Decreto 231 e Reati ambientali. (avv. Antonio Carino)



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Decreto 231 e Reati ambientali (avv. Antonio Carino) 1. Il Consiglio dei Ministri ha approvato, lo scorso 7 luglio, il Decreto Legislativo volto a recepire le direttive 2008/99/CE (sulla tutela penale dell'ambiente) e 2009/123/CE (relativa all'inquinamento provocato dalle navi) 1, introducendo, altresì, l'art. 25 undecies del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ('Decreto 231') che prevede la responsabilità amministrativa da reato per gli enti in relazione alla commissione di alcuni di reati c.d. 'ambientali'. L'introduzione nel novero dei reati presupposto ex Decreto 231 dei reati ambientali avviene in considerevole ritardo rispetto alle premesse iniziali, atteso che già undici anni fa, con la L. 29 settembre 2000, n. 300 il Parlamento aveva delegato il Governo all'emanazione di un decreto legislativo (quello che sarebbe divenuto il Decreto 231) avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi: a) d) prevedere la responsabilità in relazione alla commissione dei reati in materia di tutela dell'ambiente e del territorio, che siano punibili con pena detentiva non inferiore nel massimo ad un anno anche se alternativa alla pena pecuniaria 2. Nonostante questa ampia delega il Governo è rimasto per lungo tempo inerte. Anche a seguito dell'emanazione D.Lgs. n. 152/2006 ('Codice dell'ambiente'), infatti, la situazione di stallo normativo non si era sbloccata; qualcuno, impropriamente, aveva tentato di leggere un'apertura da parte del Legislatore Delegato nell'infelice formulazione dell'art. 192 3 del Codice dell'ambiente - in tema di abbandono, deposito, immissione di rifiuti nel/sul suolo e nelle acque o del mancato ripristino dello stato dei luoghi - il cui comma 4 introduceva il principio secondo cui qualora la 1 Con l articolo 19 della legge 4 giugno 2010, n. 96, recante Disposizioni per l adempimento di obblighi derivanti dall appartenenza dell Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009, il Governo è stato delegato al recepimento delle direttive nn. 2008/99/CE e 2009/123/CE 2 Il Legislatore delegante faceva riferimento alle fattispecie, all'epoca, previste dalla legge 31 dicembre 1962, n. 1860, dalla legge 14 luglio 1965, n. 963, dalla legge 31 dicembre 1982, n. 979, dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni, dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, dal decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n, 203, dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372, e dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, approvato con decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 3 L'art. 192 testualmente recitava: 1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. 3. Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 25, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate. 4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.

responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni. In effetti la norma non brillava per chiarezza, ma già in sede di prima interpretazione la dottrina aveva concluso per la sua irrilevanza ai sensi del Decreto 4. Tuttavia la questione si è posta anche nelle aule di Tribunale e la definitiva conferma dell'impossibilità del coinvolgimento degli Enti ai sensi della disposizione in parola è stata sancita dalla Corte di Cassazione secondo cui, sulla base delle disposizioni di legge all'epoca vigenti, era da escludere, allo stato, la possibilità di estendere la responsabilità amministrativa degli enti al reato di illecita gestione di rifiuti. E invero, nonostante l'art. 11 co. 1 lett. d) della L. 29 settembre 2000 n. 300 abbia delegato al Governo la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica anche in relazione alla commissione dei reati in materia di tutela dell'ambiente e del territorio ( ) il DLgs 8 giugno 2001, n. 231, attuativo della delega, non disciplinava originariamente la materia né risulta che con riferimento a quest'ultima vi siano state successive integrazioni così come accaduto per altri settori. Allo stato l'unico richiamo alla responsabilità amministrativa dell'ente sul tema dei rifiuti sembra essere quello contenuto al co. 4 dell'art. 192 del DLvo 152/06 che, tuttavia, oltre a limitare il riferimento agli amministratori o rappresentanti delle persone giuridiche, espressamente sembrerebbe fare riferimento unicamente alla previsione del comma 3 dell'art. 192 citato che ha per oggetto gli obblighi di rimozione dei rifiuti nel caso di abbandono incontrollato. Per quanto concerne la responsabilità degli enti, difetta dunque attualmente sia la tipizzazione degli illeciti sia la indicazione delle sanzioni: il che indiscutibilmente contrasta con i principi di tassatività e tipicità che devono essere connaturati alla regolamentazione degli illeciti. (cfr., Cass., Sez. III, 7 ottobre - 6 novembre 2008, n. 41329). 2. A fronte del quadro di incertezza che ha contraddistinto gli anni scorsi, interviene, oggi, la decisione del Consiglio dei Ministri con un provvedimento destinato ad avere un fortissimo impatto sulla vita delle società, specie quelle attive in determinati settori. In sintesi il Legislatore Delegato ha: introdotto nel codice penale due nuove fattispecie di reato (contravvenzioni) (art. 727 bis- Uccisione, distruzione, cattura, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette e art. 733 bis - Danneggiamento di habitat); introdotto l'art. 25 undecies nel Decreto 231, prevedendo la responsabilità amministrativa da reato degli Enti sia per le due contravvenzioni di recente introduzione, sia per una serie di fattispecie di reato già previste dal Codice dell'ambiente, da altre normative in materia di protezione dell'ambiente e territorio e dallo stesso Codice Penale 5 ; 4 Cfr., tra gli altri, ROMOLOTTI, Il nuovo testo unico dell ambiente e il d.lgs. 231/2001: un occasione perduta? In Rivista231, n. 1/2007. 5 Con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si ricordano: le violazioni concernenti gli scarichi di acque all articolo 137, quelle relative ai rifiuti agli articoli 256 (gestione non autorizzata), 257 (bonifica dei siti), 258 (violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari), 259 (spedizioni transfrontaliere) e 260 (traffico illecito di rifiuti), quelle relative all esercizio di attività pericolose all art. 279, nonché quelle relative alla c.d. autorizzazione ambientale integrata prevista dall'articolo 29-quatordecies. A tali norme vanno aggiunte le sanzioni previste dalla legge n. 150/1992, legge n. 549/1993, D.Lgs. n. 2020/2007, nonché alcune norme previste dal codice penale, quali l articolo 544 bis (uccisione di animali), 727 (abbandono di animali), 674 (getto pericoloso di cose), 733 (danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale), 734, (distruzione o

previsto a carico degli enti l'applicazione delle sanzioni sia pecuniarie (in tutti i casi) che interdittive (alcuni casi più gravi). Senza alcuna pretesa di esaustività, da un veloce esame delle disposizioni richiamate dal provvedimento, può osservarsi che le attività che sembrano maggiormente interessate paiono essere le seguenti: gestione degli scarichi nel suolo/acque 6 gestione dei rifiuti 7 attività ch impattano sul suolo, sottosuolo e falda 8 gestione e controllo delle emissioni 9 ; gestione delle autorizzazioni 10. Si tratta, in tutti i casi, di attività che sono oggetto di una forte regolamentazione e il cui svolgimento spesso si 'scontra' con l'applicazione di nozioni tecniche molto complesse e di difficile (o dubbia) interpretazione, lasciando ampio margine all'errore in fase di esecuzione. A questo proposito, non può essere taciuto che l'approvazione dello schema di Decreto è stata preceduta da un ampio dibattito che ha interessato sia la dottrina - che, come per i reati in materia di Salute e Sicurezza ha avanzato perplessità sulla compatibilità tra gli illeciti colposi e l'applicabilità del Decreto 231 - che le Associazioni di Categoria. In particolare, CONFINDUSTRIA, con documento del 29 aprile 2011, ha proposto numerose osservazioni critiche al testo dello schema di Decreto Legislativo; in particolare le osservazioni avevano ad oggetto: l'eccessiva 'dilatazione' dei reati presupposto che sarebbe in contrasto anche con le direttive comunitarie; si lamenta in particolare: deturpamento di bellezze naturali); va ricordato anche l articolo 30 della legge n. 394/1991 ( Legge quadro sulle aree protette ). 6 Relativamente, ad esempio, all'effettuazione di scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure al mantenimento degli scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata; alla violazione delle prescrizioni concernenti l'installazione e la gestione dei controlli in automatico o dell'obbligo di conservazione dei risultati degli stessi; al superamento dei valori-limite previsti per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane; all'impedimento dell'accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo; all' inosservanza delle prescrizioni regionali dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualità delle acque; 7 Con riguardo, ad esempio, al traffico illecito di rifiuti, alla violazione degli obblighi di comunicazione, all'obbligo di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari; 8 Nel caso, ad esempio, di versamenti atti a provocare l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio; 9 Nel caso di: violazione dei valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall'autorizzazione nell'esercizio di uno stabilimento; di mancata comunicazione all'autorità competente dei dati relativi alle emissioni; di superamento dei valori limite di emissione che determini anche il superamento dei valori limite di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa; della mancata adozione di tutte le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni. 10 Con riguardo, tra l'altro, all'installazione o esercizio di uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione oppure in caso continuazione dell'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata.

(i) l'estensione della responsabilità anche alle fattispecie contravvenzionali che non sarebbero contraddistinte dai requisiti di lesività e gravità; (ii) il riconoscimento della rilevanza ex Decreto 231 delle fattispecie di reato di pericolo astratto prescindendo anche in questo caso dai principi comunitari, che fanno riferimento ad ipotesi dannose o concretamente idonee a provocare danni per la salute o per l'ambiente. la mancata valorizzazione, ai fini del giudizio di adeguatezza dei Modelli organizzativi, del conseguimento di certificazioni ambientali (ISO 14001 e EMAS). Secondo Confindustria, infatti, sarebbe stato necessario prevedere, analogamente a quanto previsto in materia di sicurezza sul lavoro una presunzione di idoneità dei Modelli definiti conformemente alla norma UNI EN ISO 14001 ovvero al Regolamento EMAS, o a modelli equivalenti; la gravosità dell'apparato sanzionatorio che si sarebbe potuto limitare alla previsione della sola sanzione pecuniaria e non anche di quelle interdittive che appaiono sproporzionate in relazione a figure di reato la cui lesività/gravità sarebbe da verificare; l'opportunità di prevedere l'esclusione della responsabilità ex Decreto qualora gli enti pongano in essere condotte riparatorie post factum. 3. In effetti alcune delle osservazioni proposte da Confindustria - che tuttavia non hanno trovato particolare riscontro nel provvedimento licenziato dal Consiglio dei Ministri (per un approfondimento si veda la Relazione Illustrativa) - appaiono ragionevoli, in particolar modo quelle relative all'opportunità dell'anticipazione delle condotte riparatorie post factum e all'eccessiva dilatazione e scarsa armonizzazione del catalogo dei reati presupposto. Qualche perplessità si deve avanzare, invece, con riguardo alle osservazioni critiche riguardo la previsione, nei casi più gravi, dell'applicazione delle sanzioni interdittive, nonché le argomentazioni volte a lamentare una disparità di trattamento rispetto alla previsione dell'art. 30, comma 5 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 che attribuisce valore determinante alla certificazione conforme alle linee guida UNI-INAIL SGLS e al British Standard OHSAS 18001:2007. Da un lato, infatti, non si vede perché la mancata implementazione di un sistema di controllo preventivo volto alla prevenzione dei reati ambientali debba essere trattato, sotto il profilo sanzionatorio, con minor rigore rispetto ad altre tipologie di reato previste dal Decreto, mentre, dall'altro, si concorda con la corrente di pensiero che ritiene che, alla prova di resistenza dell'esercizio dell'azione penale e del conseguente giudizio - l'opponibilità dell'avvenuta certificazione (in materia di salute e sicurezza o ambientale), essendo (astrattamente, i dubbi sono tanti) idonea a provare soltanto la c.d. ''adeguatezza'' del Modello, non è di per se determinante in ottica esimente, stante la necessità della concomitante prova dell'avvenuta implementazione e, dunque, dell' ''effettività''del Modello. Stante la recentissima introduzione e le difficoltà intepretative che per definizione la materia specifica presenta, non è semplice delineare quali potranno essere gli scenari in fase di prima applicazione. Tuttavia, sia consentito osservare che questa nuova modifica del Decreto 231 così tanto dibattuta, pone, a tutti i livelli, una serie di sfide: la prima - importante - sfida che dovrà essere colta dalle Associazioni di categoria è quella di aggiornare le proprie Linee Guida per l'implementazione dei Modelli in modo da fornire agli associati, ma anche agli interpreti - in primis gli organi Giudicanti - gli strumenti per una valutazione corretta del rischio, degli strumenti preventivi e delle attività da svolgere per assicurare la adeguatezza e l'effettività del Modello (nel caso di CONFINDUSTRIA, da sempre riconosciute come best practice, le Linee Guida risalgono al marzo 2008);

gli Organismi di Vigilanza dovranno suggerire alle società lo svolgimento di mirati risk assessment volti ad effettuare una ricognizione dei rischi e dei controlli esistenti e mirati alla scoperta e 'neutralizzazione' degli eventuali gaps; all'autorità Giudiziaria, invece, il compito di applicare le nuove disposizioni - e di interpretare quelle già esistenti (es., art. 17 del Decreto 231) - tenendo nella giusta considerazione la peculiarità dei reati ambientali e l'impossibilità - talvolta veramente oggettiva - di considerare realizzati con dolo o anche con grave negligenza taluni comportamenti che, dal punto di vista materiale, sarebbero idonei ad essere ricondotti alle fattispecie di reato previste dal Decreto. Anche alla luce dell'insegnamento delle ultime pronunce giurisprudenziali, per ciò che concerne la responsabilità degli enti sarà anche importante che, con riferimento alla valutazione dell'interesse e del vantaggio di cui all'art. 5 del Decreto, sia debitamente valutata l'esistenza di un effettiva responsabilità/carenza organizzativa dell'ente e che la posizione non sia necessariamente identificata con quella della persona fisica cui il reato presupposto è attribuito.