, imperciocchè nella bottiglia e nel tubo allora la pressione è eguale per tutti i punti dello strato orizzontale be. Difatti, essendo la pressione, che si esercita in questo caso in b ed in e, eguale a quella dell'atmosfera, torna facile il dimostrare che qualsivoglia punto o dello strato be soffra la stessa pressione. Perciò rappresentiamo con H la pressione atmosferica: questa forza, agendo direttamente in b ed e, si trasmette in tutti i sensi nell'interno della bottiglia, giusta il principio di Pascal e la parete k sopporta dal basso all'alto una pressione uguale ad H-ko, poichè il peso della colonna d'acqua ko distrugge in parte la pressione che tende a trasmettersi in k. Ora, pel principio di meccanica che la reazione è sempre uguale e contraria all'azione, la pressione Hko 143

152 vien riguardata dall'alto al basso dalla parete k sullo strato be; dimodochè la molecola o sopporta in realtà due pressioni, l'una eguale al peso della colonna d'acqua ko, l'altra alla pressione H-ko, proveniente dalla riazione della parete k. Adunque la pressione reale, che sopporta la molecola o è ko+h-ko, ossia H, come dovevasi dimostrare.. Se si chiude la tubulatura b e si apre la tubulatura a, non evvi efflusso; al contrario l'aria rientra nella bottiglia per l'orifizio a, e l'acqua risale nel tubo g fino allo strato ad: allora l'equilibrio è ristabilito. Infatti, si può di leggeri riconoscere mediante un ragionamento simile al precedente, che la pressione è allora eguale per tutti i punti dello strato orizzontale ad. 3. Chiusi gli orifizi a e b, aprasi l'orifizio c. In questo caso evvi efflusso con velocità costante fintantochè il livello dell'acqua nella bottiglia non sia disceso al disotto dell'orifizio d del tubo; l'aria rientra allora bolla per bolla per questo orifizio, e si porta alla parte superiore della bottiglia. dove prende il posto dell'acqua che affluisce. Per dimostrare che l'efflusso dell'orifizio c è costante, bisogna far vedere che la pressione che si esercita sullo strato orizzontale ch è invariabilmente uguale alla pressione atmosferica aumentata di quella della colonna d'acqua hl. Supponiamo infatti che nella bottiglia il livello dell'acqua si sia abbassato fino allo strato ad. L'aria, che è penetrata nella bottiglia sopporta allora una pressione uguale ad H-pm. In virtù della sua elasticità l'aria rinvia questa pressione allo strato ch. Ora questo sopporta anche il peso della colonna d'acqua pm. Dunque la pressione trasmessa in m è in realtà pm+h-pn ossia H+mn, cioè H+hl. Si dimostrerebbe del pari che questa pressione è ancora la stessa quando il livello si è abbassato in eb, e così di seguito finchè il livello è superiore all'orifizio. Dunque la pressione sullo strato ch è costante, e per conseguenza la velocità di efflusso. Ma quando il livello è disceso al disotto del punto l, questa pressione decresce e per conseguenza la velocità di efflusso. Per quanto abbiamo detto la bottiglia di Mariotte offre il mezzo di ottenere un efflusso costante; a tale intento la si riempie d'acqua e si tiene aperta la tubulatura collocata al disotto dell'orifizio l del tubo. La velocità d'efflusso è allora proporzionale alla radice quadrata dell'altezza lh. UNA DESCRIZIONE MODERNA Mettiamo di avere una botte, e che sia aperta e munita di una spina ( o cannello) attraverso la quale spillare il liquido che contiene; p.e.vino. 144

153 Quando si apre il rubinetto, il vino comincia a fluire; ma la sua velocità di uscita (portata) diminuisce progressivamente. La legge di Torricelli insegna infatti che 1 ρv = ρgh dove ρ è la densità del liquido, v la velocità di efflusso ed h l altezza del liquido nel recipiente. Da questa si trae che, come dice Ganot, La velocità d'efflusso è allora proporzionale alla radice quadrata dell'altezza Poiché questa diminuisce nel tempo, diminuisce anche la differenza di pressione ai capi del tubo di uscita e, di conseguenza, diminuisce la portata. Mettiamo ora di fare la stessa esperienza con la botte chiusa ( come tutte le botti). ARIA In questo caso il flusso si smorza rapidamente ed è facile comprenderne il motivo: nella zona superiore, occupata dall aria, la pressione diminuisce per cui la pressione all estremità interna della spina diventa uguale alla pressione all estremità esterna ( che è quella atmosferica). Significa che la pressione nella zona occupata dall aria è la pressione atmosferica diminuita della pressione idrostatica dovuta al vino: Paria = P0 ρgh Il flusso del vino riprende se pratichiamo un foro nella parte alta del recipiente. 145

154 ARIA Dal foro inferiore esce vino e dal superiore entra aria. Se, col dito, si tappa uno dei due fori, ambedue i flussi cessano. La pressione nella camera d aria è uguale alla pressione esterna. Che succede se si pratica un foro nella parete laterale, al di sotto del livello dell acqua? ARIA Mentre il vino esce dal foro in basso, l aria entra attraverso il foro in alto. Le bolle d aria salgono e danno luogo ad una camera d aria nella quale la pressione, diversamente da prima, è inferiore alla pressione atmosferica. La differenza rispetto alla pressione atmosferica è misurata dal dislivello tra la superficie del liquido e il foro p = p ρgh 0 dove ρ è la densità del liquido, ed h il dislivello. Volendo dare una rappresentazione grafica dell andamento della pressione in funzione della quota: 146

155 P 0 -ρgh ARIA h H PRESSIONE P 0 P 0 +ρgh Per la legge di Torricelli, la portata dipende solo dalla differenza di quota H tra due fori e quindi si mantiene costante al variare del livello del liquido. In questo modo la bottiglia di Mariotte rappresenta un erogatore di liquido a portata costante, e che si può variare cambiando il dislivello tra di due fori. Questo si può fare inserendo nella bottiglia un tubo attraverso un tappo a tenuta: A TENUTA H Variando il dislivello H, possiamo regolare la velocità di efflusso. 147

156 Naturalmente, non è necessario che il recipiente sia sagomato come le bottiglie di Mariotte che si osservano ( dimenticate) negli armadi dei gabinetti di fisica delle scuole. Anche una normale damigiana può diventare una bottiglia di Mariotte con l inserimento di una tappo forato attraverso il quale passano due tubi: uno lungo e flessibile che funge da sifone e uno breve e diritto che serve a regolare la velocità di efflusso. Per innescare il sifone vi sono due modi. Si può aspirare dal tubo ad U- e questo è il metodo prediletto da coloro che amano il vino- oppure si può soffiare nel tubo secondario. Una volta innescato il sifone si ha un flusso costante l intensità del quale dipende dalla distanza tra la bocca del tubo secondario e il fondo della damigiana. Se, col dito. si tappa l orifizio superiore del tubo, il flusso si interrompe. 148

157 GIOCARE CON UN ASTA Un asta o un tubo, diciamo di un metro e mezzo, di metallo o di legno. Ad un estremità si fissa un piccolo cappio di spago o di fil di ferro che consente di tenerlo saldamente. Un ragazzo tiene la sbarra per i manico e un altro la tiene semplicemente appoggiata alla mano, tanto che resti orizzontale. Il primo ragazzo, quello che tiene in mano lo spago, deve guardare dritto davanti a sé, il secondo è rivolto vero l asta. Questa la situazione fisica. La domanda: Se il secondo lascia andare l asta, il primo se ne accorge?. Meglio, la forza che l asta esercita sulla mano varia, in conseguenza del fatto che l altro non tiene più? E se è così, il primo avvertirà un aumento o una diminuzione di peso? Quando si effettua l esperienza ( solo dopo che i ragazzi si sono esposti a fare previsioni) il ragazzo che lascia l asta può riafferrarla al volo subito dopo. SPEGAZIONE Quando l asta è ferma e orizzontale il peso è equamente distribuito: metà su una mano, metà sull altra. Quando il ragazzo di destra lascia l asta, il peso che grava sulla mano dell altra si riduce (istantaneamente) alla metà. Si può anche, al posto del ragazzo, mettere una molla o un elastico. Quando il ragazzo lascia l asta, la molla si accorcia. Una spiegazione in newtoniese? Ma è così importante far vedere che la meccanica scolastica riesce a spiegare il fenomeno? T Mg Le equazioni del moto 149

158 Mg T = ma L 1 Mg = ML && θ 3 ( 1) ( ) Da queste discende che se si vuole che l estremità non acceleri è necessario che 1 T = Mg 4 ( 3) Quindi T, che all inizio era metà. T 1 Mg =, quando il ragazzo di destra lascia l asta, si riduce alla 150

159 GONFIARE UN PALLONCINO Chiunque sia stato padre conosce la fatica di gonfiare un palloncino. Talvolta l operazione provoca giramenti di testa. Sappiamo tuttavia che lo sforzo è grande all inizio, ma poi, raggiunte certe dimensioni, diminuisce sensibilmente. Il pallone è elastico, ma lo è in maniera diversa da un elastico, perché in questo caso, la sua tensione è rappresentata dalla forza che si deve esercitare per mantenerne l allungamento. Ma un pallone ha due dimensioni e non è possibile rappresentare la tensione della superficie con una forza. Immaginiamo allora di aver praticato un taglio nel pallone e di volerne tenere uniti i lembi. La forza da applicare sarà tanto maggiore quanto più lungo è il taglio. Quindi, conveniamo di chiamare tensione della superficie la forza per unità di lunghezza che occorre applicare per tenere uniti i lembi del taglio ( come in una cucitura): [ T ] N = m Alla stessa grandezza si può dare un altra interpretazione, se la scriviamo nella forma N m J m m [ T ] = = Quella che chiamiamo tensione della gomma è l energia che viene associata all unità di superficie sotto tensione. 151

160 D altra parte, anche la pressione dell aria che è contenuta nel palloncino ( tradizionalmente interpretata come la forza che esercita perpendicolarmente all unità di superficie dell involucro), è suscettibile di un altra interpretazione: N N m J m m m [ p] = = = 3 3 Come dire che la pressione dell aria che è nel pallone rappresenta l energia associata all unità di volume dell aria compressa. Quando si gonfia un palloncino, si incrementa sia l energia dell aria insufflata, sia l energia della gomma che viene tesa. Che relazione c è tra le due? Se gonfiamo il pallone facendone passare il raggio da R ad R + R, il volume aumenta di 4π R R e il lavoro compiuto sarà p 4π R R, se p è la pressione all interno. Contemporaneamente la superficie della sfera aumenta di 8π R R. Per la conservazione dell energia T 8π R R = p 4π R R da cui T = p R Questa risponde alla prima domanda: la pressione che occorre produrre all interno per avere una data tensione superficiale è inversamente proporzionale al raggio del palloncino. Ma ci dice anche una cosa meno ovvia. Poiché l energia interna è proporzionale al volume e l energia di superficie alla superficie, il loro rapporto è costante e precisamente ES E = 3 V Quando gonfi un palloncino, l energia si distribuisce sulla superficie e nell aria: 3 parti sotto forma di energia di superficie e sotto forma di energia di volume. 15

161 IL CASO DELLA TERRA PIATTA E noto che i grandi filosofi greci dell antichità e tra questi Talete e Anassimandro - ritenevano che la terra fosse un disco piatto. La Terra di Anassimandro in una miniatura del XV sec. Se avessero conosciuto la legge di gravitazione universale, nella formulazione di Gauss, avrebbero saputo che il flusso del campo gravitazionale g r attraverso una superficie chiusa è dato da Φ g r = πg M ( ) 4 dove G è la costante del povero Cavendish ed M la massa interna alla superficie. Il modello di Talete, come ogni modello fisico, deve non essere in contraddizione con l osservazione sperimentale che ci dice che il valore del campo gravitazionale in prossimità della superficie è 9,8 N/kg. Questa condizione è sufficiente a determinare lo spessore della Terra. Infatti, consideriamo una superficie cilindrica che attraversi lo strato della Terra e sia ad esso perpendicolare, come viene illustrato in figura. 153

162 S s Il flusso del campo attraverso tale superficie è Φ r = ( g ) S g se indichiamo con S l area della base e con g l intensità del campo. Ma per il teorema citato il flusso deve essere proporzionale alla massa che la superficie contiene, cioè r Φ = = ( g ) 4π G M 4π G ( S sρ ) dove s indica lo spessore dello strato e ρ la densità della Terra. Pertanto, dal confronto si ricava ( ) 4π G S sρ = S g da cui s g πρg =. Se poi si tiene conto del fatto che 3 g 4 = M = π ρ R G R 3 R il risultato assume una forma ancora più semplice: s = R 3 Assimiliamo la Terra ad una sfera di creta di raggio R e vogliamo rimodellarla secondo un disco di spessore RT 3 R. Il raggio R T del disco della Terra dovrebbe essere = R. 154

163 IL CIRCUITO DI FIBONACCI 1. RETE INFINITA DI RESISTORI Consideriamo il seguente circuito costituito da infiniti resistori tutti uguali: A V [1] Possiamo pensare di averlo costruito aggiungendo maglie successive: A [] V A [3] V Ad ogni passo si aggiunge l elemento 155

164 [4] costituito da due resistori in serie. La resistenza equivalente del circuito [] è il parallelo della resistenza 1 e della resistenza (1+1). La indicheremo con R 3 = 1P ( ) ( ) ( ) Il suo valore è R ( ) =. 3 Se applichiamo una tensione V tra i terminali A e B, otteniamo una corrente 3 i ( 3) = i ( 1) o, semplicemente 3 i ( 3) = assumendo i(1) come unità di corrente. Questa si può anche scrivere nella forma 1 i ( 3) = 1+ ( ) Per passare al circuito [3] dobbiamo aggiungere un nuovo elemento ( costituito da due resistori in serie) alla resistenza precedente, per cui R ( 5) = 1P 1+ R ( ) ( 3) 5 Il suo valore è R ( 5) = e a questa corrisponde una corrente i ( 5) = = 1+ = 1+ = 1+ ( 4) i 3 In generale, sarà R n + 1 = 1P 1+ R n 5 ovvero 1+ R ( n) R ( n + 1) = ( 6) + R n ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) con una corrente + R ( n) 1 i ( n + 1) = = R( n) 1 1+ i n ( ) ( ) Per valori di n molto grandi la resistenza non diminuisce più al variare di n, per cui è facile ricavarne il valore limite dall equazione: 156

165 ( ) ( ) 1 R R ( ) = + + R che produce ( 8) 5 1 R ( ) = ( 9). Il valore limite della resistenza è la sezione aurea dell elemento di resistenza. Ne segue che l intensità di corrente nella rete infinita è l inverso della sezione aurea della corrente che si produrrebbe con una sola resistenza.. FORME DIVERSE DELLA STESSA RETE Possiamo deformare ( ma solo dal punto di vista geometrico) il primo elemento della nostra rete dandogli la forma: B [5] A V Insieme a questo possiamo considerare un circuito che si ottiene dal primo per simmetria rispetto al lato AV: B A A V V [6] B Se poi sovrapponiamo i lati AV e A V, otteniamo il circuito: 157

166 B A [7] V dove il segmento in grassetto indica che questo lato ha resistenza metà degli altri. Se si stabilisce una tensione tra V ed A, a causa della simmetria, i vertici B e B vengono a trovarsi allo stesso potenziale, per cui, senza che nulla muti dal punto di vista elettrico, possiamo tornare alla struttura di partenza, semplicemente ripiegando il circuito sul lato AV: con la sola differenza che le resistenze AV e BV valgono ½. Ma possiamo mutare la forma geometrica, senza pregiudizio per la struttura elettrica, chiudendo il triangolo con il lato BB, ai capi del quale la tensione è nulla: B B A V [8] Possiamo poi, senza che nulla muti dal punto di vista elettrico, cambiare ancora la forma, sollevando il nodo V. Si ottiene in questo modo una piramide a base triangolare: B 158

167 V A [9] B B Pertanto, questa è equivalente, dal punto di vista elettrico, all elemento di partenza della rete di resistori, con la sola differenza che hanno tutti resistenza metà. Sarà, pertanto, R ( 3) = 1P ( 1+ 1) = ( 10) 3 In modo analogo si può operare sul circuito [3], che è possibile trasformare, senza pregiudizio per le proprietà elettriche, in una piramide a base pentagonale: V [10] A B C E D La sua resistenza equivalente è data da 5 R ( 5) = 1P 1+ R( 3) = ( 11) 8 Dal circuito [1] è possibile ottenere una rete a forma di piramide a base ettagonale: 159

168 V A G F E [11] B C D La sua resistenza equivalente ha il valore 13 R ( 7) = 1P 1+ R ( 5) = ( 1) 1 Si osservi che le frazioni che esprimono le resistenze equivalenti delle piramidi, cioè 5 13 ; ; ; sono rapporti di elementi successivi della Serie di Fibonacci 1, 1,, 3, 5, 8,13, 1, 3. RETE DI IMPEDENZE Consideriamo ora la rete infinita da cui siamo partiti, ma costituita da condensatori e induttori ideali. A [1] V L elemento base di questa rete è A [13] V 160

169 la cui impedenza ( usando la notazione vettoriale) è 1 Z ( 1) = jωl + ( 13) jωc La rete si costruisce aggiungendo ogni volta lo stesso elemento in parallelo al condensatore: Pertanto, 1 Z ( ) = jωl + PZ ( 1) ( 14) jωc che si generalizza in 1 Z ( N + 1) = jωl + PZ ( N ) ( 15) jωc Mediante questa formula ricorsiva possiamo calcolare l impedenza di una rete come questa per un qualsiasi numero di componenti. Per avere l impedenza della rete infinita, basta porre nella precedente Z N + 1 = Z N. ( ) ( ) Si ottiene ( ) jωc Z ( ) = jωl Z ( ) jωc che, risolta rispetto a Z, fornisce Z ( 16) L L L Z ( ) = jω + ω + ( 17) C Questo risultato suggerisce di considerare la rete come formata da elementi come il seguente L/ L/ C Allora, se si toglie metà induttanza al primo induttore, l impedenza della rete infinita si riduce a L L Z ( ) = ω + ( 18) C indicata come impedenza caratteristica. Ora, l impedenza di induttori e condensatori è una quantità immaginaria; mentre ( ) reale. Questo avviene a condizione che L L ( 19) C ω Z può essere 161

170 ovvero quando ω ωc = ( 0). LC Quindi, per le alte frequenze l impedenza è puramente immaginaria; per le basse frequenze l impedenza è puramente resistiva e perciò assorbe energia. Ma come può un circuito fatto solo di induttori e condensatori assorbire energia? BIBLIOGRAFIA 1] R. Feynman, Lectures on Physics (Addson-Wesley, Reading, MA.(1964), Vol., Cap.. ] T.P. Srinivasan, Fibonacci sequence, golden ratio, and a network of resistors, Am. J. Phys. 60, (199). 3] Robert H. March, Polygons of resistors and convergent series,, Am. J. Phys. 61 (10), (1993). 4] L. Stefanini, Circuiti equivalenti, in La Fisica nella Scuola, Quaderno 9, gennaio-marzo 000, pagg

171 IL GALILEIANO PROBLEMA DELLA BITTA Bitta è un termine marinaresco per indicare un palo robusto infisso nel terreno. Dovremo individuare nell ambito della scuola un palo che possa fare funzione di bitta. Si prende una corda ( magari una vecchia da alpinismo) e si mostra come un solo ragazzo possa resistere con grande facilità alla trazione esercitata da due o tre compagni sulla corda, a condizione che questa sia avvolta, con una, due, tre spire intorno al palo. Una soluzione che consente di fare equilibrio a forze grandi con una piccola. Una cosa che aveva attratto l attenzione anche di Galileo che, fa dire a Sagredo nella Prima giornata dei Discorsi: Uno era il vedere come due o al più tre rivolte del canapo intorno al fuso dell argano potevano non solamente ritenerlo, che, tirato dall immensa forza del peso che ei sostiene, scorrendo non gli cedesse, ma che di più, girando l argano, il medesimo fuso, col solo toccamento del canapo che lo strigne, potesse con li succedenti ravvolgimenti tirare e sollevare vastissime pietre, mentre che le braccia d un debile ragazzo vanno ritenendo e radunando l altro capo del medesimo canapo. [ G. Galilei, Discorsi e dimostrazioni matematiche, 1638, Giornata prima]. La situazione che Sagredo descrive è quella di una bitta ( termine marinaresco per indicare un robusto palo fissato a terra) intorno alla quale è avvolto, con alcune spire, un canapo. P Fig. 1. Una corda avvolta intorno ad una bitta cilindrica. La forza F n che la corda esercita perpendicolarmente alla superficie della bitta dipende dal raggio R e dalla tensione T della corda stessa. Precisamente F n T = R ( 1) F n non è propriamente una forza, ma una sorta di pressione, meglio, una forza per unità di lunghezza: si misura in N/m. Ci riserviamo di ricavare la (1) più avanti. Ora, la tensione della corda varia lungo il tratto di corda avvolto e la variazione per unità di lunghezza è proprio la forza d attrito: 163

172 F a dt = ds ( ) dove ds indica il tratto infinitesimo della corda avvolta. Poiché la forza massima d attrito statico è proporzionale alla forza premente, cioè F a T = µ Fn = µ R dalla () si ricava dt ds Ma T = µ R ds = R dθ ( 4) ( 5) ( 3) se dθ indica l angolo al centro della bitta. Con ciò si perviene all equazione dt µ T dθ = ( 6) che si integra facilmente e porta a T T ( µθ ) ( ) = exp 7 0 avendo indicato con T 0 la tensione massima. E arrivato il momento di ricavare la (1). Allo scopo consideriamo un elastico teso intorno ad una bitta cilindrica Fig.. Un elastico teso intorno ad una bitta cilindrica. 164

173 F n Fig.3. La forza distribuita che l elastico esercita sulla bitta. La lunghezza dell elastico è π R e la tensione dell elastico T. Mettiamo ora di gonfiare il cilindro per cui il raggio diventa R+ R e la lunghezza dell elastico aumenta di π R. Il lavoro compiuto dalla forza F n su tutta la circonferenza è ( ) L = F π R R 8 n D altra parte, la variazione di energia dell elastico è ( ) L = T l = T π R 9 Dal confronto tra queste si ottiene la relazione (1) fra tensione dell elastico e pressione normale. 165

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175 IL MOTO PERPETUO DEL RE D INGHILTERRA Il 18 ottobre 1610, Giuliano de Medici, allora ambasciatore di Toscana a Praga, scrisse a Galileo per comunicargli una notizia riservata: Non voglio restare di dirle ancora, che qui ci è un Fiammingho, che viene d Inghilterra, che pretende havere trovato il moto perpetuo; et havendone solo prima dato un istrumento al Re d Inghilterra [Giacomo I Stuart, re d Inghilterra dal 1603 al 165], ne ha adesso dato un altro a S.M.tà Cesarea, che mostra di pregiarsene molto et ha caro che non lo comunichi con altri: et consiste, questo moto, d acqua che in un cannello, fatto quasi in forma di luna, va hora in su et hora in giù da una banda a l altra; et il Sig.Gleppero non ci ha una fede al mondo, se non vede come gli sta Sembra di capire che il Sig. Gleppero fosse una persona di solide convinzioni scientifiche: infatti si trattava di Keplero, con cui Giuliano de Medici aveva rapporti. La notizia non dovette turbare, Galileo, in quei mesi impegnato nelle sue osservazioni al cannocchiale, dato che non ne fa cenno nella famosa lettera del 1 gennaio 1611; quella in cui gli confermava la scoperta delle fasi di Venere; quella che comincia con: È tempo che io deciferi a V. S. Ill.ma et R.ma, et per lei al S. Keplero, le lettere trasposte, le quali alcune settimane sono gli inviai: è tempo, dico, già che sono interissimamente chiaro della verità del fatto, sì che non ci resta un minimo scrupolo o dubbio. Il povero Keplero si era inutilmente arrabattato sul diabolico anagramma di Galileo: Haec immatura a me iam frustra leguntur o y. Queste - lo comunica Galileo a Giuliano de Medici significano Cynthiae figuras aemulatur mater amorum, cioè che Venere imita le figure della luna. Impegnato in queste scoperte, non aveva voglia di occuparsi del moto perpetuo del re d Inghilterra. Un anno dopo, la notizia gli venne confermata da un suo corrispondente, il nobile udinese Daniello Antonini. Questi il 4 febbraio del 161 gli scrisse da Bruxelles: Ho poi in un'altra cosa un contrasto grande; et viene da questo. Molti giorni sono, io intesi che il Re d'inghilterra haveva un moto perpetuo, nel quale entro un canale de vetro si move certa acqua, hor alzandosi hor abassandosi, a guisa (dicevasi) del flusso et reflusso del mare. Sopra il che considerando io, caddi in pensiero che questo non fusse altrimenti flusso et reflusso, ma così si dicesse per coprir la vera causa; et la verità fusse che questo moto f[uss]e dalla mutatione del'aria, cioè di caldo et fredo fosse causato, cavando questo dalle speculationi di quelle isperienze del bellicone che V. S. sa: et perciò m'ingegnai di fare anch'io uno di questi moti, et fecilo non come m'era stato dissegnato quel d'inghilterra, ch'ha il canale rotondo a guisa d'un annello, ma con il canal retto Questo Antonini era stato allievo di Galileo negli anni di Padova. Di chiarissimo grido nelle Matematiche lo definisce Gio. Targioni-Tozzetti nella sua raccolta di Notizie degli aggrandimenti delle Scienze Fisiche del Ma allo studio delle matematiche, il conte Antonini preferì quello delle arti militari, e per questo il motivo si era trasferito a Bruxelles. Morì infatti in battaglia nel

176 Il bellicone ricordato dall Antonini era un ampolla di vetro e le isperienze a cui fa cenno sono le stesse che padre Benedetto Castelli ricorda in una lettera a Ferdinando Cesarini del 1638: In questo mi sovvenne un'esperienza fattami vedere già più di trentacinque anni sono dal nostro Sig.r Galileo, la quale fu, che presa una caraffella di vetro di grandezza di un piccol uovo di gallina, col collo lungo due palmi in circa, e sottile quanto un gambo di pianta di grano, e riscaldata bene colle palme delle mani la detta caraffella, e poi rivoltando la bocca di essa in vaso sottoposto, nel quale era un poco di acqua, lasciando libera dal calor delle mani la caraffella, subito l'acqua cominciò a salire nel collo, e sormontò sopra il livello dell'acqua del vaso più d'un palmo; del quale effetto poi il medesimo Sig.r Galileo si era servito per fabbricare un istrumento da esaminare i gradi del caldo e del freddo. Intorno al quale strumento sarebbe che dire assai; ma per quanto fa al proposito nostro, basta che in sostanza si osserva che l'acqua, quanto più l'aria circonfusa intorno alla caraffella si trova più e più fredda, tanto più alto sale l'acqua sopra il livello della sottoposta, e quanto lo strumento vien portato in aria meno fredda, tanto più l'acqua si va abbassando nel collo della caraffella. E illustra il ricordo con un disegno: Fig. 1. Schizzo che illustra la lettera di B. Castelli. In una lettera di una settimana dopo, Antonini precisava in che cosa consisteva la macchina vantata da re Giacomo d Inghilterra, illustrandola con un disegno: La posta passata mandai a V. S. molto Ill.re il profilo et la pianta del nostro moto perpetuo, sebene mi scordai dirle la misura; et è che il canaletto di vetro è circa braccia lungo: hora le invio il dissegno del moto perpetuo che si ritrova appresso il Re d'inghilterra. 168

177 Fig.. Disegno della macchina inviato a Galileo da D. Antonini. Il cerchio interiore nota una sfera vacua di metallo, la quale per lo canaletto D comunica dentro il canale eab di vetro, nel quale è il liquido, che hora da una, hora da un'altra parte con tardo moto si vede esser montato: la parte ef del canal vitreo è con certe foglie di metallo coperta; ma io m'immagino che stia come io l'ho dissegnata, dinotando per la eg una trapartita, et in o un buco, acciò l'aria possa subintrare quando il liquido B scende, et uscire quando monta. Che la causa di questo moto sia la rarefation et condensatione del'aria chiusa nella sfera metalica, credo ch'anco a V. S. sarà assai manifesto, sì che se sentisse o havesse sentito dire alcuna cosa di questo moto, lo potrà credere. La misura di questo, ch'io l'ho hauto, in dissegno grande come è, da buon mezo, è il canal di vetro di diametro di un piede o poco più. In altri termini, si tratta di un termoscopio analogo a quello realizzato da Galileo nei primi anni del 600, stando alla testimonianza di B. Castelli. Quando la temperatura nella sfera centrale ( a parete metallica) diminuisce, anche la pressione nel ramo AG del tubo cala e l acqua sale da A verso G. Il ramo BG, infatti, è a pressione costante in quanto aperto verso l esterno tramite il forellino o. Bella la conclusione dell Antonini: Di qui può veder V. S., che s'ella ha da far con teste che habent aliquid extra et nihil intra, ho io ancora poco miglior fortuna. Cosa di cui gli insegnanti fanno spesso esperienza. 169

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179 IL MULINO SUL LAGO Per fare un mulino ad acqua occorre necessariamente che l elemento liquido ( Totò) passi da un livello (alto) ad un altro (basso)? Non sarà possibile costruire un mulino, per così dire, lacustre? L idea non è nuova e ne sono stati progettati di diverso tipo. Una bella illustrazione è quella che ne fornisce il veneto Vittorio Zonca ( ) nella sua opera Novo Teatro di Machine et Edificii pubblicato (postumo) a Padova nel Il mulino ad acqua nel progetto di Vittorio Zonca Per spiegare come è necessario partire dal sifone ( che nel 600 si scriveva fifone) 171

180 V Intanto, non bisogna dare per scontato che i ragazzi abbiano mai visto un sifone. Mostrarlo a scuola è sempre una cosa ricca di insegnamenti. Come spiega il sifone la fisica aristotelica dell horror vacui. Come si fa a far partire il sifone. Mettiamo che il tubo ad U rovesciata sia ancora vuoto l acqua ( e pieno d aria). Gli applichiamo una valvola sulla parte alta ( che nel disegno è indicata con V). Alla valvola connettiamo una pompa a vuoto che porta via l aria. Nella pratica domestica del travaso del vino basta succhiare con la bocca. Portiamo via l aria, ma natura vacuum abhorret e quindi occupa lo spazio con l acqua. Chiusa la valvola, il sistema non è però in equilibrio: il ramo di destra, che è più lungo, pesa di più e quindi l acqua che vi è contenuta scende. Poiché, però, il vuoto non è ammesso, l acqua del ramo sinistro seguirà quella di destra e così si crea una trasmissione continua dal recipiente di sinistra a quello di destra e il moto dell acqua continuerà fino a che si conserverà il dislivello. Naturalmente, la differenza di peso dell acqua contenuta nei due rami non è strettamente legata al dislivello; si può produrre anche con sezioni diverse. 17

181 Il sifone a diversa sezione rende quindi possibile trasferire acqua tra due recipienti allo stesso livello o, persino, sollevare l acqua. Il progetto della macchina è accompagnato da una bellissima illustrazione e da un accurata descrizione che riportiamo. 173

182 174 Quale interesse può avere una cosa del genere ai fini della didattica? La risposta è che consentirebbe agli insegnanti più coraggiosi un bellissimo esperimento didattico. L esperimento consiste nel provare ad insegnare l idraulica pre-torricelliana, cioè presentare un sifone (reale), mostrare che funziona solo se vi è un dislivello tra i due recipienti, e arrischiare la spiegazione aristotelica. Ne deriva che con rami del sifone di diversa sezione si può produrre un passaggio continuo di acqua da un recipiente ad un altro dell istesso livello. Naturalmente, l ideale sarebbe realizzarlo veramente questo sifone differenziale e andare insieme alla ricerca dei motivi che possano spiegare perché non funziona. E, soprattutto, non farsi sfuggire niente a proposito di pressione atmosferica. Come dire: acqua in bocca!

183 IL VOLUME DELL UOVO Sarà possibile usare la geometria per determinare, mediante misure di lunghezza, il volume di un uovo di gallina? Cominciamo con lo studio del suo profilo. Si può utilizzare una lavagna luminosa tradizionale o un proiettore per ottenere l ombra ingrandita di un uovo su uno schermo. Ogni allievo ha allora la possibilità di ricalcarne il profilo su un foglio di carta da studiare individualmente. Meglio usare fogli da disegno, privi di quadrettatura. Sappiamo tutti come si presenta il profilo di un uovo. Si può individuare un asse di simmetria. intorno al quale l uovo è un solido di rotazione, e un piano equatoriale, perpendicolare all asse, che interseca l uovo nella posizione di sezione massima. Rispetto a questo piano, l uovo si divide in due ellissoidi di rotazione che hanno in comune la base. R R a b I due ellissoidi hanno in comune il raggio R della base e altezze diverse a e b. A questo punto bisogna trovare i due volumi. A questo scopo basta osservare che un ellissoide altro non è che una sfera dilatata lungo un diametro. 175

184 Ora, la consueta regola che consente di determinare il volume della sfera mediante misure lineari, afferma che V = A d 3 ( 1) dove A è l area della sezione e d il diametro. Nel passaggio dalla sfera all ellisoide, dicevamo, ciò che cambia è uno dei diametri. Il volume dell uovo sarà quindi la somma di due volumi ( di due ellissoidi): V = A a + A b = A a + b = A D ( ) ( ) dove D indica la lunghezza dell asse centrale. Per determinare il volume di un uovo, secondo il risultato ottenuto, è necessario fare due misure: del diametro massimo D e del diametro minimo d, da cui si ottiene l area della sezione trasversale A. Misure accurate si possono fare mediante un calibro e da queste ricavare i volumi di alcune uova. Naturalmente, a questo punto, a qualcuno sorgerà un dubbio, anzi due: 1. la sfera ha una forma definita ( il luogo dei punti che hanno la stessa distanza dal centro); per le uova non esiste una definizione generale;. come sappiamo che la formula sia corretta? La prima obiezione è fondata; ma anche noi possiamo assumere come definizione della superficie dell uovo la saldatura di due ellissoidi di rotazione intorno ad uno stesso asse. Se accettiamo questa definizione, la formula è corretta. D altra parte, anche le sfere con cui abbiamo a che fare nella realtà palle, bocce, ecc.- sono solo approssimazioni della sfera geometrica. Anche la seconda obiezione vale sia per le uova che per le sfere. Ma, mentre per le sfere la correttezza della formula viene data per scontata, noi faremo un controllo sperimentale della (). Il problema è quello di una misura diretta ( e accurata) del volume dell uovo. Possiamo dar fiducia al Principio di Archimede e procedere nel modo seguente. E necessario disporre di una bilancia ( di quelle da laboratorio). Prima di tutto si pesa l uovo 176

185 Si ripete la pesata con l uovo immerso in acqua: La differenza tra le due pesate è il peso di un volume d acqua uguale al volume dell uovo. Se quindi tale differenza è espressa in grammi. lo stesso valore, tramutato in cm 3, rappresenta il volume dell uovo. Possiamo quindi mettere tale valore a confronto con quello ottenuto mediante la () cioè mediante la geometria e un ipotesi (ben fondata) sulla forma del guscio. 177

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187 LA BICICLETTA DOMANDA PRELIMINARE. Perché i vecchi velocipedi avevano una ruota anteriore tanto grande? Fig.1. Antico modello di velocipede. Il pedale era solidale con la ruota. Poniamo di riuscire a compiere un giro di pedale ogni T secondi. La velocità sarebbe π R. T Con un raggio di mezzo metro e un giro di pedale ogni due secondi, la velocità sarebbe 1,6 m/s, cioè neppure 6 km/h, insufficiente a mantenere l equilibrio. Se si adotta una ruota di raggio doppio, anche la velocità raddoppia. Ma con questo mezzo non è pensabile di raggiungere i 0 km/h. Per questo è necessaria la moltiplica. LA MOLTIPLICA COME AMPLIFICATORE DI VELOCITÀ La difficoltà maggiore è rappresentata dalla necessità di porre la bicicletta ( rovesciata) sul tavolo. Si applica un pezzo di nastro adesivo alla gomma della ruota posteriore e la si dispone in modo che il segno sia in alto e il pedale verticale. Si fa girare il pedale un certo numero di volte, mantenendo leggermente frenata la ruota con la mano, contando i giri compiuti dalla ruota. Si chiama moltiplica il rapporto tra il numero dei giri compiuti dalla ruota e quelli compiuti dal pedale. Di solito, la moltiplica è fra 3 e

188 Fig.. Apparato motore della bicicletta: corona, pignone, catena e ruota posteriore. La domanda da porre a questo punto è di individuare i parametri che determinano il valore della moltiplica. Dipende dalle dimensioni della pedivella, da quelle della corona, dal raggio della ruota, dalla lunghezza della catena di trasmissione? Si può proporre un inusitato modello di trasmissione: Fig.3. Un modello diverso di trasmissione Cambierebbe qualcosa nelle proprietà della bicicletta? A questo punto si conta il numero dei denti della corona e del pignone. L operazione è più difficile di quanto si pensi; si suggerisce di non accontentarsi di un solo conteggio. Questo ci consente di verificare che la moltiplica è il rapporto tra il numero dei denti sulla corona e quello sul pignone. Il fatto che corona e pignone sia collegati dalla catena ci assicura che le velocità periferiche delle due ruote sono uguali. E poiché la velocità sul bordo è proporzionale al raggio, sarà v = Ω r = ωr ( 1) dove Ω ed ω indicano le velocità angolari del pignone e della corona, mentre r ed R indicano i loro raggi. Ne viene che 180

189 Ω = ω R r ( ) che ci dice che la moltiplica è un amplificatore di velocità angolare, secondo il rapporto dei raggi. IL PASSO DELLA BICICLETTA La parola passo indica la distanza percorsa dalla bicicletta per ogni pedalata. Se M è la moltiplica, per ogni giro di pedale la ruota compie M giri a ognuno dei quali corrisponde uno spostamento π R. Pertanto, il passo è ( ) P = M π R 3 Se lo scriviamo nella forma ( MR) ( ) P = π 4 questa suggerisce che la moltiplica ha l effetto di moltiplicare per M il raggio della ruota.. R MR Fig.4. Grazie alla moltiplica, la bicicletta ha una ruota motrice di raggio MR. Pertanto, la velocità raggiungibile, per una data frequenza della pedalata, è proporzionale al raggio della ruota e alla moltiplica, 181

190 Fig.5. Modello di bicicletta per alte velocità. Deve avere una grande ruota motrice e un rapporto alto. LA BICICLETTA COME MACCHINA La forza esercitata sul pedale non si trasmette inalterata al bordo della ruota. Posto che l apparato motore funziona come macchina, si pone il problema di misurarne il vantaggio. Si può fare appendendo un grosso peso al pedale e trovando quale peso, applicato al bordo della ruota, gli fa equilibrio. Fig. 6. Trasmissione della forza applicata al pedale. Ci si rende conto che si tratta di una macchina svantaggiosa. Come tutte quelle che amplificano le velocità, riducono le forze. 18

191 Per comprendere perché, torniamo al fatto che, in relazione alla velocità, la trasmissione coronapignone, moltiplica per M il raggio della ruota. Abbiamo dunque a che fare con una leva, con il fulcro nel mozzo della ruota, che ha come bracci la lunghezza della pedivella p e il raggio virtuale MR. MR p f F La condizione per l equilibrio è che Fp = f MR ( 5) da cui il rapporto di riduzione della forza F f R M p ( 6) =. Fig. 7. Forze agenti sulla ruota. Quando sia disponibile una bicicletta a cambio variabile, si può studiare che cosa significhi cambiare rapporto e se in salita sia preferibile un rapporto alto o uno basso. UN FECONDO QUESITO Di portare in classe una bicicletta siamo capaci tutti. La si dispone davanti alla cattedra in modo che sia visibile e si dispone il pedale rivolto agli allievi nella posizione bassa. La bicicletta può essere mantenuta in posizione verticale da un volonteroso collaboratore. Si lega quindi un pezzo di spago al pedale e lo si tende leggermente in modo che sia orizzontale. 183

192 Fig.8. Si applica una forza al pedale in direzione orizzontale. Da che parte va la bicicletta? Questo è il momento di porre la domanda: Se tiro lo spago, la bicicletta andrà in avanti o all indietro. E meglio ripetere il quesito, rivolgendolo anche direttamente a qualche allievo. Una cosa è necessario assolutamente evitare: tirare effettivamente lo spago. E in questo che si vede l abilità dell insegnante: deve osservare la consegna del silenzio. La cosa migliore sarebbe sciogliere lo spago e rimandare al giorno successivo la prova, lasciando agli studenti il tempo per discutere ed effettuare l esperienza per conto loro. E molto interessante, dal punto di vista psicologico, la ricaduta che ha sugli studenti, il giorno dopo, l assistere al cimento. Immediatamente, la cosa appare come ovvia e perfettamente logica ( Questo sarà l aggettivo usato da molti per spiegare il fenomeno). La meraviglia non è più meraviglia è scritto sulla tomba di Stevino. All insegnante il compito di ricondurre il fenomeno ai principi della meccanica. e attirare l attenzione sulle forze agenti sulla bicicletta o, meglio, sulla ruota posteriore. Possiamo immaginare di aver saldato il pedale al mozzo di una ruota di raggio MR, con R che indica il raggio effettivo ed M la moltiplica. 184

193 F p MR f Fig. 9. Forze agenti sulla ruota posteriore della bicicletta. I momenti della forza F applicata tramite lo spago e della forza f esercitata dal pavimento sono uguali: F p = f MR ( 7) ma questo richiede che la forza F sia molto maggiore della f. Pertanto, la bicicletta si sposterà all indietro. La situazione fisica non è diversa da quella che si può realizzare con un rocchetto sul quale sia avvolto un filo. 185

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195 LA CADUTA DI UNA BALLA La caduta libera nei corsi introduttivi viene descritta alla luce dell equazione di Newton: dv m mg dt = che comporta v = gt ( ) ( 1) v t D altra parte dv dx dx dt da cui v = dv = g v = g dx ( ) gx 3 Il grafico è un ramo di parabola 187

196 Una descrizione della caduta deve tener conto della resistenza dell aria. Si sa dalla metà dell 800 che tale resistenza è proporzionale al quadrato della velocità del corpo che cade. Pertanto l equazione di Newton diventa dv m mg k v dt = ( 4) Dove k ( fattore aerodinamico) ha le dimensioni di una densità lineare Il problema è trovare una funzione che soddisfi all equazione differenziale dv k = mg 1 v 5 dt mg ( ) kg m. Ci faremo aiutare da considerazioni fisiche. Intanto, il peso è costante, mentre la resistenza dell aria aumenta con la velocità; vi è quindi un valore della velocità in corrispondenza del quale le due forze si annullano. Ciò avviene per V = mg k ( 6) E questa è la velocità limite ( o di regime). Invece, per piccoli valori del tempo e basse velocità, la presenza dell aria non si fa sentire e quindi, all inizio, il grafico deve avere pendenza g. La funzione v che, derivata, si trasforma in iperbolica. La soluzione della (5) è quindi t v = V tanh 7 T ( ) 1 v è semplice, ma non popolare: è la tangente La comparsa di V ce l aspettavamo; per t grandi la velocità approssima quella limite. La presenza del parametro T è giustificata dal fatto che, essendo la tanh una funzione trascendente come ln x, per intenderci l argomento dev essere un numero puro. Pertanto, il tempo t dev essere confrontato con un parametro T (anche lui un tempo), che chiameremo tempo caratteristico. Nei fenomeni 188

197 oscillatori anch essi descritti da una funzione trascendente - il tempo caratteristico è il periodo. Nel nostro caso il tempo caratteristico ce l abbiamo sotto al naso nella (5): T m k g ( 8) ( si verifichi che le dimensioni sono proprio quelle di un tempo). Ci si può arrivare anche pensando che il grave impiega più tempo a raggiungere la velocità limite quanto maggiore è la massa e piccola la resistenza dell aria. Pertanto, l andamento della velocità nel tempo sarà del tipo Torniamo ora alla (5) e trasformiamola come nella (3) dv k v = mg 1 v 9 dx mg ovvero v k 1 v mg dv = mg dx ( ) ( 10) Questa non è oltre le capacità di uno studente di quinta liceo. Ma non è un esercizio di matematica che vogliamo fare; ma piuttosto di fisica. Si tratta, anche in questo caso, di correggere la (3) in modo da introdurvi la velocità limite, quindi passare da una parabola ad una curva dotata di asintoto. Si tratta della x v = V 1 e X 11 ( ) Il ruolo del parametro X ( distanza caratteristica) è analogo a quello del parametro T. Anche questo è posto in evidenza nella (10): m X = k ( 1) Si controlli che abbia le dimensioni di una distanza. Il grafico della (11) è diverso da quello della (7); 189

198 FAMO UN ESEMPIO Facciamo cadere dalla Torre di Pisa (56 m) una boccia da 1 cm di diametro de fero. Pesa 7 kg. E una boccia uguale; solo che è de legno e quindi pesa solo 7 etti. La costante k aerodinamica dipende dalla sezione della sfera. Empiricamente si sa che k = 0,87 R dove R è il raggio. Nel caso delle nostre due bocce da 6 cm di raggio, k = 3, kg m Ma sono diverse le velocità limite: Per il fero V fe mg m = = 150 k s per il legno V le mg m = = 47 k s Sono diversi anche i tempi caratteristici. Per il ferro T fe m = = 15s k g per il legno sarà 10 volte più breve: 190

199 T le m = = 3,4s k g E anche le distanze caratteristiche: m m X fe = = 1170m Xle = = 117m k k Le equazioni (7) e (11) diventano quindi v fe t t = 150 tanh vle = 47 tanh 13 T T fe le ( ) x x X fe X le v fe = e vle = 47 1 e ( 14) Mettiamo di far cadere le due bocce dalla Torre di Pisa (56 m). Allora x X x = 4,79 10 = 0, X fe le Se inseriamo questi valori nelle (14), otteniamo le velocità con cui le due bocce toccano terra: v fe m m = 33,5 vle = 9 s s Se questi due valori li inseriamo nelle (13) e le rovesciamo come calzini, otteniamo t T t = 0, 6 = 0,7 T fe le da cui si ricavano i tempi di volo delle due bocce: t = 3,39s t = 3,50s fe le Quindi la boccia di ferro arriva a terra con un anticipo di 0,11 s rispetto a quella de legno. Poiché hanno velocità di circa 30 m/s, 11 centesimi di secondo corrispondono ad un distacco x 30 0,11 m = 3,3 m Quando la boccia di ferro piomba a terra, quella di legno le restano da percorrere più di 3 metri. Come si spiega che Galileo le vedeva arrivare in un punto? Semplice: era un cacciaballe! 191

200 19

201 LA MASSA IN AMBITO RELATIVISTICO PREMESSA DIDATTICA Nel 1981 il fisico francese J.-M. Levy- Leblond pubblicò sullo European Journal of Physics un bellissimo lavoro che portava un titolo curioso: Classical Apples and quantum potatoes. Si riferiva agli equivoci in cui può incorrere lo straniero che su un menu francese legga la parola pommes. Perché in certe circostanze può indicare le mele ed in altri le patate. Tutto dipende dal contesto. La spiritosa analogia di Levy-Leblond era riferita agli equivoci in cui possono incorrere coloro che si sforzano, incautamente, di dare delle grandezze definite in ambito quantistico un interpretazione ambientata nel contesto della meccanica classica. L analogo vale per la meccanica relativistica, come sta a dimostrare la storia della didattica (specie italiana) tesa a descrivere la prima rimanendo fermamente ancorata alla seconda. Come è stato chiaramente messo in luce da vari autori ( segnatamente da Taylor e Wheeler) ormai da vari decenni, ma anche di recente ( Okun: Il virus della massa relativistica), l equivoco porta non solo ai famosi paradossi, ma è anche alla base di una seria e diffusa incomprensione dei fondamenti della relatività speciale. Le esposizioni scolastiche della meccanica relativistica ne danno una descrizione che tende sempre a riportarla ai concetti della meccanica classica, in ciò favorite dal fatto che i nomi delle grandezze sono gli stessi. Così come il concetto di vettore è ineludibile per chi voglia dare una descrizione dignitosa della meccanica e dell elettromagnetismo classici, altrettanto inevitabile è il concetto di quadrivettore per una esposizione didattica della relatività ristretta che ne voglia rispettare la reale struttura concettuale. Questo non significa che sia necessario fare un corso di calcolo tensoriale; ma solo avere la consapevolezza che le grandezze di cui si serve la relatività speciale sono ambientate in un continuo a quattro dimensioni che prende il nome di spazio-tempo. Con il vantaggio che per le piccole velocità le varie grandezze si riducono a quelle classiche di cui portano i nomi, anche se ne sono concettualmente diverse. In ciò che segue proporremo un introduzione elementare ma rigorosa del concetto di massa in ambito relativistico. Non usiamo il termine massa relativistica perché si riferisce ad un concetto che è stato da tempo espulso dalle esposizioni anche elementari e che sembra sopravvivere solo nei manuali scolastici italiani. Avvertiamo che in ciò che segue la velocità u è sempre misurata in termini di c e quindi è un numero puro. PER UNA PARTICELLA Le grandezze da cui prendere le mosse sono l energia e la quantità di moto. L espressione dell energia di una particella di massa m e velocità u è e = γ m ( 1) dove m è la massa e γ = 1 1 u ( ) Che per le piccole velocità, cioè per γ <<1, si riduce a 1 1 γ = 1+ u 3 1 u ( ) Diamo a questa il nome di energia perché, per velocità <<1, assume una forma familiare: 1 1 e = γ m m 1+ v = m + mv 4 ( ) 193

202 Pertanto, l energia di una particella, in ambito relativistico è la somma dell energia cinetica e della sua massa, ovvero dell energia che avrebbe a riposo. La quantità di moto di una particella viene definita come r r p = γ mu ( 5) Si tratta di una grandezza vettoriale, il modulo della quale si riduce, per velocità <<1, a 1 muγ mu 1+ v mu 6 ( ) cioè all espressione classica della q.d.m. La massa di una particella è definita dalla relazione m e p r ( ) ( 7) Per una data particella, il valore dell energia e della q.d.m. dipendono dal sistema di riferimento dell osservatore; il valore della massa è invece invariante. Possiamo considerare l energia e la q.d.m. rispettivamente come ipotenusa e cateto di un triangolo rettangolo; l altro cateto rappresentando la massa della particella. p e m Queste grandezze si riducono alle corrispondenti newtoniane per u<<1, ovvero, per γ = 1. In tal caso la q.d.m. mγu tende a zero e il triangolo degenera in un segmento mu e m In questo caso, l energia della particella si riduce alla sua massa. Consideriamo ora il caso di una particella con velocità molto vicina ad 1. In tal caso, l energia e la q.d.m. tendono allo stesso valore e questo implica che la massa tenda ad annullarsi. Per questo motivo la massa del fotone dev essere nulla. 194

203 p e m SULLE UNITÀ DI MISURA Abbia detto che massa di una particella è definita dalla relazione m e p r ( ) ( 7) Questa presuppone che l energia e la q.d.m. e la massa si misurino nelle stesse unità. Questa non è una novità; è richiesto dal fatto che si sia convenuto di esprimere le velocità in frazioni di c. Questo implica che si misurino nelle stesse unità le distanze e i tempi. Il significato della relazione x = ct ( 8) è semplicemente quello di una equivalenza tra unità diverse: metri e secondi. L analogo avviene tra massa ed energia. Anche la famosa equazione e = mc ( 9) è una relazione di equivalenza tra i kg e i J. Non è un abitudine diffusa, ma qualcuno misura le q.d.m. in Huygens (H). Si può stabilire tra l energia e la q.d.m. una relazione analoga alla (11): e = pc ( 10) che consente di passare dagli H ai J. O ancora tra i kg e gli H: p = mc ( 11) Per esempio, la massa di un protone è 1 7 mp = g = 1,66 10 kg 3 6, 0 10 Ma poiché 8 ( ) 1 kg = 3 10 ovvero ( ) J kg = 3 10 MeV = 5,6 10 MeV 13 1,6 10 possiamo asserire che 195

204 7 7 9 p Un elettrone è 1840 volte più leggero, per cui m = 1,66 10 kg = 1, ,6 10 MeV = 938MeV 1 me = 938 MeV = 0,51 MeV 1840 Prendiamo un elettrone accelerato da una d.d.p. di 100 mila Volt. L energia cinetica che acquista è 100 kev ovvero 0,1 MeV. La sua energia è allora ( ) e = 0,51+ 0,1 MeV = 0, 61 MeV e La q.d.m. è pertanto e e e ( ) ( ) p = e m = 0,61 0,51 MeV = 0,335 MeV DIGRESSIONE SULLE DIMENSIONI (DIS)UMANE DELLE UNITA DI MISURA Le distanze si possono misurare un unità di tempo e, al contrario, i tempi si possono misurare in unità di distanza. Poiché 30 cm = 1 ns un uomo alto 1,8 m può asserire di essere alto 6 nanosecondi. Per contro, poiché anno = 3,15 10 s = 3, m = 9,5 10 m = 9,5 Pm un uomo di 0 anni, richiesto della sua età, può rispondere: m ovvero 190 Petametri. Analogamente, poiché 8 ( ) 1 kg = 3 10 J un uomo che abbia una massa di 80 kg può, in alternativa, dichiarare un peso di J = 7, 10 J = 7, EJ cioè, 7, EsaJ. O anche 30 Gton dato che una bomba da 1 Megaton libera un energia pari a 1Mton = 4, PJ. Si osservi che le unità di misura non sono pratiche in quanto anche l espressione dell altezza di una persona o della sua massa richiede l utilizzo di elevate potenze del 10. Un riflesso di quanto un universo culturale limitato all ambito della meccanica classica sia limitato nei confronti delle grandi strutture che costituiscono l universo. Anche queste rendono l idea dell importanza della finestra che la relatività di Einstein ha aperto sulla realtà fisica. MASSA DI UN SISTEMA DI PARTICELLE L energia di un sistema di particelle è la somma delle energie di ciascuna: E = e = γ m 1 ( ) i La q.d.m. di un sistema di particelle è la somma vettoriale delle q.d.m. delle particelle che lo costituiscono: r r r P = p = mγ u i ( 13) 196

205 In analogia con la (7), la massa di un sistema di particelle è definita dall equazione M ( ei ) ( p r i ) ( 14) Se ci riferiamo ad una coppia di particelle, la definizione diventa r r M ( e1 + e ) ( p1 + p ) ( 15) Mettiamo che si tratti di particelle identiche che viaggiano con uguale velocità nella stessa direzione: ( γ ) ( γ ) 4 γ ( 1 ) 4 ( 16) M m mu = m u = m Cioè, la massa della coppia di particelle è il doppio della massa di ciascuna. Ma se le particelle viaggiano in versi opposti, ( γ ) 0 γ ( 17) M m M = m Come dire che la massa della coppia è maggiore della somma delle masse, essendo γ >1. Pertanto, in generale, possiamo dire che la massa di un insieme di particelle è uguale alla loro somma solo nel caso in cui viaggiano nella stessa direzione. In tutti gli altri casi la massa del sistema è maggiore della somma delle loro masse. ANNICHILAZIONE DI UNA COPPIA ELETTRONE- POSITRONE Si verifica quando un elettrone urta un positrone ( che ha la stessa massa e carica dell elettrone, ma carica opposta) : Le due particelle scompaiono e danno vita ad una coppia di fotoni gamma: + ( ) e + e γ 18 Una reazione che avviene, ad esempio, all interno del Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra. Prima dell urto la situazione è la seguente: (mγ, mγu) (mγ, mγu) (e,p) (e,p) La massa del sistema è ( ) M = γ m 19 Dopo l urto il sistema si riduce ad una coppia di fotoni che viaggiano in senso opposto. Ciascuno dei fotoni ha massa nulla; ma la coppia è dotata di massa. In effetti, per ciascun fotone, p = e e quindi m = 0. Ma per la coppia, ( ) ( 0) ( 0) M = e M = e Poiché in questo caso ( impulso del sistema nullo) la massa si conserva, sarà γ m = e e quindi e = γ m ( 1) Questa ci dice che l energia di ciascun fotone sarà maggiore della massa di ciascun elettrone (0,5 Mev). La massa del sistema si conserva, mentre le masse dei suoi componenti si annullano. 197

206 CREAZIONE DI PARTICELLE Si tratta di una classica reazione nucleare: un protone viene accelerato e scagliato contro un identica particella ferma. Dopo l urto le particelle diventano quattro: tre protoni e un antiprotone ( che ha la stessa massa del protone, ma carica opposta). La figura è una fotografia presa in camera a bolle in cui si mette in evidenza il fenomeno: La reazione è pertanto p + p p + p + p + p% ( ) In questa si ha, come si usa dire, la creazione di una coppia di particelle. Il punto è di stabilire quale debba essere l energia minima del protone proiettile perché la reazione abbia luogo. 198

207 Conviene collocarci nel sistema di riferimento del centro di massa, rispetto al quale l urto risulta simmetrico.. In questo riferimento la q.d.m. del sistema è nulla ( e tale si mantiene anche dopo l urto). Prima dell urto, la massa del sistema è definita da M = ( e0 + e0 ) (0) = ( mγ 0 ) ( 3) Dopo l urto abbiamo quattro particelle identiche ferme; quindi la massa del sistema è 4m. Poiché l energia e la q.d.m. si conservano, 0 da cui ( ) mγ = 4m 4 ( ) γ 0 = 5 Pertanto, e0 m = e l energia totale prima dell urto è E 0 =4m. Vediamo ora l urto dal sistema del laboratorio: La situazione prima dell urto è quella rappresentata in figura: dove il protone incidente è caratterizzato da una energia e una q.d.m. p, mentre l energia del protome bersaglio è m e la q.d.m. nulla. La massa della coppia è definita da ( ) ( γ 1) ( γ ) ( 6) M = e + m p = m + mu Nel passaggio dal sistema di riferimento del laboratorio a quello del centro di massa ( e viceversa), la massa della coppia non cambia anche se cambiano l energia e la q.d.m. delle due particelle: abbiamo detto che è un invariante. Pertanto, dovrà essere ( γ + 1) ( γ ) = 16 ( 7) m mu m da cui segue, con l algebra elementare, 199

208 ( γ ) ( γ u) ( u ) + 1 = 16 1 γ + γ = γ = 15 ( ) γ = 7 8 L energia del protone proiettile è pertanto ( al minimo) ( ) e = 7m 9 Ne consegue che l energia cinetica del protone dev essere (almeno) 6m. Poiché la massa del protone è m = 938 MeV l energia cinetica dev essere almeno e = 5,6 GeV. Non vi è alcuna misteriosa trasformazione di energia in massa. 00

209 LA TEMPERATURA PERCEPITA Pochi sanno che cosa sia un kata termometro. Si tratta di un termometro che viene utilizzato per misurare basse velocità di circolazione dell aria. E costituito da un bulbo pieno di alcol che viene portato alla temperatura di 38 C e poi lasciato nella corrente d aria finché si raffredda fino a 35 C. Dalla misura del tempo impiegato in questo raffreddamento si ricava la velocità della corrente d aria. E quindi basata sul fatto che la presenza di una corrente d aria rende più rapido il raffreddamento di un corpo. La rapidità del raffreddamento del corpo è anche il fenomeno sul quale si basa la nostra stima della temperatura ambientale Infatti, il senso di freddo che viene percepito dall epidermide e che viene solitamente indicato come temperatura percepita, non coincide generalmente con quella misurata dal termometro ed ha piuttosto a che fare con la rapidità con cui il corpo scambia energia con l ambiente. La cosa viene sottolineata in maniera spiritosa da Bohren e Albrecht in un ponderoso volume sulla termodinamica dell atmosfera [ C. F. Bohren and B. A. Albrecht, Atmospheric Thermodynamics, Oxford University Press, New York, 1998]: Humans are to a large degree sensitive to Energy fluxes rather than temperatures, which you can verify for yourself on a cold, dark morning in the outhouse of a mountain cabin equipped with wooden and metal toilet seats. Both seats are at the same temperature, but your backside, which is not a very good thermometer, is nevertheless very effective at telling you which is which. Per la pelle nuda esposta ad un ambiente a temperature inferiore, la perdita di calore avviene prevalentemente per convezione, e questa è fortemente dipendente dall esposizione al vento. La presenza del vento enfatizza fortemente il flusso di calore dal corpo che, di conseguenza, viene 01

210 registrato come un abbassamento della temperatura. Il fenomeno è ben noto agli abitanti dei paesi caratterizzati da clima rigido o alle persone che affrontano ambienti in cui alla bassa temperatura strumentale si accompagnano forti correnti atmosferiche. Il termine wind chill factor sta appunto ad indicare l abbassamento percepito della temperatura dovuto alla presenza di vento. I primi studi sperimentali sul fenomeno furono iniziati da Siple e Passel alla vigilia della seconda guerra mondiale in Antartide ma solo negli anni 50 portarono a risultati empirici che sono di immediato ausilio per chi, come gli alpinisti, devono affrontare ambienti caratterizzati da basse temperature. La descrizione degli esperimenti di Siple [ Paul A. Siple and Charles P. Passel, Measurements of Dry Atmosphere Cooling in Subfreezing Temperatures, Proceeding of the American Philosophical Society, 1945] è di grande interesse e anche divertente, ma vogliamo occuparci solo di ciò che è rimasto di quelle ricerche pionieristiche. I risultati sono stati sintetizzati in un equazione che lega la potenza perduta dall unità di misura dell epidermide alla temperatura (strumentale) ambientale e alla velocità del vento: ( 10 10, 45 )( e a ) ( 1) PR = u + u T T In questa T e indica la temperatura dell epidermide, T a la temperatura (strumentale) dell ambiente ed u la velocità del vento. I valori delle costanti sono tali che il potere si raffreddamento PR risulta espresso in kilocalorie per ora e metro quadro. Misurata la temperatura oggettiva T a e la velocità del vento, è possibile definire una temperatura equivalente T pc, in corrispondenza della quale si avrebbe la stessa dispersione termica. La situazione di riferimento è quella per la quale la temperatura dell epidermide è 33 C e il vento quello prodotto dalla pelle stessa per convezione ( u = 1,8 m/s). Pertanto, se la temperatura ambiente è Ta e il vento spira con velocità u, la temperatura percepita T pc è tale che ( 10 1,8 + 10, 45 1,8 )( 33 Tpc ) = ( 10 u + 10, 45 u)( 33 Ta ) ( ) Esplicitandola si ottiene T pc 10 u + 10, 45 u = a 3 ( T ) ( ) valida per velocità superiori a 1,8 m/s e temperature ambientali inferiori a 33 C. In condizioni normali e per le quote che interessano gli alpinisti, la temperatura diminuisce di circa 6 C ogni 1000 m di dislivello [J.V. Iribarne and H.R. Cho, Atmospheric Physics, Reidel Publishing Co. Dordrecht, 1980, p. 6]. Se allora indichiamo con H 0 la quota dello zero termico e con H una quota superiore, la temperatura da aspettarsi alla quota H è 6 T H H H 3 10 ( ) = ( ) ( 4) 0 Ad esempio, se il bollettino meteo assegna lo zero termico a 000 m di quota, che cosa dobbiamo aspettarci in cima al Cevedale (3769 m.s.m.)? 0

211 La temperatura oggettiva sarà T ( ) ( ) M. Cevedale. Sciatori-alpinisti sulla cresta sommitale = = 10,6 C 3 10 Ma se il bollettino prevede anche venti di forte intensità ( 0 m/s), la temperatura percepita sarà più bassa e precisamente, per la (3) Tpc , 45 0 = 33 ( ,6) = 37 C Condizioni che dovrebbero indurre a qualche riflessione prima di imbarcarsi nell impresa! 03

212 04

213 LA VERSIONE SCOLASTICA DI NEWTON Sugli assiomi di Newton si è esercita da tempo la critica dei fisici più dotati di sensibilità ermeneutica. Per esempio, H. Hertz nell introduzione ai suoi Prinzipien der Mechanik, del 1894: E molto difficile esporre ad ascoltatori attenti l introduzione alla meccanica senza imbarazzo, senza sentire il bisogno di scusarsi, senza sentire il desiderio di passare al più presto dai rudimenti agli esempi che parlano da sé. Credo fermamente che Newton stesso abbia sentito questo imbarazzo. Un aspetto della questione di rilevanza didattica è: la seconda legge, nella forma con cui Newton la enuncia nei Principia cioè Mutationem motus proportionalem esse vi motrici impressæ, et fieri secundum lineam rectam quam vis illa imprimitur è realmente equivalente alla forma in cui viene attualmente espressa, cioè F = ma? Tutto sta ad intendersi sul significato che diamo - e che Newton dava - a forza e accelerazione e non è detto che coincidano. Intanto, contrariamente alla leggenda diffusa dai peggiori manuali scolastici, l opinione prevalente tra gli intendenti è che il primo assioma di Newton non sia affatto un caso particolare del secondo, ma rappresenti piuttosto una definizione implicita di forza. Si potrebbe infatti riformulare nei termini seguenti: Se un corpo devia dal suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, allora significa che è soggetto all azione di una forza. Niente di più naturale, allora, adottare tale deviazione come misura della forza agente. E evidente che la Seconda Legge di Newton scolastica ha poco a che fare con la Seconda Legge che si trova enunciata nel preliminare capitolo dei Principia dedicato alle Definizioni. Per trovare una proposizione che ci dia qualche indicazione sul significato che Newton attribuiva alla forza è giocoforza affidarsi alle altre Definizioni: Definizione VII La quantità acceleratrice di una forza centripeta è la misura della medesima ed è proporzionale alla velocità che, in un dato tempo, essa genera. Definizione VIII La quantità motrice di una forza centripeta è la misura della medesima ed è proporzionale al moto che, in un dato tempo, essa genera. Facendo riferimento ad un pianeta in orbita circolare, la visione che espone Newton è la seguente. Se il pianeta non fosse soggetto ad una forza diretta verso il Sole proseguirebbe di moto rettilineo uniforme. Immaginiamo allora di spegnere questa forza per un tempo t, breve rispetto al periodo di rivoluzione e poi di fermare il pianeta per riportarlo, applicandovi la forza, sulla sua orbita (Fig.1). Se V è la velocità del pianeta sulla sua orbita, soppressa la forza centrale, nel tempo t, percorrerebbe il tratto PT= V t. Ma, giunto in T, si fa agire la forza che lo porta, nello stesso tempo, in P. E ovvio che Vt TP ' = R + ( Vt) R = R 1+ 1 R che poiché Vt <<R, si può mettere nella forma 1 Vt 1 V TP ' = R = t R R 05

214 P T S R P. Fig.1. La forza di attrazione è proporzionale alla deviazione TP. Si riconosce in questa l equazione della caduta con accelerazione V a = R Quindi UN DEBITO TP ' a Quali libri leggere, per prepararmi alla lettura dei Principia? chiede in una lettera a Newton nel 1691 Richard Bentley, professore al Trinity College. E Newton gli risponde che il testo più importante è quello che Hans Christian Huygens ha pubblicato nel quattordici anni prima della prima edizione dei Principia dedicato agli orologi a pendolo. All inizio della Horologii Oscillatorii, Pars Secunda, che tratta De descensu Gravium & motu eorum in Cycloide, Huygens pone tre assiomi ovvero Hypotheses: I Si gravitas non esset, neque aër motui corporum officeret, unun quodque eorum, acceptum semel motum continuatorum velocitate equabili, secundum lineam rectam. II Ninc vero fieri gravitatis afflictione, undecumque illa oriatur, ut moveantur motu composito, ex equabili quem habent in hanc vel illam partem, & ex motu deorsum à gravitate profecto. III Et horum utrumque seorsim considerare posse, neque alterum ab altero impediri. 06

215 Fig.. Illustrazione tratta dal De Horologium Oscillatorum di Huygens Illustra le ipotesi con un bel disegno dove i segmenti CD indicano la traiettoria (rettilinea) che un grave percorrerebbe in assenza di gravità e i segmenti DE la traiettoria che percorrerebbe sotto l azione della sola gravità (undecumque illa oriatur). Nelle ipotesi di Huygens possiamo leggere intanto il Principio d inerzia, che Newton enuncia nella forma Corpus omne perseverare in statu suo quiescenti vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur statum illum mutare. Vi si riconosce anche enunciato il principio dell indipendenza delle azioni simultanee: il moto di caduta non viene influenzato dalla componente orizzontale. Nella concezione di Huygens è la forza di gravità responsabile dello scostamento dal moto rettilineo uniforme; pertanto risulta naturale assumere questo scostamento come misura di tale forza. È quindi evidente che Huygens ha preceduto Newton nel concepire lo scostamento dal moto rettilineo uniforme (ovvero l accelerazione) come misura della forza, relativamente, però alla sola forza di gravità a livello del suolo, non nell accezione di forza di attrazione tra corpi, quale è invece propria di Newton. 07

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217 LA PRIMA FORMULAZIONE DELLA SECONDA LEGGE DI NEWTON E una delle tante bufale che pascolano indisturbate sui verdi prati della scuola quella secondo cui la seconda legge di Newton sia di Newton. Invano, infatti, la si cercherebbe nei Principia, dove la nozione di massa non compare nell enunciazione della seconda legge. Si pone allora la domanda: Ma chi è stato il primo ad enunciare la seconda legge nella forma che conosciamo ( e amiamo)? Risposta: E stato Eulero in un saggio pubblicato nel 1750, cioè 63 anni dopo la prima edizione dei Principia dal titolo inequivocabile: DÉCOUVERTE D UN NOUVEAU PRINCIPE DE MÉCANIQUE SPIEGAZIONE DEL PRINCIPIO GENERALE E FOND- AMENTALE DI TUTTA LA MECCANICA XX. Sia un corpo infinitamente piccolo, la cui massa sia riunita in un solo punto, tale massa essendo =M; che questo corpo abbia ricevuto un movimento qualunque, & che sia sollecitato da delle forze qualsiasi. Per determinare il moto di questo corpo, basta considerare solo l allontanamento di questo corpo da un piano qualunque fisso e immobile; sia all istante presente la distanza del corpo da questo piano =x; si decompongano le forze agenti sul corpo, secondo delle direzioni, che siano o parallele al piano, o perpendicolari, & sia P la forza che risulta da questa composizione nella direzione perpendicolare al piano & che tenderà di conseguenza ad allontanare o ad avvicinare il corpo al piano. Dopo l elemento di tempo dt, sia x + dx la distanza del corpo dal piano, & prendendo questo elemento dt come costante, sarà M ddx = ± P dt A seconda che la forza P tenda o ad allontanare o ad avvicinare il corpo al piano. E questa sola formula che racchiude tutti i principi della Meccanica. 09

218 A dirla tutta, non è che questa formulazione coincida con quella che si trova sui manuali; vi è un a cui non siamo abituati. Viene fuori dal fatto che l accelerazione di Eulero non è esattamente la nostra. Si prenda un sasso e lo si lasci cadere da un altezza H. La velocità che raggiunge è, com è noto, v = ah Se lo lasciamo cadere da un altezza H = v Ma cosa dici? Come fa un altezza essere uguale ad una velocità? Numericamente, intendo. Se H = v dalla precedente si ricava v = a L accelerazione di caduta è la metà della velocità finale ( e qui ci risiamo con la questione delle dimensioni) Il fatto è che il Leo(nardo) misura l accelerazione con il doppio della velocità raggiunta su un percorso lungo quanto la velocità. Anche questo contribuisce a rendere l idea di quanto sia stata importante la semplificazione introdotta dall adozione dei sistemi di unità di misura e del calcolo dimensionale. Nevvero? 10

219 LA LEGGE DI NEWCOMB-BENFORD DICHIARAZIONE D INTENTI Alla base di questo lavoro vi è una considerazione banale: perché nella realtà si incontrano più cose piccole che cose grandi? Per esempio, se si osserva uno di quei ghiaioni caratteristici delle Dolomiti, il numero dei sassi piccoli è enormemente maggiore di quello dei macigni. La risposta più ovvia è che, mentre i macigni si possono frantumare in sassi, i sassi non possono conglomerarsi in macigni. La risposta è un modo di fare appello al Secondo Principio della Termodinamica: l entropia di un cumulo di ghiaia è superiore a quella della stessa cementata a formare un solo masso. È tuttavia, una risposta non del tutto convincente, perché la stessa osservazione si può estendere a una grande quantità di aggregati molto diversi e, nella sua forma quantitativa, prende il nome di Legge di Benford. Scopo di questo lavoro è di proporre una versione di tale legge utilizzabile a fini didattici nell ambito della fisica. UNA NOSTALGICA PREMESSA C erano una volta le Tavole dei logaritmi che consentivano di passare dai numeri ai loro logaritmi decimali. A scuola non si facevano calcoli, quindi nessuno si rendeva conto dell utilità dei logaritmi come strumenti di calcolo; per cui si era verificata una curiosa inversione: i calcoli fornivano una giustificazione all uso delle tavole dei logaritmi. Tutto ciò venne spazzato via in parte dalla diffusione dei regoli calcolatori prima e, definitivamente, delle calcolatrici. Log Prima di Per calcolare un logaritmo si procedeva così. Mettiamo di dover calcolare ( ) 3 tutto lo si scrive nella forma ( 3, ) 3 Log ( 3,578) + Log ( 10 ) = 3 + Log ( 3,578) Log che, per le note proprietà, diventa Il valore di Log ( 3,578) era fornito dalle tavole, per cui alla fine Log ( 3578) = 3 + 0,5536 La parte intera era detta caratteristica, la decimale mantissa. Pertanto, l uso delle tavole prescindeva dall ordine di grandezza, perché la mantissa era indipendente dalla caratteristica. BREVE STORIA DELLA LEGGE DI BENFORD La storia parte dal 1881, quando l astronomo S. Newcomb nel 1881 fu colpito dal fatto che le pagine delle tavole dei logaritmi maggiormente consumate erano quelle relative ai numeri che cominciano con la cifra 1. Newcomb si chiese per quale motivo i logaritmi dei numeri che iniziavano con 1 o erano più utilizzati di quelli che iniziavano con cifre superiori. A questa osservazione si accompagnava una riflessione: in una tavola di anti-logaritmi, la parte finale sarebbe più usata della prima, o ogni parte verrebbe usata nello stesso modo? [1]. Nel breve articolo che scrisse per l American Journal of Mathematics, sulla base di semplici considerazioni, arrivò alla conclusione che ogni parte di una tavola di anti-logaritmi verrebbe utilizzata con la stessa frequenza. ovvero che la probabilità della presenza dei numeri è tale che le mantisse dei loro logaritmi siano egualmente probabili. [] 11

220 Da questo assunto - che la distribuzione dei logaritmi sia uniforme discende una inaspettata conseguenza: che la probabilità che la prima cifra significativa, nel risultato di una misura, sia c è data da ( ) = Log 1+ ( 1) P c 10 1 c In particolare, che la cifra più probabile sia 1, con circa il 30% di probabilità. Newcomb non presentò nessuna prova empirica o dimostrazione teorica di questa regola cosicché a proposito della (1) sarebbe appropriato parlare più di congettura di Newcomb piuttosto che di legge. L articolo di Newcomb passò quasi inosservato e dovettero passare 57 anni perché un fisico della General Electric, Frank Benford, notasse lo strano logoramento ineguale delle tavole dei logaritmi. Tuttavia, a differenza di Newcomb, si impegnò per diversi anni a raccogliere dati di varia natura, per cui l articolo che pubblicò nel 1838 sui Proceedings of the American Philosophical Society era basato su più di 0 mila dati osservativi [3]. Mostrava che la distribuzione delle cifre seguiva con molta approssimazione quella logaritmica, e poiché questa volta non passò inosservata, divenne nota come legge di Benford. Diventò infine oggetto di ricerca di diversi matematici negli anni 70 del secolo scorso [4] Al centro si pose il problema di spiegare perché una legge di carattere empirico corrispondesse (quasi sempre ) tanto bene alle osservazioni sperimentali [5]. La spiegazione di Benford rappresenta uno dei filoni di ricerca. Mettiamo di dover contare degli oggetti e di aver raggiunto il numero Fino a questo punto la distribuzione delle prime cifre dei numeri sarà pressoché uniforme: ciascuna cifra sarà presente nella percentuale dell 11% dei numeri. Ma se continuiamo a contare fino a raggiungere 19999, tutti i numeri che verranno dopo cominciano con la cifra 1, cosicché la frequenza salirà al 55% circa, mentre le frequenze degli altri caleranno in proporzione. Tuttavia, arrivati che siamo a 99999, la prima cifra non sarà più 1 e, di conseguenza, la sua frequenza scenderà di nuovo verso l 11%. Benford dimostrò che il valor medio della frequenza degli 1 come prima cifra è 30,1%, come previsto dalla (1). Un argomentazione analoga porta a dimostrare che la (1) vale anche per le cifre successive. Un altra ipotesi sulla quale si sono basate altre ricerche è quella dell invarianza di scala. Questa esprime l idea intuitiva che se esiste una legge universale di distribuzione delle cifre significative, allora questa dev essere indipendente dal sistema adottato di unità di misura. Tuttavia, una possibile obiezione all ipotesi dell invarianza di scala nelle tavole delle costanti universali è il ruolo particolare giocato dalla costante 1. Il fatto che i volumi si misurino in m 3 discende dalla scelta di adottare come unità di misura dei volumi un cubo che ha lo spigolo di lunghezza unitaria. E questa scelta che giustifica la relazione 3 V = l per il cubo di spigolo l. Ma se scegliessimo come unità di volume la sfera che ha il metro come diametro, il volume del cubo sarebbe 6 V = l π 3 e il cambiamento di scala comporterebbe una variazione della legge di distribuzione. Riportiamo in appendice la deduzione della legge di Benford secondo Hill. UN APPLICAZIONE EMPIRICA DELLA LEGGE DI BENFORD 1

221 Se abbiamo una sorgente di numeri a caso le frequenze con cui si presentano le prime cifre dei numeri dovrebbero essere uguali per tutte le cifre dall uno al nove; cioè le frequenze dovrebbero 1 essere 11% 9 = per tutte. Questo è ciò che suggerisce l intuizione sulla base di una sorta di innato senso della pari opportunità. Se però prendiamo in esame una collezione di numeri raccolti da misure effettivamente fatte, ci accorgiamo che le cose non stanno in questi termini. Per esempio, se prendiamo una qualsiasi Tabella delle Costanti Fisiche come la seguente che abbiamo ricavato dal famoso prontuario di Abramovitz e Stegun [6], ci rendiamo facilmente conto che la distribuzione delle prime cifre non è uniforme. TAB.1. VALORI DELLE COSTANTI FISICHE NEL S. I. [Abramovitz and Stegun, Handbook of Mathematical Functions, Dover Publications] 13

222 Speed of light, ^(8) m/s Elementary charge 1, ^(-19) C Avogadro constant 6, ^(3) Atomic mass unit 1, ^(-7) kg Electron rest mass 9, ^(-31) kg Proton rest mass 1, ^(-7) kg Neutron rest mass 1, ^(-7) kg Faraday constant 9, ^(4) C/mol Planck constant 6, ^(-34) J*s Fine structure constant 7, ^8-3) Charge to mass ratio for electron 1, ^(11) C/kg Quantum-charge ratio 4, (-15) Js/C Compton wavelength of electron, ^(-1) m Compton wavelength of proton 1, ^(-15) m Rydberg constant 1, ^(7) 1/m Bohr radius 5, ^(-11) m Electron radius, ^(-15) m Gyromagnetic ratio of proton, ^(8) rad/s T Bohr magneton 9, ^(-4) J/T Nuclear magneton 5, ^(-7) J/T Proton moment 1, ^(-6) J/T µp/µn, ^(0) Gas constant 8, ^(0) J/ K mol Normal volume perfect gas, ^(-) m^3/mol Boltzmann constant 1, ^(-) J/K First radiation constant 4, ^(-4) J m Second radiation constant 1, ^(-) K m Stephan- Boltzmann constant 5, ^(-8) W/m^ K^4 Gravitational constant 6,673 10^(-11) N m^/kg^ Si osserva che nei valori delle costanti, tra le prime cifre la più frequente è 1: compare 10 volte su 9. Percentualmente corrisponde ad una frequenza del 34%. E ragionevole pensare che questa inspiegabile abbondanza di 1 sia dovuta alla scelta delle unità di misura. Potremmo, legittimamente, cambiare alcune delle unità. Per esempio passare dal Sistema Internazionale al Sistema Britannico, nel quale le distanze si misurano in yard (yd) e le masse in libbre (lb). Tale passaggio non è agevole perché, dal fatto che 1m = 1,0936 yd 1kg =, 046 lb discende che lb yd 1J =, 6366 s 3 1mole =, lb mole Se si fa il passaggio al nuovo sistema di unità si arriva al risultato seguente: TAB.. VALORI DELLE COSTANTI FISICHE NEL SISTEMA yd, libbre, s 14

223 Speed of light 3, ^(8) yd/s Elementary charge 1, ^(-19) C Avogadro constant 6,06 10^(6) Atomic mass unit 3, ^(-7) lb Electron rest mass, ^(-30) kg Proton rest mass 3, ^(-7) kg Neutron rest mass 3,695 10^(-7) kg Faraday constant 4, ^(7) C/lb-mole Planck constant 17,47 10^(-34) lb yd^/s Fine structure constant 7, ^8-3) Charge to mass ratio for electron 0, ^(11) C/lb Quantum-charge ratio 1, (-14) lb yd^ / s C Compton wavelength of electron, ^(-1) yd Compton wavelength of proton 1, ^(-15) yd Rydberg constant 1, ^(7) 1/yd Bohr radius 5, ^(-11) yd Electron radius 3, ^(-15) yd Gyromagnetic ratio of proton 1, ^(8) rad C/ lb Bohr magneton 11, ^(-4) C yd^/s Nuclear magneton 6, ^(-7) C yd^/s Proton moment 1, ^(-6) C yd^/s µp/µn, ^(0) Gas constant 9, ^3 lb yd^/ s K lb-mol Normal volume perfect gas 1, ^(1) yd^3/lb-mol Boltzmann constant 3, ^(-) lb yd^/ s K First radiation constant 14, ^(-4) lb yd^3/s^ Second radiation constant 1, ^(-) K yd Stephan- Boltzmann constant 1, ^(-7) lb/ s^3 K^4 Gravitational constant 3, ^(-11) yd^3/ s^ lb La tabella ci consente di scoprire una fatto sorprendente: il numero delle grandezze che hanno 1 come prima cifra è 1 volte su 9, come a dire il 41%. Questa osservazione pone ai fisici una domanda fondamentale: l anomala frequenza della cifra 1 rispetto alle altre è manifestazione di una legge di natura che non conosciamo o, piuttosto, è conseguenza del nostro modo di rappresentare le grandezze fisiche? Potremmo anche operare un mutamento più drastico. Infatti, se è vero che quelle riportate sono costanti, allora sono costanti anche i loro reciproci che riportiamo nella tabella 3. TAB. 3. RECIPROCI DELLE COSTANTI 15

224 Speed of light, ,3 Elementary charge 1, , Avogadro constant 6,0169 1,7 Atomic mass unit 1, ,0 Electron rest mass 9, ,1 Proton rest mass 1, ,0 Neutron rest mass 1,6749 6,0 Faraday constant 9, ,0 Planck constant 6, ,5 Fine structure constant 7, ,4 Charge to mass ratio for electron 1, ,7 Quantum-charge ratio 4,135708,4 Compton wavelength of electron, ,1 Compton wavelength of proton 1,3144 7,6 Rydberg constant 1, ,1 Bohr radius 5, ,9 Electron radius, ,5 Gyromagnetic ratio of proton, ,7 Bohr magneton 9, ,1 Nuclear magneton 5,050951,0 Proton moment 1,4106 7,1 µp/µn,7978 3,6 Gas constant 8, , Normal volume perfect gas,4136 4,5 Boltzmann constant 1,3806 7, First radiation constant 4,99579,0 Second radiation constant 1, ,0 Stephan- Boltzmann constant 5, ,8 Gravitational constant 6,673 1,5 L inversione porta ancora ad una inattesa abbondanza di numeri che hanno l 1 come prima cifra: 11 su 9 che corrisponde al 38 %. L osservazione è stata segnalata già negli anni 90 da J. Burke ed E. Kincanon [7] Sono stati questi autori a mettere per primi in rapporto l anomala abbondanza di 1 nella tabella delle costanti fisiche con la legge dei numeri anomali di Benford. BIBLIOGRAFIA [1] Newcomb S., Note on the Frequency of the Use of Digits in Natural Numbers, Amer. J. Math. 4, (1881). [] Newcomb S., op. cit. [3] Benford F.(1938), The law of anomalous numbers, Proceedings of the American Philosophical Society, 78, [4] Raimi R., The peculiar distribution of first digits, Scientific American,,109 ( December 1969) [5] Hill, T.P., The First Digit Phenomenon, American Scientist, 86, , [6] Abramovitz and Stegun, Handbook of Mathematical Functions, Dover Publications, [7] Burke J. and Kincanon E., Benford s law and physical constant: The distribution of initial digits, Am.J. Phys., Vol.59, No.10, October 1991] APPENDICE: UNA DEDUZIONE DELLA LEGGE DI BENFORD 16

225 La legge di Benford si applica ai dati raccolti sperimentalmente e che sono dotati di dimensione fisica, cioè non vale per i numeri puri. Ora, l osservazione di partenza è che, ammesso che esista una legge di distribuzione della frequenza delle cifre, allora questa legge dev essere invariante per un cambio arbitrario di unità di misura. Questo si esprime con la condizione che P( kx) = f ( k) P( x) dove k è il fattore di scala, P(x) indica la probabilità associata alla cifra e f(k) una qualsiasi funzione del fattore k. L integrale della distribuzione di probabilità dev essere uno, cioè ( ) 1 P x dx = e pertanto = 1 = 1 k k P( kx) dx P( kx) d ( kx) dal che si trae che f ( k) = 1 k per cui k P( kx) = P( x) Differenziando rispetto a k, ( ) P( kx) + kp ' kx x = 0 che, prendendo uguale ad 1 il fattore di scala, fornisce P x x P x ( ) = '( ) C è una sola funzione che soddisfa a questa condizione : P( x) 1 = x Questa non è propriamente una distribuzione di probabilità, perché diverge; tuttavia le grandezze fisiche che si misurano impongono delle limitazioni. Se tra i due estremi dei vali cadono molte potenze di 10, allora la probabilità che la prima cifra sia c è espressa da c+ 1 1 dx c + 1 ln 1 ( ) c x c P c = = = Log ln ( 10) c dx x 1 17

226 18

227 L INSPIEGABILE EFFICACIA DEL QUADRATO NELLA LEGGE DI GRAVITAZIONE Può succedere nelle conferenze: l imbarazzato silenzio che segue l informazione rituale ( che il relatore è disponibile a rispondere alle domande del pubblico ) viene interrotto da una persona che non si capisce se consapevolmente o no piazza lì una domanda diabolica. Forse aspettava da tempo l occasione migliore per l agguato. Nel mio caso si concretizzò in una domanda che aveva l aspetto di un confetto rivestito di zucchero, a nascondere il tossico più amaro: - Nella legge di gravitazione universale di Newton, la distanza compare elevata alla seconda potenza. E qui fece pausa, a pregustare il piacere della pugnalata che ne seguì: - Come siamo sicuri che di tratti propriamente di un e non piuttosto di un 1,99 o di un,001? Mai accettare caramelle dagli sconosciuti! L oratore è bravo se riesce a nascondere l imbarazzo, mentre rovista ansiosamente nella cassetta degli attrezzi allo scopo di cavarne in pochi secondi i ferri che gli consentano di mettere insieme una risposta adorna almeno de più sobri ed elementari crismi attraverso i quali si manifesta la scientificità. Dopo aver trascorso un congruo periodo di tempo a letto (come don Abbondio) con la scusa dell influenza, ma in realtà allo scopo evitare domande (anzi: risposte) imbarazzanti, proponiamo alcune delle possibili, che si rifanno ad aspetti diversi della questione, senza la pretesa di averne compiuta una disamina esaustiva, né di metterle, tra loro, in congiunzione o opposizione. RISPOSTA 1 (Di carattere storico). La grande rivoluzione l aveva compiuta Galileo molti decenni prima, quando aveva dichiarato che La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l universo), ma non si può intendere se prima non s impara a intender la lingua e conoscer i caratteri, ne quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, 19

228 ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto [Il Saggiatore]. Ma Galileo non era stato il solo, perché la sintesi di Keplero, circa i moti planetari, aveva diffuso la convinzione che per parlare di astronomia fosse necessario conoscerne la lingua, ch è la geometrica. Come Galileo, Newton apprezzava la matematica applicata ai fenomeni fisici terresti( caduta dei gravi, relazione tra periodo del pendolo e la sua lunghezza, ecc.), purché espressa in linguaggio geometrico classico. A tal punto che nei Principa non compare una sola formula algebrica. Il suo programma di ricerca è trovare una legge di forza che, nell ambito della sua meccanica, implichi le tre di Keplero. Pertanto, il genio di Newton si esprime nell elevare le regole empiriche di Keplero a Leggi Universali che devono trovare spiegazione nella sua nuova meccanica basata sul concetto di accelerazione assoluta e di sistema di riferimento inerziale. Del resto, anche le leggi sul moto dei gravi di Galileo o quelle sulla resistenza dei corpi sono di secondo grado o, al massimo, sesquilatere. Nessuna meraviglia, quindi, che Newton ipotizzi una legge di forza in cui l attrazione diminuisce come il quadrato della distanza: condizione necessaria e sufficiente affinché i pianeti descrivano ellissi intorno al Sole, i rapporti dei (quadrati) dei periodi siano proporzionali ai (cubi) dei rapporti delle distanze,ecc. RISPOSTA (Di carattere storico - epistemologico). Per la verità vi è un altro motivo ed è che questa relazione sta alla base di quello che Chandraseckhar definì superbo teorema di Newton [Newton s Principia for the Common Reader, 1995 ]. Un teorema di cruciale importanza per il confronto tra la gravità terrestre (caduta della mela) e l orbita lunare. Il superbo teorema è quello che afferma che una distribuzione sferica (e simmetrica) di massa attrae un corpo esterno come se tutta la massa fosse concentrata nel centro della sfera e venne connotato come Proposizione 71 del Libro I nell edizione del Se la dipendenza della forza dalla distanza fosse stata (anche di poco) diversa dal quadrato, non esisterebbe nessun superbo teorema e la meccanica celeste sarebbe molto più difficile di quanto non sia realmente e forse non esisterebbe neppure, perché è saggio per l uomo affrontare i problemi che presentano qualche ragionevole possibilità. Qualcosa di analogo a ciò che mi confidò un grande uomo (Bruno Detassis) : l essenza dell alpinismo è la ricerca del facile nel difficile. RISPOSTA 3 (Di carattere epistemologico). Quando affermo che l accelerazione di un corpo che cade liberamente verso la Terra a distanza r dal centro della Terra ( di massa M) è M a = G r che cosa intendo dire? L affermazione è valida solo in un sistema di riferimento in quiete rispetto al corpo centrale. Infatti, se il corpo è un astronave in caduta libera, sede di un laboratorio, i fisici che lo abitano non hanno alcuna possibilità di rilevarla, questa accelerazione. Quindi è un affermazione valida in un sistema e non valida in un altro che, quanto ad inerzialità non ha niente da invidiare al primo. Forse è semplicemente l enunciazione del superbo teorema e, in tal caso, contiene la legge della superficie della sfera (di Archimede). Quella che afferma che la superficie è proporzionale al quadrato del raggio. Giusto! Ma perché risulta sorprendente sentir dire che la forza va con l inverso del quadrato della distanza, mentre non genera alcuna meraviglia scoprire che la superficie della sfera va con quadrato del raggio? Forse la legge di Newton, in modo diverso, è una proposizione che descrive una proprietà dello spazio: quella, sorprendente, per la quale le superfici vanno con il quadrato delle dimensioni. 0

229 Sa che cosa le dico, egregio signore? (Alzando educatamente la voce) Lei non ha alcun diritto di porre la sua domanda! A meno che non l accompagni (debitamente certificata) con un equivalente meraviglia (e stupore) davanti all asserto (incroyable!) del Siracusano: S = 4π r 1

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231 L INSPIEGABILE EFFICACIA DELLA LEGGE DI OHM E una delle più popolari, sia presso gli allievi che i compilatori di manuali scolastici. Sarà per la forma dimessa e l ampia gamma di applicazioni (con le resistenze in serie e in parallelo) ma, soprattutto, perché non ammette dubbi: la tensione è proporzionale all intensità di corrente: V = R i ( 1) Per la verità, sarebbe bene sottolineare il fatto che la, legge di Ohm non è, a rigore, una legge dell elettromagnetismo, in quanto non discende dalle equazioni di Maxwell. Si tratta di una legge empirica che descrive in maniera soddisfacente il comportamento di un ampia classe di materiali in relazione al passaggio della corrente elettrica. Qualche lume si può ricavare scrivendola, com era in uso presso i fisici ottocenteschi, nella forma 1 S i = V ρ L ( ) (con i tradizionali simboli) che ingloba quella che va sotto il nome di seconda legge di Ohm. S u Se assimiliamo la corrente elettrica ad un flusso di elettroni e indichiamo con n la loro densità numerica, con e la loro carica e con u la velocità di deriva, la corrente è espressa da i = n e S u ( 3) E inserendo questa nella () si ottiene 1 V 1 n e u = = E ρ L ρ ( 4) dove E indica, com è tradizione, l intensità del campo. Da questa si ricava F = ρn e u ( 5) avendo indicato con F la forza agente sull elettrone. Finalmente, questa è la forma che rivela il carattere scandaloso della legge di Ohm: la forza agente sulla carica non è proporzionale all accelerazione ( che non c è), ma alla velocità di deriva u. Il modello classico della conduzione elettrica fu proposto da Paul Drude nel 1900 ed è quello attualmente descritto in tutti manuali scolastici. Si assimila il metallo ad un reticolo di ioni positivi all interno del quale si trova un gas di elettroni. Leggiamo che cosa scriveva il grande teorico J.M. Ziman ( ) nel 1963 a proposito del modello: E tipico dei fisici moderni erigere grattacieli di teoria sulle fragili fondamenta di modelli scandalosamente semplici. Abbiamo una distribuzione di ioni, ciascuno dotato di carica sufficiente a legare un elettrone libero, e un ugual numero di elettroni che sembrano capaci di muoversi tra uno ione e l altro. Ma poi ci scordiamo degli ioni e ragioniamo come se non ci fossero per niente. 3

232 O meglio, li spalmiamo su uno sfondo uniforme di carica positiva una sorta di gelatina nella quale gli elettroni si muovono liberamente. Abbiamo bisogno di questa gelatina perché il sistema sia elettricamente neutro, perché altrimenti gli elettroni verrebbero sparati via dalla repulsione colombiana. [Ziman, Electrons in Metals, Taylor and Francis, 1963] Perché il modello renda conto della legge di Ohm è necessario trovare un meccanismo di resistenza al moto. Questo non può essere che rappresentato dagli urti anelastici contro gli ioni. Consideriamo un elettrone (carica e) libero sotto l azione del campo elettrico E. ee Se l azione della forza dura un tempo τ, per la legge di Newton ee τ = m u ( 6) dove u è la velocità acquistata dall elettrone sotto l azione della forza ee. Se questa la confrontiamo con la (3) otteniamo V m L = i ne τ S ( 7) che è, per l appunto, la legge di Ohm. Prendiamo, come esempio, un filo di rame di 1 mm di diametro, percorso da una corrente di 1 A. 3 g Poiché la densità del rame è ρcu = 8,96 10 e la massa molare 3 mm g MCu = 63,5, ne discende che in un mm 3 19 di rame ci sono 8,5 10 molecole, ovvero mole 19 molecole n = 8, ( 8) mm che si assume essere uguale alla densità degli elettroni. Dalla (3) si ricava la velocità di deriva: i 1 mm u = = = 0,09 n e S ,5 10 1,6 10 0,8 s Questa è ben minore della velocità di agitazione termica degli elettroni che si ricava dalla legge di Boltzmann: 1 3 mv = kt ( dove k è la costante di Boltzmann) dalla quale k R m v = 3 T = = 1, 10. m 3 10 s Abbiamo detto che in 1 mm 3 di rame ci sono 8,5 X molecole. A ciascuna compete un volume. 4

233 1 8, mm = 1, 10 mm e la distanza tra due molecole è , 10 mm =,3 10 mm =,4 A L elettrone la percorre in un tempo 10, τ = = , 10 La resistività del metallo si ricava dalla (7): 31 ( ) ( ) s m ρ = = = 10 Ω m 8 19 ne τ 15 8,5 10 1,6 10 1,9 10 La resistività del rame tabulata è 8 ρ = 1,6 10 Ω m Tra quella calcolata col modello di Drude ( che è migliorabile) e la resistività misurata vi è almeno un fattore 10 di differenza. Ci limitiamo a riportare due sole osservazioni. La prima è che non è (del tutto) corretto trattare il gas di elettroni come un gas ideale. Per un gas ideale la densità numerica delle molecole si ricava dall equazione caratteristica: n = pa RT ( 9) dove A è il numero di Avogadro. In condizioni normali di temperatura e di pressione, 5 3 n 10 m 10 ( ) mentre la densità elettronica (8) vale 8 3 n 9 10 m 11 ( ) La densità elettronica è 5000 volte maggiore di quella di un gas. Una seconda osservazione è che le molecole di un gas sono elettricamente neutre e non interagiscono tra loro se non per contatto; tra gli elettroni opera l interazione colombiana. Si vada a rileggere l osservazione di Ziman che di queste cose se ne intendeva: il modello di Drude è scandalosamente rozzo. 5

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235 UN LIMITE AL RENDIMENTO DELLE MACCHINE IDRAULICHE IN UN TESTO DI FINE 700 INTRODUZIONE Molto prima che Carnot si occupasse del rendimento massimo di una macchina termica, e raccogliesse i risultati delle sue riflessioni nella memoria Réflexions sur la puissance motrice du feu (184), il problema del rendimento delle macchine mosse dal vento o dall acqua rappresentava un campo attivo di ricerca. Lo testimonia una trattazione riportata in un manuale della fine del XVIII secolo, che dobbiamo ai toscani Stanislao Canovai e Gaetano del Ricco, padri scolopi, pubblicato a Firenze nel 1784, e doverosamente dedicato ai membri della potente famiglia degli Asburgo- Lorena, principi di Toscana.[1] Non si tratta di un testo che mira alla formazione di speculatori astratti, ma piuttosto di tecnici e ingegneri. Infatti, l esposizione è di frequente focalizzata sulla descrizione delle macchine meccaniche e idrauliche, intendendo con queste ultime quelle mosse da ruote ad acqua. Del resto, nel Discorso Preliminare dell opera, gli autori dichiarano lo scopo del loro lavoro: Ma quando l istruzione è principalmente diretta a formar dei Periti che il pubblico possa all occorrenza impiegar con fiducia e con vantaggio non è più lecito ai Professori o di sopprimer le cose più necessarie o di far pompa di insolite e dubbie ipotesi Quanto poi all idraulica, ella interessa sì da vicino la salute e i comodi della Società, e potrebbero costar sì cari al cittadino i tentativi arditi di una equivoca teoria, che è molto meglio passare in silenzio tutti i sistemi ingegnosi onde si lusingò taluno di aver fissate una volta l ignote leggi dell acque correnti Ciò che colpisce, sfogliando queste pagine, è l ingegnoso tentativo di cercare per le macchine idrauliche un limite assoluto del rendimento analogo a quello stabilito da Carnot per le macchine termiche, e constatare che non è lontano da quello attualmente accettato, stabilito solo nei primi decenni del RENDIMENTO DI UNA TURBINA Chi si occupa di energie alternative, ovvero della conversione di energia dal vento e dall acqua in lavoro meccanico ha presente che questa conversione è limitata da quello che è noto come limite di Betz. Il teorema di Betz [Albert Betz, ] stabilisce il rendimento massimo di una turbina che viene azionata dalla corrente di un fluido []. La dimostrazione classica è piuttosto semplice. v 1 v Fig. 1. Schema di una turbina idraulica 7

236 Partiamo dalla constatazione che la velocità v della corrente a valle della turbina dev essere minore della velocità v 1 a monte. Facciamo anche l ipotesi che la velocità del fluido nella posizione della turbina sia la media delle due velocità: v = v + v ( ) 1 1 Pertanto, la massa di fluido che passa attraverso la turbina nell unità di tempo sarà dm dt = ρsv ( ) se ρ indica la densità del fluido ed S l area del rotore. La potenza trasportata dalla corrente a monte è P m = 1 dm v dt 1 ( 3) mentre a valle è P v = 1 dm v dt ( 4) La potenza ceduta al rotore è quindi 1 dm P = v v dt ( 1 ) ( 5) che, tenendo conto della (1) e della (), diventa ( 1 ) ρ ( 1 )( 1 ) ( 6) 1 1 P = ρsv v v = S v v v + v 4 Il rendimento della turbina è quindi ( 1 )( 1 ) 3 v1 1 1 P 1 v v v + v 1 v v = = Pm v v ( ) Possiamo allora chiederci per quale valore del rapporto tratta di derivare rispetto ad x la funzione x v = tale rendimento è massimo. Si v1 8

237 P P m = x + [ x] ( ). Si ottiene ( ) 3x + x 1 = 0 9 da cui x = 1 3 ( 10) Sostituendo questo nella (8) si ottiene il rendimento massimo della turbina: P P m Max 16 = 7 ( 11). Si tratta di un risultato di grande valore ottenuto, come dicevamo, da Albert Betz nel 1919, a cento anni di distanza dal teorema di Carnot che stabilisce un limite per il rendimento delle macchine termiche. 9

238 Fig.. Il frontespizio del manuale di Fisica Matematica di Canovai e Del Ricco. ARGOMENTAZIONE DI CANOVAI E DEL RICCO ESPOSTA IN TERMINI MODERNI La lettura delle pagine di Canovai e del Ricco, per quanto semplice dal punto di vista matematico e caratterizzata da grande efficacia didattica, può risultare ostica ad un lettore moderno a causa della diversa terminologia e anche dei simboli inusuali. Tuttavia, raschiando appena sotto la superficie, si ritrova la nostra consueta meccanica elementare. Conviene pertanto darne un esposizione nel linguaggio che ci è familiare. Consideriamo la ruota idraulica di raggio h e di questa una sola pala, immersa in acqua corrente con velocità χ. 30

239 g r h f x Fig.3. Schema di una ruota ad acqua nell esposizione di Canovai e Del Ricco In figura è indicata con f la forza esercitata dall acqua sulla pala, che si muove con velocità x. La forza resistente r è applicata ad una distanza g dal fulcro e si sposta con velocità c. Pertanto il momento della forza resistente è r g e la potenza associata r c. Poiché la velocità angolare è la stessa, le velocità dei punti di applicazione delle due forze stanno nello stesso rapporto dei bracci: x h c = g ( 1) Gli autori partono dall ipotesi che la forza esercitata dal fluido sia proporzionale al quadrato della velocità e all area della pala. Poiché la velocità dell acqua relativa alla pala è χ x, la forza esercitata su di essa sarà f = Sρ χ x ( ) ( 13) dove S indica l area della pala e ρ la densità del fluido. Ma l equilibrio si richiede l uguaglianza dei momenti, onde f h = r g ovvero c f h = r g = rh x da cui r c = f x ( 14) ( 16) ( 15) che esprime la conservazione della potenza P. Pertanto ( ) ( 17) P = Sρ χ x x χ 31

240 Per trovarne il massimo si segue la procedura solita: dp = S ρ χ x x + χ x 18 dx che si annulla per ( ) ( ) ( ) ( ) 3x 4χ x + χ = 0 19 cioè per x 1 χ 3 ( 0) =. La potenza trasmessa è massima quando la velocità della pala è 1/3 della velocità dell acqua. La potenza massima è quindi PMax 4 3 = Sρ χ 7 ( 1) Poiché la potenza che arriva sulla pala nell unità di tempo è P = Sρ χ ( ) potremmo anche dire che il massimo rendimento è P P 8 = 7 ( 3) 0 Max cioè la metà di quanto è stabilito dal teorema di Betz. 3

241 3. LA DIMOSTRAZIONE ORIGINALE DI CANOVAI E DEL RICCO Queste macchine hanno d ordinario una gran ruota che ricevendo l urto della corrente trasmette il moto alle varie parti dell edifizio. Nella circonferenza ADG di questa ruota si fissano stabilmente delle ali o tavole AB, DE, GF, ec. che per lo più sono normali al piano della ruota e rettangolari: l acqua correndo incontra successivamente quest ali e costringe la ruota ad aggirarsi con una certa forza che dipende insieme dalla posizion dell ali, dal loro numero, dalla lor grandezza e dalla proporzione delle celerità della ruota e dell acqua. Sia pertanto r la massa o la resistenza da vincersi, c la celerità uniforme di essa e g la sua distanza dal punto d appoggio; sia χ la celerità media dell acqua, x la cercata celerità uniforme della ruota, AB = a l ala o piano che riceve dall acqua un urto diretto f, e CO = h la distanza del centro C della ruota dal centro O di quest urto; dunque χ x è la celerità residua del fluido ed rc è la quantità di moto della resistenza, che perciò dovrà essere un massimo. Se si supponga che un piano qualunque b esposto normalmente all acqua, riceva da essa l urto o forza ϕ, si avrà f = ϕ ed a ( χ x) bχ 33

242 f a ( χ x) = ϕ : bχ ma dall equilibrio che in ciascun istante si produce e si distrugge tra la resistenza e la forza, abbiamo ( χ x) a rg = fh = ϕh bχ e dal moto uniforme di ambedue viene c = x onde g g h c h x = ; dunque rc = a ( χ x) bχ ϕx che dee essere un massimo. Si differenzi pertanto questa espressione e si avrà ( ) χ 4χ + 3 d rc x x = aϕ = 0 dx bχ cioè 4χ x χ χ = 3 3 e perciò x = χ ± χ 3 Il segno + dà x = χ o la celerità della ruota eguale a quella dell acqua, valore che non serve, mentre allora cesserebbe ogn urto, ma il segno dà x = χ 3 massimo cercato, da cui si vede che per avere il più grande effetto della ruota bisogna che la sua celerità sia 1 3 di quella dell acqua; e l esperienza infatti poco scostandosi dalla teoria fa giungere la celerità della ruota a χ. Sostituito il valore di x e fatto b = a, si trova la quantità di moto 5 34

243 ( χ x) aϕ x 4 rc = = ϕχ, bχ 7 e poiché chiamando d l altezza dovuta alla celerità χ dell acqua, si ha la forza della pressione o urto diretto ϕ = adγ sarà finalmente il valore assoluto del cercato massimo rc = 4 ad χγ 7 cioè la ruota produce il suo massimo effetto quando è capace di imprimere la celerità χ della 4 ad corrente al prisma d acqua OSSERVAZIONI SUL TESTO Il lettore che affronta il testo di Canovai e Del Ricco con un ritardo di 00 anni dev essere avvertito che il linguaggio è cambiato, in quanto è cambiato il sostrato teorico. Per esempio, quella che gli autori definiscono quantità di moto, ovvero il prodotto della forza per la velocità, oggi si chiama potenza. Affermano l uguaglianza della quantità di moto della forza esercitata dall acqua sulla pala e della quantità di moto della forza resistente, ma non fanno riferimento esplicito ad un principio generale che sarebbe la conservazione dell energia. Un altra notevole differenza rispetto ad un esposizione moderna è rappresentata dalla mancanza di un sistema di unità di misura di riferimento. E questo che costringe gli autori a fare continuamente ricorso al metodo delle proporzioni, cosa che appesantisce notevolmente l esposizione. Infine, non può sfuggire l analogia tra il rendimento massimo ottenuto da Canovai e del Ricco e quello di Betz, che è esattamente il doppio. In effetti, l argomentazione di Betz, basata sulla conservazione dell energia e sull equazione di continuità, si riferisce ad una turbina con l asse di rotazione nel verso della corrente, mentre quella dei Nostri, che si riferisce ad una ruota dotata di una sola pala, è sostanzialmente basata sulla teoria della leva, anche se il principio di conservazione della potenza vi viene in qualche modo introdotto. BIBLIOGRAFIA [1] Canovai S., Del Ricco G., Elementi di fisica matematica, Allegrini alla Croce Rossa, Firenze, [] Betz. Albert, Das maximum der theoretisch möglichen ausnützung des windes durch windmotoren, Zeitschrift für das gesamte Turbinenwesen, Vol. 6, N 6, pp (190) 35

244 36

245 NEWTON E SANTA LUCIA (Il giorno più corto che ci sia) Siamo arrivati alla conclusione che il giorno più breve dell anno non è S. Lucia, ma il Dicembre. Eppure, c è chi sostiene che la credenza popolare S. Lucia, il giorno più corto che ci sia - abbia un fondamento. Una delle spiegazioni è che, il giorno di S. Lucia, la sera arrivi prima. Un ipotesi degna di essere controllata. La declinazione del Sole il giorno di S. Lucia t δ ( 13XII ) = 3,5 sin π = 3, La declinazione del Sole il giorno del solstizio t δ ( 13XII ) = 3,5 sin π = 3,5 365 Ne caviamo gli azimut del sorgere e del tramonto per Mantova ( ϕ = 45,15 ) cos H MN,13XII = tanϕ tanδ H = 64, 71 ( ) ( ) cos H MN, XII = tanϕ tanδ H = 64, 3 Pertanto, il giorno di S. Lucia, il sole sorge a Mantova 4 ore e 19 minuti prima del mezzogiorno mantovano e tramonta 4 ore e 19 minuti dopo. Il giorno del solstizio sorge 4 ore e 17 minuti prima del mezzogiorno locale e tramonta 4 ore e 17 minuti dopo, con una differenza di 4 minuti in favore di S. Lucia. Ma si obbietta - il mezzogiorno locale non coincide con il mezzogiorno legale; quando suona mezzogiorno, mancano ancora 17 minuti al mezzogiorno locale, quindi il pomeriggio dura 17 minuti più che il mattino e questo potrebbe spiegare l impressione che la sera venga prima per S. Lucia. Ma l incremento è lo stesso per il pomeriggio di S. Lucia e del solstizio; ergo non può essere questa la spiegazione. Possiamo avanzare un altra ipotesi; ed è che il sole è un buon orologio, ma non un ottimo orologio. Ci sono periodi dell anno in cui va avanti ed altri in cui resta indietro. Rispetto a quale orologio? Ovvio, rispetto all Orologio di Newton: Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del tempo vero: tali sono l ora, il giorno, l anno. La quaestio ci chiama a confrontare il tempo di Newton (vero, matematico, ecc.) che (ci illudiamo) è misurato dai nostri orologi, con il tempo volgare, segnato dal Sole, nel suo sempiterno andare. Ora, sappiamo anche di quanto l orologio solare scarta rispetto all orologio newtoniano, essendo lo scarto ordinariamente chiamato equazione del tempo, rappresentata nel grafico allegato. In ascisse vi è la data per tutto l anno, in ordinate lo scarto tra i tempi segnati da due orologi - quello che abbiamo al polso e quello solare in minuti. Si vede che tra il 1 settembre e Natale l orologio solare va avanti. Ai primi di Dicembre (S. Lucia) l anticipo è di una decina di minuti, mentre per Natale l anticipo si riduce a zero. Questo significa che, il giorno di S. Lucia, il sole corre più veloce nel cielo e quindi l alba e la sera giungono circa 10 minuti prima di quello che abbiamo calcolato. Questo non accade il giorno di Natale. Dopo Natale, poi, il sole comincia a ritardare, con un ritardo che aumenta rapidamente, come la pendenza della curva mette in evidenza. 37

246 Non daremo una spiegazione del perché il Sole si comporta in modo tanto poco rispettoso della definizione di Newton. Dovremmo fare appello all inclinazione dell eclittica e alla seconda legge di Keplero; insomma cambiare sistema di riferimento. Ma non è questo il motivo per cui non lo facciamo, quanto per la consapevolezza che tutto ciò non toglierebbe niente al fatto che il tempo segnato dal Sole è diverso da quello indicato dai nostri orologi. Questi sono newtoniani, il Sole no: che cosa c è di scandaloso in questo? E allora? Il giorno di S. Lucia il Sole tramonta 4 ore e 19 minuti dopo il mezzogiorno locale che arriva però arriva circa 10 minuti prima che alla data del solstizio. Qui la sera arriva 4 ore e 17 minuti dopo il mezzogiorno locale che, a quella data, è puntuale. Di conseguenza, a tutti gli orologi (newtoniani) la sera, per S. Lucia, arriva qualche minuto prima che per Natale. Prepariamo per tempo i regali. 38

247 NOMI DIVERSI DELLA FORZA Domanda preliminare: Se devo percorrere una certa distanza in autostrada e voglio consumare poca benzina, mi conviene andare a bassa o ad alta velocità? La risposta non è scontata perché se vado piano, ci metterò un tempo lungo e, se vado forte, ci metterò poco. Mettiamo un auto che fa 15 km con un litro. Siamo sicuri che l espressione abbia senso? La potenza dispersa si potrebbe esprimere in km J = N cioè una forza. Non una potenza. m Dice: 15 km/litro. Il potere calorico della benzina è 33 MJ litro altro non sono che J dall auto è 1 litro 6 J =, kn 1 15 km 3 10 m o, meglio, in J km o, ancora meglio, in J m che. Significa che la potenza persa Ciò che viene misurato dal consumo in benzina ( dal suo inverso) è la forza agente sull auto. In verità. le forze che agiscono su un auto che viaggia di moto uniforme sono due, una opposta all altra: la prima è quella che spinge l auto, esercitata dall asfalto; l altra quella di resistenza dell aria. Ora, si sa lo sapeva perfino Newton che tale resistenza è proporzionale al quadrato della velocità F = kv ( ) di conseguenza la potenza ( quella vera) perduta è 3 P = Fv = kv ( 3) Si vede che la dipendenza dalla velocità è molto forte. Ma abbiamo visto che, la potenza consumata non è riferita al tempo, ma alla distanza percorsa. Onde per cui, in luogo della (3) si ha E = F = kv x ( ) Queste mostrano che la potenza dispersa dipende fortemente dalla velocità: dal quadrato se ci si riferisce alla strada percorsa, dal cubo se si fa riferimento al tempo. Come misurare la costante aerodinamica k? Se ci ricordiamo di Newton, la () si può scrivere ma = kv ( 4) Allora, basta lanciare l auto, metterla in folle e poi misurare quanto tempo ci mette la velocità a calare, diciamo, di 0 km/h. Inserendola nella () ne cavo la costante k. Si, ma nella relazione compare il quadrato della velocità: quale?. Ci mettiamo il valor medio: la nostra è solo una stima alla Fermi. Le misure effettuate sulla nostra Cabriolet forniscono per la costante k qualche decimo; per la ( ) 39

248 precisione 0,5 kg m, che ad una potenza dissipata tipo (1), fa corrispondere una velocità di circa 60 km/h. 40

249 OBIEZIONI DI UN PERIPATETICO A GALILEO Gli ordinari corsi introduttivi di fisica sono in gran parte fondati sulla meccanica newtoniana che rappresenta la base cui si appoggiano anche altre discipline scientifiche come la geografia fisica e l astronomia. Dal punto di vista storico, tra la fine del XVII e i primi decenni del XVIII secolo ebbe luogo lo scontro tra la nuova meccanica e quella aristotelica dal quale uscì vincitrice la prima. I motivi per cui la meccanica newtoniana faticò ad affermarsi nei confronti di quella che siamo soliti attribuire al filosofo di Stagira sono molteplici e la sterminata bibliografia in materia ne è testimonianza ma tra questi vi è il fatto che è contraria al senso comune, basato sull esperienza immediata. Sul piano pedagogico questo si riflette nella creazione, nella mente del ragazzo, di una sorta di due fisiche, tali, tuttavia, che la loro conflittualità non raggiunge l evidenza e ciò ne consente la convivenza. Si tratta di un fenomeno più diffuso di quanto si pensi, perché il bambino impara fin dalla scuola primaria che la Terra ruota su se stessa e intorno al Sole, senza che la cosa provochi conflitti cognitivi. Rimangono pertanto misteriosi i motivi per cui la tesi eliocentrica sostenuta da Galileo abbia suscitato tante reazioni negative nei primi decenni del 600. In ambito strettamente didattico ed elementare, qualcosa si può fare ed è proporre ai ragazzi (dopo che hanno studiato la relatività galileiana) alcune delle obiezioni che venivano opposte alle argomentazioni di Galileo a proposito dei moti della Terra e che sono sostanzialmente raccolte nella Seconda Giornata del Dialogo sui massimi sistemi. Può essere interessante anche andare a leggere le risposte che Galileo fornisce il particolare la bellissima pagina in cui consiglia di riserrarsi con qualche amico nella maggior stanza che vi sia sotto coverta in alcun gran navilio ma si tratta di risposte che non possono essere accettate in ambito newtoniano. Mentre quelle che cerchiamo hanno da essere rigorose nell ambito della meccanica newtoniana. Uno degli avversari più vivaci di Galileo fu Ludovico Delle Colombe ( ), letterato e filosofo aristotelico fiorentino, sul quale, secondo alcuni, è stato modellata la figura di Simplicio nel Dialogo. Di messer Ludovico ci è pervenuto uno scritto in cui espone rigorosamente le motivazioni dei filosofi aristotelici contro il moto della Terra, non senza premettere alle argomentazioni scientifiche, anche qualche gustosa frecciata a Galileo: Altri, in niuna filosofia avendo fondamento, si danno alle matematiche, e quelle predican per sovrane sopra tutte l altre facultà. Frase a cui Galileo associa un commento altrettanto pungente: e per tali son predicate da tutti, eccetto che da alcuni che non sanno quel che le sono; de quali uno è il presente scrittore. La prima ragione che il Delle Colombe espone contro il moto della Terra è la seguente: Primieramente: che mai, per lo fé, risponderanno i Copernici, che tengon muoversi la Terra, a questo argomento fondato nell esperienza? Una artiglieria volta con la bocca verso oriente, secondo il corso della Terra dandogli fuoco, manderà la palla poco spazio lontana: poiché, mentre la palla è fuora sospesa nell aria, la Terra porterà con tanta velocità l artiglieria dietro a essa palla, che avanti la sua caduta sarà dall artiglieria raggiunta. E se l artiglieria sarà volta con la bocca oppostamente al moto d essa Terra, la distanza della palla dal pezzo della bombarda sarà molto maggiore, atteso che nel tempo che la palla corre inanzi per l aria spinta dall impeto della polvere, Terra col suo movimento velocissimo farà stornale indietro l artiglieria. Ma questa differenza di tiri non si vede; dunque la Terra non si muove. Che il movimento della Terra sia, come afferma messer Ludovico, velocissimo è indubbiamente vero. Se infatti la Terra, come sostiene Galileo, compie un giro in 4 ore, la velocità lineare all equatore è 6 R 6,4 10 m m V = π = π = 465 T 3 4 3,6 10 s s 41

250 Alla latitudine nostra la velocità è un po minore: v = V cosφ 300 m s Allora, dice delle Colombe, se punto un cannone verso oriente e sparo, la Terra segue il proietto con questa velocità e quindi la gittata dovrebbe essere piccola. Al contrario, se sparo il cannone verso occidente, in direzione opposta al moto della Terra, la gittata dovrebbe essere molto maggiore essendo che allo spostamento del proietto si somma quello del cannone. La seconda ragione avanzata dal Delle Colombe è ancora più semplice: Se la Terra si muovesse, chi non vede che a tirare comn la balestra, come molti fanno, per farsi tornar la palla a piedi, ella non vi tornerebbe mai? ma ella vi torna: dunque la terrena machina non si muove. Quelli che Delle Colombe propone sono esperimenti ideali simili a quelli che, tre secoli dopo proponeva Einstein molto efficaci quando si voglia comprendere la natura dei problemi. Ciò che ci compete, come insegnanti, è di sollecitare i nostri ragazzi a dare una risposta newtoniana ai ragionamenti di Delle Colombe. Attività feconda dal punto di vista pedagogico, perché mette in luce il fatto che l empirismo di Galileo con il suo richiamo alle sensate esperienze - non è ingenuo come si dà ad intendere nella corrente vulgata. In questo caso, il richiamo all esperienza non ammette scappatoie: si tratta di esperimenti che diremmo del tipo aut-aut ed la forma di una logica stringente: questa differenza di tiri non si vede; dunque la Terra non si muove. ma ella vi torna: dunque la terrena machina non si muove. Si tratta di un attività didattica che può venire vanificata da un solo errore (dell insegnante): quello di assumere l atteggiamento di chi possiede già la verità e non prende neppure in considerazione due obiezioni che ci giungono da una lontananza tanto grande sia temporale che culturale. 4

251 PADRE CASTELLI E IL DILUVIO In una lettera indirizzata a Galileo del 18 giugno 1639, Benedetto Castelli si esercita in un problema - oggi si direbbe alla Fermi - che, sfiorando la materia religiosa, richiedeva molta prudenza. Prende in esame se il racconto biblico del diluvio universale possa avere fondamento fisico. Si tratta di un calcolo elementare, basato su una misura fisica, che presenta vari motivi di interesse didattico. E tra questi l incontro con una prosa magnifica. Si tenga presente che il brano è estratto da una lunga lettera in cui padre Benedetto parla del lago di Bracciano: Ritornato che fui in Perugia, seguì una pioggia non molto grossa, ma continovata assai ed uniforme, quale durò per ispazio di otto hore in circa; e mi venne in pensiero di volere essaminare, stando in Perugia, quanto con quella pioggia poteva essere cresciuto il lago e rialzato, supponendo (come haveva assai del probabile) che la pioggia fosse universale sopra tutto il lago, ed uniforme a quella che cadeva in Perugia: e così preso un vaso di vetro, di forma cilindrica, alto un palmo in circa e largo mezzo palmo, ed havendogli infusa un poco d'acqua, tanta che coprisse il fondo del vaso, notai diligentemente il segno dell'altezza dell'acqua del vaso, e poi l'esposi all'aria aperta a ricevere l'acqua della pioggia, che ci cascava dentro, e lo lasciai stare per ispazio d'un'hora; ed havendo osservato che nel detto tempo l'acqua si era alzata nel vaso quanto la seguente linea, considerai che se io havessi esposti alla medesima pioggia altri simili ed eguali vasi, in ciascheduno di essi si sarebbe rialzata l'acqua secondo la medesima misura: e per tanto conclusi, che ancora in tutta l'ampiezza del lago era necessario che l'acqua si fosse rialzata nello spazio d'un'hora la medesima misura. Dopo la quale, forsi con qualche temerità inoltrandomi troppo, trapassai ad un'altra contemplazione, la quale voglio rappresentare a V. S., sicuro che ella la riceverà, come fatta da me, con quelle cautele che sono necessarie in simili materie, nelle quali non dobbiamo assicurarci di affermare mai cosa nessuna di nostro capo per certa, ma tutto dobbiamo rimettere alle sane e sicure deliberazioni della S.a Madre Chiesa; come io rimetto questa mia e tutte le altre, prontissimo a mutarmi di sentenza e conformarmi sempre con le determinazioni dei Superiori. Continovando dunque il mio di sopra spiegato pensiero intorno all alzamento dell acqua nel vaso di sopra adoperato, mi venne in mente, che essendo stata la sopranominata pioggia assai debole, poteva molto bene intravenire che cadesse una pioggia cinquanta e cento e mille volte maggiore di questa, e molto maggiore ancora (il che sarebbe seguito ogni volta che quelle gocciole cadenti fossero state quattro o cinque o dieci volte più grosse di quelle della sopramentovata pioggia, mantenendo il medesimo numero); ed in tal caso è manifesto che nello spazio di un hora si alzarebbe l acqua nel nostro vaso due o tre braccia e forsi più [ Un braccio fiorentino corrisponde 43

252 a 0,58 m]: e conseguentemente, quando seguisse una pioggia simile sopra un lago, ancora quel tal lago si alzarebbe secondo l istessa misura; e parimente, quando la pioggia simile fosse universale intorno intorno a tutto il globo terrestre, necessariamente farebbe intorno intorno al detto globo, nello spazio di un hora, un alzamento di due e di tre braccia. E perchè habbiamo dalle Sacre Memorie che al tempo del Diluvio piobbe quaranta giorni e quaranta notti, cioè per ispazio di 960 hore, è chiaro che quando detta pioggia fosse stata grossa dieci volte più della nostra di Perugia, l alzamento dell acque sopra il globo terrestre sarebbe arrivato e passato un millio di perpendicolo; oltre che le prominenze dei poggi e monti concorrerebbero ancora essi a fare crescere l alzamento. E per tanto conclusi che l alzamento dell acque del Diluvio tiene ragionevole convenienza con i discorsi naturali: delli quali so benissimo che le verità eterne delle Divine Carte non hanno bisogno; ma in ogni modo mi pare degno di considerazione così chiaro riscontro, che ci dà occasione di adorare ed ammirare le grandezze di Dio nelle grandi opere Sue, potendole ancora noi tal volta in qualche modo misurare con le scarse misure nostre. E li bacio le mani, pregandogli dal Cielo le vere consolazioni. Di Roma, il 18 di Giugno

253 PRESSIONE E DIMENSIONI DEI PALLONI Come fate a essere certi che questo pallone ha un diametro di cm? Non potrebbe trattarsi di un palloncino di qualche centimetro di diametro? O vi è qualche limite fisico alle dimensioni dei palloni ad aria compressa? I palloni da calcio, pallavolo ecc. hanno tutti pressappoco le stesse dimensioni e sono gonfiati con aria alla stessa pressione ( intorno ad un Atm, differenziale) Per poterci giocare, un pallone dev essere elastico ma anche rigido. Vale a dire che deve essere facilmente deformabile per le piccole deformazioni, ma difficilmente per le grandi. E quest ultima condizione che stabilisce un legame tra la pressione interna e le dimensioni. Prendiamo un pallore ( di raggio R) e, postolo sul pavimento, vi appoggiamo sopra un assicella sulla quale esercitiamo una forza S. S La deformazione che produciamo in questo modo dipende da S e dalla pressione interna al pallone, e anche dal suo raggio R. Se infatti assimiliamo la superficie del contatto al cerchio che si ottiene secando la sfera ad una distanza x dal piano della base, si ha che tra il raggio di detto cerchio è la freccia x della deformazione sussiste la relazione 45

254 r x ( ) ( 1) r = x R x che, per r<<r, si riduce a r ( ) = Rx L area di contatto col pavimento è allora ( ) A = π Rx 3 La pressione dev essere tale che pa = S 4, ( ) e questo stabilisce la relazione ( ) π Rx p = S 5 Ma, come dicevamo, per una data forza applicata, si vuole che la deformazione x sia una frazione (piccola ) del raggio, cioè si richiede che x 1 ( 6) R << quindi che x S = << 1 7 R π R p ( ) Questa condizione si traduce nella condizione che S R p >> ( 8). π Quindi stabilisce una relazione tra la pressione interna e il raggio: più il raggio è piccolo, più la pressione dev essere grande. La grandezza che decide la giocabilità di un pallone è il prodotto R p che ha le dimensioni di una forza. Per un pallone da calcio R p 000 N Per avere un palloncino che si comporti come un pallone da calcio, ma con le dimensioni di una palla da tennis ( raggio 5 volte minore), dovremmo gonfiarlo con una pressione 5 volte maggiore. Il povero Pollicino non potrà mai giocare a calcio! 46

255 PRESSIONE E DEFORMABILITA DELLE PALLE Per giocarci, un pallone dev essere gonfio. E per vedere se è abbastanza gonfio ci sono due modi: 1.utilizzare un manometro che misura la pressione dell aria che vi è contenuta;. premere sul pallone per vedere in che misura è deformabile. Vi sono in commercio strumenti che fanno questa operazione e rendono dei valori di pressione. Non siamo sicuri che i due strumenti misurino la stessa grandezza. Una osservazione preliminare: i palloni per i giochi più comuni hanno l involucro realizzato con materiale flessibile ma con una superficie che si può aumentare solo con grande difficoltà. In altre parole, un pallone è un oggetto che si comporta in maniera analoga ad un tappeto elastico. Prendiamo dapprima in considerazione una situazione analoga ma in una sola dimensione: un elastico stretto intorno ad una sbarra cilindrica. Indichiamo con P la forza per unità di lunghezza che il cilindro esercita in ogni punto dell elastico e perpendicolare ad esso e con T la tensione dell elastico. s P θ R Su un breve tratto di lunghezza s si fanno equilibrio tre forze T θ P T e tra esse forze sussiste la relazione T P s = sinθ Ma poiché s = R θ si arriva a T = PR ( 1) 47

256 cioè che produrre una determinata tensione dell elastico occorre una pressione tanto maggiore quanto più piccolo è il raggio del cilindro. Per saggiare la pressione tra la superficie del cilindro e quella dell elastico posso tirare localmente l elastico cioè cercare di allungarlo. Ma questa operazione mi permette di stimare la tensione dell elastico ma non basta per stimare la pressione sul cilindro. Infatti questa non dipende solo da questo, ma anche dal suo raggio. Qualcosa di analogo si verifica quando per saggiare la pressione interna ad una palla cerchiamo di deformarla: la grandezza di cui facciamo una stima in questo modo non è la pressione dell aria, ma la tensione dell involucro. La superficie del pallone ha due dimensioni e non è possibile rappresentare la tensione della superficie semplicemente con una forza. Immaginiamo allora di aver praticato un taglio nel pallone e di volerne tenere uniti i lembi. La forza da applicare sarà tanto maggiore quanto più lungo è il taglio. Quindi, conveniamo di chiamare tensione della superficie la forza per unità di lunghezza che occorre applicare per tenere uniti i lembi del taglio ( come in una cucitura): [ T ] N = m Alla stessa grandezza si può dare un altra interpretazione, se la scriviamo nella forma N m J m m [ T ] = = Quella che chiamiamo tensione della gomma è l energia associata all unità di superficie sotto tensione. 48

257 Se gonfiamo il pallone facendone passare il raggio da R ad R + R, il volume aumenta di 4π R R e il lavoro compiuto sarà p 4π R R, se p è la pressione all interno. Contemporaneamente la superficie della sfera aumenta di 8π R R. Per la conservazione dell energia T 8π R R = p 4π R R da cui T = p R ( ) Un risultato analogo alla (1). Ciò che saggiamo quando premiamo sul pallone è la resistenza dell involucro alla deformazione. Questa dipende dalla tensione T la quale, a sua volta, dipende dalla pressione interna dell aria ma anche dal raggio R. Per una determinata tensione dell involucro è necessario produrre una pressione interna tanto maggiore quanto più piccola è la palla. I palloni che si usano nel calcio, nella pallavolo, nella pallamano, ecc. sono palloni ad aria compressa ( la pressione differenziale è circa 1 atm). Anche le dimensioni non sono molto diverse ( circa 10 cm per il raggio). Non si danno palle da gioco di dimensioni molto minori, perché per garantire la loro resistenza alla deformazione occorrerebbe insufflare aria a pressione molto maggiore. Le palle da tennis e da squash sono tenute gonfie in modo diverso. 49

258 50

259 UN APPARECCHIO DELLA FINE DELL 800 PER LA REGISTRAZIONE ORARIA DELLA TEMPERATURA. La ditta Negretti & Zambra, attiva dal 1850 al 1999, fu una delle più importanti ditte produttrici di strumenti scientifici ( in particolare ottici) ed anche una prestigiosa casa fotografica. La sua storia si colloca in un periodo di grande splendore dell Impero Britannico. I termometri e i barometri prodotti da Negretti e Zambra erano tra gli strumenti di maggior pregio nei laboratori, negli osservatori astronomici e sulle navi da guerra inglesi. A distanza di un secolo e mezzo è interessante leggere sulla Negretti and Zambra s Encyclopaedic Illustrated and Descriptive Reference Catalogue (1885) la descrizione di un apparecchio per la registrazione automatica della temperatura ambientale su un arco di 4 ore. Uno strumento costituito da dodici termometri montati su un sostegno, un buon orologio e una batteria galvanica. Il collo del bulbo è strozzato in A e il funzionamento dello strumento dipende dalla cura con cui è realizzata questa strozzatura. Oltre A il tubo è piegato e in B si forma un piccolo serbatoio di riserva allo scopo che verrà illustrato. Infine, all estremità del tubo è presente un altra piccola camera C. Quando il bulbo è in basso contiene mercurio a sufficienza da riempire il tubo e una parte della riserva C, lasciando in C spazio sufficiente per l espansione del mercurio. In questa posizione non sarebbe possibile nessuna misura dato che lo spostamento del mercurio sarebbe confinato in C, Ma quando il termometro è tenuto con il bulbo in alto, il mercurio si interrompe in A e per il proprio peso scende lungo il tubo riempiendo la cella C e una parte del tubo al di sopra, in relazione alla temperatura. In funzione di ciò la scala è fatta in modo da partire da C. Per predisporre lo strumento alla misura è solo necessario disporlo con il bulbo in basso, per cui il 51

260 mercurio assume la temperatura come un termometro ordinario. Quando si voglia conoscere la temperatura, basta girare il termometro col bulbo in alto; allora il mercurio si rompe in A, scende a riempire C e si può leggere la temperatura. La lettura si può fare in qualsiasi momento dopo che il termometro è stato girato, perché la quantità di mercurio nella parte inferiore del gambo, che fornisce la lettura, è troppo piccola per essere influenzata in maniera sensibile dalla temperatura, mentre quella che si trova nel bulbo continuerà a contrarsi col freddo o ad espandersi col caldo, e in quest ultimo caso una certa quantità di mercurio potrà passare la strozzatura A e cadere e depositarsi in B, ma non potrà andare più avanti fino a che il bulbo è il alto, per cui la lettura della temperatura non ne verrà influenzata. Dev essere chiaro che il termometro misura solo la temperatura nel momento in cui viene girato. Possiamo vedere dalla figura allegata che sul sostegno sono alloggiati dodici termometri; Ognuno sostenuto da un braccio metallico in modo tale che viene rovesciato dal rilascio di un fermo comandato dall azione congiunta dell orologio e dalla batteria, Nel disegno sei dei dodici termometri sono invertiti, con i bulbi in alto, poiché l orologio ha chiuso un contatto per ognuna delle sei ore che sono passate chiudendo così il circuito galvanico e per l azione di un elettromagnete ha sbloccato il fermo e lasciato cadere uno dei termometri che indica la temperatura di quel momento. Questa azione è prodotta da un semplice meccanismo che si trova sul retro del quadrante dell orologio, quando il contatto si realizza ad ogni ora. Quando i termometri sono tutti girati, si possono prendere facilmente le letture e riportare i termometri nella posizione iniziale, cioè con i bulbi in basso. Fissato al retro del quadrante dell orologio, e con lo stesso centro, vi è un disco di ebanite, con un diametro di due pollici circa, dotato di un foro al centro per consentire il passaggio dell asse a cui è fissate le lancette dell orologio. Sul bordo di questo disco sono poste dodici borchie di platino, ognuna in corrispondenza di un ora sull orologio; e ciascuna borchia è connessa a uno di 1 terminali disposti in ordine da 1 a 1 sul retro dell orologio. Immediatamente dietro alla lancetta delle ore, e attaccata allo stesso perno, vi è una molla metallica che tocca ciascuna borchia in successione man mano che la lancetta compie il suo giro. Questa molla non è isolata dalla cassa metallica dell orologio; di conseguenza la corrente investe l orologio. Fissati sul retro del quadrante dell orologio in prossimità del bordo esterno vi sono due piccole coppe di vetro contenenti mercurio una delle quali è connessa alla cassa metallica dell orologio e l altra è connessa al tredicesimo terminale sul retro dell orologio. Immediatamente sopra queste 5

261 due coppe, fissata ad una leva, vi è un filo di platino forgiato a forchetta, che se immerso nelle due coppe, forma un ponte tra l una e l altra. La leva si abbassa quando un estremità viene sollevata dalla lancetta dei minuti. Quando la lancetta dei minuti si avvicina alle dodici, l estremità sinistra si solleva. Un terminale all esterno di una scatola che contiene 1 magneti è connesso ad una barra metallica che ne percorre l intera lunghezza, alla quale è connessa l estremità di un filo per ciascuno dei 1 elettromagneti; mentre l altra estremità dei fili provenienti dagli elettromagneti sono separatamente connessi ai 1 terminali sotto la scatola che contiene i magneti, quindi mediante fili separati ai 1 terminali sull orologio. Supponiamo che siano le sei. La batteria è collegata come segue: un polo al tredicesimo terminale sull orologio, l altro polo al terminale alla fine della scatola dell Apparati di Registrazione. Il circuito elettrico è ora completo. Dalla batteria al 13 terminale sull orologio, poi ad una delle coppe di vetro, attraverso il piccolo ponte all altra coppa di vetro, quindi attraverso la scatola metallica dell orologio alla molla, che è in contatto con la borchia che si trova dietro la lancetta ( per esempio, le sei) e da questa al terminale N 6 sul retro dell orologio e da questo al terminale N 6 sul retro della scatola che contiene gli elettromagneti, e attraverso il magnete N 6 alla barra e quindi al terminale all estremità della scatola e di nuovo alla batteria. Il magnete N 6 attira il suo fermo e questo provoca la caduta del termometro N 6 che così si gira e così per tutta la serie. Come verrebbe descritto oggi lo stesso apparecchio? Ogni magnete che comanda l apertura del fermo che trattiene il termometro è collegato alla batteria tramite due pulsanti. P h e P m. P h P m M Il pulsante P h viene chiuso dal passaggio della lancetta delle ore; il pulsante P m dal passaggio della lancetta dei minuti. Occorrono ambedue i pulsanti perché la chiusura di P h durerebbe troppo a lungo e si avrebbe passaggio di corrente attraverso il magnete per un tempo eccessivo, portando alla scarica della batteria. La durata effettiva del contatto è determinata invece dal pulsante dei minuti P m che è in serie con quello delle ore. 53

262 54

263 RELÈ E FEED-BACK Il relé è un componente elettromeccanico caduto quasi completamente in disuso. Didatticamente, tuttavia, rimane uno strumento valido, se non altro come introduzione ai circuiti realizzati con i transistori. A A B B Fig. 1. Schema di funzionamento di un relé. Inviando corrente nella bobina AA, si provoca la chiusura dell interruttore BB. Quando tra gli elettrodi AA si invia una corrente sufficientemente grande, il nucleo si magnetizza e attira l ancoretta che fa chiudere l interruttore tra gli elettrodi BB. In realtà, un relé comanda simultaneamente due ( o più) interruttori: uno in chiusura ed uno in apertura. In Fig. si mostra come si presenta la basetta di un relé. A A B 1 B B Fig.. Basetta di un relé ad uno scambio. BB 1 è l interruttore in chiusura e BB l interruttore in apertura. Quindi, quando nel circuito AA non passa corrente, BB 1 è un interruttore aperto e BB un interruttore chiuso; quando in AA passa corrente, BB 1 è chiuso e BB aperto (Fig.3). 55

264 1 V I B 1 B 1 V I B 1 B Fig.3. Schema di funzionamento di un relé: Si produce un feed-back quando come interruttore I si utilizza uno degli interruttori comandati dal relé, cioè BB 1 o BB. UN FEED-BACK NEGATIVO A A B 1 B B 9 V Fig. 4. Schema di circuito per la generazione di impulsi di tensione. 56

265 Qui si usa l interruttore in apertura del relé. Prima di dare tensione, nella resistenza del relé non passa corrente e l interruttore BB 1 è chiuso. Quando si dà tensione, il relé comanda l apertura dell interruttore. Questo inibisce il relé che comanda la chiusura dell interruttore, e così via. Per conferire inerzia al circuito e moderare la frequenza dei cambiamenti di stato, si inserisce un condensatore in parallelo alla resistenza del relé (Fig. 5). A A B 1 B B 9 V Fig. 5. Schema completo del generatore di impulsi. L inserimento di un piccolo altoparlante consente di trasformate gli impulsi tensione in impulsi sonori. 57

266 UN FEED-BACK POSITIVO Si ottiene utilizzando l interruttore normalmente aperto BB (Fig. 6). A A B 1 B B C 9 V Fig. 6. Utilizzo di un relé per produrre un feed-back positivo. Il relé viene comandato dall interruttore normalmente aperto; quindi, quandi si collega all alimentatore non. scatta. Tuttavia, se per un breve intervallo di tempo si cortocircuita l interruttore mediante il contatto mobile C, il circuito si chiude, l interruttore scatta ed il sistema rimane in questo stato indefinitamente, anche quando il contatto C non è più chiuso. Con questo circuito si può realizzare un allarme comandato da un contatto qualsiasi, per esempio un termistore la cui resistenza diminuisce all aumentare della temperatura. 58

267 SOSTIENE ESIODO Scrive Esiodo nel suo poema dedicato alla nascita degli dei: tanto sotto la terra giú, quanto è il cielo lontan dalla terra, che dalla terra è tanto lontano il Tartaro ombroso. Ché nove dí, nove notti piombando, un' incudine di bronzo giú dalla Terra, sarebbe nel decimo al Tartaro giunta. Sostiene pertanto che la distanza tra il Tartaro e la superficie della Terra è pari alla distanza che la separa dal cielo; e che queste due distanze sono uguali a quella che percorre un incudine cadendo liberamente per 9 giorni. Con questo lavoro intendiamo confutare questa affermazione, che non è, d altra parte confortata da alcun risultato sperimentale. Se consideriamo un tunnel che parte dal centro della Terra e, seguendo un raggio, arriva in superficie, l intensità del campo gravitazionale al suo interno, a distanza x dal centro, è uguale a quello che si avrebbe sulla superficie della sfera di raggio x. 59

268 X La massa contenuta nella sfera di raggio x è x = R 3 ( ) M ( 1) M x e l intensità del campo gravitazionale a distanza x dal centro sarà x R x g x G M GM x R 3 ( ) = = ( ) Ma poiché GM = gr ( 3) assume la forma x g R ( ) = ( 4) g x o anche d x dt = g x R ( 5) Questa è l equazione caratteristica del moto armonico, caratterizzato da un periodo di oscillazione 60

269 T g = π 6 R ( ) Pertanto, il tempo di caduta dell incudine sarà T π = 4 g R ( 7) Se vi inseriamo i valori, otteniamo un tempo di 0 minuti circa. Siamo quindi ben distanti dai nove giorni indicati da Esiodo. Ma si potrebbe obbiettare non hai tenuto conto della resistenza dell aria. A questo proposito abbiamo dati solo sulla caduta di sfere in aria, non di incudini. Poniamo quindi tipico dei fisici di avere un incudine sferica di raggio r. Risulta allora definito un parametro aerodinamico k ( ) = 0,87 r 8 dal quale dipende la velocità di regime V = ( ) m g x k ( 9) Questa, mercé la (4), assume la forma dx dt = m g x kr ( 10) e da questa, infine, R dx x = 0 che fornisce m g t kr ( 11) k t = R 1 mg ( ) 3 Poniamo dunque che si tratti di una boccia di bronzo (densità 8,4 10 kg ) di 0 cm di 3 diametro. La sua massa è 35 kg e il parametro aerodinamico k=0,87 X Questi determinano un tempo m 61

270 t 6, s cioè circa 18 ore di volo. 6

271 STRANE FORME CONTURBANO I FISICI ALPINISTI Non notate qualcosa di strano nella fotografia che segue? Fig.1. Un elicottero del Soccorso Alpino, ripreso in fase di decollo. Nell immagine colpisce una particolarità: che una delle pale ha la forma di una scimitarra. Eppure possiamo garantire che le quattro pale del velivolo sono assolutamente rettilinee e la nostra assicurazione poggia su documenti fotografici come quello che produciamo. 63

272 Fig.. Lo stesso elicottero che si allontana. Come spiegare la strana piegatura delle pale (in moto) rispetto a quando sono ferme? Se facciamo una fotografia di un elicottero in volo da un punto che si trova sulla verticale del piano delle pale, non ci meravigliamo che venga mossa. Il che significa che, nell intervallo di tempo di apertura dell otturatore della camera, la pala cambia posizione, Non tutti i suoi punti nello stessa misura; poiché ci hanno insegnato che v = ω x ( 1) essendo ω la velocità angolare della pala ed x la distanza dal perno. Lo spostamento, nell intervallo di apertura del diaframma, è maggiore per i punti a maggiore distanza dal perno. L immagine risulta maggiormente sfocata per le estremità delle pale e diminuisce di dimensioni man mano che ci si avvicina al centro. Fig.3. Le pale si dilatano in proporzione alla distanza 64

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