Lezione 9. Tema: La comunicazione interculturale. Parte I. 1ª parte:



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Transcript:

Lezione 9 Intervista con la professoressa Elisabetta Pavan, docente di lingua inglese, traduzione e comunicazione interculturale dell Università Ca Foscari Venezia e dell Università di Padova. Tema: La comunicazione interculturale. Parte I. 1ª parte: PAOLA BACCIN: Salve! Certamente avete già notato che per parlare una lingua straniera non basta conoscere soltanto gli elementi linguistici. Ci sono tanti altri elementi che comunicano. Per parlare di questo argomento siamo in diretta con la professoressa Elisabetta Pavan, docente di lingua inglese, traduzione e di comunicazione interculturale dell Università Ca Foscari di Venezia e dell Università di Padova. Professoressa Pavan, innanzi tutto La ringrazio di aver accettato il nostro invito. Per parlare una lingua, ovvero, per comunicare meglio in una lingua straniera quali competenze ci servono? ELISABETTA PAVAN: Be, per comunicare in una lingua straniera innanzitutto ci serve la conoscenza di quella lingua, quindi la competenza linguistica, che è quella più evidente, quella che immediatamente si riconosce. La lingua la parliamo, la ascoltiamo, la leggiamo. Ma, oltre alla lingua, ci sono tante altre competenze che vanno conosciute, ma, soprattutto, riconosciute, perché noi, spontaneamente, comunichiamo con gli occhi, con il sorriso, comunichiamo con una stretta di mano più o meno forte e non ce ne accorgiamo, perché sono competenze che abbiamo imparato sin da piccoli, che poi abbiamo perfezionato a scuola, con i nostri amici, fuori della scuola, e le sentiamo come qualcosa di naturale, dimenticandoci che invece proprio come abbiamo imparato a

parlare la nostra madrelingua, abbiamo imparato anche ad utilizzare tutta una serie di linguaggi, che non sono linguistici. Sono, appunto, non verbali o non linguistici. PAOLA BACCIN: Ma professoressa, ci può dare qualche esempio di questi elementi non linguistici che usiamo per comunicare? ELISABETTA PAVAN: Certamente. Forse qualcuno non avrà pensato che si comunica con tutti i sensi. Si comunica con il tatto. Pensate, per esempio, come ho detto prima, quando stringiamo la mano a qualcuno. Il contatto avviene attraverso la pelle e quello che conta, per esempio, è l intensità della stretta di mano. Una stretta di mano troppo forte, troppo virile, potrebbe veicolare un significato di una persona che vuole quasi sopraffare l altra. Una stretta di mano invece morbida, senza essere abbastanza forte, potrebbe dare l idea di qualcuno che non è interessato a stringere la mano dell altra. Quindi, veicolando dei significati che, effettivamente, forse, chi stringeva la mano non voleva inviare, semplicemente, perché non sapeva valutare l intensità della stretta di mano. Mi riferisco per esempio ai cinesi, che non sono abituati a stringere le mani, e quindi non conoscono questa grammatica, tra virgolette, della stretta di mano. Ma penso per esempio anche a tanti altri saluti, come l abbraccio, il bacio. PAOLA BACCIN: E noi brasiliani siamo molto abituati a baciare. E per un italiano che incontra un brasiliano che è abituato a abbracciare, a baciare, ciò può creare qualche difficoltà nella comunicazione? ELISABETTA PAVAN: Allora, prima di creare qualche difficoltà senz altro crea disagio. Ma attenzione! La cultura italiana in Italia non rappresenta una cultura omogenea. L Italia è una penisola lunga e stretta, che va dal

Nord, con il suo confine naturale che sono le Alpi e la dividono dal Centro e dal Nord Europa, con le culture nordiche, appunto al Sud, dove è la Sicilia, [l Italia] si apre sul Mediterraneo e sui paesi del Nord Africa. Quindi, in situazioni comunicative dove, in una situazione formale, può avvenire un contatto fisico nel Nord, in quelle situazioni, l italiano si può trovare a disagio. Io mi trovo a disagio di fronte al contatto fisico in una situazione formale. Io sono italiana e sono veneta quindi del Nordest. I miei colleghi, i miei amici del Sud dell Italia, invece, di fronte al contatto fisico, anche in situazioni formali, non hanno alcuna difficoltà, non provano alcuna sensazione di disagio e, quindi, la comunicazione, di conseguenza, avviene in maniera diversa. PAOLA BACCIN: Ma come uno studente brasiliano, ad esempio, può imparare questa grammatica dei gesti? Se vengo in Italia e mi sento a mio agio, decido di salutare qualcuno con un abbraccio, come faccio a capire, a imparare questa differenza, questa grammatica? ELISABETTA PAVAN: Innanzitutto, la cosa che io insegno ai miei studenti, che può fare un po sorridere, ma, tutto sommato, funziona, è quella di pensare meno con la testa e più con la pancia, perché, talvolta, noi abbiamo la netta sensazione che qualcosa non funzioni o che qualcosa sia diverso o che qualcosa di strano stia succedendo e la testa non riesce a darci una spiegazione logica. Nel frattempo, la pancia ci dice: Attento! C è qualcosa che non va. Considera bene la situazione. Ecco, io, quello che suggerisco agli studenti brasiliani che vengono in Italia è di essere sé stessi, ma nello stesso tempo osservare quello che fanno gli altri, perché, a differenza del fatto che ci si trovi a Padova, dove io vivo e lavoro, o a Palermo, lì, la grammatica cambia e, quindi, l unica cosa da fare è ascoltare la pancia e guardare quello che fanno gli altri. E poi,

importantissimo: quando la pancia ci lancia dei segnali d allarme noi dobbiamo chiedere alle altre persone che cosa sta succedendo; condividere con loro questa nostra sensazione di disagio o di incomprensione e cercare di capire perché. Ecco che, a quel punto, possiamo ricollegare la testa e cercare di dare una spiegazione razionale, logica, a quello che sta succedendo. E imparare per esperienze, questa è la cosa più importante. Provare e non aver paura di sbagliare perché, sbagliando un congiuntivo o sbagliando una stretta di mano, ma poi, cercando di capire come mai si è commesso quell errore, non lo commetterà più. PAOLA BACCIN: A questo punto, allora, mi viene in mente un altro problema che è il problema del pregiudizio, il problema dello stereotipo. Uno studente brasiliano quando arriva in Italia ha sempre paura di essere giudicato con lo stereotipo, che si sa che c è in giro, del sudamericano o del brasiliano. Come si fa per aiutare lo studente a superare questa difficoltà? ELISABETTA PAVAN: Beh, innanzitutto io insegnerei allo studente che lo stereotipo non è solo da una parte, ma anche dall altra parte. Qualche volta si dice italiano e si aggiunge mafioso. Quindi, nessun problema, non bisogna avere paura degli stereotipi, bisogna imparare a riconoscere gli stereotipi, ad usare gli stereotipi, perché gli stereotipi ci possono essere molto utili e tra un attimo vi dirò anche perché. Quello di cui dobbiamo aver paura sono i pregiudizi non gli stereotipi. PAOLA BACCIN: Che differenza c è tra un pregiudizio e uno stereotipo? ELISABETTA PAVAN: Allora, lo stereotipo è una necessità della nostra mente, è uno strumento che ci consente di entrare in contatto con la

realtà, anche con la realtà che noi non abbiamo conosciuto. Un esempio che io faccio a lezione riguarda i canguri. Chiedo ai miei studenti: Voi siete stati in Australia? La maggior parte delle volte mi rispondono: No. Avete mai visto un canguro dal vivo?, la maggior parte delle volte mi rispondono No. La domanda successiva che faccio è: Se vi chiedessi di descrivere un canguro, come me lo descrivereste? Allora le descrizioni iniziano in maniera scientifica: Il canguro è un animale, è un marsupiale. Successivamente io dico: Ma come ve lo immaginate? Le dimensioni del canguro. È un animale docile? È un animale pericoloso? È grande come me? Più grande di me? A quel punto gli studenti cominciano a descrivere un animale con le dimensioni di un uomo, che è pericoloso, che tira pugni. E l immagine che loro stanno descrivendo è la classica immagine del canguro dei cartoni animati, con i guantoni da pugilato, che prende a pugni il malcapitato. Di solito non con cattiveria, perché i cartoni animati lo fanno con simpatia, con scherzosità, però l immagine che i miei studenti hanno del canguro anche se l hanno studiato a scuola, infatti me lo hanno definito un marsupiale proprio perché sono ricorsi ai loro ricordi scolastici è quella del canguro con i guantoni da box che tirapugni. A quel punto io faccio vedere una diapositiva, una fotografia, che ho scattato in Australia durante uno dei miei viaggi, dove ci sono io che sto dando da mangiare a un canguro. Com è un canguro nella realtà? Un canguro, nella realtà, ha le dimensioni di un cane e in Australia i canguri sono paragonati ai cani randagi. Ci sono i segnali stradali che indicano Attenzione: pericolo canguri. Perché? Perché di notte, come i cani randagi, attraversano la strada e causano incidenti. In Australia la carne del canguro si può mangiare. Quindi, lo stereotipo che i miei studenti hanno del canguro come animale grande, con i guantoni da

box, pericoloso, non crea alcun problema, non è una cosa negativa o sbagliata. È semplicemente la loro rappresentazione mentale della realtà, che verrà corretta nel momento in cui entreranno in contatto con la realtà del canguro della mia fotografia. A quel punto loro non si dimenticheranno più com è un canguro, perché hanno fatto l esperienza. La cosa invece diversa e molto più pericolosa è il pregiudizio. PAOLA BACCIN: E cos è allora il pregiudizio? ELISABETTA PAVAN: Il pregiudizio, come dice la parola stessa, è un giudizio a priori, quindi non è più un collegamento con la realtà, è un giudizio destituito di valore e, di solito, negativo che si dà nei confronti di una realtà. E questo è diverso, perché implica un bene/male, giusto/sbagliato. Non è più oggettivo. Quando entra in gioco il pregiudizio, il pensiero della persona che esprime il pregiudizio non è più neutrale, non è più la rappresentazione della realtà, è un giudizio di valore, e questo è pericoloso. PAOLA BACCIN: Il pregiudizio può arrivare al livello massimo che sarebbe allora la ELISABETTA PAVAN: Il razzismo? PAOLA BACCIN: Il razzismo. ELISABETTA PAVAN: Certo, certo. Il pregiudizio. Se dallo stereotipo passiamo al pregiudizio e continuiamo in questa escalation verso il basso perché sono valori che riguardano la civiltà dell umano, dell essere umano il passo successivo è il razzismo. Il razzismo prevede la negazione dei diritti, quindi, è la cosa peggiore che si possa fare. Questo, assolutamente, è da evitare, per questo, è importante che i nostri studenti conoscano e utilizzino la comunicazione interculturale perché

conoscendo sé stessi e conoscendo la realtà che li circonda, eviteranno errori che sono stati commessi, in passato, legati al pregiudizio e al razzismo.