Corte di Cassazione Sezione Lavoro civile Sentenza del 8 maggio 2014 n. 9960 Integrale Poste e telecomunicazioni - personale REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSELLI Federico - Presidente Dott. BANDINI Gianfranco - rel. Consigliere Dott. LORITO Matilde - Consigliere Dott. GHINOY Paola - Consigliere Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 3719-2013 proposto da: 1
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio del Dott. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti; - ricorrente - contro (OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti; - controricorrente - avverso la sentenza n. 815/2012 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 14/09/2012 R.G.N. 1070/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/03/2014 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI; udito l'avvocato (OMISSIS); udito l'avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS); udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (OMISSIS) propose impugnazione avverso il licenziamento per giustificato motivo soggettivo irrogatogli dalla datrice di lavoro (OMISSIS) spa; il Giudice adito rigetto' il ricorso, ritenendo che la malattia dedotta dal ricorrente non era idonea a giustificare il comportamento contestatogli. La Corte d'appello dell'aquila, accogliendo parzialmente il gravame dell' (OMISSIS), condanno' la parte datoriale alla corresponsione della retribuzione maturata sino al 26 novembre 2002, con gli accessori di legge; in particolare rilevo' che, poiche' lo stesso lavoratore aveva dedotto di essersi trovato, all'epoca, in una condizione patologica grave e cronica, doveva ritenersi sussistente non un motivo soggettivo, ma un motivo oggettivo, essendo oggettiva la condizione di malattia; non vi erano inoltre elementi da cui desumere che le reazioni del datore di lavoro fossero state causa sufficiente della malattia del dipendente, anziche' effetto della stessa e neppure per escludere che l'oggettiva inidoneita' allo svolgimento dell'attivita' lavorativa fosse addebitabile anziche' alla malattia ad un 2
illegittimo comportamento del datore di lavoro; peraltro, non essendo stato il licenziamento irrogato "per giusta causa" e quindi "in tronco", ma per giustificato motivo, i relativi effetti decorrevano dal termine del periodo di sospensione del rapporto per malattia e, quindi, sul punto l'appello doveva essere accolto. Questa Corte di legittimita', con sentenza n. 17405/2011, accolse il ricorso del lavoratore, casso' la sentenza impugnata e rinvio' alla Corte d'appello dell'aquila, in diversa composizione; con tale pronuncia, alla luce del principio dell'immutabilita' della causa del licenziamento, venne rilevato che il Giudice del gravame aveva confuso tra licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo (entrambi rientranti nella categoria del licenziamento disciplinare, sia pure a diverso titolo) e quello per giustificato motivo oggettivo, invece assimilabile al licenziamento per superamento del periodo di comporto e, come tale, di natura profondamente diversa rispetto al licenziamento disciplinare; tale considerazione era da ritenersi assorbente, visto che l'intero ragionamento sviluppato nella sentenza impugnata muoveva dalla erronea premessa della possibilita' per il giudice di qualificare in termini di licenziamento per giustificato motivo oggettivo un recesso contestato come recesso disciplinare. Riassunto il giudizio, la Corte d'appello dell'aquila, con sentenza del 21.6-14.9.2012, rigetto' l'appello. Il Giudice del rinvio, a sostegno del decisum, osservo' quanto segue: lo stesso lavoratore aveva riconosciuto l'accadimento dei fatti contestati e la loro spiccata idoneita' lesiva del vincolo fiduciario (essendo consistiti in reiterati atteggiamento di rifiuto di eseguire ordini di servizio e in comportamenti lesivi della dignita' della persona, in quanto estrinsecatisi in rovistamento di cassetti riservati, insulti, bestemmie, parolacce, ingiurie, ecc), tanto che le sue difese si erano sostanziate nell'assumere l'incompatibilita' del licenziamento disciplinare con il proprio stato di salute, che avrebbe determinato l'impossibilita' di attribuire soggettivamente i comportamenti sanzionati alla sua sfera di volonta'; anche la sentenza cassata, che aveva fatto propria la tesi difensiva dell'appellante, al punto da individuare nello stato di malattia la legittimita' del licenziamento, aveva escluso che il disagio psichico fosse stato aggravato dai provvedimenti adottati nei confronti del lavoratore di asserita natura persecutoria, difettando elementi che potessero indurre a ritenere che le reazioni al datore di lavoro fossero state causa sufficiente della grave malattia psichica del dipendente, anziche' effetto della stessa, come, del resto, dimostrava il fatto che la condotta scorretta ed ingiuriosa si era estrinsecata in una pluralita' di occasioni diverse, non riferibili a particolari sollecitazioni nei suoi confronti e, segnatamente, a danno di una pluralita' di colleghi di lavoro; la documentazione sanitaria prodotta non consentiva di apprezzare una effettiva o anche solo probabile incidenza delle condizioni di salute del lavoratore, sotto l'aspetto ideativo e volitivo, nella commissione dei comportamenti contestati, tale da poterne escludere l'attribuibilita' soggettiva allo stesso; al riguardo era sufficiente evidenziare come le sue condizioni di salute erano state monitorate dalla competente Commissione Medica dell'ausl di Pescara che, in data 13.02.2002, lo aveva ritenuto idoneo alle sue mansioni di addetto all'area operativa, mentre, in precedenza (il 17.02.2001), lo aveva ritenuto idoneo a mansioni che non avessero richiesto un particolare impegno 3
psicofisico e il contatto con il pubblico, escludendo anche il lavoro notturno; cio' consentiva di superare la tesi della "malattia esimente" allegata dall'appellante per sottrarsi alla responsabilita' delle proprie azioni, non emergendo da alcun documento sanitario acquisito la sussistenza di una patologia psichica di tale imponenza da poter portate a ritenere condivisibile la conclusione che l' (OMISSIS) non fosse responsabile delle proprie azioni; trattavasi, infatti, di documenti generici, dai quali non era possibile inferire nulla sulla dedotta incapacita' naturale, in quanto non confermata da indagini che si sarebbero dovute esperire in sede giudiziale e che non risultavano richieste, e neppure avvalorata da altri elementi attestanti la natura e l'importanza della sindrome lamentata, tali da dimostrare l'esistenza di uno stato di incapacita' naturale, sicche', non pareva dubbio che detta documentazione, al piu', costituisse solo semplice indizio, bisognevole di ulteriori elementi di riscontro, per fondare la tesi propugnata dal lavoratore; solo per completezza, sul punto, doveva evidenziarsi che lo stato di malattia dedotto a sostegno dell'incapacita' naturale allegata in grado di appello, nel giudizio di primo grado era stato riferito al solo fine "di sminuire la portata e di giustificare il proprio comportamento in relazione al disagio determinato dalla sue condizioni di salute in quanto affetto da sindrome ansioso depressiva" e, nel contempo, che il riferimento alla sequela di asserite ingiustificate sanzioni disciplinari (che avrebbe inciso negativamente sul suo stato di salute, inducendolo senza sua colpa in una condizione patologica di abnorme reattivita' nei confronti di situazioni e sollecitazioni in qualche modo idonee a provocare le sue reazioni ansiose) era stato funzionale alla tesi della "impossibilita' sopravvenuta della prestazione per inidoneita' al servizio ed in ultima analisi di giustificato motivo oggettivo" e, comunque, alla censura in ordine alla dedotta inversione dell'onere della prova, in relazione alla quale doveva, per contro, evidenziarsi che, in tema di licenziamento disciplinare, incombe al lavoratore dimostrare che l'inadempimento accertato non e' imputabile ad una sua volonta' di sottrarsi ingiustamente alla prestazione o al comportamento dovuto; in relazione al secondo motivo di censura (relativo all'inefficacia del licenziamento fino al decorso della malattia), l'affermata natura disciplinare del licenziamento escludeva l'obbligo per il datore di lavoro di mantenere in vita un contratto di durata con un dipendente la cui condotta era stata tale da ledere irrimediabilmente la fiducia nel dipendente medesimo, comportando cosi' il venir meno dei presupposti per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Avverso l'anzidetta sentenza resa dal Giudice del rinvio, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e illustrato con memoria. La (OMISSIS) spa ha resistito con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale di lavoro, deduce l'avvenuta formazione del giudicato interno sulla natura di giustificato motivo oggettivo della fattispecie, essendosi la parte datoriale limitata a richiedere il rigetto del ricorso per cassazione avverso la pronuncia d'appello; per conseguenza, erroneamente la sentenza impugnata aveva fatto applicazione delle clausole 4
contrattuali collettive richiamate nella lettera di licenziamento. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di legge, si duole che la Corte territoriale non abbia dato corso alle indagini peritali che pure aveva riconosciuto si sarebbero dovute esperire, e cio' benche' la richiesta di CTU fosse stata svolta nel ricorso di prime cure e riproposta nel ricorso d'appello. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale, pur in presenza della documentazione prodotta e delle sommarie informazioni acquisite in sede penale, abbia negato il nesso di causalita' tra le malattie e le situazioni di conflitto lavorativo. Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di legge, si duole che la Corte territoriale, stante l'incontrovertibile incapacita' naturale, non abbia tenuto conto dell'obbligo di inversione dell'onere della prova circa l'esistenza di un lucido intervallo nel momento della commissione dei fatti addebitati. Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale di lavoro, deduce che il Giudice del rinvio aveva negli effetti mutato d'ufficio il titolo del licenziamento da giustificato motivo soggettivo a giusta causa, posto che, decorrendo il preavviso, la cessazione del rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere collocata al termine del periodo di malattia. 2. In ordine al primo motivo, deve rilevarsi che la sussistenza di una situazione di giustificato motivo oggettivo ha costituito il precedente logico giuridico su cui si e' fondata la sentenza resa in grado d'appello per ritenere la legittimita' del recesso datoriale. L'avvenuta cassazione di tale statuizione comporta quindi che non puo' essersi formato il giudicato interno sul ridetto precedente della decisione cassata. Correttamente quindi la Corte territoriale ha rilevato che l'esame che era chiamata a svolgere sui motivi di gravame avverso la sentenza di primo grado doveva partire dal presupposto che "le censure vanno riferite al licenziamento disciplinare intimato"; donde, altresi', l'infondatezza della dedotta violazione delle clausole contrattuali regolanti la fattispecie (di licenziamento disciplinare, appunto) dedotta in giudizio. 3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte la consulenza tecnica di ufficio e' un mezzo istruttorio, non una prova vera e propria, ed e' pertanto, sottratta alla disponibilita' delle parti, restando affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito il giudizio circa la necessita' ed utilita' di farvi ricorso, il cui esercizio si sottrae al sindacato di legittimita' anche quando difetti un'espressa motivazione al riguardo (cfr, ex plurimis, Cass, n. 10589/2001; 27002/2005), salva la presenza di una istanza di ammissione di tale mezzo formulata dalla parte, sempre che in essa siano state indicate le ragioni dell'indispensabilita' delle indagini tecniche per la decisione (cfr, Cass., n. 14979/2000); tale ultima ipotesi non ricorre tuttavia nel caso di specie, non avendo il ricorrente indicato, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, se e in che termini tale istanza sarebbe stata riproposta al Giudice del rinvio. 5
Il secondo motivo non puo' pertanto essere accolto. 4. In ordine al terzo motivo deve considerarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimita' il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi' la sola facolta' di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilita', per la Corte di legittimita', di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie. Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorieta' della medesima, puo' dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorieta' o illogicita' che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002). Al contempo va considerato che, affinche' la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non e' necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma e' sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12121/2004). Nel caso all'esame la sentenza impugnata, nei termini diffusamente esposti nello storico di lite, ha esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un'opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilita' di altre scelte interpretative anch'esse ragionevoli, e' espressione di una potesta' propria del giudice del merito che non puo' essere sindacata nel suo esercizio (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14212/2010; 14911/2010). In definitiva, quindi, le doglianze del ricorrente si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimita'. 5. Il rigetto del terzo motivo comporta l'assorbimento del secondo, siccome presupponente l'avvenuto accertamento di una condizione di incapacita' naturale del lavoratore. 6. Il licenziamento, com'e' pacifico, e' stato intimato per giustificato motivo soggettivo con preavviso. 6
Trova quindi applicazione il principio secondo cui l'inosservanza del divieto di licenziamento del lavoratore in malattia, fino a quando non sia decorso il cosiddetto periodo di comporto (articolo 2110 c.c., comma 2), non determina di per se' la nullita' della dichiarazione di recesso del datore di lavoro, ma implica, in applicazione del principio della conservazione degli atti giuridici (articolo 1367 c.c.), la temporanea inefficacia del recesso stesso fino alla scadenza della situazione ostativa (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 9037/2001; 9896/2003; 17334/2004; 7369/2005). La Corte territoriale, rigettando il secondo motivo di censura, volto alla declaratoria dell'inefficacia del licenziamento fino al decorso della malattia, con il ritenere che l'affermata natura disciplinare del licenziamento escludeva l'obbligo per il datore di lavoro di mantenere in vita un contratto di durata con un dipendente la cui condotta era stata tale da ledere irrimediabilmente la fiducia nel dipendente medesimo, comportando cosi' il venir meno dei presupposti per la prosecuzione del rapporto di lavoro, si e' discostata da tale principio, evidentemente non considerando che il licenziamento era si' di natura disciplinare, ma con preavviso (articolo 2118 c.c.). Il quinto motivo di ricorso e' dunque fondato. 7. In definitiva soltanto il quinto motivo di ricorso, teste' esaminato, merita accoglimento, mentre gli altri vanno disattesi. Per l'effetto la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta. Poiche' non e' necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, essendo stato gia' riconosciuto nei precedenti gradi che lo stato di malattia si era protratto sino al 26 novembre 2002, la controversia puo' essere decisa nel merito con la declaratoria della sospensione dell'efficacia del licenziamento fino alla suddetta data e con la conseguente condanna della parte datoriale al pagamento della retribuzione, sempre fino alla stessa data, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali. La peculiarita' della situazione fattuale, l'esito complessivo del giudizio e le decisioni tra loro divergenti adottate nei gradi di merito consigliano la compensazione delle spese per l'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, dichiara la sospensione dell'efficacia del licenziamento sino al 26 novembre 2002 e condanna la controricorrente al pagamento delle retribuzioni dovute fino a tale data, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; compensa le spese dell'intero processo. 7