13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città



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13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città secoli X-XI I secoli X e XI in Europa furono caratterizzati da un sistema politico, sociale ed economico che è stato a lungo definito «feudale», mentre la storiografia attuale preferisce designarlo come «ordinamento signorile» [Barthélemy]. La tradizione storiografica ha spesso associato a dire il vero abusivamente l aggettivo «feudale» al concetto di anarchia. Parlare di «ordinamento signorile» costituisce invece un modo per sottolineare l importanza di considerare tale periodo per se stesso, piuttosto che come un epoca di disordine e di trapasso fra la dissoluzione dell impero carolingio e la nascita di nuove strutture politiche quali i comuni cittadini, i principati e i regni nazionali. 13.1. Un concetto ambiguo: feudalesimo «Feudalesimo» è una parola che non si trova nelle fonti coeve alla nascita del fenomeno. Il termine venne coniato nel Settecento nell ambito culturale illuministico e da quel momento in avanti è stato impiegato dagli storici in modi diversi e per indicare realtà di diversa natura. Le definizioni che nell ultimo secolo e mezzo sono state date di «feudalesimo» sono state riassunte da Chris Wickham in tre categorie di fondo: la nozione risalente a Karl Marx, che identifica nel feudalesimo uno specifico modo di produzione; l immagine delineata da Marc Bloch, che definì «società feudale» l intera civiltà europea dei secoli X-XIII; una più ristretta definizione giuridica, legata alle norme che regolavano le relazioni vassallatico-beneficiarie [ 8.1].

13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città (secoli X-XI) 107 La parola «feudo» trae origine dall antico germanico fihu, che probabilmente significava «gregge, bestiame» come l odierno tedesco Vieh e che ben presto assunse il medesimo significato del tardo latino beneficium. Feudo e beneficio sono dunque all origine soltanto due termini diversi per indicare la stessa cosa. Il beneficio, si è visto [ 8], era uno degli elementi imprescindibili del legame vassallatico-beneficiario, ossia la concessione patrimoniale che il senior faceva al vassallo in cambio di un servizio reso (aiuto militare o incarico funzionariale, per esempio l amministrazione di una contea e l esercizio della giustizia per conto del re). La stretta connessione fra servizio e beneficio ha condotto molti storici a sovrapporre le due nozioni: da ciò è derivato che spesso si è inteso come feudo non il compenso dovuto al vassallo per il servizio reso, ma piuttosto l ambito territoriale nel quale il vassallo stesso svolgeva il servizio. L espressione «ottenere in feudo» è stata allora intesa, erroneamente, nel senso di ottenere una terra e con essa, automaticamente, la delega a esercitarvi poteri di natura pubblica. La storiografia contemporanea distingue le diverse componenti del rapporto vassallatico-beneficiario perché ciò consente di chiarire con maggiore precisione le fasi di sviluppo e le modificazioni di tale rapporto nei secoli successivi. Prima fase (VIII-IX secolo). Prima nel regno dei Franchi e poi, con Carlo Magno, in tutto il territorio dell impero carolingio si diffondono i rapporti vassallatico-beneficiari, un sistema che rende oggetto di diritto pubblico, legali dunque, i rapporti clientelari [ 8.1]. Tali legami si costituiscono fra il sovrano e i suoi funzionari ma restano concettualmente distinti dalla delega del potere regio a esercitare funzioni pubbliche in un determinato territorio. Seconda fase (fine IX-X secolo). Dopo la dissoluzione dell impero carolingio viene meno il coordinamento regio e la grande aristocrazia del regno si impadronisce del potere, «patrimonializza» la carica di ufficiale pubblico in un determinato territorio assieme al beneficio connesso all incarico. I conti, i duchi e i marchesi divengono dinasti nell ambito del loro territorio, che continuano a gestire sempre in base al sistema vassallatico-beneficiario, applicato, su scala più ridotta, a vassalli propri. Terza fase (XI-prima metà XII secolo). È il momento in cui si arriva alla massima frammentazione del potere pubblico su scala locale, la fase che viene definita ordinamento signorile. La frammentazione del potere pubblico si innesca anche su quelle parti dei territori comitali e marchionali affidate ai vassalli dei conti o proprietà di ingenti possessori fondiari. Cellula base di questa organizzazione è il castello, con il territorio più o meno ampio che ogni singola fortificazione riesce a controllare. Quarta e ultima fase (dalla seconda metà del XII secolo in avanti). È la fase in cui i poteri signorili vengono progressivamente coordinati all interno di nuove compagini territoriali e i signori locali assoggettati ai regni mediante nuovi strumenti giuridici, che vengono a costituire il diritto feudale. L intricata materia dei poteri signorili viene chiarita ed ela- Feudo e beneficio Il periodo carolingio Ereditarietà degli incarichi pubblici L ordinamento signorile Il diritto feudale

Storia medievale 108 Debolezza regia Sviluppo spontaneo di poteri di fatto La teoria mutazionista borata; un formale sistema di deleghe riesce a ricomporli secondo una struttura gerarchica. Solo da questo momento in poi può diventare ammissibile parlare di una «piramide feudale», ossia di una rete gerarchica di rapporti politici basati sul legame feudo-vassallatico [ 17]. La storiografia tedesca di fine Ottocento è responsabile della definizione di «anarchia» del sistema che si definì con la frammentazione dell impero carolingio: essa riteneva che re deboli avessero ceduto parti di potere in feudo a signori che a loro volta ne avevano concesso parti ad altri, creando in tal modo una struttura gerarchica espressa attraverso la metafora della «piramide feudale» che prevedeva al vertice il re, poi i vassalli del re, e ancora i valvassori, ossia i vassalli dei vassalli, e infine i valvassini, vassalli dei valvassori. Agli inizi del Novecento sia la storiografia francese che quella tedesca, pur mantenendo una considerazione negativa del sistema, proposero di attribuire le cause di tale anarchia non alla cessione di poteri dall alto ma piuttosto allo spontaneo sviluppo dei poteri che di fatto i grandi proprietari di terre potevano esercitare sui loro uomini, poteri che con il venir meno di un efficiente autorità pubblica diventavano di fatto indipendenti. Questa spiegazione dell origine della frammentazione locale del potere pubblico ebbe grande successo e fu accolta e arricchita da molti studiosi Marc Bloch in primo luogo che identificarono come fattori decisivi di costruzione della società feudale l istituto dell immunità [ 8.3] e la patrimonializzazione dei poteri pubblici nelle famiglie dei funzionari. Dopo la seconda guerra mondiale la storiografia francese per primo Georges Duby ha elaborato una nuova teoria «mutazionista» [ 15.2] che ha trovato riscontro in numerosi studi specifici a carattere regionale, come la fondamentale ricerca dello stesso Duby sul Mâconnais, quella di Pierre Toubert sul Lazio o quella di Pierre Bonnassie sulla Catalogna. Tale interpretazione si incentra su un periodo ben preciso, compreso fra la fine del secolo X e la prima metà del successivo, epoca di una vera e propria «rivoluzione signorile» in cui sarebbe venuta meno l effettiva capacità di controllo dei funzionari regi sui loro territori. Verifiche in ambito europeo, soprattutto in Italia e in Spagna, hanno però evidenziato i limiti di questa teoria, che attribuisce a un periodo troppo breve fenomeni e cambiamenti che si svolsero invece in un lungo arco di tempo, con modalità differenti a seconda dei luoghi. Al centro della nostra attenzione porremo ora la seconda e la terza delle quattro fasi individuate sopra. 13.2. La frammentazione dell impero carolingio Negli ultimi anni dell impero carolingio le aristocrazie europee avevano acquisito sempre maggiore importanza e un autonomia spiccata

13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città (secoli X-XI) 109 dal potere centrale. Tale autonomia aveva trovato un riconoscimento ufficiale nel cosiddetto capitolare di Quierzy, una disposizione emanata dall imperatore Carlo il Calvo il 14 giugno 877 a Quierzy-sur-Oise, località della Francia settentrionale, mentre si apprestava a intraprendere una spedizione militare in Italia per combattere i Saraceni. La disposizione prevedeva che gli incarichi funzionariali o i semplici benefici concessi ai vassalli, eventualmente rimasti vacanti durante l assenza dell imperatore, non fossero assegnati ad altri in attesa del ritorno dalla spedizione dei figli di quei funzionari o di quei vassalli. Fino a quel momento dunque almeno formalmente alla morte del vassallo il beneficio, così come la carica che eventualmente vi fosse connessa, tornava al senior che ne poteva disporre liberamente. Nella prassi però era comune che i grandi benefici e le cariche funzionariali fossero riconfermati agli eredi del defunto. Il capitolare di Quierzy, che pure era stato emanato come disposizione provvisoria, fu assunto dall alta aristocrazia come una legittimazione dell ereditarietà dei benefici e delle cariche maggiori. Il fatto poi che, per lungo tempo, dall 888 in avanti, estintasi in linea diretta la dinastia carolingia, l autorità imperiale sia rimasta vacante o sia stata gestita da uomini che non riuscirono a esercitare un potere reale, consolidò di fatto il privilegio dell ereditarietà dei benefici e degli incarichi per la grande aristocrazia. Nei comitati e nelle marche i titolari del potere pubblico, conti e marchesi, dalla fine del IX secolo esercitarono le loro funzioni in modo ampiamente svincolato dal controllo e, allo stesso tempo, dalla legittimazione di qualsiasi autorità pubblica. La legittimità del potere si basò da quel momento in avanti sulla concreta e materiale possibilità di essere in grado di esercitarlo. Occorreva poter disporre di cospicue risorse economiche e ciò significava, in quella struttura produttiva, soprattutto disporre di un vasto patrimonio fondiario e di un congruo seguito di fedeli armati, ricompensati a loro volta grazie alla concessione di benefici. Nei territori che la distrettuazione carolingia aveva assegnato all alta aristocrazia dell impero i discendenti degli antichi funzionari non erano peraltro gli unici in grado di esercitare effettivamente il potere. Nell ambito territoriale di un comitato o di una marca esistevano proprietari laici di cospicui patrimoni fondiari che grazie alla loro posizione economica potevano emulare, nello stile di vita e nell esercizio del potere, i discendenti delle famiglie comitali. Grazie al servizio militare reso in favore dei sovrani, che di volta in volta cercavano di riaffermare un controllo unitario del territorio, tali gruppi familiari ottennero dai rappresentanti del potere pubblico la concessione dell immunità [ 8.3] nell ambito delle loro proprietà. Le grandi aziende fondiarie divennero in tal modo isole di giurisdizione autonoma dagli altri centri di potere del medesimo territorio. Anche le grandi proprietà ecclesiastiche, le dipendenze delle grandi abbazie o del patrimonio dei vescovi e delle canoniche episcopali cittadine, godevano del diritto di immunità in gran parte già dall età carolingia. Inoltre, anche nel caso in cui un grande pro- Capitolare di Quierzy Basi materiali del potere Il ruolo dell immunità

Storia medievale 110 «Edictum de beneficiis» prietario non riuscisse a ottenere ufficiale riconoscimento dell immunità, egli di fatto si comportava come se ne potesse disporre. Su questa frammentazione del potere pubblico cercò di incidere nella prima metà del secolo XI l imperatore Corrado II, emanando nel 1037 una disposizione detta Edictum de beneficiis (ribattezzata in età moderna come Constitutio de feudis). Il testo stabiliva l ereditarietà dei benefici minori, ossia dei benefici concessi dall alta aristocrazia ai propri vassalli, precisando che nessun vassallo poteva essere privato del beneficio ottenuto senza una giusta causa, che doveva essere giudicata da un tribunale di pari grado o direttamente dal sovrano. Con questa disposizione si mirava a ricondurre l insieme dei detentori di poteri signorili in un ambito di fedeltà unitaria, cioè quella dovuta al re, e si intendeva pertanto colpire l eccesso di potere nelle mani dell alta aristocrazia, riportando ordine e pacificazione sociale mediante il coordinamento dei poteri locali. Di fatto però la disposizione non sortì effetti di rilievo, se non quello di legittimare poteri signorili già di fatto esistenti e di svuotare ancor più la capacità di intervento sui rispettivi territori dei funzionari regi. 13.3. L incastellamento Insicurezza diffusa Centri di insediamento fortificati Uno dei fenomeni più vistosi che accompagnarono la dissoluzione dell impero carolingio e il sorgere di molteplici centri di potere locale fu quello dell incastellamento. A partire dagli ultimi decenni del secolo IX l Europa aveva conosciuto le cosiddette «seconde invasioni» [ 12]. Gli attacchi della cavalleria degli Ungari e delle navi saracene avevano provocato il panico in larghe aree del territorio imperiale. Un motivo probabilmente non secondario della perdita progressiva di autorevolezza da parte degli esponenti della dinastia carolingia fu proprio quello di non essere stati in grado di garantire la sicurezza del territorio. La diffusa sensazione di incertezza che ne derivò è da considerarsi una delle cause scatenanti del fenomeno dell incastellamento. Avvenne che qualunque grande proprietario in grado di allestire una fortificazione cercò di realizzarla, recintando un area anche solo con mezzi di fortuna, come lo scavo di un fossato o l innalzamento di una palizzata di legno. Con tali mezzi si protessero e si chiusero molti centri dominicali delle grandi aziende curtensi, sia laiche che ecclesiastiche. I contadini piccoli proprietari e i coltivatori liberi, coloro cioè che lavoravano dietro contratto nel massaricio di una grande azienda, in tanti casi trasferirono la loro residenza nell area fortificata, a fianco dei servi che dipendevano direttamente dal proprietario. In tal modo il fenomeno dell incastellamento contribuì all affievolirsi delle differenze sociali fra i coltivatori, accomunati dal bisogno di protezione alle dipendenze del proprietario, il quale assumeva nei confronti dei residenti nel castrum prerogative che oltrepassavano la sfera patrimoniale e diventavano di schietta natura pubblica.

13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città (secoli X-XI) 111 Questo cambiamento del ruolo politico dei grandi proprietari, che in quanto possessori di castelli riuscirono a estendere la loro autorità su comunità intere, rivela come l incastellamento non sia stato un fenomeno legato soltanto all insicurezza. Grandi proprietari laici ed ecclesiastici, assieme agli eredi dei funzionari regi di età carolingia che avevano assorbito nel patrimonio familiare cariche e benefici, utilizzarono il timore diffuso per consolidare le rispettive posizioni di potere. L incastellamento diventò così un mezzo per estendere l autorità del grande proprietario non soltanto sui coltivatori direttamente dipendenti ma anche su tutti i residenti nell area in cui si trovava la grande proprietà. L incastellamento apportò profonde modifiche anche nel paesaggio e nelle forme insediative: scomparvero o diminuirono le abitazioni che nelle campagne sorgevano direttamente sui poderi. L insediamento divenne più accentrato e anche il paesaggio si conformò alla nuova organizzazione del territorio: a ridosso delle mura dei castelli si concentrarono le coltivazioni di maggior pregio, orti e vigneti, contornate dai campi e poi dai pascoli e infine dai boschi. L Europa assunse una nuova fisionomia, di carattere duramente militare. Il potere sugli uomini Modificazioni del paesaggio 13.4. Signoria fondiaria, signoria territoriale L incastellamento fu uno degli strumenti fondamentali attraverso cui molti grandi proprietari si trasformarono in signori territoriali. La storiografia distingue due forme di signoria: fondiaria e territoriale. Si definisce signoria fondiaria l insieme dei poteri che un grande proprietario di fatto si trovava a esercitare sui lavoratori di condizione servile che gli appartenevano e anche sui coloni liberi che lavoravano le sue terre. Oltre a riscuotere i canoni in natura e in denaro, infatti, il proprietario esercitava prerogative che andavano al di là del mero apporto economico: i coltivatori dovevano alla proprietà diversi donativi, fissati dalla consuetudine o, talvolta, da precise clausole contrattuali; erano inoltre assoggettati all obbligo delle corvées ossia delle prestazioni d opera da svolgere sulle terre signorili, e dovevano ricorrere alla iustitia dominica, ossia accettare che fosse il proprietario a dirimere le controversie che potevano sorgere nell ambito delle sue pertinenze patrimoniali. Se questa forma di potere signorile contiene già elementi che configurano un controllo sugli uomini di natura pubblica, ancor più chiaramente ciò avviene nella signoria detta «territoriale» o «di banno». Così come la signoria fondiaria è strettamente connessa alla grande proprietà e al sistema di produzione curtense, la signoria territoriale è legata inscindibilmente al fenomeno dell incastellamento. Si tratta infatti dell esercizio di una serie di prerogative in gran parte analoghe a quelle della signoria fondiaria, ma applicate anche a soggetti non legati da alcun vincolo di natura patrimoniale al proprietario del castello. L aggettivo «ter- Signoria fondiaria Signoria territoriale

Storia medievale 112 LE PRESENZE FONDIARIE DI UN GRANDE POSSESSORE FEUDALI ALLODIALI (in piena proprietà) AREE DI SIGNORIA FONDIARIA DEL GRANDE POSSESSORE (dal punto di vista signorile non c è distinzione fra terre feudali e terre allodiali) Signoria fondiaria e signoria territoriale (da Curtis e signoria rurale: interferenze fra due strutture medievali, a cura di G. Sergi, Scriptorium, Torino 1993) SIGNORIA TERRITORIALE si estende su molte terre che non competono economicamente al signore fondiario; costruisce un dominio compatto facendo perno sui principali nuclei fondiari signorili; rinuncia al controllo politico sui nuclei fondiari troppo decentrati

13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città (secoli X-XI) 113 ritoriale» precisa dunque l ambito di esercizio dei poteri signorili, imposti non più a singole persone economicamente soggette ma all insieme degli abitanti di un determinato insediamento. All interno del castello il signore poteva richiedere prestazioni di lavoro per la manutenzione delle mura o per i turni di guardia, così come per la manutenzione delle strade e della propria residenza. Si arrogava il diritto di esercitare la giustizia e di dirimere le controversie. Incamerava le tasse tradizionalmente dovute al potere pubblico, quali il fodro (originariamente l obbligo di provvedere al sostentamento materiale dell esercito regio al suo passaggio, poi trasformato in regolare contribuzione monetaria), l albergaria (l obbligo di ospitalità dovuto al sovrano e ai suoi ufficiali), la curadia, ossia la tassa sui mercati, il teloneo, ossia il pedaggio stradale, assieme al ripatico e al pontatico, rispettivamente quanto dovuto per utilizzare un porto fluviale o un ponte, e infine le multe e le pene comminate ai condannati dalla stessa giustizia signorile. Il signore riscuoteva inoltre una «taglia», ossia un versamento in denaro dovuto dall intera comunità come riconoscimento della funzione di protezione esercitata dal signore: questa tassa era detta anche focaticum poiché spesso veniva applicata a ogni singolo «focolare», cioè a ogni singola famiglia. Il signore infine stabiliva un monopolio sulla vendita di generi indispensabili come il sale e su servizi collettivi come la molitura dei cereali e la cottura del pane, così come riscuoteva somme per consentire il pascolo, l uso delle acque e lo sfruttamento dei boschi. Signoria fondiaria e signoria territoriale sono definizioni create dalla storiografia e applicate a posteriori a una realtà complessa per cercare di capirla e interpretarla. Non si deve pertanto pensare che gli uomini dell epoca fossero consapevoli di vivere assoggettati all una piuttosto che all altra forma di esercizio delle prerogative signorili. È certo però che le forme di potere affermatesi fra X e XI secolo comportarono il moltiplicarsi di esazioni e imposizioni a carico degli abitanti delle campagne, e il sorgere di una permanente microconflittualità. Nel medesimo castello potevano infatti risiedere abitanti economicamente soggetti al signore vicino ad altri che coltivavano terre di un diverso proprietario, fisicamente lontano ma che poteva rivendicare l esercizio dei poteri connessi alla signoria fondiaria. La medesima persona poteva così essere soggetta a più signori, che, magari, potevano entrare in conflitto fra loro e combattersi attraverso azioni di saccheggio e di rapina che incidevano pesantemente sulla sicurezza patrimoniale e personale dei dipendenti. Inoltre, i diritti signorili erano assimilati nella prassi ai diritti di proprietà: ciò significa che un castello alla morte del signore poteva essere frazionato in diverse parti, corrispondenti al numero e alla consistenza delle quote ereditarie. Si frazionava la proprietà e con essa anche i collegati diritti signorili. Le singole quote potevano essere liberamente vendute: i documenti di compravendita attestano la divisione di un castello fino a dodici o addirittura a diciotto parti. Le imposizioni signorili Frammentazione e sovrapposizione di poteri

Storia medievale 114 13.5. Le città e i vescovi Primato civile dei vescovi La difesa dei cittadini La giurisdizione cittadina dei vescovi Nell aggrovigliato intreccio di poteri signorili che si contendevano il controllo del territorio, una particolare posizione era quella delle città e dei vescovi. Si è detto [ 2] che le strutture ecclesiastiche si conformarono precocemente all organizzazione amministrativa dell impero romano: le sedi episcopali ebbero sede nelle città e l ambito di giurisdizione ecclesiastica del vescovo, la diocesi, si estese su un area i cui limiti tendevano a coincidere con quelli delle circoscrizioni amministrative romane, le provinciae. Nelle città, poi, il vescovo fu sin dalle origini espressione dei ceti dominanti locali: egli raccoglieva attorno a sé le istanze della cittadinanza, che usava riunirsi periodicamente negli spazi prossimi alla cattedrale per discutere i problemi comuni e partecipare alle decisioni in merito alle soluzioni da adottare. L insieme di queste circostanze ha condotto a definire la città come «luogo della continuità di una nozione pubblica del potere» [Sergi]. Nelle città il vescovo aveva un primato non solo spirituale ma anche civile; durante il periodo carolingio questa preminenza era stata recepita e salvaguardata dall ordinamento pubblico, che si era avvalso dei vescovi come elementi di controllo sullo strapotere dei funzionari locali attraverso la loro cooptazione come missi dominici, controllori dell attività dei conti e dei marchesi [ 8.2], e anche attraverso la concessione alle chiese episcopali e alle loro pertinenze patrimoniali del diritto di immunità dal potere dei pubblici funzionari. Con la dissoluzione dell impero carolingio i vescovi mantennero e rinsaldarono il loro ruolo in ambito cittadino. In occasione delle «seconde invasioni» [ 12] si assunsero direttamente la prerogativa di provvedere alla difesa urbana: innalzarono o ristrutturarono mura che intendevano difendere le cittadinanze dall attacco dei pagani (Ungari e Saraceni) ma anche dai mali christiani, i detentori dei poteri signorili nel territorio e i loro vassalli. Durante il secolo X molte sedi episcopali dell Italia centro-settentrionale ottennero dai rappresentanti del potere regio, prima, e poi, da Ottone I in avanti, del potere imperiale, il riconoscimento ufficiale del loro ruolo in ambito urbano: ottennero cioè al posto e a fianco del diritto di immunità un diritto «negativo» che rende immuni dall azione di terzi ma non delega l autorità a governare la cosiddetta districtio ossia l autorità di costringere, di obbligare, l essenza cioè del potere pubblico. Era il riconoscimento di una situazione ormai consolidatasi di fatto, ma era comunque importante poiché inseriva a pieno titolo i vescovi tra i legittimi detentori di parti del potere pubblico. A loro venne normalmente concessa la giurisdizione sull area della città murata e su una ristretta fascia che la circondava, del diametro di 5-7 chilometri. Anche le città vescovili rientrano, allora, a pieno titolo nel fenomeno di frammentazione del territorio in molteplici centri di potere locale. La tradizione però che sottostava al ruolo del vescovo in ambito ur-

13. Il trionfo dei poteri locali nelle campagne e nelle città (secoli X-XI) 115 bano, ossia la compartecipazione alla gestione del potere delle classi eminenti della città, rendeva molto diversi tali organismi almeno nell Italia centro-settentrionale dai centri di potere signorile. Per la definizione di ordinamento signorile di veda D. Barthélemy, L ordre seigneurial, XIe-XIIe siècle, Seuil, Paris 1990. Grande classico e insieme libro di piacevolissima lettura rimane il lavoro di M. Bloch, La società feudale, Einaudi, Torino 1949, più volte ristampato (l originale francese è del 1939-1940). Per l analisi del concetto di feudalesimo e la sua riconducibilità a tre categorie fondamentali si è impiegata di C. Wickham la prolusione introduttiva al convegno Il feudalesimo nell alto medioevo, Centro Italiano di Studi sull Alto Medioevo, Spoleto 2000 (XLVII settimana di studio), pp. 15-46. Le principali ricerche a partire dalle quali è stata elaborata la teoria «mutazionista» sono: G. Duby, Una società francese nel Medioevo. La regione di Mâcon nei secoli XI e XII, Il Mulino, Bologna 1985 (ed. orig. Paris 1953); P. Toubert, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe siècle, École française de Rome, Roma 1973; P. Bonnassie, Le Catalogne du milieu du Xe à la fin du XIe siècle. Croissance et mutation d une société, Association des publications de l Université de Toulouse-Le Mirail, Toulouse 1975-1976. Costituiscono gli esiti più aggiornati della ricerca due volumi che raccolgono gli atti di recenti convegni: Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII, a cura di G. Dilcher e C. Violante, Il Mulino, Bologna 1996, e Il feudalesimo nell alto medioevo cit. Sintesi recenti sull argomento sono quelle di G. Sergi, Lo sviluppo signorile e l inquadramento feudale, in La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all età contemporanea, a cura di N. Tranfaglia e M. Firpo, vol. II, Il Medioevo. Popoli e strutture politiche, UTET, Torino 1986, pp. 367-93 e di S. Carocci, Signori, castelli, feudi, in Storia medievale, Donzelli, Roma 1998, pp. 247-67. Più tecnico e di complessa lettura l insieme dei saggi di G. Tabacco raccolti in Id., Dai re ai signori. Forme di trasmissione del potere nel Medioevo, Bollati Boringhieri, Torino 2000. Dedicati all analisi puntuale di specifiche realtà territoriali sono i contributi di G. Sergi raccolti in I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Einaudi, Torino 1995. Una dettagliata analisi dei poteri signorili in ambito italiano si trova nel libro di L. Provero, L Italia dei poteri locali. Secoli X-XI, Carocci, Roma 1998. Sull incastellamento si vedano A.A. Settia, Castelli e villaggi nell Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Liguori, Napoli 1984, e P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell Italia medievale, Einaudi, Torino 1995. Grande attenzione ai riflessi che l ordine signorile ebbe sulla struttura sociale, sulla produzione economica e sulla vita degli individui si trova in V. Fumagalli, Terra e società nell Italia padana. I secoli IX e X, Einaudi, Torino 1976. Una chiara sintesi del dibattito storiografico si può leggere in S. Carocci, Signoria rurale e mutazione feudale. Una discussione, in «Storica», 8 (1997), pp. 49-91. biblio grafia