QUANDO IL FRIGORIFE NON C ERA Dal frigo all immondizia: ogni europeo produce in media 180 chili di rifiuti alimentari all anno.tra nuovi stili di vita e abitudini alimentari, cosa è cambiato negli ultimi decenni? Domenico Villani APPARTENGO ALLA GENERAZIONE che ha vissuto il momento dell arrivo del primo frigo in casa. Ricordo benissimo quando lo portarono, la marca e come era fatto, con il piano superiore di fòrmica che faceva anche da piano di lavoro, vista l altezza di 90 cm. Una volta i primi acquisti importanti (e di un certo valore) rappresentavano un momento quasi celebrativo. Ero troppo piccolo per avere coscienza di come era stata la vita senza frigorifero, ma vivendo in una città a circa 700 metri sul livello del mare posso immaginare che il problema della conservazione del cibo da ottobre a maggio non si ponesse: c era il terrazzino che sopperiva alla mancanza dell elettrodomestico bianco, oltre a una cantina seminterrata. In ogni caso, dai racconti dei miei, non c era alcuno spreco anche senza frigo. Vivevo in una famiglia di cinque persone, con una madre casalinga che provvedeva a fare la spesa e ad amministrare l economia domestica; ricordo che c era un menu molto vario: ogni giorno una pietanza diversa, e tutto ciò che mia madre preparava si esauriva nella stessa giornata. Insomma, per il netturbino che veniva a svuotare il secchio dell immondizia sino alla porta di casa, al terzo piano, senza ascensore, c era poco lavoro, quasi esclusivamente i resti della pulizia delle verdure, pesce e carni bianche (allora i polli venivano macellati in casa). Nostalgia? Forse, ma non si può fare a meno di porsi una domanda: come mai quando non c era il frigo non c era spreco e oggi che abbiamo a disposizione frigo, congelatore e dispositivo per il sottovuoto, si stima che ogni europeo produca in media all anno circa 180 kg di rifiuti alimentari? C è da chiedersi quindi quali sono stati i fattori che maggiormente hanno contribuito a creare tale situazione. Per spiegare le trasformazioni avvenute in questi ultimi sessant anni, prenderò in considerazione due aspetti che, secondo me, sono stati determinanti. 26
RO Cambia l assetto familiare Il primo cambiamento avviene quando buona parte delle donne aggiunge al lavoro di casa quello fuori casa. Sino ad allora l esercizio dell economia domestica veniva svolto con una programmazione giornaliera meno vincolante di quella di oggi. Ciò permetteva alle donne casalinghe di curare l approvvigionamento alimentare più facilmente e con una cadenza quasi giornaliera. Indubbiamente il nuovo assetto familiare implicava dei cambiamenti nell organizzazione domestica, di conseguenza occorreva pensare a diverse modalità per rispondere alle nuove esigenze. Purtroppo però si stava già esaurendo l epoca in cui il futuro illuminava l orizzonte sociale e personale e ispirava l azione. Infatti la prima, e forse l unica, risposta, tranne rare eccezioni, ai problemi che si creavano con i coniugi entrambi lavoratori, fu la nascita dei supermercati. Grandi negozi self service dove trovare tutto, dalla verdura alla carne, in confezioni pronte per la cottura. Ricordo l apertura del primo supermercato. Anche in questo caso un momento celebrativo. Sembrava che terminata la fase di curiosità dovesse tornare come prima, in- 27
Il cliente sceglie, sulla base delle sue conoscenze, informazioni, esperienze ecc., mentre il consumatore viene cercato e scelto da chi vende vece, come sappiamo, i supermarket ebbero ben presto il sopravvento sui piccoli esercizi commerciali. Si pensò che fossero più adeguati alle nuove esigenze: ampia e libera scelta. Come spesso succede, le rivoluzioni sociologiche che non vanno effettivamente incontro alle esigenze comuni, diventano vincenti soprattutto per demerito di coloro che, direi istituzionalmente, dovrebbero cogliere i cambiamenti in atto per proporre adeguate misure che tengano sempre al centro dell attenzione i bisogni comuni e reali delle persone. Mi spiego con un esempio: gli orari e i servizi degli esercizi sotto casa, anziché tener conto dei nuovi orari di lavoro della famiglia e delle loro nuove esigenze, non registrarono alcun cambiamento importante. Non si vide la possibilità di offrire nuovi tipi di servizi che, oltre a rispondere ai nuovi bisogni, avrebbero anche incrementato il business. Quella relazione fiduciaria, molto radicata, che esisteva tra la cosiddetta massaia e il negoziante, cessa completamente anziché rinsaldarsi ed essere utilizzata per reciproci vantaggi. In sostanza il ruolo del titolare dell esercizio doveva cambiare e assumere quello che oggi probabilmente prenderebbe il nome di food planner (alla stregua del wedding planner) e il suo marketing doveva consistere nella scelta di vendere quello che lui e i suoi vicini (leggi anche clienti) rappresentavano culturalmente. Così finisce che la spesa viene relegata al sabato mattina presso il supermercato, con un approvvigionamento di durata settimanale, se non più lungo. Risultato: acquisti meno consapevoli, asettici, standardizzati, qualità medio-bassa, quantità superiori all effettivo fabbisogno e quindi destinate a restare inutilizzate per essere poi eliminate alla scadenza, se non prima. La nascita del consumatore Inizio anni 80: in una convention della multinazionale americana dove lavoravo, viene comunicata un innovazione per cui l attività commerciale non doveva più rivolgersi al customer (cliente), ma al consumer (consumatore). Apparentemente si trattava solo di una differenza terminologica, una delle cosiddette americanate ; invece non era così, se si pensa che non si parlava di beni di prima necessità ma di beni mobili, insomma automobili, prodotti dalla società che poi diede il nome al modo di produrre su larga scala. Sino ad allora L abbreviazione q.b. è l indicazione che troviamo nelle ricette accanto ad alcuni ingredienti, ma soprattutto accanto ai condimenti e che sta per: quanto basta. L indicazione significa che la quantità dell ingrediente da usare deve essere adeguata alla quantità della pietanza che dobbiamo preparare. Un quantitativo diverso pregiudica la riuscita della ricetta. Nel preparare le ricette riusciamo, bene o male, a trovare la giusta misura, grazie all attenzione, all accuratezza che mettiamo e anche all esperienza, al buon senso e soprattutto alla conoscenza. Il quanto basta rappresenta anche una testimonianza della ricerca del buon gusto, se pensiamo, ad esempio, agli abiti su misura. I manager hanno estrema dimestichezza con tale concetto, dovendolo applicare ogni giorno nella gestione delle risorse aziendali, tanto che 28
Il Gruppo di lavoro di Manageritalia Roma organizza il workshop QUANTO BASTA: UN PRINCIPIO ETICO CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE 30 NOVEMBRE 2013 - dalle ore 9,15 alle 14 Tempio di Adriano - Roma dalla loro ottimizzazione e dalla perfetta conoscenza del quanto basta dipendono le sorti dell azienda. Si può affermare che si tratta di un principio con cui abbiamo a che fare quasi quotidianamente e la sua applicazione vincente è frutto della conoscenza e della logica. E allora: perché nei nostri acquisti di prodotti alimentari questa nostra sapienza si smarrisce? Mancanza di conoscenza, di logica, di entrambi o qualcos altro? Obiettivi: portare all attenzione degli associati, ma non solo, un tema di alta rilevanza sociale. Condividere gli obiettivi delle associazioni/fondazioni/personalità che abbiano fatto del problema degli sprechi la propria mission. Orientare gli associati, le loro aziende e le loro famiglie verso comportamenti e stili di vita responsabili ed etici. PROGRAMMA DELLA GIORNATA Interventi di: Salvatore Caronna, deputato del Parlamento europeo, titolare nella Commissione sviluppo regionale e membro supplente nella Commissione agricoltura. Catherine Dickehage, private sector partnerships director World food programme. Federica Corsi, policy officer Oxfam Italia. Marta Leonori, assessore a Roma Produttiva. Chiara Pastore, University of York - School of politics, economics and philosophy e responsabile del progetto Feed York. Presentazione dei risultati di un indagine sul tema del convegno effettuata presso mense aziendali e associati Manageritalia: Roberto Orsi, presidente e amministratore delegato Errepi Comunicazione, direttore osservatorio Socialis, docente facoltà di Economia, Tor Vergata. Racconto sceneggiato, tratto dell articolo di Domenico Villani Quando il frigorifero non c era : Angela Sajeva, attrice, narratrice e insegnante di tecniche teatrali e di narrazione. Tavola rotonda con la partecipazione di: Laura Ciacci, rappresentante Slow Food. Maria Marino, docente di fisiologia Università Roma Tre. Domenico Salvoni, responsabile marketing e comunicazione Gruppo Maiorana. Gabriel Battistelli, direttore Coldiretti Roma e Rieti. Gianfranco Masiero, responsabile acquisti Starwood per la regione del Mediterraneo. Presentazione dei vincitori del Concorso effettuato presso alcune scuole superiori di Roma. Intervento del rinomato chef Fabio Campoli. Buffet a base di prodotti di eccellenza e/o provenienti dalla filiera del recupero sprechi alimentari. Conduttore: Federico Quaranta, giornalista e conduttore di Decanter su Radio2 Rai, di Linea verde orizzonti e giudice de La prova del cuoco su Rai1. 29
Come mai prima non c era spreco e oggi che abbiamo a disposizione frigo, congelatore e dispositivo per il sottovuoto ce n è in abbondanza? il termine consumo era poco diffuso, limitato a ciò che effettivamente era sottoposto a usura e/o logoramento: ruote di un auto, scarpe, vestiti ecc. L utilizzo del nuovo termine, consumatore, operava un inversione sostanziale: il cliente sceglie, sulla base delle sue conoscenze, informazioni, esperienze ecc., mentre il consumatore viene cercato e scelto da chi vende. Compresi appieno le differenze quando, di lì a poco, negli Usa mi capitò di dover andare in un grande magazzino per acquistare un coltello da cucina. Superfluo sottolineare la grandezza dell esercizio commerciale; per farla breve chiesi a un addetto dove potevo trovarlo e gentilmente l addetto mi indicò una corsia che si intravedeva abbastanza lunga; per cui, ingenuamente, chiesi esattamente in che punto della corsia erano posizionati i coltelli e lui, molto sorpreso dalla mia domanda, mi confermò che quella era la corsia giusta. Pensai che forse c era stato un fraintendimento tra il mio inglese e il suo americano e lasciai perdere, dirigendomi verso la corsia indicata dall addetto. Non ci volle molto per capire che non c era stato alcun fraintendimento: tutta la corsia era occupata da coltelli, di tutti i tipi, e quando dico di tutti i tipi non mi riferisco semplicemente alle loro diverse dimensioni, mi riferisco al fatto che c erano per svariati tipi di alimenti, e nell ambito dello stesso prodotto per le diverse varietà, esempio: un coltello per sbucciare le pere william, uno per le kaiser, uno per le conference e così via. Più che concentrato a sbrogliare la faccenda di quale potesse fare al mio caso, ero preso da una sensazione di sbigottimento che si alternava a quella di divertimento. Comunque, incuriosito, mi misi a contare quanti tipi di coltelli ci fossero: 67 e per difetto. Non so se per indecisione oppure per un fatto culturale, non comprai alcun coltello. Il giorno dopo pensai che, forse, se non mi fossi fatto prendere dalla situazione inverosimile, probabilmente, per non sbagliare, ne avrei comprati almeno cinque, per utilizzarne solo uno e lasciare gli altri quattro imballati. In questo caso sarebbero stati i quattro coltelli inutilizzati a scegliere me. Se anziché di coltelli si fosse trattato di un prodotto alimentare, il non usato sarebbe stato il classico spreco alimentare e avrebbe preso la strada del secchio dell immondizia. Più quantità meno qualità L effetto combinato dei due fattori presi in considerazione ha quindi conseguenza su due elementi che contraddistinguono gli acquisti: la qualità e la quan- 30
tità. Anche non volendo parlare di involuzione della qualità, va tuttavia detto che attualmente i prodotti di qualità non sono quelli maggiormente diffusi, basti pensare alla proliferazione dei fast food, dove l elemento determinante non è rappresentato dalle caratteristiche organolettiche degli alimenti, bensì dal breve tempo necessario per ordinare e per mangiare, fattore che tra l altro è caratterizzante del nome. La tendenza è quella di considerare il cibo, che è il bene più essenziale per la nostra esistenza, come qualcosa da consumare, quindi senza un adeguata attenzione alla qualità e a ciò che c è dietro un prodotto alimentare. Mi viene in mente la fatidica frase che ci viene detta quando vogliamo far riparare un oggetto: conviene comprarne uno nuovo anziché riparare quello vecchio, tanto la differenza del costo è minima. Già per un oggetto qualsiasi questo approccio lascia perplessi se si pensa alla brevità della sua vita e all impatto ambientale per smaltirlo, figuriamoci quando viene applicato al cibo. Come accennavo prima, c è un altro elemento che contraddistingue gli acquisti e che è strettamente legato alla qualità: la quantità. Una volta si diceva che dietro al frigo strapieno c erano delle motivazioni sociologiche: una specie di rivalsa nei confronti del periodo bellico in cui si era sofferto la fame, per diventare successivamente anche una dimostrazione di opulenza e dello status symbol. Ma al di là di motivazioni sociologiche, il fatto che una moltitudine di persone muoia per mancanza di cibo e acqua sarebbe già sufficiente per far riflettere maggiormente sulle nostre modalità di gestire gli acquisti. Non c è dubbio che la quantità è una conseguenza della qualità: maggiore qualità implica minore quantità e non per un fatto economico o perlomeno non solo ma fisiologico. Un prodotto di alta qualità infatti sazia molto prima di un prodotto di scarsa qualità e senza appesantire. Alcuni studiosi prevedono che il fenomeno dello spreco alimentare arriverà a livelli altissimi nei prossimi anni, il che significa che dovremo gestire situazioni emergenziali. Per sottrarsi alla tirannia del momento ben vengano tutte le iniziative che cercano di trovare una collocazione al superfluo alimentare, affinché non prenda la via della pattumiera (food sharing), ma occorrerebbe soprattutto bloccare il declino culturale e indirizzare le energie affinché lo spreco non venga affatto prodotto. Per operare i necessari cambiamenti potrebbe essere sufficiente coniugare gli aspetti positivi del periodo pre-frigo (quando nelle case non era ancora presente il frigo) con quelli post-frigo, senza bisogno di pianificare e mettere in atto cambiamenti strutturali. L esperienza infatti suggerisce che non esistono cambiamenti strutturali senza cambiamenti banali, anzi sono questi ultimi a far scaturire i cambiamenti culturali. Esempio: considerare l agricoltura come stile di vita e non come un industria. 32