La macroeconomia civile: un cambio di passo per l Europa



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La macroeconomia civile: un cambio di passo per l Europa Leonardo Becchetti Professore di Economia politica, Università di Roma Tor Vergata, <becchetti@economia.uniroma2.it> approfondimenti Nello scorso mese di ottobre oltre 350 economisti hanno sottoscritto un appello rivolto a Matteo Renzi (cfr riquadro alla p. seguente), all epoca presidente di turno del Consiglio dell UE, per un profondo ripensamento della politica economica europea. L appello si inserisce nel dibattito, politico e scientifico, tra sostegno alla crescita e rigore nei conti pubblici e non ha perso attualità con il termine del semestre di presidenza italiana. Il prof. Leonardo Becchetti, uno dei promotori dell iniziativa, ne presenta le ragioni, con particolare riferimento alla situazione economica del nostro Paese. Secondo il Prosperity Index 2014 (Legatum 2014), l Italia è quasi in fondo alla classifica (134a su 142 Paesi) nella risposta alle domande «È un buon momento per trovare lavoro?» e «Pensa che l economia andrà meglio?»: il nostro Paese sembra dunque aver perso la speranza almeno per quanto riguarda la ripresa economica. Secondo lo stesso rapporto, nell indice di prosperità complessivo scivoliamo dal 26 posto del 2008 al 37 dell anno scorso. Nel decennio 2001-2010, l Italia è l unico tra i 27 Paesi dell UE a registrare un tasso medio annuo di variazione del reddito pro capite negativo: per noi stagnazione e decrescita infelice precedono la crisi finanziaria globale, ma si inaspriscono dopo di essa. Le responsabilità come vedremo nelle pagine che seguono sono in parte nostre (ad esempio il declino strutturale della pro- Aggiornamenti Sociali gennaio 2015 (39-48) 39

duttività del nostro sistema economico), in parte legate a errori di conduzione della politica dell eurozona. L appello presentato al presidente Renzi rappresenta un tentativo di reagire, scuotendosi dalla passività e formulando proposte capaci di dare quella scossa capace di rimetterci in movimento. Il largo consenso incontrato dall appello, sottoscritto da 350 economisti in poche settimane, ne dimostra quanto meno l urgenza. Le responsabilità dell Italia A prescindere dagli effetti delle politiche economiche dell eurozona, che esamineremo nel paragrafo successivo, l Italia ha bisogno di profonde riforme per colmare il divario che la separa dal Paese ormai diventato il modello di riferimento, la Germania, e non solo in termini di differenziale di rendimento dei titoli di Stato (il famoso spread). La ragione risiede nelle attuali dinamiche economiche. Da una parte, infatti, l integrazione globale dei mercati ci mette in concorrenza con Paesi il cui costo del lavoro è fino a 10-20 volte inferiore al nostro; dall altra l integrazione europea ci ha privato degli strumenti di politica economica (manovra del tasso di cambio, politica monetaria, politica fiscale, almeno in termini di vincoli sui saldi aggregati) a cui in passato si faceva ricorso per recuperare competitività. Bisogna dunque trovare altre strade per compensare lo svantaggio che abbiamo in termini di costo del lavoro, piuttosto che pensare di inseguire al ribasso quello vigente nei Paesi poveri ed emergenti, con l effetto di deprimere ulteriormente la nostra domanda interna. I ritardi dell Italia riguardano molti ambiti. Uno primario, anche nello scoraggiare le imprese straniere a insediarsi nel nostro Paese, è quello dell efficienza della giustizia, sintetizzabile con la durata media delle cause civili. Siamo indietro in termini di capitale umano, fattore decisivo L appello degli economisti L appello L Italia chieda una Bretton Woods per l eurozona è stato promosso da un comitato formato dai proff. Leonardo Becchetti (Università di Roma Tor Vergata), Roberto Cellini (Università di Catania), Paolo Pini (Università di Ferrara) e Alberto Zazzaro (Università Politecnica delle Marche). Il testo e le indicazioni su come aderire sono disponibili alla pagina <http://docente.unife.it/paolo.pini/l2019italia-chieda-una-nuova-bretton-woods-per-l2019eurozona/l2019italiachieda-una-nuova-bretton-woods-per-l2019eurozona>. Nelle sole due settimane successive alla pubblicazione, l appello è stato sottoscritto da circa 350 economisti italiani. di crescita e sviluppo, con un 50% della popolazione con un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media e un 20% di laureati nella fascia giovanile, quando la media UE è attorno al 35 % e l obiettivo comunitario per i prossimi anni è fissato al 40%. Siamo 40 Leonardo Becchetti

indietro in termini di infrastrutture digitali e diffusione della banda larga: le tecnologie della comunicazione e dell informazione sono un fattore fondamentale di sviluppo e il ritardo in questo campo riduce ampiamente la capacità di aumentare la produttività totale del sistema. Siamo indietro in termini di efficienza complessiva della pubblica amministrazione e di lotta alla corruzione. Lavorare su tutti questi fronti, migliorando la nostra posizione rispetto ai modelli dell Europa settentrionale, renderebbe il Paese più forte, consentendoci di competere a livello globale pur in presenza di un più elevato costo del lavoro. La chiave è puntare su fattori competitivi non delocalizzabili, identificando, tutelando e valorizzando le peculiarità (artistiche, ambientali, agricole, enogastronomiche, tecnologiche, ecc.) di ogni territorio, per trasformarle in fattori competitivi a prova di concorrenza globale. Molti territori del nostro Paese stanno attivamente operando in questa direzione, attorno alla quale andrebbero sviluppati i progetti in base a cui richiedere quei fondi comunitari delle cui difficoltà di utilizzo molto si parla. Valga per tutti l esempio virtuoso di Matera, che ha trasformato i Sassi in patrimonio culturale dell umanità riconosciuto dall UNESCO grazie a ingenti investimenti europei ed è appena stata scelta come capitale europea della cultura per il 2019. Le responsabilità dell eurozona La crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008 ha provocato molti crolli, tra cui quello del fragile edificio teorico del modello economico neoclassico, nel quale i comportamenti miopemente e puramente autointeressati degli individui e gli appetiti di massimizzazione del profitto delle imprese si riconciliano magicamente con il bene comune grazie a due mani: quella invisibile della concorrenza di mercato e quella visibile di istituzioni di regolazione perfette, cioè benevolenti, che dispongono di tutte le informazioni e autenticamente indipendenti o, come si dice oggi, non catturate da coloro che devono regolare. L una e l altra e la seconda più della prima si sono rivelate ipotesi irrealistiche: i mercati non segnalano affatto l avvicinarsi della tempesta, al cui scatenarsi concorre il sonno di istituzioni tutt altro che indipendenti che allentano progressivamente le regole del gioco, favorendo l emergere di colossi troppo grandi per fallire e troppo complessi per essere regolati (Becchetti 2014). L epicentro e l origine della crisi sono negli Stati Uniti, ma sono proprio gli americani a intervenire in modo più energico ed efficace per contenerla. Ben Bernanke, presidente della Fe- approfondimenti La macroeconomia civile: un cambio di passo per l Europa 41

42 Leonardo Becchetti deral Reserve (la banca centrale americana) dal febbraio 2006 al febbraio 2014 e studioso proprio di questo genere di problemi, sa bene che una crisi finanziaria che fa fallire le banche distrugge moneta e corre ai ripari con politiche monetarie e fiscali espansive. Ricordando la lezione della terribile depressione seguita alla crisi del 1929 e il successivo intervento del presidente F. D. Roosevelt, vara il cosiddetto quantitative easing: una politica monetaria espansiva, consistente nell acquisto sul mercato di titoli pubblici e privati da parte della banca centrale, attraverso la quale dall indomani della crisi praticamente fino a oggi la Federal Reserve inietta nel sistema economico 83 miliardi di dollari ogni mese. Grazie al quantitative easing, la liquidità ritorna in circolo e l economia può ripartire, evitando l ulteriore collasso dei mercati finanziari. Allo stesso tempo, sempre facendo tesoro della lezione del 29, il Governo americano capisce che la conseguenza della crisi finanziaria è il crollo della domanda privata, che va rimpiazzata con domanda pubblica. Non preoccupandosi degli effetti a breve termine sull ammontare del debito pubblico, dà inizio a una politica di investimenti pubblici facendo crescere il rapporto deficit/pil oltre il 10%. La scelta americana produce frutti: nel giro di 6 anni il tasso di disoccupazione scende al di sotto di quello precedente alla crisi e la crescita progressiva del PIL riporta sotto il 3% il rapporto deficit/pil nel 2014. Gli americani dimostrano con questa manovra di saper sfruttare appieno quello che gli economisti chiamano dividendo monetario della globalizzazione. Di che cosa si tratta? La banca centrale dispone di un potere enorme, quello di stampare moneta, il cui limite principale è il rischio di creare un eccesso di inflazione, che erode il valore della ricchezza e il potere d acquisto dei salari. Se la quantità di moneta in circolazione è eccessiva, significa che famiglie, imprese e amministrazione pubblica avranno una forte capacità di acquisto: se la loro domanda supera la produzione e quindi l offerta di beni e servizi, allora i produttori saranno tentati di aumentare i prezzi. Tuttavia la possibilità di farlo deve fare i conti anche con la concorrenza, che nell economia globalizzata impone ai produttori dei Paesi ad alto reddito di confrontarsi con la competizione serrata degli omologhi dei Paesi poveri ed emergenti, i cui costi di produzione, in particolare per quello che riguarda il lavoro, sono enormemente inferiori e che quindi possono offrire i prodotti a prezzi più bassi. La concorrenza globale rende dunque assai difficile la manovra di aumentare i prezzi a fronte di un aumento della domanda: infatti negli Stati Uniti, nonostante la poderosa manovra espansiva, l inflazione resta inchiodata sotto il 2%.

Questa rivoluzione della politica economica americana è favorita dall elasticità del mandato della Federal Reserve, che non si limita alla difesa del valore della moneta dall inflazione, ma include anche lo stimolo dell economia reale. Tuttavia prima Bernanke e poi Janet Yellen (presidente della Federal Reserve da febbraio 2014) rovesciano l ordine delle priorità, decidendo che il ruolo moderno di una banca centrale in tempi di crisi è combattere la disoccupazione, visto che è praticamente inesistente la preoccupazione del risveglio dell inflazione. Concretamente la decisione è stata quella di proseguire con lo stimolo monetario fino a quando il tasso di disoccupazione non fosse sceso sotto il 6%, com è effettivamente accaduto nell autunno 2014. Anche altri Paesi adottano politiche analoghe. Ad esempio in Giappone, nonostante un rapporto debito/pil superiore al 230%, il Governo Abe (in carica dalla fine del 2012) decide di quasi raddoppiare l offerta di moneta e di aumentare la spesa pubblica per risollevare l economia del Paese e contrastare la tendenza al declino dei prezzi. La storia del Giappone testimonia che non esiste una soglia del rapporto debito/pil oltre la quale il debito è insostenibile. La sostenibilità del debito pubblico dipende dall incrocio di tre fattori: la quota di titoli detenuta dai cittadini del Paese stesso, la possibilità della banca centrale di stampare moneta per acquistare titoli pubblici e quella di manovrare il cambio. In Giappone la banca centrale può monetizzare il debito e quasi tutto il debito pubblico è in mano a cittadini giapponesi. Questi ultimi, a differenza degli investitori stranieri interessati solo al flusso di interessi e ai possibili guadagni o perdite in conto capitale, non hanno alcun interesse a provocare il default dell apparato che eroga a loro favore i servizi pubblici. E l eurozona? Per usare un immagine, è come se dopo la crisi finanziaria globale fosse iniziata una regata in barca a vela. Gli equipaggi di USA, Regno Unito e Giappone hanno scelto un lato keynesiano del campo di regata, che prevede ampi stimoli pubblici monetari e fiscali, cominciando a correre rapidamente verso il traguardo. La barca dell eurozona, i membri del cui equipaggio hanno idee piuttosto diverse tra di loro, ha scelto esattamente il lato contrario e si è bloccata non riuscendo a cogliere il vento della ripresa. L errore ideologico dell UE è stato seguire la teoria del rigorismo espansivo. Secondo tale approccio la preoccupazione primaria è quella dell equilibrio di bilancio: al contrario di quanto fatto da USA e Giappone, la crisi va affrontata riducendo la spesa pubblica. Questa strategia farà ripartire l economia perché cittadini ultrarazionali prevederanno che la contrazione della spesa pubbli- approfondimenti La macroeconomia civile: un cambio di passo per l Europa 43

44 Leonardo Becchetti ca porterà in futuro a una riduzione di tasse e quindi inizieranno subito a spendere di più, anticipando i maggiori redditi futuri e rilanciando l economia (Alesina e Ardagna 2009). Non troppo rapidamente l Europa si rende conto che il ragionamento non funziona: i cittadini non sono ultrarazionali, diffidano della reale intenzione di ridurre le tasse in futuro e soffrono di vincoli di liquidità. La strada del rigore ha l esito paradossale non solo di non rilanciare l economia, ma anche di peggiorare gravemente la situazione della finanza pubblica che si intendeva migliorare. Le dinamiche del rapporto debito/pil sono impressionanti. Dall inizio dell applicazione della dottrina del rigore la Grecia ha perso un quarto del PIL e ha visto aumentare il proprio rapporto debito/pil dal 148,3% del 2010 al 175,1% del 2013, nonostante due cancellazioni parziali di debito che sono riuscite nell incredibile impresa di lasciare a bocca asciutta i creditori senza alleviare il fardello del Paese. Il peggioramento del rapporto debito/pil è generalizzato: in Portogallo dal 94% del 2010 al 129% del 2013; in Irlanda dal 91,2% del 2010 al 123,7% del 2013; in Spagna dal 61,7% del 2010 al 93,9% del 2013; in Finlandia uno dei guardiani del rigore dal 33,9% del 2008 al 61,6% previsto per il 2015. La causa di questo andamento è che è illusorio pensare di ridurre il rapporto debito/ PIL agendo sulla diminuzione del numeratore (il debito): le politiche in questa direzione provocano una contrazione proporzionalmente maggiore del denominatore (il PIL), per cui il rapporto continua ad aumentare. Tale problema si accompagna all insuccesso della BCE nel mantenere l inflazione vicina all obiettivo dichiarato del 2%. Se un inflazione elevata è un problema perché erode il potere d acquisto, quella troppo bassa o addirittura negativa (deflazione) è un problema per i debitori perché aumenta il valore reale dei debiti. Ne è un chiaro esempio la situazione italiana: sulla base delle stime più aggiornate disponibili, dati gli attuali livelli di saldo primario (1,7% per il 2014), costo medio del debito (3,83%) e crescita (-0,3%), con una inflazione del 2%, il rapporto debito/pil crescerebbe tra 2013 e 2014 dell 1,1%. La sostanziale mancanza di inflazione, dovuta alla timidezza della politica monetaria della BCE, provocherà invece una crescita di tale rapporto del 3,9%. La strategia del rigore ha dunque clamorosamente fallito e la stessa UE la sta seriamente ripensando. I passi sono per ora timidi. La BCE ha varato politiche di espansione monetaria, che al momento si limitano all offerta di denaro attraverso il sistema bancario, che non sembra però avere molta intenzione di utilizzare le risorse per concedere nuovi prestiti, che stimolerebbero l econo-

mia reale. Non è invece ancora partito un vero e proprio quantitative easing, ovvero l acquisto di titoli pubblici dei Paesi membri da parte della BCE. Anche le prime mosse del piano Juncker un programma di investimenti pubblici con fondi europei per un ammontare annunciato di 300 miliardi di euro si profilano ben al di sotto delle attese. L appello per una macroeconomia civile: sostanza e ragioni A un analisi più attenta, sono in realtà numerose le situazioni fuori regola. I Paesi con un rapporto deficit/pil superiore al fatidico 3% sono parecchi: Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, Croazia, Slovenia e persino la virtuosa Polonia. Dal canto suo la Germania da tempo viola il tetto al surplus della bilancia commerciale, mentre l Italia, che rispetta il vincolo del 3% al rapporto deficit/pil, contestandone il significato, sta violando, pur con la temporanea approvazione della Commissione europea, i termini del percorso verso l obiettivo del pareggio di bilancio. La BCE, dal canto suo, è ben lontana dal raggiungere l obiettivo di un tasso di inflazione vicino al 2%. L intero edificio dei vincoli europei risulta così piuttosto traballante, legittimando gli interrogativi sul suo significato. Del resto, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, l andamento delle diverse economie dopo la crisi documenta con chiarezza la maggiore efficacia dei percorsi seguiti da quei Paesi che si sono posti obiettivi di crescita e aumento dell occupazione senza indossare il cilicio del pareggio di bilancio o degli altri vincoli del fiscal compact. La vera natura di quest ultimo non è infatti tecnica, legata alla salute delle economie dei Paesi UE. Il fiscal compact e tutte le regole del rigore sono piuttosto un meccanismo di controllo con cui si cerca di sopperire alla mancanza di fiducia tra Paesi membri. Ma ormai l ossessione con cui si continua su questa strada ha condotto a parlare di sadomonetarismo (Krugman 2013) o del ritorno in auge del concetto di debito come meccanismo di disciplina dei comportamenti dei debitori, come nella tradizione della letteratura della leva finanziaria (Harris e Raviv 1991). approfondimenti Il fiscal compact, formalmente Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell Unione economica e monetaria, è un trattato internazionale sottoscritto dai Paesi membri dell UE (a eccezione di Regno Unito e Repubblica Ceca) nel 2012. In vigore dal 1 gennaio 2013, contiene una serie di regole vincolanti in materia di finanza pubblica. I fondamenti delle regole sono così aleatori da risultare poco credibili. L esempio più clamoroso riguarda il tasso di disoccupazione, e in particolare la determinazione del suo livello di equilibrio strutturale, al di sotto del quale le pressioni salariali aumentano e l inflazione riparte (in termini tecnici questo tasso è noto come La macroeconomia civile: un cambio di passo per l Europa 45

46 Leonardo Becchetti NAIRU: Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment o tasso di disoccupazione a inflazione stabile). Se la disoccupazione è sopra il NAIRU, un Paese ha diritto a maggiore flessibilità sui conti pubblici sostanzialmente a uno sconto sul rigore per fronteggiare le difficoltà della sua congiuntura. Il problema è che il NAIRU è frutto di sofisticate elaborazioni statistiche a partire dai dati via via rilevati e in questo modo finisce per considerare strutturali le condizioni avverse: ad esempio il NAIRU è superiore al 10% per l Italia e addirittura al 20% per la Spagna. Questo chiude quasi del tutto i margini di manovra, ma è palesemente assurdo, visto che l esempio degli USA (il cui NAIRU è calcolato oggi al 5,2%) ci insegna come tassi di disoccupazione anche molto più bassi non provochino affatto una ripresa dell inflazione. La verità è che inutile fare sacrifici se non sfruttiamo appieno il potenziale della BCE, che è molto più potente di una banca centrale nazionale, e se non impariamo ad approfittare, come fanno altri Paesi, del dividendo monetario della globalizzazione (la possibilità di creare moneta senza generare inflazione). In questa linea l appello propone all attenzione della politica europea 7 snodi fondamentali: 1. promuovere un ruolo molto più attivo della BCE, sul modello di quanto fatto dalle banche centrali di Stati Uniti e Regno Unito, che si spinga fino alle politiche di acquisto di titoli pubblici e privati; 2. capitalizzare e sfruttare appieno il potenziale della BCE anche per aggredire il problema del debito pubblico dei Paesi dell eurozona. In quest ottica andrebbero discussi con serietà progetti come il piano PADRE (Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone: Ristrutturazione politicamente accettabile del debito nell eurozona; Pâris e Wyplosz 2014), che prevede l acquisto da parte della BCE della quota di debito di ciascun Paese eccedente il 60% del PIL, convertendola in titoli senza interesse che saranno ripagati negli anni dalle risorse da signoraggio spettanti a ciascun Paese. Questo libererebbe ingenti risorse attualmente destinate al pagamento degli interessi, che potrebbero essere utilizzate per stimolare la domanda a sostegno della ripresa e della crescita di tutti i Paesi membri. Piani di questo tipo potrebbero essere avviati in via sperimentale su porzioni più piccole dei debiti pubblici per verificarne gli effetti; 3. accompagnare i vantaggi macroeconomici di cui ai punti precedenti con riforme strutturali lungo i principali assi di modernizzazione delle economie dei Paesi coinvolti (infrastrutture digitali, politica industriale e di innovazione tecnologica e organizzativa

del lavoro, efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione e dell amministrazione della giustizia, protezione sociale per coloro che sono esclusi dal lavoro, contrasto alle disuguaglianze economiche e sociali divenute insostenibili e che compromettono la crescita dei sistemi economici). La realizzazione di queste riforme di struttura è essenziale per accrescere i benefici prodotti dalle politiche macroeconomiche di cui ai punti 1. e 2. e deve essere portata avanti seguendo gli stimoli provenienti dall Europa, ma attraverso un processo di scelta democratica interno a ciascun Paese membro; 4. in parallelo costruire meccanismi in grado di contrastare le asimmetrie dell eurozona, che prevedano penalità e sanzioni non solo per Paesi in deficit, ma anche per quelli il cui surplus costituisce fattore di squilibrio, obbligandoli a realizzare politiche di rilancio della domanda interna. In secondo luogo creare un sussidio europeo di disoccupazione come forma di stabilizzatore automatico che preveda in cambio prestazioni sociali o formazione per la rioccupazione per i beneficiari e sospensione in caso di non accettazione di posto di lavoro; 5. varare davvero una politica fiscale UE espansiva tramite investimenti pubblici a scala europea per la realizzazione di infrastrutture fisiche e digitali, aumentando le risorse a disposizione del bilancio dell Unione ben oltre l attuale 1% del PIL (ad esempio tra il 3% ed il 5%); 6. impegnarsi con decisione per l armonizzazione fiscale e la riduzione dei divari tra i regimi fiscali a cui sono sottoposte le imprese nei diversi Paesi, che danno luogo a comportamenti elusivi attraverso delocalizzazioni fiscali, alterando anche le statistiche sulla crescita dei Paesi coinvolti. Paradisi fiscali interni all Unione non potranno più essere tollerati e le pratiche più spinte in questo senso andranno considerate alla stregua di aiuti di Stato (come sembra iniziare a essere l orientamento comunitario); 7. procedere verso forme di unificazione politica e di partecipazione attiva dei cittadini alla elezione democratica dei rappresentanti nelle istituzioni europee non più esclusivamente su base nazionale, così da porre al centro dei processi decisionali dell UE il benessere di tutti i cittadini europei e non gli interessi nazionali. Oltre alle adesioni, l appello ha suscitato anche obiezioni, che ci paiono fare capo a due atteggiamenti opposti, per molti versi speculari. Il primo è quello di chi ritiene che ormai non c è nulla da fare, che l euro è finito e che l unione monetaria è destinata al fallimento, con il ritorno alle valute nazionali, per quanto traumatico possa risultare questo passaggio in termini politici, economici e approfondimenti La macroeconomia civile: un cambio di passo per l Europa 47

sociali. All opposto si situa la posizione di chi trasforma in dogmi le regole del fiscal compact, negando la possibilità di discuterne la sensatezza rispetto all attuale situazione e interpretando qualunque richiesta di cambiamento delle regole come un alibi per non fare i famosi compiti a casa. Anche in questo caso senza preoccuparsi delle ricadute sociali di un rigore fine a se stesso. Pur rispettando queste opinioni, ci sembra che entrambe incorporino una rinuncia a fare politica, cioè a costruire percorsi possibili attraverso accordi e compromessi, anche grazie all azione di chi, sulla base della competenza tecnica, punta a fornire elementi di chiarezza per vedere meglio in quale direzione muoverci. risorse Alesina A. Ardagna S. (2009), Large Changes in Fiscal Policy: Taxes Versus Spending, NBER Working Papers n. 15438, <http://econpapers.repec.org/paper/nbrnberwo/15438.htm>. Becchetti L. (2014), Wikieconomia, il Mulino, Bologna. Harris M. Raviv A. (1991), «The Theory of Capital Structure», in The Journal of Finance, 1, 297-355. Krugman P. (2013), «The Intellectual Contradictions of Sado-Monetarism», in The New York Times, 8 aprile, <http://krugman.blogs.nyti- mes.com/2013/04/08/the-intellectual-contra- dictions-of-sado-monetarism/?_r=0>. Legatum 2014 = The 2014 Legatum Prosperity Index, <http://media.prosperity.com/2014/ pdf/publications/pi2014brochure_web.pdf>. Pâris P C Wyplosz C. (2014), PADRE. Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone, International Center for Monetary and Banking Studies (ICMB) Centre for Economic Policy Research (CEPR), Ginevra Londra, <www.voxeu.org/content/padre-politically-acceptable-debt-restructuring-eurozone>. 48 Leonardo Becchetti