REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NAPOLI NORD III sezione civile

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NAPOLI NORD III sezione civile in persona del Giudice Unico dott. Giovanni Di Giorgio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al R.G. omissis/2016, vertente CLIENTI BANCA OGGETTO: usurarietà contratto di mutuo tra e - attori - -convenuto CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbale di causa del 25.1.2018 MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione iscritto il 21.7.2016 e notificato in data 20.7.2016 I CLIENTI hanno convenuto in giudizio la BANCA per sentir dichiarare in giudizio la nullità della clausola di pattuizione degli interessi, afferente al contratto di mutuo stipulato tra le parti, perché superiori al tasso soglia usura, nonché in via subordinata per indeterminatezza dei tassi, in quanto l ISC dichiarato in contratto sarebbe inferiore a quello applicato. Si è costituita la BANCA chiedendo nel merito il rigetto delle domande di parte attrice. La causa è stata trattata senza lo svolgimento di attività istruttoria e all udienza del 25.1.2018, fatte precisare alle parti le rispettive conclusioni, il Giudice ha riservato la causa in decisione con concessione dei termini di cui all art. 190 co. 1 c.p.c. Deve innanzitutto darsi atto che le parti hanno svolto il tentativo obbligatorio di mediazione, il quale ha avuto esito negativo per assenza della BANCA. La mancata partecipazione di parte convenuta alla mediazione, senza giustificato motivo comporta, in applicazione dell art.8 co 4 bis d.lgs. 28/2010, la condanna al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Nel merito la domanda è infondata e pertanto non può trovare accoglimento. Parte attrice fonda la propria pretesa relativa all usurarietà dei tassi di interesse applicati al contratto di mutuo stipulato sulle parti sia sulla sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora nel calcolo del tasso applicato al rapporto, sia sul fatto che anche il solo tasso effettivo di mora supererebbe il tasso soglia ab origine. Quanto all ipotesi di sommatoria tra tasso corrispettivo e moratorio, la stessa risulta infondata in diritto.

Occorre innanzitutto rilevare che la nota sentenza della Cassazione n. 350/2013, richiamata da parte attrice, in realtà non afferma il principio secondo cui interessi moratori e corrispettivi vadano sempre sommati tra loro al fine di verificare il superamento della soglia di usura. Infatti la richiamata pronuncia ha chiarito che ai fini dell applicazione dell art. 644 c.p. e dell art. 1815 c.c., co.2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo e quindi anche a tiolo di interessi moratori, confermando che anche la pattuizione relativa al saggio degli interessi moratori deve essere oggetto di valutazione in ordine al superamento del tasso soglia, senza tuttavia affermare affatto che la verifica dell usurarietà comporti la necessità di sommare tra di loro gli interessi moratori e quelli corrispettivi (Tribunale Napoli 18.4.2014). Tale assunto trova fondamento sotto diversi aspetti. Innanzitutto entrambi gli interessi convenzionali e moratori hanno diversa natura ontologica ed assolvono ad una differente funzione: a differenza degli interessi convenzionali, la cui funzione remunerativa è espressione della fisiologia del rapporto contrattuale, quelli moratori intervengono in una fase patologica, e cioè nel caso di inadempimento del debitore, allo scopo di tenere indenne il creditore del danno provocato dal ritardato adempimento e di tutelare il debitore predeterminando la misura del risarcimento spettante al creditore. (in tal senso Tribunale Milano 22.5.2014, Tribunale Verona 9.4.2014, Tribunale Brescia 16.1.2014, Tribunale Trani 25.1.2014). Ciò va considerato anche alla luce del combinato disposto degli artt. 644 c.p. e 1815 co.2 c.c., in cui si fa riferimento alle sole prestazioni di natura corrispettiva gravanti sul mutuatario (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse), tali intendendosi in dottrina quelle legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale e automaticamente scaturenti all erogazione del credito, mentre devono considerarsi escluse le prestazioni accidentali, e perciò meramente eventuali. (Tribunale Verona 12.9.2015). Sul punto non appare rilevante il consueto richiamo all art. 1 del d.l. 29.12.2000 n. 394 (conv. in L. 28.2.2001 n. 24), poiché tale norma, espressamente finalizzata all interpretazione autentica degli artt. 644 c.p. e 1815, c.2, c.c., appare pacificamente destinata ad individuare unicamente il momento di rilevanza della convenzione usuraria e non ad ampliare l ambito oggettivo degli artt. 644 c.p. e 1815, c.2, c.civ., estendendolo agli interessi moratori (Tribunale Verona 12.9.2015 cit.) Inoltre l inclusione dell interesse moratorio nel calcolo della determinazione del tasso usurario è criticabile anche in considerazione della circostanza che il calcolo del TEG da cui si determina l interesse come usurario non comprende anche l interesse moratorio, come da ultimo chiarito dalla Banca D Italia nella comunicazione del 3.7.2013, ma solo l interesse corrispettivo, per cui con il suindicato cumulo si giungerebbe a una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si raffronterebbero fra di loro valori disomogenei (il tasso di interesse moratorio pattuito e il tasso soglia calcolato in forza di un TEGM che non considera gli interessi moratori, ma solo quelli corrispettivi) (Tribunale Vibo Valentia 22.7.2015). Deve quindi escludersi in radice la possibilità di cumulare gli interessi corrispettivi agli interessi moratori al fine di verificare il superamento del tasso soglia nel rapporto di cui è causa.

Parte attrice inoltre deduce il superamento del tasso soglia anche in relazione al solo tasso effettivo di mora (cd. T.E.MO.), a prescindere cioè dal tasso nominale di mora contrattualmente convenuto. Precisano infatti gli attori che in tale ipotesi il superamento del tasso soglia può facilmente essere accertato nell ipotesi proiettata alla stipula di ritardo nel pagamento già dalla prima rata di ammortamento. Pertanto, calcolando l importo dovuto secondo il tasso di mora applicato all importo della quota capitale scaduta per i giorni di ritardo e verificando a quanto corrisponda in termini percentuali l importo così ottenuto sulla quota capitale, come effettuato nella perizia di parte allegata, si otterrebbe un tasso di mora effettivo pari al 49,313 %, ben superiore quindi al tasso soglia (cfr. atto di citazione pag. 23-24). Sul punto va premesso che, come ricordato anche nella consulenza di parte allegata all atto di citazione, le pattuizioni contrattuali non determinano di per sé un superamento del tasso soglia usura, dal momento che, a fronte di un tasso soglia applicabile ratione temporis del 9,09%, nel contratto di mutuo è previsto un TAN del 5,65%, un TAEG/ISC del 5,810% e un tasso di mora del 9,09%. Ciò detto, a parere del Tribunale appare problematico l accertamento del carattere usurario, quando la verifica viene effettuata con riferimento agli interessi di mora. Il problema, infatti, nasce per il fatto che le indicazioni e prescrizioni impartite dal Ministero delle Finanze alla Banca d Italia per le rilevazioni del TEGM hanno sempre previsto e disposto che le rilevazioni statistiche fossero condotte con riferimento esclusivamente ai tassi corrispettivi, verosimilmente alla luce della maggiore omogeneità delle condizioni concordate sul mercato con riferimento a tali interessi, in considerazione della loro natura e funzione di retribuzione del denaro e, quindi, di prezzo corrisposto in relazione all erogazione del credito. Al contrario, analoga rilevazione non viene richiesta con riferimento agli interessi di mora, in considerazione della loro differente natura di prestazione non necessaria, ma solo eventuale, in quanto destinata a operare solo in caso di inadempimento del mutuatario, nonché in ragione della funzione non corrispettiva, ma risarcitoria del danno derivante dall inadempimento e, quindi, di una funzione che può portare a quantificare la pattuizione in forza di variabili e di componenti estremante eterogenee e non strettamente e direttamente collegate al costo del denaro e all erogazione del credito. Il fatto, quindi, che il TEGM, e conseguentemente il Tasso Soglia che dal primo dipende, siano determinati in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi (oltre alle spese, commissioni e oneri accessori all erogazione del credito), porta a concludere come non si possa pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il tasso soglia così determinato, al fine di accertare se i primi siano o meno usurari. In sostanza, allo stato attuale una verifica in termini oggettivi del carattere usurario degli interessi moratori risulta preclusa dalla mancanza di un termine di raffronto, ossia di un tasso soglia, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare (in tal senso Tribunale di Milano, 16.2.2017). Non sfugge al Tribunale che parte della giurisprudenza di merito, in assenza di qualsivoglia indicazione normativa per valutare l usurarietà degli interessi moratori singolarmente considerati, ha applicato il criterio adottato dalla Banca d Italia nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati del tasso medio di mora del sistema bancario (ottenuto nella misura del 2,1% sulla base di indagini statistiche) per poi determinare la soglia su tale importo.

Ciò premesso in via generale, pur volendo prescindere dalle questioni problematiche sopra sollevate, nel caso di specie deve rilevarsi l inattendibilità della perizia econometrica prodotta dalle parti attrici con riferimento alla pretesa di determinare un tasso effettivo di mora, dal momento che tale nozione muove dal presupposto di sommare spese e oneri agli interessi moratori, effettuando una analogia con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG), senza tenere conto che quest ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all erogazione del credito, dovendo escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all interesse moratorio, che invece dipende non dall erogazione del credito, quanto piuttosto dall inadempimento del debitore. Inoltre appare destituita di fondamento l operazione, svolta dal consulente di parte, di ipotizzare un ritardo nel pagamento della prima rata di ammortamento di 29 giorni e di rapportare poi la mora così maturata alla sola quota capitale della prima rata non pagata tempestivamente. Invero non si comprende perché il valore assoluto della mora sia stato rapportato alla sola quota capitale quando la mora è stata applicata sull intera rata non pagata ed è quindi tale ammontare che costituisce il capitale considerato per il suo calcolo. Infatti proprio per la menzionata differente natura dell interesse corrispettivo e di quello moratorio, il secondo viene in rilievo in via eventuale solo per l ipotesi di inadempimento e su una somma complessivamente considerata ove la parte cui si è tenuti per la quota originariamente prevista quale interesse già scaduta e maturata si è ormai inglobata nel capitale perdendo la propria originaria vocazione e natura di interesse (Tribunale di Napoli Nord 20.6.2016). La strumentalità della scelta della prima rata è poi resa evidente dal fatto che nel piano di ammortamento a rate costanti in essa è massima la quota interessi e minima quella capitale. È tra l altro del tutto arbitrario ipotizzare un ritardo di 29 giorni, dato che non ha alcun riscontro con i fatti di causa e ciò evidenzia l arbitrarietà del calcolo operato. Ma l erroneità della tesi di parte attrice emerge essenzialmente là dove si pretenda di parametrare la quota di interessi moratori alla quota capitale della rata tardivamente onorata e non già al capitale residuo al momento del pagamento, con l effetto di individuare in tal modo un tasso di mora nettamente superiore rispetto a quello effettivamente applicato; il raffronto, infatti, non può che essere condotto con riferimento al capitale residuo ancora non restituito alla scadenza della rata, atteso che è in relazione al capitale erogato che viene inizialmente pattuito il tasso di interesse corrispettivo costituente il costo del mutuo ed è in relazione a detto capitale, ridotto grazie al progressivo rimborso delle rate, che vanno conteggiati alle scadenze pattuite gli importi pretesi a titolo di interessi (Tribunale di Milano 16.2.2017). In realtà, infatti, ai fini del calcolo del tasso effettivo, TAEG, come disciplinato nella Direttiva 2011/90/UE e Provv. Banca d Italia 28/3/2013, con formula del tutto diversa da quella utilizzata dalla parte, occorre la conoscenza ex ante degli interessi pagati e ciò non è evidentemente possibile in caso di mora, della quale non si conosce ex ante né la base di calcolo, né la durata. In definitiva, quindi, la pretesa di calcolare un tasso effettivo di mora non ha alcuna base normativa ed è assolutamente priva di attendibilità per le modalità seguite nella fattispecie (cfr. funditus Tribunale di Milano cit.). E per questi motivi che alcuna CTU può essere disposta per verificare i calcoli prodotti dagli attori a mezzo di perizia di parte, proprio perché basati a monte su presupposti logici e giuridici non corretti.

Pertanto, dal momento che il TEGM pattuito risulta pari al 5,819% (e il tasso di mora pari al 9.09%, eventualmente da raffrontare al tasso soglia aumentato di 2,1 punti percentuale) a fronte di un tasso soglia del 9.09%, la clausola determinativa degli interessi non appare usuraria e pertanto deve considerarsi lecita. Le parti attrici lamentano inoltre l indeterminatezza dell oggetto della clausola di determinazione del tasso per effetto dell ammortamento alla francese, ritenendo che il piano di ammortamento alla francese conferisca un risultato consistente nel fatto che viene applicato un tasso diverso e superiore rispetto a quello convenuto nella parte letterale del contratto di mutuo, non potendosi negare in conseguenza che al momento dell applicazione del contratto, il tasso effettivamente applicato già al momento della stipula sia diverso da quello dichiarato in contratto (cfr. atto di citazione, pag. 31-34). La doglianza appare infondata. Osserva il Tribunale che il sistema cd. alla francese prevede il rimborso del capitale mutuato attraverso rate costanti, in ciascuna delle quali la quota di capitale aumenta progressivamente, mentre la quota di interessi progressivamente decresce. Pertanto in ciascuna rata la quota di interessi viene calcolata sul debito residuo del periodo precedente secondo il principio dell interesse composto, e il debito residuo sul quale viene calcolato l interesse è quello costituito dalla quota capitale ancora dovuta, detratto l importo già pagato con le rate precedenti. Infatti, se è pur vero che per la determinazione della rata periodica nell ammortamento con metodo alla francese viene utilizzata la formula di capitalizzazione composta, ciò non ha alcun effetto nella determinazione della quota interessi, calcolata sul debito residuo, quindi sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata. Pertanto tale metodo non implica, per definizione, alcun fenomeno di capitalizzazione degli interessi ulteriore, e pertanto deve escludersi che comporti automaticamente e di per sé un fenomeno anatocistico (cfr. ex multis Tribunale Padova 5.10.2016, Tribunale Milano 5.5.2014, Tribunale Siena 17.7.2014, Tribunale Benevento 19.11.2012). Tale conclusione vale ad escludere che vi sia violazione dell art. 1284 c.c., non derivando dal metodo di ammortamento de quo alcuna difformità tra tasso pattuito e tasso effettivo. In ogni caso appare opportuno precisare che anche un eventuale difformità dell ISC pattuito rispetto a quello applicato, che sembrerebbe implicitamente emergere dalla perizia di parte attrice, non comporterebbe l applicazione dell art. 117 co. 7 lett. a) TUB. Infatti l indicatore sintetico di costo (ISC) esprime in percentuale il costo effettivo di un finanziamento o di altra operazione bancaria di concessione di una linea di credito. Tale indicatore non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi (Tribunale di Roma, 19.4.2017). Orbene, dal momento che l ISC è uno strumento di carattere eminentemente informativo, esso non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto e non può quindi considerarsi un tasso al pari dei tassi di interessi, ma esprime in termini percentuali il costo complessivo del finanziamento. Pertanto la nullità prevista dall art. 117 co. 6 TUB, richiamato dal successivo co.7, non può essere applica alla fattispecie in esame, e ciò perché l ISC non ha alcuna funzione o valore di "regola di validità", tanto meno

essenziale, del contratto poiché è un mero indicatore sintetico del costo complessivo del contratto e non incide sul contenuto della prestazione a carico del cliente ovvero sulla determinatezza o determinabilità dell'oggetto contrattuale, definita dalla pattuizione scritta di tutte le voci di costo negoziali (Tribunale di Bologna 9.1.2018). La natura supra ricostruita dell ISC e l inapplicabilità al caso di specie dell art. 117 co.6 TUB non consente di ritenere applicabile nemmeno il comma 7 dell art. 117 TUB. Deve quindi concludersi che, stante il carattere meramente informativo dell ISC, la sua eventuale difformità rispetto al contenuto economico effettivamente applicato al rapporto contrattuale non comporta la nullità del negozio giuridico o della relativa clausola Le argomentazioni sopra profuse non possono che determinare il rigetto della domanda attorea, con conseguente rigetto anche delle derivanti pretese risarcitorie. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, in assenza di nota spese, secondo i criteri di cui al D.M. 10.03.2014 n.55, recante la determinazione dei parametri per la liquidazione i compensi per la professione forense ai sensi dell art.13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n.247 tenendo conto, in base al suddetto regolamento, della articolazione e durata delle fasi attraverso le quali si è svolto il procedimento, del valore, della natura e della complessità della controversia, del numero e dell importanza delle questioni trattate, del pregio dell opera prestata, dei risultati del giudizio, nonché di tutte le altre circostanze di fatto rilevanti a tal fine che risultano indicate nella legge e nel citato regolamento. PQM Il Tribunale di Napoli Nord, III sezione civile, definitivamente nella causa fra le parti in epigrafe, ogni altra domanda o eccezione respinta, così provvede: rigetta la domanda; condanna i CLIENTI al pagamento, in solido tra loro, delle spese di lite in favore della BANCA, che si liquidano in complessivi 13.430,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; condanna la BANCA al versamento all'entrata del bilancio dello Stato della somma di 545,00. Aversa, 24/04/2018 Il Giudice dott. Giovanni Di Giorgio *Il presente provvedimento è stato modificato nell aspetto grafico, con l eliminazione di qualsivoglia riferimento a dati personali, nel rispetto della normativa sulla Privacy