O.CILONA, Approfondimenti n. 1 2012 1 Approfondimenti n. 1 febbraio 2012 di Ornella Cilona (CGIL nazionale) Gli ultimi dati sulla disoccupazione in Europa e le riforme più recenti in materia di mercato del lavoro Le riforme del mercato del lavoro appena varate in Spagna, Portogallo e Grecia aumentano la precarietà e indeboliscono i sistemi di contrattazione collettiva, mentre il tasso di disoccupazione continua a salire in tutta Europa, soprattutto fra i giovani. In questa situazione la libera circolazione dei lavoratori nell'ue rischia di diventare un principio senza alcuna applicazione pratica: dove andare in cerca di un impiego all'estero se il lavoro non c'è? 1. I dati più recenti sulla disoccupazione in Europa: Secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat, l'ufficio statistico dell'unione europea, a dicembre 2011 il tasso di disoccupazione nei 27 Stati membri è stato del 9,9%, una percentuale che sale al 10,4% se si considerano solo i Paesi che hanno adottato come valuta l'euro. La situazione è particolarmente critica in Spagna e in Grecia, dove la percentuale dei senza lavoro ha superato il 20%. Nel Paese iberico, a dicembre il tasso di disoccupazione è stato del 22,9%, mentre in Grecia, dove la recessione si somma agli effetti nefasti delle politiche di austerità imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali e dall'unione europea, è salito a novembre al 20,9%. Oltre un milione di persone sono attualmente senza lavoro nella penisola ellenica. La percentuale dei senza lavoro è molto alta anche in altri due Stati della vecchia Europa : in Irlanda ha raggiunto il 14,5% e in Portogallo il 13,6%. La crisi non risparmia nemmeno i Paesi dell'europa dell'est e in particolare le ex tigri baltiche. In Lituania,
O.CILONA, Approfondimenti n. 1 2012 2 secondo gli ultimi dati, relativi a settembre dello scorso anno, il tasso di disoccupazione è stato del 15,3% e in Lettonia del 14,8%, mentre in Slovacchia è balzato al 13,4%. Ancora più drammatici i dati diffusi da Eurostat sulla disoccupazione giovanile: alla fine dello scorso anno il 22,1% dei minori di 25 anni era senza lavoro nei 27 Stati membri (21,3% nella sola zona euro). Sono, però, le cifre di alcuni Paesi a fotografare meglio la cruda realtà di un mercato del lavoro chiuso a chi ha appena terminato gli studi. L'Italia è uno dei tre Stati europei con il maggiore tasso di disoccupazione giovanile (31%), alle spalle di Spagna (48,7%) e Slovacchia (35,6%). Anche in Portogallo la percentuale degli under 25 alla ricerca di un posto supera il 30%, raggiungendo quota 30,8%. Eurostat non cita i dati relativi alla Grecia, ma nei giorni scorsi l'istituto di statistiche ellenico Elstat ha reso noto che il 48% dei giovani greci cerca un impiego senza riuscirci. Si tratta di un dato impressionante, simile a quello spagnolo: quasi la metà dei ventenni non riesce a trovare un impiego ad Atene e a Madrid. Secondo uno studio preparato dall'associazione spagnola delle agenzie di lavoro temporaneo Agett e da Analistas Financieros Internacionales, dall'inizio della crisi a oggi sono andati persi nell'unione europea un milione e 644mila posti di lavoro temporanei, dei quali un milione e 440mila nella sola Spagna, e quattro milioni e 294mila posti di lavoro a tempo indeterminato, dei quali un milione e 696mila in Spagna. Secondo lo studio, Irlanda, Lettonia, Grecia e Spagna sono i quattro Paesi europei nei quali si è verificata la maggiore perdita di posti di lavoro a tempo indeterminato a causa della recessione. 2. Le recenti riforme del mercato del lavoro in alcuni Paesi europei: Sono Spagna, Portogallo e Grecia i tre Paesi europei nei quali sono state messe a punto le prime riforme del mercato del lavoro del 2012. In Spagna, il governo di centro destra, guidato da Mariano Rajoy, ha approvato nei primi giorni di febbraio un disegno di legge che è ora all'esame del Parlamento. Sono quattro i punti più importanti del provvedimento: Contratti di lavoro. E' introdotta un'unica forma di contratto a tempo indeterminato nelle aziende con meno di 50 addetti, prevedendo, contemporaneamente una totale liberalizzazione dei licenziamenti nelle piccole e medie imprese. E', inoltre, introdotto il divieto di assumere un lavoratore per più di due anni a tempo determinato. Indennità di licenziamento. L'indennità di licenziamento è ridotta da 45 a 33 giorni per ogni anno di lavoro nell'azienda (ma diminuisce a venti giorni non solo se un'impresa da nove anni registra un calo delle proprie attività, ma anche se lo prevede soltanto, pur continuando a fare utili). Scardinamento del sistema di contrattazione nazionale. La riforma prevede che in caso di crisi le imprese possano derogare dagli accordi collettivi di categoria, modificando a proprio piacimento mansioni, orari di lavoro e retribuzioni. Inoltre, i contratti d'impresa prevarranno su quelli nazionali o regionali, che alla loro scadenza saranno validi solo per altri due anni.
O.CILONA, Approfondimenti n. 1 2012 3 Incentivi e agevolazioni per l'assunzione di giovani e disoccupati. Le aziende che chiameranno a lavorare un disoccupato di meno di trent'anni riceveranno agevolazioni fiscali per tremila euro, con la possibilità di utilizzare il primo anno il 25% dell'indennità di disoccupazione del giovane per integrare il suo stipendio. Inoltre, le imprese che assumeranno disoccupati potranno usufruire di uno sconto di 3.600 euro l'anno per un triennio sul versamento dei contributi previdenziali se la persona assunta ha meno di trent'anni e di 4.500 euro se ha oltre 45 anni ed è un disoccupato di lunga durata. I due sindacati iberici CC.OO e UGT hanno indetto sabato 18 febbraio una manifestazione nazionale unitaria per protestare contro la riforma, definita da Ignacio Fernandez Toxo, segretario generale di CC.OO, sbilanciata e centrata sui costi e sulle cause dei licenziamenti per renderli più facili ed economici. Le due organizzazioni dei lavoratori ritengono, inoltre, che il provvedimento governativo sia incostituzionale. Opposta, naturalmente, la valutazione della Commissione europea: il portavoce del Commissario Ue agli affari economici e monetari Olli Rehn ha, infatti, dichiarato nei giorni scorsi che le misure dell'esecutivo spagnolo sembrano andare nella buona direzione. In Portogallo, il governo di centro destra, guidato da Pedro Passos Coelho, ha firmato a metà gennaio con l'associazione nazionale degli industriali e la confederazione sindacale Ugt un accordo per la riforma del mercato del lavoro, definito dalla Cgtp, l'altro importante sindacato del Paese, un ritorno al feudalesimo. L'11 febbraio, la Cgtp ha organizzato un'imponente manifestazione a Lisbona contro l'accordo. L'Ugt ha ribattuto che l'intesa, anche se non è positiva per i lavoratori, ha, tuttavia, evitato l'aumento dell'orario di lavoro di mezz'ora al giorno che era stato inizialmente proposto dall'esecutivo. Sono due i punti più importanti dell'accordo: Tagli a ferie e a indennità di licenziamento e di disoccupazione. Per i lavoratori vi saranno d'ora in poi tre giorni di ferie annuali in meno. Inoltre, l'indennità di licenziamento è ridotta da venti a dodici giorni per ogni anno di lavoro, mentre l'indennità di disoccupazione sarà corrisposta per un periodo massimo di diciotto mesi. Aumento dell'orario di lavoro. Le aziende hanno la facoltà di far lavorare i propri dipendenti fino a un massimo di 150 ore l'anno in più senza retribuzione quando c'è un picco di attività. In Grecia, il nuovo pacchetto di austerity varato nei giorni scorsi dal governo di unità nazionale, guidato da Lucas Papademos, prevede una drastica deregolamentazione del mercato del lavoro e la diminuzione del 20% del salario minimo.
O.CILONA, Approfondimenti n. 1 2012 4 3. Libera circolazione dei lavoratori in Europa? In presenza di un tasso così alto di disoccupazione, in molti Paesi europei è a rischio l'attuazione del principio comunitario della libera circolazione dei lavoratori, che sancisce il diritto per ogni cittadino europeo di cercare un impiego in un altro Stato membro. Fino al 2008, centinaia di migliaia di persone si sono spostate nell'ue da Est verso ovest per un posto. Hanno spesso trovato, però, un lavoro mal pagato, pericoloso e senza tutele. Il rischio di un impiego low cost è aumentato dopo l'esplodere della recessione, perchè pur di non rimanere disoccupati, molti di loro hanno accettato condizioni ancora più precarie. Finalmente anche la Commissione Ue sembra accorgersi di quanto sia in pericolo il principio della libera circolazione dei lavoratori europei, tanto da affermare in un Rapporto ppreparato da un gruppo di suoi esperti e appena pubblicato che il dumping sociale è uno dei maggiori ostacoli all'attuazione di questo principio. La carenza (se non addirittura la mancanza) di tutele per chi si sposta in cerca di un impiego dai nuovi Stati membri verso quelli storici si traduce, infatti, in una maggiore precarietà e in peggiori condizioni di lavoro. Secondo il Rapporto, il problema è particolarmente sentito in Irlanda, Danimarca e Gran Bretagna, dove ci sono imprenditori che assumono operai o impiegati dell'est Europa, con salari più bassi rispetto a quello minimo e senza rispettare le normative contrattuali. Il rischio di dumping sociale, che può portare nelle sue forme estreme al traffico di esseri umani, nota lo studio, è anche il sintomo di discriminazioni basate sulla nazionalità, che rendono alcuni cittadini europei vulnerabili alle pratiche di sfruttamento, nonchè di una carenza di informazioni sui diritti dei lavoratori immigrati. Esiste, insomma, il rischio, conclude il Rapporto, che la libera circolazione dei lavoratori nell'ue possa trasformarsi in qualche caso in un movimento forzato di persone in cerca di un posto. L'Italia sembra comunque credere nel principio della libera circolazione dei lavoratori europei. Dal primo gennaio di quest'anno, infatti, il governo ha eliminato le restrizioni all'accesso del mercato del lavoro italiano per i cittadini rumeni e bulgari. Negli anni scorsi, infatti, l'esecutivo Berlusconi, servendosi di una possibilità concessa dalla normativa comunitaria, aveva ristretto in alcuni settori l'accesso al mercato del lavoro italiano per i cittadini di questi due Paesi. Attualmente, nove Stati europei (Austria, Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Olanda) continuano a restringere l'accesso al mercato del lavoro nazionale ai cittadini di Romania e Bulgaria, utilizzando le cosiddette misure transitorie. A essi si è aggiunta l'estate scorsa la Spagna, che a causa dell'elevato tasso di disoccupazione ha chiuso l'accesso al proprio mercato del lavoro ai cittadini rumeni fino al 31 dicembre di quest'anno. Le restrizioni imposte a bulgari e rumeni dagli altri nove Stati dovranno cessare, secondo la normativa comunitaria, il 31 dicembre 2013. Il 79% dei rumeni che vivono all'estero risiede in Italia e in Spagna. Secondo un Rapporto della Commissione europea sul funzionamento delle misure transitorie alla libera circolazione dei lavoratori europei, pubblicato lo scorso novembre, i cittadini rumeni e bulgari che vivono all'estero sono occupati prevalentemente in tre settori: edilizia, lavoro domestico e
O.CILONA, Approfondimenti n. 1 2012 5 ristorazione. La maggior parte di loro è giovane e scarsamente qualificata. La recessione ha duramente colpito questi lavoratori, soprattutto in Spagna, molti dei quali sono stati licenziati ai primi segnali di difficoltà. A causa della loro limitata adattabilità, questi immigrati non sono riusciti a integrarsi di nuovo nel mercato del lavoro, ingrossando le file dei disoccupati. Il Rapporto nota, inoltre, che a seguito della presenza dei lavoratori rumeni e bulgari in Italia e in Spagna i salari in questi due Paesi sono più bassi dello 0,7% rispetto al livello che avrebbero avuto senza questo flusso migratorio (a livello comunitario il dato è 0,28%). Lo studio sottolinea, tuttavia, che i cittadini rumeni e bulgari dal 2004 al 2007 hanno giocato complessivamente un ruolo positivo nelle economie dei Paesi dove si sono trasferiti, occupandosi in settori dove c'era carenza di manodopera. La crisi ha reso molto difficile la vita degli immigrati, conclude il Rapporto, ma restringere la libera circolazione dei lavoratori non è la risposta giusta all'alto tasso di disoccupazione in Europa.