viaggiatore Il genio mostre giotto, l italia

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mostre giotto, l italia Il genio di Serena Romano viaggiatore Non sapremo mai se Giotto fosse davvero capace di tracciare una circonferenza perfetta a mano libera, ma che avesse un talento superiore è fuor di dubbio. Qualità che non tardarono a farne l artista piú richiesto del suo tempo e, di conseguenza, lo portarono a lavorare in cantieri sparsi un po in tutta la Penisola. Una vicenda che viene ora ripercorsa dalla mostra allestita a Milano, in Palazzo Reale, che riunisce alcuni dei massimi capolavori del maestro fiorentino 28 settembre M EDIO E VO

La mostra «Giotto, l Italia» propone un corpus di opere scelte fra lavori certamente attribuibili all artista e che, di conseguenza, siano in grado di documentarne gli spostamenti in Italia. Si tratta, dunque, di un progetto ben definito, che ha avuto tra i suoi ideatori la storica dell arte medievale Serena Romano, della quale, per gentile concessione dell editore Electa, siamo onorati di pubblicare un ampio stralcio del saggio che apre il catalogo realizzato per l occasione. Sulle due pagine particolare della fronte del Polittico Stefaneschi, tempera su tavola, 1320 circa. Città del Vaticano, Musei Vaticani. Nella pagina accanto un particolare del polittico in cui il committente dell opera, il cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi, ne offre il modellino a san Pietro. M EDIO E VO settembre 29

mostre giotto, l italia L dice che ogni epoca e ogni cultura si fabbricano un immagine propria L evidenza dei grandi fenomeni di civiltà che le hanno precedute; e Giotto appartiene al non vasto gruppo di artisti che bucano le cortine della distanza, del non specialismo, e della non informazione, e sono suggestivi a partire dallo stesso semplice nome. Che viene preso in prestito per etichettare oggetti o imprese che con la pittura del Trecento non hanno assolutamente nulla a che fare: non ci sono soltanto i pastelli Giotto o i bus turistici Giotto, ma ci sono centri commerciali Giotto, residence Giotto, panettoni Giotto, ovviamente addensati nelle zone che conservano le opere, Firenze e Padova soprattutto. L etichetta, insomma, suscita associazioni mentali vaste e solidarmente nazionali; «rappresenta» il brand italiano, suona antica e affidabile, allude a nobili e belle regioni, fa pensare a viaggi e paesaggi. Forse in qualche modo arriva, ancorché confusa e ridotta, anche ad evocare questa somma di qualità agli occhi e alla mente di chi non condivide gli elementi di base della cultura occidentale: se con questi termini si può fare allusione a principi comuni, messi oggi in gran periglio a fronte di trasformazioni molto rapide e molto radicali. Il migliore di tutti Il Giotto witty, brutto e intelligentissimo, ironico, rapido e vitale degli aneddoti e delle novelle che emergono nella letteratura toscana a breve distanza dagli anni della sua vita mantiene forse un briciolo di realtà storica: certo, le novelle di Franco Sacchetti ci mostrano in modo irrefutabile che entro la fine del Trecento era vivissima la nozione del gruppo di pittori che noi definiamo giotteschi, e specificamente «allievi» di Giotto, come Bernardo Daddi, Taddeo Gaddi, o Buffalmacco che trovava nel nome di Giotto la propria radice identitaria; e che a Giotto stesso era tra loro accordata una posizione indiscutibile e preminente, conquistata grazie alla sua straordinaria capacità tecnica, al suo carattere, e ovviamente alla sua maggiore anzianità. Via via, il personaggio si riveste di una sacralità archetipica: e in Ghiberti e Vasari, addobbato di episodi adattati dall Antico, diviene il punto fermo da cui tutto deriva. Per Vasari, la storia dell arte funziona a individui straordinari, isole di genio e innati picchi di eccellenza la cui massima densità si trova a Firenze e nel resto della Toscana. La genialità non si eredita, ma la capacità tecnica e artigianale del mestiere si trasmette da maestro ad allievo, e la trasmissione avviene nella bottega del maestro che certo appare anche in Sacchetti quale luogo dove Giotto è reperibile, quotidianamente, familiarmente per sua natura ancorata ad un luogo, fatta per conservare e custodire, per eternizzare direi, i saperi artistici. L insieme delle botteghe costituisce la tradizione di una città. In questa geografia fissa, piena di bandierine appiccate su campanili, si dà naturalmente anche il caso di artisti che si spostino dalla loro culla di formazione: il caso di Giotto è il primo raccontato, e in certa misura il piú eclatante, perché Giotto nel racconto di Vasari è il piú fiorentino dei fiorentini, ma è talmente bravo che tutti lo chiamano, e lui va a Roma, a Padova, a Napoli, a Milano, forse ad Avignone: è il primo artista ufficialmente viaggiatore. Non c è naturalmente una sola parola che permetta di chiedersi se Vasari si sia posto il problema del dialogo dell artista-genio con il luogo dove di volta in volta egli si recava: per Vasari l opera del genio viene recapitata nelle varie destinazioni, per cosí dire a scatola chiusa, intesa a suscitare ammirazione e impermeabile al contesto in cui viene prodotta. Il viaggio insomma, per Vasari, Polittico Stefaneschi Tempera su tavola, 1320 circa 30 settembre M EDIO E VO

Il lato posteriore del polittico: vi sono raffigurati Cristo in trono con angeli e il cardinale Stefaneschi, tra la Crocifissione di san Pietro a sinistra e il Martirio di san Paolo a destra; nella predella sottostante, la Madonna col Bambino in trono tra due angeli e i dodici apostoli. M EDIO E VO settembre 31

mostre giotto, l italia A destra Dio Padre in trono (particolare), dalla cappella degli Scrovegni, tempera su tavola, 1303-1305 circa. Padova, Musei Civici, Museo d arte medievale e moderna. In basso Testa di pastore (Gioacchino tra i pastori), affresco strappato e riportato su supporto in alluminio, 1305-1310 circa. Firenze, Gallerie dell Accademia. non è una traiettoria cronologica e psicologica che costruisca il personaggio secondo una successione longitudinale logica e in sviluppo: una nozione, questa, che sarebbe certo stata anacronistica nel Cinquecento, ed è comunque perfettamente inutile agli obiettivi vasariani. Le radici del mito Che Giotto abbia potuto reagire agli ambienti e alle tradizioni artistiche via via incontrate nei suoi viaggi non è proprio questione che occupi Vasari, il quale si sarebbe probabilmente offeso di una simile idea. Al contrario: tanto innato e impermeabile è il genio, per Gior- gio Vasari, che proprio nella Vita di Giotto egli, che vi scolpiva le radici del mito del primato fiorentino, dà a Cimabue la responsabilità della formazione del ragazzo geniale, ma gli sottrae per cosí dire la prima orma, perché, se Cimabue trasmette al giovane Giotto le capacità tecniche ed è la marca della fiorentinità, la Natura è in realtà la sua maestra divina, che lo ispira direttamente, senza tramiti, senza gavette, senza sacerdoti mediatori. Questa ispirazione alla fonte della Natura ha una connotazione quasi cristologica: è il tocco della Grazia che fa di Giotto l eccezione suprema rispetto a tutto il circostante panorama e di fatto ne sottolinea il ruolo provvidenziale e in certa misura quasi astorico. In Vasari non ci sono intersezioni orizzontali: sullo schema biografico, le opere dell artista sono distribuite (talvolta in misura e in un ordine ancora oggi utile) in una 32 settembre M EDIO E VO

successione che non concepisce innesti di natura allogena. Concetti come quello della committenza, cosí come è oggi largamente inteso, sono del tutto estranei alla cultura vasariana. Piuttosto, se ne captano sfumature in alcuni degli aneddoti che Vasari conosce, manipola e usa, a partire da quello famoso della «O». Di fonte ignota, l aneddoto mostra Giotto accostato dall ambasciatore (il «cortigiano») del papa che da Avignone vuol essere sicuro che lui sia veramente bravo come si dice, e gli chiede una prova. Il cortigiano arriva a lui, si noti, avendo già fatto indagini specialmente a Siena e avendo raccolto disegni di maestri senesi, da usare si comprende come termini di confronto. Giotto intuisce qual è la sfida: la affronta, la supera e la snobba, disegnando il circolo perfetto che è molto meno e ben piú di quanto il papa gli ha mandato a chiedere. Un gesto mitico, perché assolutamente semplice e spiazzante: un gesto di assoluta leggerezza. Giotto insomma, era immensamente dotato di leggerezza: forse Italo Calvino concorderebbe con questa lettura, e come nel caso di Guido, potrebbe ancora ravvisare nella figura archetipica di Giotto l auspicio del modello semplice e intatto, e l invito a guardarlo come guida al secolo, il ventunesimo, al tempo delle Lezioni americane ancora di là da venire, e ora invece già in corso, forse meno arioso, piú difficile e arduo, di quanto si sarebbe pensato. Modelli vecchi e nuovi Distanziarsi dal modello vasariano è difficilissimo, se non impossibile, nonché, forse, inutilmente presuntuoso. A grandi linee, il disegno tracciato da Vasari Giotto, vita e opere nella storia dell arte cosí come è venuta a configurarsi ha resistito fino ad oggi; e se l ordine degli episodi cambia costantemente, se cambia la cronologia delle opere e si modifica in parecchi importanti casi la certezza dell attribuzione, la speranza di poter comporre un percorso geo-biografico in cui le opere integrino in qualche modo il desiderio di conoscere piú e meglio l uomo-giotto, l artista-giotto, non è mai venuta meno e, credo, ha in- Madonna con il Bambino. 1290 circa. Borgo San Lorenzo, pieve di S. Lorenzo. La tavola su cui l opera è dipinta risulta ridotta su tutti i lati e solo in alto si può presumere che il colmo stondato non sia molto piú basso della cuspide originaria. distintamente nutrito tutti gli studi e gli studiosi che con questo lontano obiettivo si sono cimentati. Problemi di metodo Naturalmente, con grandi rischi: particolarmente evidenti nel genere che piú da vicino percorre la strada tradizionale del «vita e opere», cioè quello della monografia, che per definizione crede alla possibilità di costruire un profilo biografico di un individuo attraverso il supposto svolgimento stilistico delle opere a lui attribuite. Anche Giotto, sulla cui produzione abbiamo cosí pochi dati di oggettiva cronologia, viene dunque fornito di una sequenza ordinata: si cerca di datare le opere, e di scandirle nel corso degli anni, in pratica immaginando che l artista, basato nella sua città natale, si impegnasse a eseguire i compiti richiesti, muovendosi se necessario da casa e recandosi episodicamente nei luoghi in questione. Movimenti e percorsi geografici, quelli di Giotto, che vengono ben isolati e numerati e nei quali vanno a incastrarsi le opere note, da realizzare e consegnare al richiedente prima della partenza dell artista che poi torna a casa o va in un altro luogo in cui è richiesta la sua presenza. L illusion biographique, questo tentativo di ordinare dati spesso poco eloquenti in un ordine di relazioni intellegibili e sotto la protezione di quella che Bourdieu ha chiamato la constance nominale dunque il riferimento a un nome, quello di Giotto, contenitore la cui definizione cambia vertiginosamente a seconda dei punti di vista domina assolutamente. Plutarco e Vasari la vincono ancora. La bibliografia giottesca è quindi piena di tentativi di mettere in M EDIO E VO settembre 33

mostre giotto, l italia Polittico di Bologna Oro e tempera su tavola, 1333 circa Madonna col Bambino in trono e i santi Pietro, Gabriele arcangelo, Michele arcangelo e Paolo; nella cuspide, Figlio dell uomo dell Apocalisse; nella predella, san Giovanni Battista, la Madonna, Cristo in pietà, san Giovanni evangelista, santa Maria Maddalena. Bologna, Pinacoteca Nazionale. ordine i dati supposti oggettivi con le opinioni sullo stile; un brain storming ormai secolare, i cui punti piú bollenti sono forse quelli che toccano la basilica di Assisi, ma che annovera altri casi di continui stravolgimenti cronologici (pensiamo alla datazione delle cappelle Bardi e Peruzzi di Santa Croce a Firenze, o a quella, che commentiamo nelle schede di questo catalogo, del gruppo vaticano) e che, a mio avviso, anche recentemente cade nell ingenuità di usare i vuoti della documentazione come prova dell assenza del maestro, per esempio, da Firenze. Coloro che nel corso degli ultimi decenni hanno avuto il coraggio di scrivere una monografia sull opera di Giotto Schwarz, la piú recente, 34 settembre M EDIO E VO

che sfugge al modello «vita e opere» ma ha attirato molte critiche; quella editorialmente fortunata di Francesca Flores d Arcais, la piú incline al sistema di «riempimento lacune» con le opere note; quella di Bonsanti del 1985 e ovviamente quella di Previtali, che introdusse il concetto di «bottega» in chiave strutturale e con valenza metodologica hanno affrontato un compito micidiale, infatti minoritario fra gli studi, che preferiscono nettamente approcci a singole opere o ad aspetti specifici. Forse, scrivere una monografia su Giotto aspirando alla completezza dei dati e delle informazioni bibliografiche è ormai impossibile: la parzialità, e l approfondimento per carotaggi, sono oggi l unico obiettivo praticabile. Ma pur rinunciando all idealismo piú speranzoso e romanzesco, va evitata la paralisi per impotenza: va trovato un compromesso nuovo tra i dati oggettivi, quelli altamente plausibili e probabili, e quelli forniti dall esercizio della filologia storicoartistica, che se cerca di evitare le opinioni troppo arbitrarie si rivela, come tante volte si è rivelata, un potentissimo mezzo di forte ed efficace approssimazione. Come un restauratore Non essendo possibile, e nemmeno opportuno, rinunciare alla possibilità di ricostruire l opera, i tragitti, e il modus operandi di colui che per la cultura italiana ed europea è ben piú dell occasione di una constance nominale, può anche esser utile, a immaginarne almeno una parte d attività, l uso di due modelli di riferimento, entrambi attuali: par- Il percorso espositivo I magnifici tredici tendo dal principio che l uomo del primo Trecento non doveva poi essere cosí nettamente diverso nei comportamenti e nell organizzazione del lavoro da quello di oggi. Soccorre, nella fabbricazione di un analogia, lo schema del sistema di lavoro di un grande restauratore e della sua équipe: un modello, questo, che ha avuto e ha ancora grandi ed evidenti episodi negli ultimi decenni, compresi quelli che sono andati a toccare proprio l opera giottesca; è, comunque, quello tecnicamente piú vicino a quanto stiamo qui discutendo. Negli anni d oro del restauro specialmente di affreschi in Italia quello di Assisi e quello degli Scrovegni, per restare in tema ha offerto paradigmi evidentissimi circa il modus operandi, appunto, del capo-restauratore che dà il nome alla ditta e la garanzia della qualità, stabilisce protocolli, tecniche e tempi d intervento, lasciando marginalmente liberi i suoi collaboratori nella messa in pratica e applicazione dei principi-guida durante il lavoro quotidiano. E un altro possibile modello, specialmente per quel che La mostra in Palazzo Reale riunisce 13 opere, a formare una sequenza di capolavori mai riuniti tutti insieme in una esposizione. L esordio è affidato alle opere giovanili: il frammento della Maestà della Vergine da Borgo San Lorenzo e la Madonna da San Giorgio alla Costa, documentano il momento in cui l artista era attivo tra Firenze e Assisi. Poi il nucleo dalla Badia fiorentina, con il polittico dell Altar Maggiore, attorno al quale saranno ricomposti alcuni frammenti della decorazione affrescata che circondava lo stesso altare. La tavola con Dio Padre in trono proviene dalla Cappella degli Scrovegni e documenta la fase padovana del maestro. Segue poi il gruppo che inizia dal polittico bifronte destinato alla cattedrale fiorentina di S. Reparata e che ha il suo punto d arrivo nel polittico Stefaneschi, dipinto per l altar maggiore della basilica di S. Pietro. Il percorso si chiude con i dipinti della fase finale della carriera del maestro: il polittico di Bologna, e il polittico Baroncelli, che nell occasione della mostra viene ricongiunto con la sua cuspide, raffigurante il Padre Eterno, conservata nel museo di San Diego in California. M EDIO E VO settembre 35

mostre giotto, l italia Polittico Baroncelli Tempera su tavola, 1330 circa Incoronazione della Vergine. Firenze, basilica di Santa Croce, cappella Baroncelli attiene la dimensione imprenditoriale e direi planetaria del lavoro, è quello di qualche grande studio di architettura di oggi (pensiamo all autore dell allestimento di questa stessa mostra, Mario Bellini; o a Renzo Piano, Herzog & de Meuron, Frank Gehry ) che sforna progetti identificati dal nome cui si intitola lo studio, nome che coincide in genere con la piú grande e carismatica delle personalità presenti, normalmente anche il creatore del gruppo e colui che ne ha definito lo stile e la produzione. Stile e prodotti che restano riconoscibili anche attraverso le molto complesse fasi del lavoro e gli apporti spesso determinanti di aiuti e collaboratori di grande identità e peso professionale. Come lavorano i grandi restauratori e i grandi architetti? È fuori discussione che essi possano svolgere ordinatamente un lavoro per volta, accettando commesse, progettandole e realizzandole, per poi passare alla successiva. Cosí facendo si taglierebbero un numero esorbitante di contatti e di possibilità; non arriverebbero a soddisfare le richieste anche soltanto della crème de la crème dei potenziali committenti; e dovrebbero accettare una vita fatta di segmenti sequenziali di geografie e di ambienti, con drammatica perdita, per lunghi periodi, di un centro vitale ed esistenziale. Il ruolo del «capo» La soluzione che invece vediamo sistematicamente in atto in tutte queste vicende è la compresenza, certo oggi resa radicalmente piú facile dai sistemi di comunicazione: cantieri aperti simultaneamente, personalità di vicari affidabili ed efficienti, e il ruolo del «capo» consistente soprattutto nella progettazione piú o meno stretta e rigorosa a seconda delle occasioni, e nell indirizzo verso quello che si è chiamato il «prodotto riconoscibile», dunque il brand della firma. Fantascienza, per il Trecento? Google calcola il tempo che ci vuole per recarsi a piedi da una all altra delle città in cui la tradizione storiografica e le conoscenze storiche e visive attestano l attività di Giotto. Risultano 33 ore di cammino per andare da Firenze a Roma; 34 da Firenze ad Assisi; 31 da Assisi a Rimini; 38 da Rimini a Padova. Aggungiamo un po piú di tempo per superare le montagne; ma immaginando che Giotto non si spostasse a piedi, ma a cavallo o su un mulo, o con un carro, si deve pensare non ci volessero piú di due o tre giorni per recarsi da una all altra di queste destinazioni. Ne abbiamo irrefutabile prova nel documento del 1334, che attesta come il corteo del cardinale Bertrando Dal Poggetto, in cammino per tornarsene in Provenza forse avendo con sé Giotto che tornava a casa sua, sia partito da Bologna il 28 marzo e arrivato a Firenze il 31, o il 1 aprile, si immagina viaggiando con agio, onori, riposi, eccetera. Un mondo piú lento del nostro, ma di sicuro capace di muoversi. F Dove e quando «Giotto, l Italia» Milano, Palazzo Reale fino al 10 gennaio 2016 Orario lu, 14,30-19,30; ma-do, 9,30-19,30 (gio e sa, apertura serale fino alle 22,30) Info www.mostragiottoitalia.it Catalogo Electa 36 settembre M EDIO E VO

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