Un rapporto sui recenti progressi della scienza che studia il cervello. Arte e Cognizione. Aggiornamento 2005



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Un rapporto sui recenti progressi della scienza che studia il cervello Arte e Cognizione Aggiornamento 2005

Un rapporto sui recenti progressi della scienza che studia il cervello Arte e Cognizione Aggiornamento 2005

THE EUROPEAN DANA ALLIANCE FOR THE BRAIN EXECUTIVE COMMITTEE William Safire, Chairman Edward F. Rover, President Colin Blakemore, PhD, ScD, FRS, Vice Chairman Pierre J. Magistretti, MD, PhD, Vice Chairman Carlos Belmonte, MD, PhD Anders Björklund, MD, PhD Joël Bockaert, PhD Albert Gjedde, MD, FRSC Sten Grillner, MD, PhD Malgorzata Kossut, MSc, PhD Richard Morris, Dphil, FRSE, FRS Dominique Poulain, MD, DSc Wolf Singer, MD, PhD Piergiorgio Strata, MD, PhD Eva Syková, MD, PhD, DSc Executive Committee Barbara E. Gill, Executive Director La European Dana Alliance for the Brain (EDAB) riunisce circa 150 tra i piu grandi specialisti delle neuroscienze di 27 paesi, compresi 5 premi Nobel, che si sono dati come obbiettivo di sensibilizzare il pubblico sul importanza della ricerca sul cervello. Fondata nel 1997, questa organizzazione è attiva a vari livelli dal laboratorio di ricerca fino al pubblico. Per ulteriori informazioni: The European Dana Alliance for the Brain Dr. essa Béatrice Roth, PhD Centre de Neurosciences Psychiatriques Site de Cery 1008 Prilly / Lausanne e-mail: Contact.Edab@hospvd.ch Copertina: Keystone/SPL/Dr. John Mazziotta et al.

Visioni del cervello: un rapporto sui recenti progressi della scienza che studia il cervello Aggiornamento 2005 Arte e Cognizione 5 Introduzione di Story C. Landis, PhD 9 Arte e Cognizione di Michael S. Gazzaniga, PhD I progressi della ricerca sul cervello nel 2004 15 Le patologie che appaiono nel corso dell infanzia 23 I disturbi del movimento 31 Le lesioni del sistema nervoso 39 Neuroetica 45 I disturbi neuroimmunologici 51 Il dolore 57 I disturbi psichiatrici e le dipendenze 63 I disturbi sensoriali e delle funzioni corporali 71 Cellule staminali e neurogenesi 79 I disturbi del pensiero e della memoria 87 Referenze 93 Immaginate un mondo...

Introduzione di Story C. Landis, PhD Director, National Institute of Neurological Disorders and Stroke, National Institutes of Health I numerosi esempi di ricerca pionieristica presentati in questo aggiornamento, per le neuroscienze sono l esordio di uno straordinario periodo di indagini. L integrazione crescente delle neuroscienze, sostenuta dalle nuove tecnologie e dallo sviluppo di terapie mirate, offrono importanti opportunità che avranno profonde ripercussioni sulla salute e il benessere dell uomo. Analizzando le ricerche raccolte in questo aggiornamento, si nota come lo spettacolare miglioramento degli strumenti e delle tecniche che permettono di esplorare il cervello abbia permesso di realizzare un numero considerevole di studi e scoperte, a livelli molto differenti di struttura e di funzione cerebrali. Le nuove tecniche di «imaging» permettono per esempio non solo di studiare i dettagli strutturali del cervello in vivo 1, 2, ma di seguire con precisione anche i cambiamenti a livello dei neurotrasmettitori 3. La possibilità di osservare e misurare gli elementi del cervello con maggiore precisione e ricchezza di dettagli, aiuta a comprendere meglio le cause delle patologie neurologiche. La comprensione delle malattie e dei relativi processi divengono così più precisi e ampi. Uno dopo l altro, i differenti tasselli del mosaico cervello, formano una sola immagine all interno dei complessi meccanismi biomeccanici. Questa nuova visione dell organo cervello permette di collegare differenti malattie con vie biologiche comuni, la convergenza di dati è la base per riuscire ad immaginare nuovi approcci terapeutici. Per esempio, è stato evidenziato un nesso tra la malattia di Parkinson, la corea di Huntington e la demenza a corpi di Lewy. Il punto comune consiste nella tossicità delle proteine che si accumulano nei neuroni. Comprendere le componenti critiche della degradazione delle proteine ed imparare a controllarla su un modello animale, offrirà l opportunità di creare nuovi interventi terapeutici per alleviare i sintomi, ritardare 5

o arrestare la progressione di queste tre malattie 4. I processi infiammatori collegano la sclerosi multipla alle patologie generate dalle reazioni autoimmuni nel sistema nervoso. I recenti risultati della ricerca sulla sclerosi multipla ottenuti grazie ai nuovi processi della visualizzazione che permettono di osservare individualmente le cellule immunitarie nell organismo 5 e i farmaci che arrestano la progressione della malattia 6, sono un ulteriore esempio di tecniche e trattamenti che offriranno ampie applicazioni. I trattamenti per i disturbi causati dalle lesioni del sistema nervoso, ad esempio le lesioni del midollo spinale, sono frutto di lunghi anni di ricerche. I metodi che coniugano diversi approcci come i trapianti di cellule, la somministrazione di sostanze che stimolano la ricrescita degli assoni e che neutralizzano le molecole inibitrici, hanno permesso di ottenere risultati spettacolari nei modelli animali con il recupero parziale della capacità motoria e della coordinazione 7. Alcuni ricercatori utilizzando la bioingegneria e le nanotecnologie, hanno costruito dei ponti biosintentici per collegare le due parti della lesione. Per ottenere una riparazione più completa, hanno iniettato nuove cellule e fattori di crescita 8, 9. I disturbi neurologici rappresentano un pesante costo umano ed economico. Essi si manifestano sotto diverse forme: i disturbi del movimento (come l atassia e la sclerosi multipla), le malattie neurodegerative (come la malattia di Parkinson), le lesioni traumatiche del cervello e del midollo spinale, l epilessia, i disturbi mentali, la dipendenza dalle droghe o dall alcol, i dolori cronici. Contrastarne la diffusione e sviluppare dei trattamenti efficaci è oggi una priorità anche perché molti di questi disturbi si manifestano negli anziani, una popolazione in continua crescita nei paesi occidentali. Come testimoniato dai progressi presentati in questo rapporto, la ricerca neurologica è per fortuna al centro degli interessi di una comunità di scienziati già molto numerosa e in crescita, tra i quali si annoverano alcuni dei ricercatori più dotati delle scienze biomediche. Quotidianamente sono pubblicate importanti scoperte sulle malattie neurologiche, grazie alle quali capiamo sempre meglio l origine, la progressione e il meccanismo d azione delle malattie che colpiscono il cervello e il sistema nervoso. 6 Prima di divenire dei trattamenti efficaci, le innumerevoli conoscenze acquisite dagli scienziati devono passare attraverso un lungo percorso che permette di tradurre le nozioni apprese a livello molecolare in terapie da affidare ai medici. Questo tipo di ricerca, detta traslazionale, trasforma le

conoscenze fondamentali in terapie pronte per essere utilizzate nell uomo. Oggi essa costituisce una parte importante della ricerca biomedica svolta dai National Institutes of Health (NIH), che l anno scorso hanno lanciato la Roadmap, un iniziativa per affinare e accelerare il processo di ricerca e di conseguenza per permettere di passare più rapidamente dagli studi ai test sui pazienti. Introduzione Le mie ricerche vertono soprattutto sugli aspetti fondamentali dello sviluppo cerebrale. Per esempio, cerco di capire qual è il ruolo dei geni nel cablaggio del cervello, ma anche di comprendere come la «plasticità cerebrale» interviene in questo meccanismo e fino a che punto la struttura funzionale del cervello è predeterminata. Queste domande, che sono state a lungo al centro della ricerca fondamentale sul cervello, oggi sono divenute il centro delle ricerche per trovare dei trattamenti efficaci per le malattie neurologiche. I trattamenti promettenti sono stati costruiti su decenni di scoperte fondamentali sul modo in cui il cervello si sviluppa, costituisce le connessioni e funziona, sia esso sano sia malato. Tutte le strategie terapeutiche attuali, se esaminate nel dettaglio, hanno un debito verso la ricerca fondamentale. I trattamenti promettenti sono stati costruiti su decenni di scoperte fondamentali su come il cervello si sviluppa, come esso costituisce le connessioni e funziona, sia esso sano sia malato. Né la stimolazione profonda del cervello, né le protesi neuronali, due ambiti nei quali la ricerca è attualmente molto attiva, esisterebbero se non si sapesse come i circuiti cerebrali controllano i movimenti dallo stadio molecolare fino a quello muscolare. Senza la perseveranza dei ricercatori che hanno consacrato tutta la loro carriera alla scoperta di un solo gene, oggi non avremmo né la terapia genica, né i test per le malattie associate ai geni, né i modelli animali che imitano le malattie dell uomo. E cosa sapremmo senza gli anni di lavoro durante i quali si è costituito il sapere che permette ai ricercatori di comprendere le capacità di una cellula staminale, del fenomenale potenziale che offre queste cellule per curare o guarire alcune delle malattie neurologiche più devastanti? Le neuroscienze sono ad un momento critico. Sappiamo mappare la funzione e l attività dei geni, siamo in grado di generare dei neuroni maturi a partire dalle cellule staminali e di esplorare il modo in cui il cervello tratta le funzioni complesse. Però non siamo in grado di guarire il tremito parkinsoniano (e ancora meno impedire la progressione della malattia), 7

8 non sappiamo insegnare ad un bambino affetto da autismo ad interagire con il suo ambiente, non sappiamo riparare i danni provocati dalla sclerosi multipla. Occorre che gli specialisti delle neuroscienze che lavorano nei laboratori e negli ospedali, accelerino il passaggio dalla teoria alla pratica.

Arte e Cognizione: L educazione artistica può favorire lo sviluppo di altre competenze cognitive? di Michael S. Gazzaniga, PhD Non è recente l idea secondo la quale l educazione artistica facilita altre acquisizioni cognitive. Per i piccoli Einstein si trovano in commercio dei video per «intrattenere e stimolare lo sviluppo dei bambini immergendoli nella musica, l arte, il linguaggio e le scienze della natura». Alcune campagne pubblicitarie dell American Express mostrano Sheryl Crow e Sting che vantano le ricadute positive delle lezioni di musica sull apprendimento della matematica e delle scienze. Questa convinzione ha pervaso la cultura popolare. È vero? In realtà s ignora se l educazione artistica abbia un effetto sul cervello o se influenzi altri ambiti dell apprendimento. I dati che indicano un possibile nesso tra l apprendimento artistico e certe competenze cognitive non sono mai stati riprodotti o sono puramente correlativi. Questo non significa che non potrebbe esistere un nesso causale, i ricercatori potrebbero non avere cercato nella direzione giusta. Una delle idee errate e più comuni sull impatto cerebrale delle attività artistiche proviene dal cosiddetto «effetto Mozart», la teoria secondo la quale un bambino che ascolta qualche minuto di Mozart se la cava meglio nelle abilità spazio-temporali. In altre parole, se fate ascoltare Mozart ai vostri figli, saranno più bravi in algebra. Pubblicata nella rivista Nature nel 1993 da ricercatori dell Università della California, questa teoria è diventata la referenza per chi afferma che grazie a delle lezioni di musica è possibile rinforzare le competenze in matematica e in scienze, ma nessuno dei numerosi tentativi per riprodurla ha avuto un buon esito. 9

Tale asserzione ha tuttavia permesso d imparare a studiare nel tempo (anni) sia le relazioni tra le attività artistiche e la conoscenza, sia la sua ripercussione sulla struttura del cervello e del pensiero. Ora si deve cercare di stabilire un nesso causale tra lo studio della musica e le altre competenze cognitive, non accontentarsi di dati correlativi. Si sa poco sulla ripercussione dell espressione artistica su altri ambiti e nulla sui meccanismi cerebrali di trasferimento che potrebbero essere utilizzati per mettere in relazione le conoscenze acquisite in ambito artistico a quello della matematica, delle scienze, del linguaggio o delle interazioni sociali. Si deve cercare di stabilire un nesso causale tra lo studio della musica e le altre competenze cognitive, non accontentarsi di dati correlativi. La fondazione Dana ha costituito un fondo di due milioni di dollari in favore di uno studio innovativo per determinare gli eventuali effetti dell educazione artistica sui meccanismi cognitivi di base e sulle regioni cerebrali responsabili di tali processi. È il più grande studio mai realizzato in quest ambito e riunisce sei eccellenti laboratori delle neuroscienze sparsi negli USA, John Jonides, dell Università del Michigan, Mark D Esposito, dell Università della California, Berkeley, Brian Wandell, della Stanford University, Laura-Ann Petitto e Kevin Dunbar, del Dartmouth College, Michael Posner e Helen Neville, dell Università dell Oregon, Elizabeth Spelke, della Harvard University, e io stesso, esploreremo nell ambito di questo studio differenti aspetti di tre grandi questioni: se l educazione artistica facilita l acquisizione di altre competenze accademiche, se stimola lo sviluppo di particolari processi cognitivi suscettibili di avere degli effetti generali che si estendono ad un vasto insieme di compiti, quali sono i meccanismi cerebrali influenzati dall apprendimento artistico e come questi meccanismi si riferiscono ad altre aree dell apprendimento. 10 Le due grandi questioni che affronteremo nello studio sono: se l educazione artistica modifica le strutture cerebrali e se esiste un età limite per l acquisizione di quest apprendimento. Molti tipi di allenamento dallo sport alla fisica, fino alla musica modellano le strutture cerebrali. Andando spesso in bicicletta s impara a pedalare sempre più rapidamente e suonando di frequente il piano si migliora l abilità nell eseguire Bach. Questo è presumibilmente dovuto all aumento della velocità d elaborazione. Occorre ora determinare se le lezioni di piano possono avere un effetto favorevole su ambiti non artistici, come la matematica, le scienze, le lingue e le interazioni sociali.

Uno dei principali obiettivi dello studio è identificare le aree del cervello sollecitate da un attività artistica che potrebbero essere utilizzate per altri compiti. Le specifiche facoltà cognitive che i ricercatori esamineranno per determinare i possibili impatti dell apprendimento artistico sono il controllo dell attenzione, la memoria di lavoro, la facoltà d astrazione, il trasferimento dell informazione tra gli emisferi cerebrali, il linguaggio, la lettura e la scrittura, l interazione sociale e le abilità matematiche. Uno dei principali obiettivi dello studio è quello di identificare le aree del cervello sollecitate da un attività artistica che potrebbero essere utilizzate per altri compiti. Le moderne tecniche di visualizzazione dell attività cerebrale, permettono di osservare le regioni che il cervello utilizza per compiere un determinato compito. Utilizzando differenti metodologie (comprese la misura comportamentale standard delle abilità, il trasferimento verso altri ambiti del comportamento e le tecniche di misurazione del cervello) e le più recenti tecniche di analisi cerebrale, tra le quali la visualizzazione per risonanza magnetica funzionale (fmri), i potenziali evocati (ERP), la spettroscopia ottica nel vicino infrarosso (NIRS) e la visualizzazione del tensore di diffusione (DTI), i ricercatori potranno scegliere le tecniche più adeguate ai loro studi. Per esempio, se gli allievi d arte drammatica riescono con più facilità di altri a passare da un compito all altro e ad affrontare sotto angoli differenti delle mansioni che non sono in relazione con la commedia, saranno utilizzati la fmri, la ERP e la NIRS. Con queste tecniche sarà possibile determinare se questi studenti hanno acquisito delle competenze particolari, quali sono i meccanismi cerebrali che sottendono queste competenze e fino a che punto queste ultime possono estendersi ad altri ambiti. Arte e Cognizione Il secondo punto fondamentale dello studio è quello dei periodi sensibili, le finestre temporali durante le quali è più facile acquisire una particolare competenza. È noto che esistono dei periodi sensibili per l apprendimento delle lingue. Fino a 10 mesi i bebè sanno distinguere le differenze fonetiche di tutte le lingue, questa capacità declina rapidamente tra 10 e 12 mesi. Ci sono dei periodi specifici anche per l acquisizione delle competenze artistiche? Se fosse il caso, questo potrebbe avere un impatto sul nostro sistema educativo. Lo studio cercherà di determinare se esiste un età favorevole e se la durata della pratica ha un influenza sulle acquisizioni. I ricercatori tenteranno di stabilire se gli studenti che hanno avuto un intensa educazione artistica a «differenti» età del loro sviluppo presentano dei «miglioramenti mentali differenziati», mantenendo costante la pratica delle 11

loro discipline artistiche. Essi esamineranno i periodi sensibili nell ambito della danza, dell arte drammatica, la pittura e la musica. Studieranno l età alla quale il bambino ha cominciato a praticare l attività e la ripercussione sul sapere e l apprendimento. Cercheranno di capire se le regioni attivate dai differenti compiti variano in relazione all età alla quale il bambino ha cominciato l attività e il tempo più o meno lungo che consacra a quest attività artistica. Sarà forse possibile determinare se è più importante l età alla quale il bambino comincia un attività artistica oppure il tempo che egli gli consacra. I risultati di questo studio potranno avere un impatto sulle decisioni future sul ruolo dell arte nei programmi scolastici. Tale studio possiede un importanza particolare, infatti, educatori e direzioni delle scuole s interrogano sul ruolo della formazione artistica nei programmi scolastici. Per decenni, le persone implicate si sono domandate se un intensa formazione artistica arricchisce in qualche modo la mente o se l unico effetto è quello di progredire nella disciplina artistica prescelta. I risultati di questo studio potranno avere un impatto sulle decisioni future del ruolo dell arte nei programmi scolastici, così come offrire un immagine complessiva dell impatto cerebrale dell educazione artistica. 12

I progressi della ricerca sul cervello nel 2004

Le patologie che appaiono nel corso dell infanzia Dibattito sulle cause dell autismo 16 Il ricablaggio del cervello migliora la lettura nei bambini affetti da dislessia 18 Le questioni fondamentali sullo sviluppo del cervello 20 15

È difficile immaginare che fino a poco tempo fa, si attribuiva l autismo alle incapacità dei genitori e la dislessia all indolenza del bambino. Grazie ai progressi della genetica, della biochimica e delle tecniche di imaging, queste ed altre malattie che appaiono nel corso dell infanzia sono oggi riconosciute come anomalie del cervello. Anche durante il 2004 i neuroscienziati hanno pubblicato degli studi destinati a migliorare la comprensione dell origine di queste patologie. Dibattito sulle cause dell autismo L autismo è una malattia straziante. Quando si manifestano i sintomi, un bambino che sembrava svilupparsi normalmente, si richiude in se stesso, regredisce e manifesta delle stereotipie gestuali. Il peso emotivo e finanziario per le famiglie è immenso e com è comprensibile, i genitori desiderano conoscere l origine della malattia. Un piccolo studio apparso nel 1998 sulla rivista Lancet, realizzato da Andrew Wakefield e i suoi colleghi del Royal Free Hospital and School of Medicine di Londra, ipotizzava che certi casi d autismo potessero essere provocati dal vaccino combinato morbillo-rosolia-parotidite (MRP) 10. Questo studio ha generato un dibattito intenso sulla sicurezza dei vaccini destinati ai bambini, discussione che non è stata placata nemmeno dalle numerose smentite apparse in seguito, che riaffermavano la sicurezza dei vaccini. In maggio, l Institute of Medicine (IOM) ha riaperto questo dossier per la terza volta, ribadendo che non esiste una prova scientifica che dimostri una relazione tra il vaccino e l autismo 11. Sebbene avesse già realizzato a questo proposito nel 2001 due rapporti uno sul vaccino MRP, l altro sul vaccino che conteneva il timerosal, una sostanza contenente mercurio utilizzata come agente di conservazione l IOM ha deciso di riesaminare la questione alla luce di nuovi studi epidemiologici e di laboratorio. Le conclusioni del rapporto del 2004 raccomandano zittire l inutile controversia sui vaccini e di consacrare tempo e soldi per studi sull autismo più promettenti. 16 Ad oggi, non è ancora nota la causa dell autismo, si ritiene che questa patologia derivi dall interazione di più geni e da fattori ambientali non ancora conosciuti. Sebbene i sintomi si manifestano dopo i 2-3 anni, sono sempre più numerosi i dati che convalidano la tesi secondo la quale le anomalie cerebrali appaiono molto prima, in utero o poco dopo la nascita.

Basandosi su uno studio pubblicato nel 2003, secondo il quale la circonferenza cranica dei bambini affetti da autismo aumenta in modo straordinario durante il primo anno di vita (mesi prima dell apparizione dei sintomi), Eric Courchesne e i suoi collaboratori dell Università della California a San Diego, hanno pubblicato nel 2004 differenti studi sulle possibili origini di quest aumento eccessivo e sulla relazione che potrebbe avere con l autismo. Nell articolo apparso in luglio in Molecular Psychiatry 12 e in agosto nella rivista Current Opinions in Neurology 13, Courchesne e i suoi collaboratori sostengono che lo schema anormale di crescita cranica osservato nei bambini affetti da autismo una crescita improvvisa seguita tra i 5 e i 12 anni, da uno sviluppo più lento del normale è generato da una disfunzione nel «cablaggio» cerebrale. In alcune aree cerebrali il cablaggio del cervello è troppo denso, in altre è deficitario. Le regioni nelle quali avviene un eccessivo cablaggio sono implicate nell elaborazione sensitiva di base, ne consegue per il bambino malato un sovraccarico di stimoli sensoriali o di «rumore». Questo provoca una sorta d ingorgo che ostacola nella corteccia cerebrale la formazione dei circuiti d integrazione a lunga distanza necessari all acquisizione delle competenze d alto livello, come il linguaggio o la facoltà di interagire con l ambiente circostante. Si manifestano i classici sintomi dell autismo: una regressione del linguaggio, un ripiego su se stessi e la fissazione su determinati oggetti o rituali. Courchesne sostiene che questi sintomi classici potrebbero essere interpretati come la reazione di una mente normale ad un anormale cablaggio cerebrale. Le patologie che appaiono nel corso dell infanzia Una diversa teoria sull anomalia del cablaggio cerebrale è stata pubblicata in giugno sull European Archives of Psychiatry and Clinical Neuroscience da Manuel Casanova, ricercatore al Medical College della Georgia 14. Casanova ha presentato nuovi argomenti per la sua teoria (esposta in differenti articoli precedenti, tra i quali uno apparso nel dicembre del 2003) 15, secondo la quale una particolare struttura anatomica di base del cervello, denominata minicolonna, potrebbe contribuire all autismo e ad altre malattie come la schizofrenia. I neuroni non sono distribuiti a caso nella corteccia ma sono organizzati a strati lungo colonne verticali e formano delle unità fondamentali denominate minicolonne. Queste strutture anatomiche sono costituite da 80 a 100 neuroni che inviano, ricevono ed integrano i segnali da altri neuroni. Casanova e altri ricercatori, ritengono che le minicolonne funzionino in 17

modo simile a dei microprocessori dei computer e che siano alla base delle immense capacità di trattamento dell informazione che l uomo necessità per imparare e comunicare. Degli studi realizzati in precedenza hanno rivelato che le persone affette da autismo hanno un eccessivo numero di minicolonne e che queste strutture sono insufficientemente sviluppate. Basandosi su una modellizzazione al computer delle minicolonne, Casanova sostiene che l autismo provoca una riduzione dei meccanismi d elaborazione delle informazioni, per questa ragione le persone affette da autismo sono meno abili nella discriminazione dei segnali in entrata e d integrazione dell informazione. Questo potrebbe spiegare l ipersensibilità al rumore e ad altri stimoli sensoriali osservati spesso nei bambini autistici, oltre alle difficoltà nell acquisire il linguaggio e nello sviluppo di altre competenze di alto livello per le quali occorre che differenti regioni cerebrali lavorino insieme. Le pubblicazioni apparse nel 2004 hanno permesso ai ricercatori di riconsiderare i concetti di base sull autismo. Anche se le loro teorie differiscono su alcuni aspetti, Casanova e Courchesne ritengono che la ricerca sull autismo non dovrebbe focalizzarsi sulla disfunzione di particolari aree cerebrali come le irregolarità dei neuroni, o l area del giro fusiforme, un area del cervello la cui disfunzione era stata associata all autismo e che nelle persone normali serve per riconoscere i volti umani ma concentrarsi su questioni d ordine sistemico, come il cablaggio del cervello e il trattamento dell informazione. Sebbene non esista ancora un consenso sulla direzione che la ricerca deve assumere, le pubblicazioni apparse nel 2004 hanno permesso ai ricercatori di riconsiderare i concetti di base sull autismo. 18 Il ricablaggio del cervello migliora la lettura nei bambini affetti da dislessia Le tecniche di visualizzazione dell attività cerebrale, come la risonanza magnetica funzionale (fmri), sono state utilizzate da recenti studi per identificare le regioni del cervello implicate nella lettura. Questo ha permesso di identificare delle differenze d attivazione cerebrale nelle persone affette da dislessia, un anormale acquisizione della lettura. Nel 2004 dei ricercatori hanno utilizzato la fmri per determinare se un sostegno mirato poteva aiutare i bambini dislessici a leggere come gli altri bambini. Bennett A. Shaywitz e i suoi colleghi della Yale University hanno pubblicato nel numero di maggio del Biological Psychiatry, un articolo che dimostra come

il programma intensivo di sostegno fonologico che hanno utilizzato, ha permesso non solo un miglioramento delle capacità di lettura più marcato rispetto ad altri programmi adoperati dalle scuole, ma ha anche indotto un ricablaggio permanente del cervello. In seguito a questa riorganizzazione si osservano nei dislessici delle attivazioni cerebrali simili a quelle riscontrate nei cervelli dei lettori normali 16. Nel 2004 dei ricercatori hanno utilizzato la fmri per determinare se un sostegno mirato potesse aiutare i bambini dislessici a leggere come gli altri bambini. Lo studio ha coinvolto 77 bambini (49 affetti da dislessia, 28 lettori tipo) d età compresa tra 6 e 9 anni. Trentasette bambini dislessici hanno partecipato ad un programma di sostegno intensivo che metteva l accento sulla comprensione dei fonemi (cioè i suoni come «ba» e «pa») elementi di base essenziali all acquisizione del linguaggio e della lettura. Dodici bambini hanno preso parte ad un programma di sostegno classico utilizzato nelle scuole, che combina diversi strumenti: l insegnamento speciale, le istruzioni sulla lingua e la pronuncia ed altre risorse. Un terzo gruppo di lettori tipo fungeva da testimone. Tutti i bambini sono stati sottoposti ad una fmri all inizio e alla fine dello studio per determinare quali regioni del cervello erano attivate quando erano mostrate ai bambini delle lettere sullo schermo di un computer. Infine, le capacità di lettura dei bambini sono state valutate anche con l ausilio di altri test standardizzati. Le patologie che appaiono nel corso dell infanzia Dopo un anno, la capacità di lettura dei bambini dislessici sottomessi al programma di sostegno fonologico era significativamente migliorata anche se non paragonabile a quella dei lettori tipo mentre si notava un leggero deterioramento nel gruppo che ha seguito un sostegno classico. Le esplorazioni realizzate con la fmri hanno evidenziato sia nel lettore tipo sia nei bambini con sostegno fonologico, una maggiore attivazione nelle regioni del lobo cerebrale sinistro, normalmente associate al linguaggio e alla lettura. (Prima del sostegno fonologico questi bambini compensavano le insufficienze del cervello sinistro mobilizzando le strutture del cervello destro). Ad un anno dalla fine del programma di ricerca, alcuni bambini del gruppo di sostegno fonologico sono ritornati per degli esami di controllo. Un esame fmri ha dimostrato che le strutture del cervello sinistro continuavano ad essere attivate dalla lettura e che quest attivazione era persino aumentata nell area occipito-temporale, una regione importante per la formazione e il 19

riconoscimento delle parole la cui attività aumenta con il graduale sviluppo delle capacità di lettura. Sebbene altri studi avessero già dimostrato che il ricablaggio del cervello permette un miglioramento della lettura nelle persone affette da dislessia, questo studio evidenzia sia per la sua ampiezza sia per le prove portate, che l effetto di ricablaggio è duraturo. Le questioni fondamentali sullo sviluppo del cervello Alcuni disturbi che appaiono durante l infanzia sono dovuti ad uno sviluppo anormale del cervello nel corso della vita intrauterina. Ne risultano delle sindromi rare, che provocano un ritardo mentale, l epilessia o la paralisi cerebrale, solo per citare qualche esempio. Nel 2004 sono stati pubblicati degli studi il cui obiettivo era identificare i geni responsabili di queste sindromi, nella speranza di fare progredire le nostre conoscenze sullo sviluppo normale del cervello, in particolare della corteccia cerebrale. Anche nelle migliori circostanze, il meccanismo attraverso il quale si costituisce la corteccia cerebrale è complesso ed avviene per gradi. Esso prende avvio nei primi mesi della gravidanza quando i precursori dei neuroni che si formano nei ventricoli cerebrali migrano verso l alto, scalando un po come le piante di fagioli, i sostegni formati dalle cellule gliali. Quando i neuroni smettono di migrare formano gli strati inferiori della corteccia. Le ondate successive di neuroni si arrampicano più in alto costituendo gli strati corticali supplementari. I ricercatori hanno identificato nel corso degli ultimi anni due geni, l ASPM e la microcefalina, che partecipano al controllo di questo meccanismo (altri quattro geni potrebbero essere implicati, ma non sono ancora stati identificati). La mutazione dell ASPM e della microcefalina, provocano la microcefalia. Le persone affette da questa patologia hanno alla nascita un cervello e una testa di taglia significativamente inferiore al normale e presentano un ritardo mentale. Bruce Lahn e i suoi colleghi del Howard Hughes Medical Institute, Università di Chicago, hanno pubblicato nel 2004 in Human Molecular Genetics, due articoli nei quali tratteggiano l evoluzione molecolare dell ASPM e della microcefalina nel tempo e in differenti specie animali 17, 18. 20 La microcefalina ha subito dei cambiamenti spettacolari all inizio dell evoluzione dei primati (circa 25-30 milioni di anni fa), cioè al momento in cui è comparso il ramo evolutivo che ha portato in seguito allo sviluppo degli scimpanzé e degli umani. Per l ASPM, il cambiamento è stato più tardivo

(circa 5-6 milioni d anni fa) e si situa nel momento in cui il ramo degli scimpanzé ha dato origine alla specie umana. Gli autori concludono che i cambiamenti significativi di questi geni, che sono correlati con l aumento concomitante della taglia della corteccia osservata nel corso dell evoluzione, mostrano che sia l ASPM sia la microcefalina contribuiscono in modo significativo al normale sviluppo della corteccia cerebrale umana. Sempre in ambito genetico, Christopher Walsh e il suo gruppo della Harvard Medical School ha annunciato nel numero di marzo di Science la scoperta del gene chiamato GPR56, che potrebbe contribuire alla suddivisione della corteccia in aree specializzate, associate a delle funzioni particolari come il linguaggio e le capacità cognitive 19. I ricercatori hanno costatato che le mutazioni di questi geni provocano la polimicrogiria bilaterale frontoparietale, una sindrome rara caratterizzata da una disorganizzazione della corteccia cerebrale che si traduce con un ritardo mentale, dei disturbi del linguaggio, delle difficoltà motorie e altri problemi. La specializzazione della corteccia cerebrale risulta dall azione degli stimoli sensoriali e dalle esperienze personali che permettono di rinforzare e plasmare le connessioni tra i neuroni, questo studio sottolinea che anche i geni svolgono un ruolo di controllo fondamentale. Le patologie che appaiono nel corso dell infanzia 21

I disturbi del movimento Test clinici nella malattia di Parkinson 24 Un nuovo modello animale della malattia di Parkinson rinforza l interesse per i proteasomi 25 Non dimentichiamo i mitocondri 27 Alcuni risultati per gli altri disturbi del movimento 28 23

Nel corso di un anno che non ha apportato progressi clinici di rilievo, l interesse degli scienziati e delle persone affette da disturbi motori si è concentrato sui progressi della ricerca fondamentale capaci di dare origine a nuovi trattamenti. Test clinici nella malattia di Parkinson Il fatto più rilevante del 2004 a proposito della malattia di Parkinson è stato l annuncio dell insuccesso di un test clinico con il GDNF (glial cell linederived neurotrophic factor), un fattore di crescita che contribuisce a nutrire e proteggere i neuroni del cervello. Secondo uno studio pilota realizzato nel 2003 con un numero ristretto di casi, il GDNF di sintesi introdotto direttamente nei ventricoli cerebrali ha rallentato la progressione dei disturbi del movimento provocati della malattia. Lo studio in questione non era in doppio cieco e i pazienti sapevano di ricevere il GDNF. Per escludere l effetto placebo, è stato realizzato un altro studio con un numero maggiore di persone, in doppio cieco controllato con placebo. I risultati dello studio su vasta scala, comunicati a Toronto nell ottobre 2004 durante il congresso dell American Neurological Association (ANA), non hanno confermato quelli ottenuti con lo studio pilota. Occorre quindi riconsiderare i risultati positivi ottenuti in precedenza con un numero ristretto di casi o sugli animali, rilevandone il carattere preliminare. Il futuro delle terapie basate sui fattori di neuroprotezione come il GDNF o altri, è ancora poco chiaro. Molti ricercatori credono ancora nelle loro capacità protettive sui neuroni distrutti selettivamente dalla malattia di Parkinson (nella sostanza nera e in altre zone cerebrali). Alcuni scienziati, cercano di capire se una diversa modalità d infusione (per esempio aumentando il dosaggio) potrebbe migliorare i risultati. Anthony Lang, del Toronto Western Hospital, cha ha annunciato durante il congresso dell ANA il fallimento del test in doppio cieco, ha rivelato dei problemi di sicurezza nei due studi, oltre che nei test realizzati sugli animali. Con questi dati supplementari è lecito chiedersi se Amgen, il produttore del GDNF, perseguirà quest approccio. Attualmente sono allo studio altre modalità di somministrazione dei fattori neuroprotettori. Risultati incoraggianti sono stati ottenuti sul modello animale utilizzando dei vettori virali in grado di trasportare i fattori neurotrofici verso le zone colpite dalla malattia. 24 Un risultato promettente è stato ottenuto nel corso del 2004 nell ambito dei farmaci aggiuntivi per la malattia di Parkinson: si è potuto dimostrare

che la rasagilina nei primi stadi della malattia può rallentarne la progressione. Il trattamento antiparkinsoniano ideale resta la levodopa (L-dopa), somministrata per compensare la produzione insufficiente di dopamina, un neurotrasmettitore prodotto dalla sostanza nera. La levodopa migliora alcune componenti motorie della malattia, ma dopo il quinto anno di trattamento genera gravi effetti collaterali motori. Per questa ragione i medici prescrivono ai primi stadi della malattia altre sostanze che agiscono egualmente sul sistema dopaminergico. Quando la levodopa diviene veramente necessaria, spesso si somministra in associazione con la selegilina (Deprenyl, Eldepryl) per rinforzarne gli effetti. Un risultato promettente è stato ottenuto nel corso del 2004 nell ambito dei farmaci per la malattia di Parkinson. I risultati registrati dagli studi su animali, suggeriscono che la selegilina e un suo derivato di nuova generazione, la rasagiline, non si limitano a contrastare i sintomi della malattia di Parkinson, ma ne rallentano la progressione. Nel numero di aprile 2004 di Archives of Neurology, i risultati proposti da un consorzio clinico denominato Parkinson Study Group 20 evidenziano che la rasagilina potrebbe avere un effetto benefico. In uno studio a doppio cieco un gruppo di pazienti ai primi stadi della malattia che non assumeva un trattamento sostitutivo, ha ricevuto la rasagilina quotidianamente per dodici mesi. All altro gruppo è stato somministrato un placebo per i primi sei mesi e la rasagilina per i sei mesi seguenti. Se la rasagilina avesse solamente camuffato i sintomi, dopo dodici mesi i due gruppi di pazienti avrebbero dovuto trovarsi a livelli simili di declino parkinsoniano, la malattia avrebbe dovuto progredire allo stesso modo nei due gruppi. I disturbi del movimento I ricercatori hanno invece osservato che i pazienti che avevano assunto la rasagilina per dodici mesi stavano un po meglio dei pazienti che l avevano presa solo per sei mesi, si può quindi dedurre che la malattia era progredita meno rapidamente nei pazienti del primo gruppo. Se questi risultati saranno confermati da altri studi, la rasagilina, che provoca effetti collaterali minori della selegilina, completerà la gamma dei farmaci contro la malattia di Parkinson. Un nuovo modello animale della malattia di Parkinson rinforza l interesse per i proteasomi La scoperta del 2004 nell ambito della ricerca sulla malattia di Parkinson che si ricorderà più a lungo consiste in un nuovo e più preciso modello animale della malattia. Sviluppando tale modello i ricercatori hanno ricreato 25

nel topo delle condizioni molto simili a quelle osservate nella malattia di Parkinson. Il modello si basa su un alterazione del sistema di degradazione delle proteine intracellulari denominato complesso UPS (Ubiquitin-Proteasome System). I ricercatori hanno ricreato nel topo delle condizioni molto simili a quelle osservate nella malattia di Parkinson alterando il sistema di degradazione delle proteine intracellulari denominato complesso Ubiquitin-Proteasome System. Le cellule possiedono diversi modi per sbarazzarsi delle proteine difettose. Uno dei più ingegnosi è quello di inserire nelle proteine da eliminare una piccola molecola, l ubiquitina, che funge da segnale per attivarne l eliminazione. Le proteine associate all ubiquitina sono raccolte dai proteasomi dove sono scisse in frammenti da eliminare. L UPS ha attirato l attenzione dei ricercatori per differenti ragioni. Una delle caratteristiche chiave della malattia di Parkinson è l accumulo di ammassi di proteine nelle cellule della sostanza nera e in altre regioni del cervello che con il tempo distruggono le cellule. Un anomalia nel sistema UPS potrebbe essere in parte responsabile di quest accumulo. Occorre aggiungere che numerose proteine associate alla malattia di Parkinson sembrano avere un ruolo chiave nel sistema UPS di riciclaggio delle proteine, delle mutazioni di queste proteine possono essere all origine di forme rare, ereditarie d apparizione precoce della malattia. In uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nell edizione del 21 giugno degli Annals of Neurology, Kevin St. P. McNaught, C. Warren Olanow e il loro gruppo del Mount Sinai School of Medicine, New York City, hanno provocato una patologia molto simile alla malattia di Parkinson esponendo dei topi a degli inibitori dei proteasomi 21. 26 Circa due settimane dopo l iniezione di un inibitore dei proteasomi, prodotto dai batteri o sintetico, sono apparsi negli animali dei sintomi di tipo parkinsoniano come la lentezza dei movimenti, la rigidità e il tremito. I sintomi sono peggiorati nei mesi successivi e potevano essere alleviati con la somministrazione di levodopa. La tomografia ad emissione di positroni (PET) e l esame autoptico dei cervelli ha evidenziato dei cambiamenti simili a quelli provocati dalla malattia di Parkinson, compreso l accumulo anormale di proteine nella sostanza nera e in altre regioni del cervello colpite nella malattia nell uomo.

Oltre ad offrire un modello della malattia più verosimile dei precedenti, lo studio di McNaught e dei suoi colleghi ha fornito nuove indicazioni sugli effetti legati alla disfunzione del sistema UPS. In risposta agli inibitori dei proteasomi, le cellule nervose dell intero cervello hanno intensificato l attività dei loro proteasomi, solo la sostanza nera e le altre regioni cerebrali solitamente lese dalla malattia, sono state incapaci di mantenere questa reazione di compensazione oltre qualche settimana. I risultati confermano quindi la teoria secondo la quale la malattia di Parkinson si manifesta a causa di una particolare vulnerabilità dei neuroni della sostanza nera e delle aree a lei associate. I disturbi del movimento Non dimentichiamo i mitocondri I dati appena descritti indicano come la disfunzione dei proteasomi con il conseguente accumulo di proteine difettose e probabilmente tossiche, contribuiscono alla morte dei neuroni cerebrali vulnerabili nella malattia di Parkinson, ma non spiegano l origine della disfunzione dell UPS. I primi indizi sulle possibili cause sono pervenuti dagli studi genetici realizzati su persone portatrici di forme rare, ereditarie e d apparizione precoce, prima dei quarant anni, di malattia di Parkinson. Gli scienziati hanno identificato delle mutazioni su più geni, molti di questi geni codificano per delle proteine che svolgono un ruolo nell UPS. Le proteine possiedono ruoli molteplici in seno alla cellula, alcune delle mutazioni responsabili della malattia di Parkinson sembrano disorganizzare i mitocondri, gli organelli che forniscono alle cellule l energia necessaria per lo svolgimento delle diverse attività cellulari. La disorganizzazione dei mitocondri può portare alla situazione di stress ossidativo che ha un duplice effetto negativo, si riduce la quantità d energia disponibile e aumenta la concentrazione di radicali liberi. Gli scienziati ipotizzano che esista una relazione complessa tra questi meccanismi e la malattia di Parkinson: la disfunzione dei mitocondri e lo stress ossidativo contribuiscono alla disorganizzazione dell UPS. Ne risulta un accumulo delle proteine difettose e tossiche che aggrava la disfunzione dei mitocondri e lo stress ossidativo, fino a provocare la morte dei neuroni. L importanza della disfunzione mitocondriale è stata convalidata da una ricerca pubblicata nel numero del 21 maggio 2004 di Science. I ricercatori hanno identificato un nuovo gene responsabile della forma ereditaria d apparizione precoce della malattia di Parkinson 22. Una collaborazione 27

multi-istituzionale di cinque paesi condotta da Nicholas W. Wood, dell Institute of Neurology di Londra, Georg Auberger, dell Università J. W. Goethe di Francoforte, il cui autore principale è Enza Maria Valente, dell Istituto Mendel di Roma, ha studiato una regione del cromosoma 1 sulla quale Wood e Valente avevano identificato la presenza di un gene che aumenta il rischio della forma precoce di malattia di Parkinson. Combinando le analisi genetiche in Sicilia, in centro Italia e in Spagna su famiglie con forme precoci di malattia di Parkinson, i ricercatori hanno dimostrato che alcuni di questi casi erano stati generati dalla mutazione di un gene denominato PINK1. I ricercatori hanno dimostrato che alcuni di questi casi erano stati generati dalla mutazione di un gene denominato PINK1. Studiando la proteina PINK1 su cellule in vitro, Valente e i suoi colleghi hanno costatato che essa si accumulava sulla superficie dei mitocondri, dove probabilmente contribuisce alla sopravvivenza dei mitocondri in caso di stress molecolare. Gli autori hanno dimostrato che le mutazioni del PINK1 responsabili delle forme precoci di malattia di Parkinson, rendono i mitocondri delle cellule in vitro più vulnerabili allo stress indotto sperimentalmente. Aumentando i livelli della proteina normale PINK1 si amplia la protezione contro lo stress indotto artificialmente. In uno studio prospettico pubblicato nel numero di settembre degli Annals of Neurology, il gruppo italiano di Valente ha fornito qualche indicazione preliminare secondo la quale le mutazioni del PINK1 aumentano il rischio di sviluppare anche la forma comune, non ereditaria e d apparizione tardiva della malattia di Parkinson 23. 28 Un altro importante esempio sulle numerose funzioni svolte dalle proteine nella malattia di Parkinson è stato fornito da Jie Shen, James J. Palacino e i suoi collaboratori della Harvard University 24. In un articolo pubblicato il 30 aprile nel Journal of Biological Chemistry, i ricercatori hanno studiato le conseguenze della soppressione del gene che codifica per la proteina parkina nel topo, le cui mutazioni provocano la forma di apparizione precoce della malattia di Parkinson. I ricercatori hanno scoperto che i topi privati della parkina, hanno importanti perturbazioni della funzione mitocondriale e dello stress ossidativo, ciò suggerisce che questa via e non il sistema ubiquitina-proteasomi potrebbe essere la causa della neurodegenerazione osservata nella malattia di Parkinson.

Alcuni risultati per gli altri disturbi del movimento Nel 2004 sono stati registrati dei progressi sperimentali per gli altri disturbi del movimento e sono iniziati dei test clinici che continueranno nei prossimi anni. Nella sclerosi laterale amiotrofica (SLA) i neuroni motori subiscono un processo degenerativo, i muscoli ricevono sempre meno impulsi nervosi. In uno studio pubblicato in Experimental Neurology a febbraio, Jonathan Glass e i suoi colleghi dell Emory University evidenziano grazie a del materiale proveniente dall esame autoptico dei tessuti umani e dei modelli murini della SLA che la degenerazione potrebbe cominciare alla connessione tra i nervi e i muscoli, non a livello del corpo del neurone 25. I ricercatori dovranno confermare queste osservazioni per stabilire la natura e la causa di questa lesione a livello delle giunzioni neuromuscolari. I disturbi del movimento La stimolazione profonda del cervello, ottenuta con degli elettrodi miniaturizzati impiantati nel cervello, ha permesso un sollievo sintomatico per i pazienti ad uno stadio avanzato della malattia di Parkinson e della distonia. I risultati preliminari presentati nell ambito di congressi medici, hanno dimostrato che la stessa tecnica potrebbe essere utilizzata con successo anche per controllare i sintomi motori della malattia di Gilles de la Tourette, una patologia complessa che associa alle lesioni neurologiche dei disturbi del comportamento. I ricercatori stanno elaborando dei protocolli per i test clinici affinché si possa valutare la sicurezza e l efficacia della stimolazione profonda del cervello, la prudenza è d obbligo. 29

Le lesioni del sistema nervoso Combinazioni ingegnose per ridurre il danno 33 Bloccare la proteina Nogo 35 Costruire ponti 36 31

La ricerca sulle lesioni del sistema nervoso è proseguita nel corso del 2004 concentrandosi sullo sviluppo di trattamenti in grado di stimolare la rigenerazione del tessuto nervoso leso. Gli scienziati perseguono differenti strategie per attivare i meccanismi di autoriparazione del sistema nervoso e per superare gli ostacoli che si oppongono a questa riparazione, così da aiutare le persone vittime di incidenti cerebrovascolari (ICV), di lesioni traumatiche del midollo spinale o dei traumi cerebrali a recuperare le funzioni perse. I risultati ottenuti permettono di comprendere meglio le vie molecolari implicate nella cascata di reazioni che si innescano in seguito ad una lesione acuta del sistema nervoso centrale (SNC). La comprensione di questi meccanismi aprirà nuove piste per lo sviluppo di trattamenti in grado di limitare i danni e migliorare le capacità rigenerative. Il doppio obbiettivo la limitazione dei danni acuti e il ristabilimento delle capacità funzionali fa del trattamento delle lesioni traumatiche del SNC un problema complesso, impossibile da risolvere con strategie semplici. Ciascuno dei due obiettivi comprende un numero elevatissimo di fattori in gioco, le possibilità di raggiungere l obiettivo terapeutico con un solo trattamento sono limitate. La tendenza attuale consiste nel mettere in atto una serie di interventi terapeutici o chirurgici attentamente coordinati, fin dal primo istante che segue l episodio traumatico. Più gruppi di ricercatori sono riusciti stimolare il processo di rigenerazione ottenendo benefici combinando due o tre terapie che si erano dimostrate promettenti nel corso di test realizzati in precedenza. Anche se le terapie rigenerative non hanno ancora dato prova della loro efficacia nell uomo, i risultati registrati nell animale di laboratorio sono incoraggianti e attirano grande attenzione sia da parte degli scienziati sia dalle persone che convivono con le conseguenze di traumi del SNC. 32 Nei traumi midollari, uno dei principali ostacoli alla riabilitazione sta nell incapacità dei neuroni di far ricrescere gli assoni e di ristabilire le connessioni con le parti del sistema nervoso e gli organi posti oltre la lesione. Dopo una lesione completa o una contusione del midollo spinale convergono sul luogo della lesione delle cellule di sostegno denominate cellule gliali, il loro ruolo dovrebbe essere quello di limitare i danni. Tuttavia nella lesione l accumulo di cellule gliali porta alla formazione di una cicatrice gliale che impedisce ogni tentativo di ricrescita degli assoni. Il trattamento di una lesione midollare per essere efficace deve quindi agire contemporaneamente su più fattori; annullare gli effetti della cicatrice, neutralizzare le