Istanbul, ultima frontiera dell Europa verso est



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Transcript:

È l avamposto fortificato dell Unione Europea, nella quale a loro volta i turchi cercano di entrare. Gendarme di Bruxelles, Istanbul lotta con determinazione contro l immigrazione illegale, respingendo, deportando, Istanbul, ultima frontiera dell Europa verso est GEOPOLITICA testo e fotografie di Emiliano Bos rimpatriando i clandestini. Ma così facendo corre il rischio di snaturare se stessa e la propria storia. Che tutti riconoscono ricca di capacità di confronto e accoglienza L e acque torbide del Corno d Oro mulinano in un via-vai incessante di traghetti. I riverberi di luci metalliche sembrano incendiare le cupole delle moschee dell antica Bisanzio, mentre le ombre si allungano sulla banchina di pietra bianca. Da questa posizione si scorgono migliaia di scarpe d ogni foggia correre rapide verso l imbarcadero per la sponda asiatica di Istanbul. Si avvicina il tramonto. La metropoli ha il ritmo ronzante di un alveare laborioso. Davanti a Kadikoy Iskelesi, il molo dei traghetti per la breve traversata intercontinentale, staziona ancora il venditore di simit, con il carretto carico dei tipici anelli di pane cosparsi di sesamo. L Asia Minor si trova a 15 minuti di navigazione. L Europa Maior è qui. Lahat Ndaye c è arrivato: questo senegalese dinoccolato ha messo piede nel vecchio continente ormai cinque anni fa, senza più muoversi. E si è scelto un angolo di grande passaggio per offrire le sue mercanzie agli avventori. Passaggi di uomini e merci, quest incredibile città, ne vede da secoli. Come ai tempi della Sublime Porta. Solo che adesso la Turchia è davvero la porta d Europa. Non più sublime, ma solo chiusa. È l avamposto fortificato dell Unione Europea, di cui i turchi a loro volta cercano l ingresso. Gendarme di Bruxelles sul fronte orientale, il governo di 24

GEOPOLITICA Ankara vigila sulle frontiere dei 27 con controverse politiche di lotta all immigrazione illegale: respinge, deporta, rimpatria i clandestini. Talvolta, di rado, li tollera. I ruoli di pattugliamento come accade anche tra Mediterraneo e Oceano Atlantico sono delegati ormai all esterno dell Ue, polo catalizzatore di una moltitudine di migranti da ogni direzione. La Turchia accetta di fare il cane da guardia degli europei, sostiene la sociologa Didem Danis, docente di Nuove migrazioni e flussi transnazionali all Università Galatasaray di Istanbul. Non ci sono più mercanti veneziani, combattenti mamelucchi o commercianti persiani. La Nuova Costantinopoli è (ed è sempre stata) un caleidoscopio di popoli: al composito mosaico locale di turchi, curdi, greci, armeni s aggiunge il crogiuolo di genti che si incrociano su questa rotta alternativa dell emigrazione. Suo malgrado, la Turchia, e Istanbul in particolare, è ormai un crocevia di somali, georgiani, etiopi, iracheni, azeri, ucraini, iraniani, georgiani, nigeriani, afghani, ivoriani. Diventeremo un cimitero di migranti e rifugiati, dice un funzionario del ministero dell Interno che non vuole né può fornire il suo nome. Non vogliamo restare a guardare questo grande flusso. Intanto questo flusso s alimenta ininterrottamente ma sfugge ai visitatori. Rapiti dalla magnificenza della Moschea Blu di Sultan Ahmet e dei mosaici di Aya Sofia, i turisti spesso non s accorgono dell altra Istanbul. Una città nella città, dove invece degli splendidi monumenti carichi del passato ci sono quartieri che raccontano il presente. Abbiamo provato a percorrerla, senza la Lonely Planet. Kumkapi, ghetto d Africa Il nostro viaggio inizia a un centinaio di metri dalla fermata del moderno tram che taglia il centro di Istanbul. Si scende per una viuzza in forte pendenza, tra hotel dall aspetto poco invitante e grandi magazzini tessili. Il ventre molle di Istanbul si spalanca all improvviso: un formicaio di case con balconi diroccati, panni stesi con un filo tra un edificio e l altro, bambini che giocano scalzi per strada. È una Mergellina d Oriente, dove pure i rifiuti accumulati sull acciottolato sconnesso rendono i vicoli così simili alla Napoli di questi mesi. In fondo al dedalo di viottoli sbuca il Mar di Marmara, coi suoi flutti color piombo descritti da Orhan Pamuk. Per molti migranti africani, l alternativa al Mediterraneo è la ricerca di un pertugio tra i Dardanelli e il Bosforo. Anzi, l approdo sul Bosforo. Penultima tappa dell interminabile itinerario che nelle loro intenzioni dovrebbe terminare in Europa. E che invece spesso s arresta con un arresto da parte della polizia e la deportazione in un centro di detenzione in strutture finanziate dall Ue o con il trasferimento forzato in una città-satellite dell Anatolia. Migliaia di migranti sono comunque arrivati qui a Istanbul. Li trovi quasi tutti a Kumkapi, ghetto d Africa nella Bisanzio dei popoli. Michael, nigeriano con indosso una maglietta di Beckam, esce da un internet-cafè che rappresenta l indispensabile cordone ombelicale per i senza-patria come lui. Moussa Noura Duali, 35 anni, per raggiungere il lembo d Europa è arrivato a piedi dalla Somalia. A piedi? Sì, conferma il moderno pellegrino della postglobalizzazione, qualche ricciolo di barba già bianco e un cappellino di lana in testa. Dopo anni di guerra cercavo un alternativa. A ottobre dell anno scorso ho lasciato a Mogadiscio 25

ISTANBUL, ULTIMA FRONTIERA DELL EUROPA VERSO EST mia moglie e due figli, ci racconta Moussa, laurea in Agronomia e inglese fluente. La sua odissea ha dell incredibile: è partito dalla costa somala di Bosasso sfidando la rischiosissima traversata del Golfo di Aden sui barconi della disperazione, simili a quelli che approdano a Lampedusa. Poi lo sbarco in Yemen. Quindi in cammino attraverso l Arabia Saudita, il passaggio in Iraq e l arresto della polizia turca al confine. Quasi due mesi di carcere e poi qui a Istanbul. Di questa città conosco solo i cento metri della strada dove vivo ora, sorride amaro. Africa street, la si potrebbe chiamare. Congolesi, nigeriani, somali, camerunensi condividono divisi per comunità d appartenenza qualche squallida stanza presa in affitto nel quartiere di Kumkapi. L obiettivo è l Europa, aggiunge Moussa, che però non ha soldi per proseguire né per pagare qualche passeur disposto a traghettarlo su un isola greca per parecchie centinaia di euro. Viene da Mogadiscio anche Abdelkader Sheick, 29 anni, che prima di arrivare alla periferia d Europa è rimasto quattro anni in un campo profughi dell Onu in Yemen. Noi somali ci spariamo perfino di casa in casa, questo è davvero troppo. Perciò sono partito, sbotta. Quando ha incontrato Moussa nella penisola arabica, l ha seguito fin qui. Ora condivide con lui l assurda attesa di un futuro che

GEOPOLITICA potrebbe non arrivare mai. La polizia non ci espelle, ci sopporta. In carcere ci hanno dato un documento che attesta la nostra provenienza, spiega Abdelkader. Se ci fermano, gli agenti ce lo chiedono. E qualche volta pretendono pure denaro... ma non con noi, forse hanno compassione dei somali. Tutto sommato ci hanno accolto, riflette Moussa. Che trova persino la forza di uno slancio ironico: Siamo sfuggiti alla guerra passando per l Iraq. Be, là non è poi così male come dicono... è persino meglio della Somalia. Sveta e le valigie di Mosca Ma Kumkapi non è solo una little Africa. È popolata anche da migliaia di immigrati provenienti dalle ex-repubbliche sovietiche. Che di solito lavorano in Turchia per qualche anno e poi tornano nel loro Paese d orgine. Sveta, 32enne ucraina con due figli affidati in patria ai nonni, abita da queste parti. Ha trovato un impiego al Fimca, emporio di vestiti quasi all ingrosso ma di discreta qualità nel confinante quartiere di Laleli. Sono una modella, è la sua un po imprecisa autopresentazione in un francese scolastico. In realtà è un indossatrice per i clienti dell outlet, soprattutto russi facoltosi. Arrivata qui sei mesi fa, dice di essere laureata in Letteratura e Giurisprudenza. Mostra un tesserino della

ISTANBUL, ULTIMA FRONTIERA DELL EUROPA VERSO EST polizia: sulla fototessera indossa una divisa con tre stelle. Anche il suo nome vuole dire Stella. Ora paga 500 dollari al mese per una stanza, il resto lo spedisce a casa. Un paio di strade più in là, le vetrine di vestiti lasciano il posto ai depositi di piccole società di trasporti. Scritte in cirillico, furgoncini stracarichi di pacchi d ogni misura. Cargo Moskva è dipinto con la vernice rossa su un insegna. Da qui ogni giorno partono decine di automezzi per la Russia. Con a bordo una montagna di valigie. Io invece il mio bagaglio lo porto una volta al mese in aereo, butta lì Sveta. Non vuole aggiungere altri dettagli. Non qui, almeno. Li racconta dieci minuti di cammino più tardi a un tavolino di un kebab-coffee davanti alla Moschea di Beyat, al sicuro tra turisti anonimi. Disegna uno schema su un tovagliolino del bar. Traccia due punti: qui Istanbul, qui Mosca. Il capo-cargo, spiega Sveta, compra una decina di biglietti d aereo low cost tra le due città, con date fisse e ampio anticipo, risparmiando centinaia di dollari per tagliando. Ogni ticket garantisce il diritto a un bagaglio di 34 chilogrammi esentasse. I viaggiatori come Sveta acquistano il biglietto dal capo a un poco più di cento dollari, con evidente risparmio rispetto alla tariffa normale. Una volta al mese devo necessariamente uscire dalla Turchia per rientrare col visto turistico, altrimenti divento illegale, spiega l ex-poliziotta. Ogni volta deve portare una valigia nella capitale russa. Cosa contiene? Di tutto, immagino. Vestiti nuovi o altro. Ma non l ho mai aperta perchè è sigillata col nastro adesivo. E se all interno ci fosse, per esempio, droga... Non lo so davvero. Sono consapevole del rischio ma per me è l unica possibilità. In cinque viaggi non mi ha mai controllato nessuno, tantomeno all aeroporto di Mosca. Funziona perché tutti traggono vantaggio dal sistema. La nuova Costantinopoli Alla fine di ottobre 2007, l Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr) aveva censito in Turchia 11.546 non-europei, poco più della metà con lo status di refugee, gli altri come richiedenti asilo. Tra questi, 4457 iracheni. Cifre probabilmente sottostimate, dice ancora la sociologa Didem Danis durante una conversazione in un elegante bar all angolo della moderna piazza Taksim, epicentro della Istanbul griffata, dove il dibattito sulla laicità dello Stato e sul velo delle donne sembra persino già superato. La Turchia argomenta Danis dovrebbe essere solo un transito temporaneo, soprattutto per chi è fuggito dall Iraq. Ma gli iracheni, aggiunge, sanno benissimo che non torneranno più a casa e attendono a lungo prima di partire per un altra destinazione. Il governo di Ankara si mostra relativamente flessibile nei loro confronti: Non so se sia per indiffierenza deliberata, ma sta di fatto che non vengono deportati. Tranne nel caso dei curdi: contro questa minoranza scatta il rimpatrio. Anche perché la Turchia pone limitazioni geografiche all applicazione delle convenzioni internazionali: gli iracheni provenienti dalle tre province del Kurdistan non hanno gli stessi diritti degli altri. Chi è scappato da Baghdad o Bassora può aspirare allo status di rifugiato, col diritto al trasferimento in un Paese terzo, di solito Stati Uniti, Canada o Australia. Curdi e africani restano richiedenti asilo sine die, sottolinea l esperta di flussi migratori. Per l ingresso in Europa, l Ue chiede ad Ankara (oltre a una maggiore libertà di stampa e garanzie sui diritti civili) anche la rimozione di queste clausole di limitazione. Intanto l aviazione turca bombarda le basi dei ribelli del PKK nel Kurdistan iracheno mostrando pure le immagini in tv. Lontano da telecamere e cronisti, con operazioni silenziose e poco pubblicizzate, la polizia turca invece deporta i 28

GEOPOLITICA _Kadikoy Iskelesi è il molo da cui partono i traghetti per la breve traversata intercontinentale, 15 minuti di navigazione, che porta in Asia Minor. Oggi la Turchia è davvero la porta d Europa clandestini curdi oltrefrontiera. Oppure rinchiude i migranti illegali nei centri di detenzione. Ospiti indesiderati, s intitola l ultimo rapporto dell Helsinki Citizen Assembly, organizzazione locale che garantisce assistenza legale a profughi e richiedenti asilo. Il documento denuncia le condizioni dei migranti, che raccontano di maltrattamenti da parte della polizia, diritti negati, pessime condizioni igieniche e persino acqua potabile solo a pagamento. Uno di loro, il 24enne nigeriano Festus Okey, giocatore dilettante di calcio, nel 2007 è stato pestato a morte dai poliziotti del commissariato di Beyoglu, a Istanbul. Gli africani osserva la sociologa sono i più vulnerabili e il loro numero sta aumentando visto che l Europa cerca di sigillare le sue comunque porose frontiere. E allora si cerca il varco a nord-est, verso la nuova Costantinopoli. Kurtulus, periferia di Baghdad Per favore non scrivere il mio nome, temo per la mia famiglia rimasta a Baghdad. Lo chiameremo Ali, 28 anni. Una laurea in Odontoiatria, un impiego precario e provvisorio come gestore di un internetpoint. Lo incontriamo a metà di una salita del quartiere Kurtulus: sulla sinistra, palazzine popolari. Sulla destra, la piccola insegna arancione Metin internet. Le tariffe sono in caratteri arabi. Qui i clienti sono tutti iracheni, spiega Ali, che ha lavorato anche per il ministero della Sanità di Baghdad. Troppi rischi nella mia città, sono scappato dopo le minacce. Il resto della sua famiglia si era sgretolato mentre crollava anche il regime di Saddam Hussein: un fratello in Canada, un altro negli Stati Uniti e la sorella in Svezia. Lui qui, con la speranza di raggiungere presto uno dei suoi congiunti. Ma l attesa media è di 12-15 mesi, spiega Georgi Mansur, un cristiano iracheno di origine assira. Arrivato a febbraio 2003, ora aiuta i connazionali a gestire le pratiche di richieste di asilo. Molti passano illegalmente in Grecia, ci spiega. Ma la maggior parte attende anche anni il ricongiumento con i parenti fortunati già all estero. Nelle stradine di saliscendi tra i quartieri di Kurtulus, Elmadag, Dolapdere e Tarlabasi vivono parecchie migliaia di iracheni, in gran parte cristiani. Come Michael Rami, ingegnere meccanico di 48 anni. Abita in un appartamento in affitto piccolo ma dignitoso con due figli adolescenti, moglie e suocera 84enne. Avevo un buon giro d affari grazie al mio negozio di autoaccessori nel distretto di Karrada a Baghdad, racconta invitandoci a pranzo a casa. Mi hanno minacciato, ho chiuso la mia attività e ci siamo trasferiti qui. L aereo per Istanbul è stata la via d uscita dal delirio iracheno. Per lui era già la seconda guerra. La prima è stata quella contro l Iran, nove anni prigioniero nella città di Sari, dice appoggiando la mano sulla fronte, i capelli brizzolati e i baffetti con le stesse sfumature di grigio. Mostra il documento della Croce Rossa, rilasciato al confine con l Iraq il 27 agosto 1990. Nella capitale si è rifatto una vita, la famiglia, l attività commerciale. Poi la nuova fuga. Ho sofferto per la mia terra e l ho dovuta abbandonare di nuovo. Ma Baghdad resta nel cuore e nella testa, che fa ancora più male. Tornerete in Iraq? No, anche se sono home sick, ho nostalgia. Ma per i miei figli è troppo pericoloso. Tutti i giorni comunica via chat con Jamad, il vicino di casa sunnita, un vero amico. Se potessi tornerei Jamad anche ieri ha innaffiato le piante del mio giardino. 29