Giovanni Manetti. IN PRINCIPIO ERA IL SEGNO Momenti di storia della semiotica nell antichità classica. Bompiani



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Giovanni Manetti IN PRINCIPIO ERA IL SEGNO Momenti di storia della semiotica nell antichità classica Bompiani

ISBN 978-88-452-7235-6 2013 Bompiani / RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli, 8 Milano Realizzazione editoriale a cura di NetPhilo Srl Prima edizione Studi Bompiani agosto 2013

indice 0. IntroduzIone 1. IndIzI e prove nella cultura greca 2. Il linguaggio del dio. divinazione e comunicazione 3. voce e scrittura nella profezia delle sibille 4. la teoria del linguaggio nel cratilo di platone 5. aristotele e la metafora 6. la teoria del comico In aristotele 7. linguaggio degli uomini e linguaggio degli animali. a partire da aristotele 8. percezione e linguaggio presso gli stoici 9. l Inferenza semiotica epicurea nel de signis di filodemo 10. etica animalista e linguaggio. da filone di alessandria a porfirio 11. da agostino a saussure, e ritorno. modello InferenzIale ed equazionale del segno tra antichità ed epoca contemporanea 7 21 49 71 91 127 167 185 205 233 259 289 Bibliografa 309

0. IntroduzIone 0.1. La problematica nascita della semiotica La semiotica è una disciplina di relativamente recente istituzionalizzazione. Tuttavia l istituzionalizzazione non coincide con la sua reale costituzione; infatti da alcuni anni la semiotica ha intrapreso una ricerca sui propri fondamenti (Jakobson, 1974; Eco, 2007: 11), cercando di scavare nella propria storia, che si distende nei molti secoli precedenti la sua nascita uffciale, fno a rintracciare le radici di quel paradigma indiziario, di cui parla Carlo Ginzburg nel suo indimenticabile saggio (1979), e che costituiscono il primo reale momento di emergenza di un pensiero semioticamente orientato. Il progetto che ha alimentato tale ricerca non è stato quello di portare alla luce quarti di nobiltà della disciplina, quanto di mettere a punto e vagliare criticamente le nozioni operative di cui la semiotica si serve oggi, in un confronto serrato con quelle che ne hanno segnato l origine, assumendo tutto il rischio che questo confronto comporti una revisione anche radicale del paradigma attuale. In effetti ciò che è in gioco è anche una ricerca di identità per la semiotica che, a pochi decenni dalla sua nascita, ha ampliato sempre più il campo del proprio interesse e della propria applicazione, fno a farlo coincidere con l insieme dei fenomeni culturali, intesi come fenomeni di comunicazione e di senso. Naturalmente questo fatto ha prodotto una certa vertigine e ha condotto a posizioni contrastanti sulla stessa nozione centrale della disciplina: la nozione di segno (Eco, 1984: 10-22).

8 in principio era il segno Ma mi sia concesso di ripercorrere, per linee estremamente generali e succinte, la storia dell apparizione uffciale della semiotica, come si è confgurata entro la cornice del secolo scorso. Abbiamo, infatti, accennato ai pochi decenni che separano la semiotica dalla sua nascita; e proprio questo è uno dei punti controversi. Quando si può effettivamente collocare questa nascita? Certamente il più accreditato e più recente certifcato è costituito da quegli Eléments de sémiologie apparsi nel 1964 sul fondamentale numero 4 della rivista Communications, in cui Roland Barthes sviluppava in un quadro organico alcuni concetti tratti dallo strutturalismo, guardando soprattutto a Saussure e a Hjelmslev (Puech, 2003: 32) e mettendo in primo piano la nozione di segno come nozione guida per l analisi dei fenomeni culturali. Barthes si richiamava a una nozione di segno, inteso come l unione di un signifcante e di un signifcato, o come la funzione (in senso matematico-hjelmsleviano) che si instaura tra un piano dell espressione e un piano del contenuto. Curiosamente, però, e signifcativamente, Barthes si ricordava anche di un autore molto diverso da quelli citati, Charles Sanders Peirce, che proponeva una nozione di segno basata fondamentalmente sull inferenza, e faceva infne anche cenno alla defnizione presente nel De doctrina christiana di Agostino (II, i, 1: Signum est res, praeter speciem quam ingerit sensibus, aliud aliquid ex se faciens in cogitationem venire ) (Barthes, 1964: tr. it. 34, n. 2; 35-36). Vale la pena di osservare subito che le varie nozioni di segno quella strutturalistica, quella peirceana e quella agostiniana presentano tra di loro delle differenze molto sensibili. Tuttavia Umberto Eco, sia nel Trattato di semiotica generale (1975), sia in Semiotica e flosofa del linguaggio (1984: XVI), ha sostenuto con forza le ragioni della pensabilità delle varie e differenti nozioni di segno all interno di un unica categoria. Ma ci si può chiedere se non si possano o debbano trovare oggi delle motivazioni ragionevoli per una loro distinzione. E, soprattutto, ci si deve chiedere se la distinzione osservabile tra una nozione antica e una nozione moderna di segno (non necessariamente soltanto quella degli autori qui ricordati) non induca a progettare un paesaggio più frastagliato. Ma Barthes è già un momento di sintesi. Andando all indietro nel tempo, incontriamo le due grandi fgure che, in maniera indi-

0. introduzione 9 pendente e in certo qual modo anche divergente, si pongono comunque alla base della rifessione semiotica contemporanea e di essa sono riconosciuti come i padri nobili: (i) il primo è Ferdinand de Saussure, linguista, dal cui Corso di linguistica generale (1916) si svilupperà appunto il movimento intellettuale dello strutturalismo e, attraverso quest ultimo, per la mediazione soprattutto di Louis Hjelmslev, prenderà corpo quel flone della semiotica che si identifca con l analisi del testo e del discorso; (ii) il secondo è il già citato Charles Sanders Peirce, flosofo, dai cui scritti di argomento semiotico facenti parte dei Collected Papers si svilupperà quell altro flone della semiotica che si identifca con la teoria del segno e dell inferenza, avente una caratterizzazione di tipo cognitivo. Più distanziato nel tempo in questa catena di ascendenze si può collocare John Locke, il cui Saggio sull intelletto umano (1690), nel quarto libro, prevede all interno del panorama complessivo del sapere, accanto a fsica ed etica, una disciplina defnita come semiotica, cui viene assegnato il duplice compito di chiarire come viene acquisita la conoscenza e come viene comunicata (Locke, 1690: tr. it. 821). Risalendo ancor più indietro, manifestazioni di un pensiero semiotico assai ricco sono le molte e importanti ricerche portate avanti dai flosof medievali (Marmo, 1997 e 2010; Rosier-Catach, 1994 e 2004). Per quella stessa via si arriva all insieme delle ricerche sul segno e sul linguaggio che costellano in grande quantità il panorama dell antichità classica, le quali costituiscono ormai a parere di molti la prima e vera nascita della semiotica. Ed è sicuramente da rilevare che un paradigma semiotico si costituisce sia attraverso le pratiche preflosofche (mediche, magiche, poetiche, della vita pubblica e privata, retoriche, antropologiche in senso ampio), sia attraverso le esplicite teorie del segno elaborate dai flosof. Del resto, i debiti che la flosofa del segno ha nei confronti delle pratiche semiotiche preteoriche sono molti. Le pratiche preparano nell antichità il lessico della semiosi, sul quale si eserciterà la rifessione flosofca, ma spesso a loro volta metteranno in crisi la rigidezza delle delimitazioni categoriali. Anche questo ha contribuito alla fondazione della semiotica e costituisce un importante tema del dibattito attuale.

10 in principio era il segno 0.2. Il segno come equivalenza e come inferenza Tuttavia dobbiamo chiederci quale sia la differenza fondamentale tra la teoria del segno contemporanea e il pensiero semiotico che si manifesta nell antichità classica. Il primo aspetto di questa differenza riguarda il fatto che la nozione di segno che si colloca al centro della disciplina contemporanea, soprattutto nella versione che deriva dallo strutturalismo, emerge da una rifessione che ha come oggetto specifco la lingua verbale. Lo si può vedere osservando come la stessa parola semiologia venga collegata alla lingua verbale in uno dei testi fondativi della semiotica attuale, quasi un suo manifesto programmatico, il terzo paragrafo del capitolo terzo del Corso di linguistica generale di Saussure, in cui viene appunto prospettata la nascita di una scienza generale dei segni: La lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, è confrontabile con la scrittura, l alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari ecc. ecc. Essa è semplicemente il più importante di tali sistemi. Si può dunque concepire una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale: essa potrebbe formare una parte della psicologia sociale e, di conseguenza, della psicologia generale; noi la chiameremo semiologia (dal greco sēmeîon, segno ). Essa potrebbe dirci in che consistano i segni, quali leggi li regolano. Poiché essa non esiste ancora, non possiamo dire che cosa sarà; essa ha tuttavia diritto a esistere e il suo posto è determinato in partenza. La linguistica è solo una parte di questa scienza generale, le leggi scoperte dalla semiologia saranno applicabili alla linguistica e questa si troverà collegata a un dominio ben defnito nell insieme dei fatti umani. (Saussure, 1916: tr. it. 25-26) In questo celebre passo Saussure, come esempio principe, si serve di entità linguistiche per delineare la nozione di segno ( la lingua è un sistema di segni ), anche se vengono a esse affancati esempi di segni non linguistici (la scrittura, l alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari, ecc.), tutti, però si noterà, caratterizzati da un certo grado di convenzionalismo, che li apparenta strettamente ai segni verbali. Inoltre, Saussure delinea il segno linguistico come un entità che ha la proprietà di espri-

0. introduzione 11 mere delle idee. Anche da questo fatto emerge una concezione di segno come entità fondamentalmente linguistica, dato che l uso dell espressione idea in questo passo (invece che i più abituali concetto, signifcato, immagine mentale ) permette di istituire un confronto con un celebre passo di Locke, tratto dal Saggio sull intelletto umano (III, ii, 1), in cui il flosofo inglese defnisce esplicitamente le parole come segni delle idee : In tal modo possiamo concepire come le parole, che di natura loro erano così adatte a quello scopo, venissero a essere impiegate dagli uomini come segni delle loro idee: non per alcuna connessione naturale che vi sia tra particolari suoni articolati e certe idee, poiché in tal caso non ci sarebbe fra gli uomini che un solo linguaggio, ma per una imposizione volontaria, mediante la quale una data parola viene assunta arbitrariamente a contrassegno di una tale idea. Perciò lo scopo delle parole è di essere segni sensibili delle idee; e le idee per le quali esse stanno sono il loro signifcato proprio e immediato. È dunque per questa via che la defnizione di segno che propone Saussure, inserendosi implicitamente nella tradizione lockiana, secondo la quale per segni si intendono appunto le parole, fnisce per essere sostanzialmente una defnizione di segno linguistico. Spesso si è voluta vedere anche una confuenza tra la nozione di arbitrarietà di Saussure e quella di rappresentazionalismo gnoseologico di Locke, che stabilisce una connessione arbitraria tra parole, idee e oggetti; ma, come mostra Lia Formigari (2003: 40 ss.), si tratta di una prospettiva che, a una analisi piu profonda e attenta, si dimostra in gran parte fuorviante. Rimane invece assodato che tanto l interesse di Saussure, quanto quello di Locke vada essenzialmente nella direzione dei segni linguistici (anche se Locke include nella categoria di segno non solo i segni linguistici propriamente detti, ma anche i segni mentali, cioè le rappresentazioni di idee di oggetti, eventi, relazioni), mettendo in ombra il ruolo di quelli non linguistici, fatto che costituisce un legame molto profondo tra i due autori. Le cose si complicano nel momento in cui si vagliano, rispetto alla defnizione di segno data da Saussure (e Locke), gli esempi relativi ad altri sistemi o tipi di segni, come quelli non linguistici.

12 in principio era il segno Che cosa succede, infatti, se prendiamo come esempio il fumo come segno del fuoco, o la cicatrice come segno della ferita, ecc.? Siamo ancora in presenza dello stesso meccanismo semiotico? Può ancora valere la defnizione generale di segno proposta da Saussure? Il fatto è che Saussure, pensando essenzialmente a quello linguistico, caratterizza il segno in generale come un entità bifacciale, le cui facce sono connesse da una relazione di equivalenza: a~b, un signifcante equivale a un signifcato, una certa immagine acustica, per usare le espressioni di Saussure, è messa dal sistema linguistico in corrispondenza biunivoca con una immagine mentale. Da qui la successiva interpretazione strutturalistica e informatica della lingua come codice che abbina biunivocamente unità appartenenti a due sistemi. Ma questo schema non funziona quando siano presi in considerazione dei segni non linguistici; in questo caso il modello più appropriato è quello dell inferenza, in particolare dell implicazione tra due proposizioni che traducono linguisticamente sia il segno, sia ciò di cui è segno: Se p, allora q. Così l esempio del fumo come segno del fuoco verrebbe descritto da uno schema inferenziale del tipo: Se c è fumo, allora c è fuoco, e non da uno schema di tipo equazionale. 0.3. Distinzione tra teoria del segno e teoria del linguaggio In effetti queste considerazioni ci conducono a una importante osservazione: nel mondo antico questa duplicità di modello del segno (equazionale e inferenziale) è rispecchiata da un analoga duplicità di teorie che hanno una differente pertinenza: da una parte vi è la teoria semantica del segno linguistico, che funziona secondo lo schema equazionale, e dall altra vi è la teoria logico-epistemologica del segno non linguistico, che funziona secondo lo schema inferenziale. Le due teorie si spartiscono il campo semiotico procedendo in maniera parallela, senza interconnettersi, e facendo anche ricorso a due specifci e differenziati apparati terminologici. In Aristotele, per esempio, l espressione sýmbolon (De int., 16a, 3-8) designa soltanto segni linguistici (collegati in maniera equazionale ai loro