Giuseppe Aricò: L identità «zingara»: decostruzione e ricostruzione di un concetto.



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Giuseppe Aricò: L identità «zingara»: decostruzione e ricostruzione di un concetto. Quando si parla di rom, è molto facile scivolare all interno di discorsi approssimativi e del tutto semplicistici di un universo culturale come quello zingaro che, in realtà, è stato fatto oggetto di innumerevoli strumentalizzazioni di carattere mediatico e politico da più parti, sia nel passato che nei tempi più recenti. Allo stesso tempo, ciò che secondo l opinione pubblica viene definito ed etichettato come la cosiddetta questione zingara è ben lungi dall essere una datità storica, ma rappresenterebbe di fatto una mera costruzione socio-culturale da analizzare alla luce di una vera e propria decostruzione degli stessi discorsi che l hanno creata e sorretta nel tempo. Pertanto, prima di parlare di rom, credo sia doveroso delineare una simile decostruzione nella maniera più obbiettiva possibile partendo innanzitutto da un aspetto fondamentale, ovvero dal tentativo di comprendere in cosa consista propriamente ciò che viene in genere percepito come identità e/o cultura zingara, individuando quali siano i processi storici, sociali e soprattutto politici, che sottostanno a questa consensuale modalità di percezione. Attraverso il mio intervento, proverò dunque a tracciare un quadro generale della presenza zingara in Europa, e più in particolare nell Italia odierna, evitando di presentare i diversi gruppi zingari come se fossero una sorta di entità avulsa dai processi storici e territoriali che hanno caratterizzato l itero corso dell era moderna. Metterò invece in luce come le comunità costituenti tali gruppi siano sempre state immerse nei medesimi processi, e in particolare porrò l accento sul modo in cui le modalità di costruzione della stessa identità zingara siano state sin dal principio profondamente influenzate e determinate dalle dinamiche che hanno accompagnato la nascita dello Stato moderno. In un primo momento, cercherò di delineare il contesto socio-storico che ha fatto da sfondo a quella lotta per la costruzione di un identità europea, in cui i rom si sarebbero presto ritrovati coinvolti a dover rinegoziare continuamente i termini della propria esistenza. Inoltre, darò un breve sguardo ai diversi modi di interazione con le popolazioni locali, cercando di tracciare quella linea continua di allontanamento, paura e messa al bando che li ha accompagnati nel corso dei secoli. Da questo contesto, emergerà come gli stessi confini socio-culturali tra rom e gagé, così come anche quelli tra rom e rom, siano sempre stati oggetto di alte negoziazioni fin dal principio. La successiva storia politica e culturale dei rom, che raggiunge quel contesto assai più recente in cui ci troviamo a vivere oggi, apparirà pertanto come una sorte di grande chiosa a quanto già avvenuto in passato. Successivamente, concentrando l analisi sull attuale contesto politico del nostro Paese, tenterò invece di delineare le tappe fondamentali attraverso cui la società ha letteralmente costruito il fenomeno della marginalità che ha caratterizzato la popolazione zingara nei secoli e che continua a caratterizzarla tuttora. Di fatto, quando si inquadra la problematica della relazione tra zingari e società all interno di quella più generale dell ordine politico-sociale, essa appare subito strettamente correlata a quell insieme di saperi, poteri, strategie, pratiche e istituzioni che costituiscono le modalità di esercizio locale del controllo sociale, ovvero le modalità attraverso cui uno specifico ordine sociale si stabilizza definendo i suoi vincitori e i suoi vinti. In questo senso, all interno del più vasto ordine sociale, gli zingari sono stati subordinati, in qualità di vinti, a una cultura dominante non solo idealmente, ma anche fisicamente. Letteralmente marchiati come espressione di una identità priva di tratti culturali consoni a quelli dei vincitori, come portatori sani di un identità imperfetta, gli zingari sono stati costruiti e definiti solo in quanto individui incapaci di badare a se stessi, che necessitano di aiuto e assistenza. Così, nel corso dei decenni, i processi sociali e politici che hanno fatto da sfondo alla cosiddetta questione zingara sono finiti per cristallizzare nell opinione pubblica un identità zingara totalmente astratta. Allo stesso tempo, lo stesso processo di integrazione attuato dalle istituzioni, che ha trovato nel suo carattere assistenziale la sua più robusta giustificazione, si è articolato lungo le più svariate ramificazioni di un ambigua politica di salvaguardia, volta a tutelare una cultura e una identità zingara profondamente idealizzata, con la pretesa di essenzializzarne i tratti ritenuti buoni. Tale politica, infatti, rifletterebbe pienamente un atteggiamento istituzionale intrinsecamente ambivalente che oscilla tra interventi di aiuto e modalità di rifiuto, col solo risultato di incollare sul corpo dello zingaro un identità dai connotati paradossali. Da questa sorta di rilettura della questione zingara, emergerà dunque come

la tendenza a localizzare ed essenzializzare la cultura zingara all interno di un campo nomadi, cioè ad immaginarla e legarla a questo spazio, possa costituire il risultato di una visione altamente distorta di un identità che non appartiene alle comunità rom, sinte, ecc., ma che rappresenta il frutto di specifiche logiche istituzionali.

Emilia Naldi: Condizione giuridica di rom e sinti in Italia La condizione giuridica di Rom e Sinti in Italia rispecchia il caleidoscopio, sempre più frantumato e differenziato, delle possibili condizioni giuridiche soggettive di chi è cittadino italiano/a e di chi non lo è. Rom e Sinti sono infatti italiani per la stragrande maggioranza ma anche comunitari, neocomunitari, neo-neo-comunitari, parenti di comunitari, iscritti o non iscritti in anagrafe, cittadini di stati terzi con o senza titolo di soggiorno di lunga o di breve durata, con status riconosciuto di rifugiato o in attesa di riconoscimento, ex sfollati o profughi. Sono numerosi anche i Rom e i Sinti che subiscono la condizione di invisibilità giuridica di chi, non riconosciuto o non riconoscibile come cittadino di uno Stato, non riesce a veder accertato neppure lo status di apolide o di chi, non registrato alla nascita, non ha alcun formale riconoscimento giuridico. Vittime di discriminazioni di ogni genere, assai spesso multiple come nel caso delle donne,e di forme antiche e nuove di antizingarismo, sin dalla fine degli anni 60 sono stati oggetto di attenzione in numerosi strumenti giuridici in sede comunitaria,in verità più programmatici ( risoluzioni e raccomandazioni) che direttamente vincolanti in senso proprio. La difficoltà di collocazione giuridica della popolazione rom, non ancora risolta, attraversa la legislazione europea e si riflette anche nell uso dei termini che sono stati adottati nei diversi atti: popolazione rom e sinta, rom zingari e girovaghi, minoranza etnica o nazionale, minoranza europea, popolazione nomade sino alla nuova definizione coniata nella Risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 2008, per cui la popolazione rom è una comunità etnoculturale paneuropea senza uno Stato-nazione. Lo stesso Parlamento europeo ha però poi dovuto precisare nelle conclusioni della successiva Risoluzione dell'11 marzo 2009, che ritiene che la conservazione della lingua e della cultura rom sia un valore comunitario ma al contempo non condivide il concetto secondo il quale i rom dovrebbero essere membri di una "nazione europea" senza Stato, poiché questo esimerebbe gli Stati membri dalla loro responsabilità e metterebbe in discussione la possibilità di integrazione Nella legislazione nazionale la popolazione rom e sinta non ha ancora trovato riconoscimento specifico né è stata menzionata nel novero delle minoranze linguistiche e culturali destinatarie di specifiche disposizioni di tutela ed empowerment di cui alla L.482 del 1999. D altro canto i tratti identitari utilizzati per definire la popolazione rom e sinta come minoranza etnica,finiscono per riprodurre stereotipi privi di fondamento ( ad esempio il nomadismo), essenzializzati ed indifferenti alle pluralità di situazioni, di scelte di vita e di provenienze,oltre che rischiare di divenire a loro volta causa di ulteriori discriminazioni e forme violente di segregazione. Le recenti ordinanze della Presidenza del Consiglio dei ministri ( n. 3676,3677 3 3673 del 30 maggio 2008) concernenti insediamenti di comunità nomadi nella Regioni Campania, Lazio e Lombardia, ripropongono tuttavia con urgenza il tema di quale riconoscimento legislativo debba e possa essere conferito alla popolazione rom e sinti.

Domenico Perrotta: Rumeni, rom rumeni, migranti tra Romania e Italia L obiettivo del mio intervento è quello di approfondire e interpretare le rappresentazioni (le identità ) reciproche dei rom rumeni e dei rumeni non rom (gagé), dapprima in Romania, poi durante l emigrazione all estero (dagli anni 90), e infine nuovamente in Romania. I dati a cui farò riferimento sono tratti dalla ricerca che ho svolto per la tesi di dottorato (2004-2007) riguardante il flusso migratorio che dalla regione del Dolj (sud della Romania) conduce in Italia, e in particolare a Bologna e poi da due ricerche successive svolte in Romania una sulla delocalizzazione delle imprese italiane del tessile-abbigliamento, l altra sulle ricadute sociali ed economiche dell emigrazione sui contesti di origine degli emigrati. L ultimo periodo di ricerca sul campo è stato svolto nel dicembre 2008. Queste ricerche non hanno riguardato nello specifico questioni relative ai rom; tuttavia, ho intervistato molti rom e l argomento zingari è stato trattato in molte interviste con rumeni e imprenditori italiani in Romania. Anzitutto, cercherò di descrivere, da un punto di vista storico, la presenza dei rom in Romania e le differenze tra il modello balcanico e quello occidentale di integrazione sociale dei rom. Si descriverà poi in breve la condizione attuale dei rom in Romania (dove essi rappresentano poco meno del 10% della popolazione): una situazione molto variegata, con profonde differenze in relazione alle varie regioni e alle caratteristiche dei diversi gruppi rom. Descriverò come in Romania vi sia un grado abbastanza elevato di integrazione dei rom (dal punto di vista lavorativo e abitativo) anche se essi rappresentano una delle fasce più povere della popolazione, ma come d altra parte per molti rumeni i rom rappresentino l Altro per eccellenza: essi vengono spesso rappresentati dai rumeni (nelle interviste e in conversazioni informali) come sporchi, fannulloni, ignoranti, ladri, ecc. Accennerò, a questo proposito, a due questioni: la mancanza di una borghesia rom (laddove invece non sono pochi i rom che svolgono mestieri borghesi ); la questione dei quartieri zingari nelle periferie delle città rumene. Affronterò quindi il tema della migrazione, per capire come si trasforma la rappresentazione del rom. I rom sono stati spesso tra i primi a emigrare dalla Romania, subito dopo la rivoluzione del 1989, dapprima verso la Germania, poi soprattutto verso Spagna e Italia. A causa di condizioni di vita in Romania peggiori rispetto al resto della popolazione, essi hanno inaugurato molti flussi migratori seguiti negli anni successivi da rumeni non rom. Se è vero che spesso i rom occupano le posizioni più precarie tra quelle occupate dai rumeni in Italia (baraccopoli, campi, ecc.), in moltissimi casi si tratta di un emigrazione normale : persone che hanno una casa nel proprio paese d origine e cercano, attraverso il lavoro all estero, di migliorare le proprie condizioni di vita in Romania, con la prospettiva di un ritorno definitivo a casa. La presenza di campi come è stato sottolineato già da tante ricerche è il risultato paradossale del cortocircuito tra i due modelli di integrazione europei dei rom (quello balcanico e quello occidentale), ma è dovuta anche, più in generale, al modello italiano di gestione per lo più poliziesca dei flussi migratori. Per quanto riguarda le rappresentazioni reciproche di rom e rumeni durante la migrazione in Italia, la cosa interessante è proprio che essi non sono più come in Romania un gruppo dominante (i rumeni) e uno dominato (i rom), ma un unico gruppo dominato (stranieri, immigrati provenienti dalla Romania). Nelle interviste si notano a questo proposito due tipi di dinamiche: da un lato, i rumeni cercano di smarcarsi dallo stigma dell immigrato-clandestino-deviante (tipico della rappresentazione che in Italia si dà degli stranieri), facendolo ricadere totalmente sui rom. Ma dall altro lato, le autorappresentazioni di rumeni e rom rumeni (cioè il modo in cui essi si rappresentano davanti a un intervistatore italiano) sono molto simili, in quanto rispondono proprio alle categorie (e alle pratiche politico-amministrative) di inferiorizzazione degli stranieri in atto in Italia. D altro canto, spesso rom e rumeni condividono in Italia le medesime situazioni lavorative, nei settori riservati agli stranieri (edilizia, agricoltura, lavoro domestico, ecc.), indipendentemente dal mestiere svolto nel paese d origine. L ingresso della Romania nell Unione europea, poi, da un lato ha reso libera la mobilità dei rumeni, ma dall altro, paradossalmente, ha causato (a partire dall autunno 2007) una recrudescenza dell attacco politico e mediatico nei confronti dei rom e dei rumeni.

Infine, torneremo in Romania, per capire come la rappresentazione dei rom cambi con la migrazione. Da un lato, viene confermato lo stigma: i rom raccontano molti rumeni intervistati vanno all estero a infangare l immagine della Romania; e lo stesso imponente fenomeno dell emigrazione rumena viene a volte minimizzato come una questione che riguarda soltanto i rom. Dall altro lato, però, gli investimenti che, grazie al denaro guadagnato lavorando all estero, gli emigrati fanno nei propri villaggi e città d origine ne cambiano in qualche modo lo status sociale. Verranno raccontati a questo proposito alcuni esempi riguardanti l utilizzo di rimesse per la costruzione di abitazioni e per l apertura di attività imprenditoriali.

Livia Brembilla: Rom romeni a Milano: esperienze abitative e lavorative nel campo irregolare di Bacula Quesito iniziale Quale rapporto sussiste tra l abitare e il lavorare mediato dai diritti, dalla condizione sociale, e dall identità di un gruppo di rom romeni che vive a Milano nella zona della Bovisasca/cavalcavia Bacula? 1 Abitare solo per chi ne ha il diritto, propria delle società contemporanee. 2 È necessario effettuare anche una digressione storica per introdurre anche la questione lavorativa. Nel paragrafo successivo verrà infatti tematizzato l argomento delle condizioni culturali che influiscono sui criteri di valutazione del lavoro, partendo da uno studio di Thompson sul economia morale delle classi popolari inglesi nel XVIII secolo. Introdurre il concetto di economia morale dei lavoratori è importante per discutere nei capitoli successivi del rapporto che i rom romeni osservati intrattengono con tale argomento. Per studiare quale tipo di economia morale sia presente nell abitare e nel lavorare rom. 3 Panoramica sull evoluzione dell abitare e delle politiche che si sono occupate di questo nel XX secolo. A seguito della rivoluzione industriale, la creazione della classe operaia e della grande urbanizzazione, l espansione dei regimi di welfare determina le modalità abitative in modo standardizzato. Questa evoluzione non elimina le problematiche di alloggio di determinate categorie sociali, che diventeranno il fulcro della cosiddetta Rivoluzione abitativa avviatasi negli anni '70. Tale movimento ha messo in discussione principi base delle precedenti politiche che sembravano indissolubili, ponendo in primo piano la questione della non conformità dell offerta abitativa alle diverse esigenze dei cittadini. Con l arrivo degli immigrati e la metamorfosi delle società verso la globalizzazione, le problematiche abitative si sono ulteriormente ampliate e diversificate, creando sempre più esclusione abitativa ed incapacità delle politiche di programmare interventi efficaci. 4 L inadeguatezza delle politiche per la casa in Italia può essere esaminata lungo l intera vicenda delle politiche abitative: esse sono state politiche poco sociali, perché indirizzate all estensione della proprietà o subordinate alle leggi di mercato. L incongruenza tra la vita degli abitanti poveri e le soluzioni realizzate, la scarsa qualità delle soluzioni offerte dall edilizia di massa; L incoerenza qualitativa tra le soluzioni offerte e le reali condizioni di vita degli residenti poveri può anche essere letta anche alla luce del sistema regolativo-assistenziale che ha contrassegnato una tradizione di intervento sui poveri. Il punto in cui i problemi abitativi si allacciano con quelli sociali, cioè dove l esclusione abitativa si somma ad altre estromissioni, questo è lo spazio critico del nuovo disagio abitativo. E qui si collocano anche le persone rom che ho osservato. La società non è più verticalmente suddivisa in classi: ora la società è orizzontale. La possibilità o meno di essere integrati dipende se si è al centro o in periferia, cioè se si fa parte di settori ai margini o di quelli che hanno potuto modernizzarsi. Questa polarizzazione crea una frattura profonda tra chi è dentro e chi ne rimane fuori. Povertà oggi è povertà urbana Coloro che hanno più difficoltà ad avere un reddito sono anche coloro che hanno i maggiori problemi nell usare questo utile per ottimizzare i loro standard di vita. In aggiunta questa difficoltà può essere accresciuta anche in relazione alla tipologia di persona e all ambiente sociale in cui questa è inserita.

A fianco di questa categoria, c è quella dei lavoratori molto poveri che accettano lavori precari provvisoriamente quando si presenta l occasione: questo non elimina le loro problematiche poiché non si crea un percorso verso la riqualificazione. La fatica quindi di trovare un buon posto di lavoro è una componente decisiva di ingresso nel vortice della povertà che porta all esclusione sociale. Ci sono due condizioni territoriali associate al pericolo: la presenza dei poveri in luoghi pubblici urbani e il raggruppamento abitativo degli stessi; i due elementi insieme- esclusione e luogo producono problemi nelle riproduzioni negative dell esclusione gestita attraverso il controllo. Le forme territoriali dell esclusione non sono solo utilizzate dalle offerte politiche riduzioniste, ma anche da quelli positivamente riformiste, dove nuovamente si ritrova la problematica dell inserimento. È quindi necessario considerare l abitare, a seconda che sia fisso o no, come il luogo dove si salvaguarda un vivere nella prossimità di e come tempo di fondazione dell individualità: nell atto dell abitare si crea una singolarizzazione del rapporto d uso tra oggetti e persone, si verifica un reciproco accomodamento che è differente da individuo a individuo; L abitazione rappresenta, in maniera essenziale, la condizione primaria per poter dare un primo sguardo sull esterno; Una persona ritorna a casa anche per ritrovare sé stesso: nella confidenza di un luogo chiuso si produce una cura sia del sé interiore sia dell aspetto fisico che si mostrerà all esterno.; All abitare sono collegati i diritti basilari che mettono in evidenza il diritto alla vita e vincolano il sostentamento, l identità, la riconoscibilità della persona nell ambito pubblico. L affidabilità all interno di una relazione sociale è data infatti dalla possibilità di attestare di essere persone che abitano in modo regolare: è l implicito che struttura la vita sociale. Si riconosce la tenuta della personalità solo a coloro che abitano; chi non ha casa non è ritenuto affidabile nella relazioni pubbliche. Il senso identitario è racchiuso nell opportunità di poter mantenere sé stessi nello spazio del vivere comunitario: lo spazio identitario di cui il senza dimora viene privato Nell assenza del mantenimento di sé la persona ha perso l abitare. L abitare esprime una prossimità sperimentata nell esperienza e nella consuetudine famigliare degli esseri umani e degli oggetti. L orizzonte del non più abitare indirizza allora il soggetto verso un processo di depersonalizzazione perché il sottointeso vagabondare non permette nessuna sosta in un luogo accogliente predisposto per l utilizzo. 5 Disegno ricerca: La metodologia maggiormente idonea ad effettuare questo studio è stata quella dell osservazione partecipante (non dichiarata) : sfruttando il servizio settimanale svolto per l associazione Segnavia 1 (spiegare) il mio intervento al campo ha avuto uno scopo sia operativo-assistenziale, sia di osservazione e comprensione del contesto. Ho osservato più da vicino un gruppo di 5 donne ma in totale ho avuto a che fare con 50 tra donne e bambini, e 400 persone che sono girate nei due campi. 6 Parte empirica Da dove vengono: centro sud romania Galati- draga nesti (slatina) Dove vivono in Italia : slum Bacula /Bovisa quando dicono che in romania hanno una casa cosa intendono per casa: concezioni differenti (bloc, baraccopoli, case di campagna) 1 Segnavia è un associazione di Milano che fa capo alla congregazione dei Padri Somaschi Lombardi. Dalla sua creazione si è si occupata di donne vittime di tratta con un lavoro di unità di strada, drop-in e indoor negli appartamenti, pronto intervento e comunità residenziale. Dall estate 2007 ha iniziato ad occuparsi anche di rom romeni irregolari e da gennaio gestisce la parte sociale il campo di rom abruzzesi di via Bonfadini su mandato del Comune di Milano.

Osservando la vita degli abitanti del campo e i loro spostamenti forzati, non posso fare altro che denotare come ad ogni sbaraccamento corrisponda un ulteriore peggioramento nell abitare, nelle condizioni igieniche e nella qualità di vita in generale. - chi lavora, come, dove Questione casa: - questione di retaggio culturale dal regime dittatoriale: lo stato dà la casa; non hanno sviluppato nessuna autonomia nella capacità abitativa : solo uomo ricerca casa - ricerca casa via passaparola: legami deboli (Marck Granovetter) (e spesso anche quelli forti) non sono sviluppati + esclusione dall informazione tout court - quando chiedono casa è roulotte o container: Jon Elster teoria delle preferenze adattive difficoltà nel mantenimento del sé I continui sgomberi e spostamenti da un luogo all altro hanno fatto sì che pian piano i piccoli segni di personalizzazione e familiarizzazione delle proprie dimore siano sempre meno presenti - L abitudine è sempre temporanea ed è più legata al riadattamento tra persone ed ambiente che avviene ad ogni sbaraccamento; Il rapporto con gli oggetti è discontinuo, di breve durata, quasi usa e getta: questo si può osservare anche in altri campi come quello lavorativo, delle modalità di mangiare, degli atteggiamenti in luoghi pubblici o con regole codificate. La rigidità nella suddivisione dei compiti e delle attività tra uomini e donne, fa quindi da contraltare a questa fluidità abitativa. La ricostruzione della dimora è quindi solo a livello fisico mentre l organizzazione famigliare rimane praticamente immutata per preservare quello che di famigliare è rimasto. Lavoro: - nessuna specializzazione, analfabetismo - ricerca lavoro attraverso conoscenze: passaparola - settore edile meno controllato; prevalenza di lavoro irregolare - questione dai 40 anni in su: sfiducia, perdita forze (per vita di strada) - elemosina donne - Non esiste né si è mai instaurato un sentimento comune che possa essere propriamente definito come economia morale dell abitare né del lavorare per i rom romeni. Al contrario di ciò che si pensa non vi è nemmeno una tribù rom, ma gli accordi sono basati su rapporti di tipo reticolare. - Discriminazione diretta/indiretta (questione beni di distinzione: cellulare, possesso per sentirsi come gli altri creano pregiudizi su una presunta ricchezza dei rom che non c è e sul fatto che per mantenere quel livello rubinoaderire/non aderire al modello di vita italiano comportamento in pubblico: simile a quello degli adolescenti ) Abitare e lavorare: Queste persone sono quindi intrappolate nella medesima situazione di degrado, povertà e mancanza di opportunità da cui volevo fuggire. Le mansioni accessibili vivendo in questa condizione abitativa non sono molte e le lacune nella formazione scolastica e nella professionalizzazione creano forti limitazioni nella possibilità di scelta. L autosegregazione in uno spazio insalubre e precario diventa anche un meccanismo di autodifesa posto in essere dalle famiglie per sopportare la continua umiliazione, ma porta la società civile e le autorità locali a pensare e dichiarare pubblicamente che queste persone si compiacciono nel rimanere in quella situazione precaria, perché in altro modo non sanno vivere. - lo spazio in cui vivono, l unico concesso ai rom, determina il loro comportamento e la loro vita non è preso in considerazione: il campo regolare o la baraccopoli sono l oggettivazione dello stato di eccezione, in cui la legge sospende sé stessa ed in cui vengono ammassati individui che

rappresentano la materia di scarto di una società coesa intorno ad un contratto sociale condiviso dal gruppo più numeroso e con maggior potere. (Bravi, Sigona, 2007) Conclusione: La Questione rom è quindi una sfida aperta alle società urbane odierne. Per le tipologie di persone che coinvolge, è la povertà che mette alla prova maggiormente la razionalità stessa di costruzione della società urbana in termini di logica e di idea di modernizzazione urbanistica. Ciò che emerge in modo forte da questo lavoro di osservazione empirica è la constatazione che lo spazio dell abitare influenza e determina azioni e comportamenti degli abitanti. Le persone rom che vivono nei campi attrezzati o nelle baraccopoli sono fortemente condizionati dall ambiente in cui risiedono, che crea esclusione sociale, emarginazione, isolamento. Si può dire che essi diventano ciò che abitano: poveri, sporchi, in continuo movimento da un posto all altro, fonte di paura per la società benestante. Ma per le persone rom che ho osservato il discorso va oltre: vi sono una serie di conseguenze che discendono e si intrecciano con l abitare discontinuo e inadeguato. Esse sono le condizioni di povertà in cui sono nati e cresciuti in Romania, il contesto di scarsa scolarizzazione, emarginazione sociale e lavorativa con cui si confrontano quotidianamente anche in Italia, i pregiudizi e le paure che la società non rom ha nei loro confronti e che loro hanno verso i cosiddetti gagi. Ciò significa che la soluzione della problematica abitativa per i rom non è che un tassello di un lavoro molto più ampio, che prenda in considerazione più aspetti della questione che sono appunto quello lavorativo, quello scolastico, quello sanitario, quello legale, quello comunicativo, quello relazionale. E mi stupiscono che in un paese come l Italia in cui si utilizzano termini come empowerment, agency, coinvolgimento per indicare lo stile di lavoro più efficace con persone in condizioni di svantaggio sociale, con le persone rom queste buone prassi non vengano utilizzate. La questione va quindi affrontata a partire dalla modifica delle attuali politiche abitative che omogeneizzano la realtà dei gruppi rom obbligandoli a risiedere all interno di campi di sosta, ma per andare oltre e attivare interventi sociali sui diversi ambiti sopra citati. La sistemazione della questione abitativa è il tassello da cui partire per costruire gli altri interventi, non l azione finale. Tuttavia questo è stato il pensiero e la modalità di azione adottata fin ora con queste persone, che ha decretato dei fallimenti e la creazione di aree di emarginazione, isolamento e delinquenza. Solo il tempo (forse non è rimasto molto) ci dirà se gli amministratori locali e le istituzioni, prendendo atto del fallimento di queste politiche, sceglieranno di invertire la rotta (soprattutto comprenderanno la necessità di avere un comune legislazione nazionale), investendo in apertura di dialogo e riconoscimento delle differenze piuttosto che in sgomberi e regime di controllo poliziesco. Le attuali direzioni prese dalla politica italiana non lo indicherebbero, ma sappiamo che è una posticipazione dell unica modalità di azione efficace che si può adottare: il riconoscimento dei rom come stakeholder, cittadini aventi gli stessi diritti e i medesimi doveri degli altri, e la creazione di quel legame civile che è indispensabile per le società democratiche.

Tommaso Vitale: I rom e l azione pubblica Premessa dovuta. L Europa è da sempre popolata da una pluralità di gruppi zigani. Sono parte della storia locale delle tante società urbane e rurali che compongono il mosaico europeo. Gruppi assai differenti per tradizione e cultura: gitani, yemish, manoush, camminanti, travellers, gypsy, sinti, romungro, olah, rom, boyas e altri ancora. Una vera e propria galassia di minoranze che se considerata nel suo insieme costituisce la più grande minoranza europea. Circa dieci milioni di persone, ci dicono le stime di Bruxelles, molti di più se consideriamo anche i paesi che non aderiscono all UE e le persone che nelle guerre balcaniche degli anni 90 hanno perso ogni appartenenza nazionale. Il numero aumenta ancora se usciamo dall Europa e guardiamo ai lom dei Libano, ai dom del Medio Oriente, ai gruppi in Mongolia, negli Stati Uniti, in Russia, in Brasile. Una complessità assai rilevante di cui spesso si conosce pochissimo. Le stime più attendibili ci dicono che solo un italiano su mille ha una informazione minima su questa galassia. Sappiamo anche che in Italia il grado di ostilità verso questi gruppi è altissimo, più alto delle percentuali di odio razziale raggiunte anche nei paesi ad apartheid istituzionalizzato. Avere una buona informazione sembra il fattore maggiormente correlato alla riduzione del grado di ostilità verso queste persone, insieme all età: le persone più anziane in Italia sono quelle che hanno meno paura degli zingari, conservano la memoria di rapporti positivi di scambio e complementarietà che hanno caratterizzato per molti anni i rapporti fra questi gruppi e la società maggioritaria. Più si è giovani, invece, e più la rappresentazione di questi gruppi diviene omogenea, stereotipica, tutta interna ad un immaginario della miseria e della devianza. Così pochissimi, anche fra coloro i quali hanno gli intenti più solidali, tengono conto della stratificazione interna a questa galassia, in cui a fianco di comunità di recente immigrazione vi sono gruppi assai radicati che gestiscono attività economiche rilevanti (l industria circense, lo spettacolo viaggiante, il mercato dei cavalli e degli animali da sella, e molto altro, a seconda dei paesi considerati). Pochissimi sanno che esiste un élite romanì, colta e dinamica, che si coordina a livello transnazionale, trova forme di rappresentanza e di lobbying, agisce nelle e con le istituzioni internazionali. Su cosa insisterà maggiormente il mio intervento La complessità delle presenze zigane nelle città pone perciò moltissime tensioni alla vita politica. Il mio intervento cercherà di presentare le tensioni aperte da questa molteplicità di gruppi e situazioni secondo uno schema classico. In primo luogo individuerà i problemi di policy, ovverosia di politiche locali rivolte a questi gruppi e dei loro strumenti. In secondo luogo guarderà a cosa gli strumenti delle politiche locali fanno alla politica (politics), cioè se e come influenzano le modalità di costruzione del consenso politico; simmetricamente guarderà sia alla struttura di incentivi che ai riferimenti culturali e ideologici che spingono gli attori politici a configurare le politiche pubbliche in maniere così diverse. Infine discuterà l articolazione di policy e politics sui gruppi zigani in termini di tensioni sulla polity, cioè sulla comunità politica in uno stato di diritto, organizzato su istituzioni a più livello. Nell insieme, l obiettivo del mio intervento è ragionare su come il rapporto fra rom e azione pubblica sia un punto di ingresso fecondo per ragionare più complessivamente sulla qualità della democrazia e dei processi politici nella sfera pubblica. Non solo: vuole anche essere un invito a non considerare le condizioni tragiche dei gruppi rom di nuova immigrazione solo sul piano culturale o su quello dell urgenza umanitaria, ma anche su quello politico. A maggior ragione laddove si è motivati da istanze solidaristiche, per mia esperienza e convinzione riconoscere i meccanismi del processo politico è un compito da cui è meglio non sottrarsi.

Beppe Traina: Rom: da via Rovelli alla città. Percorsi di integrazione Alla fine del mese di gennaio 2007 l ultima famiglia rom ospite del campo di via Rovelli 160 si è allontanata dalla nostra città. Dopo 14 anni si chiude così una storia tanto lunga quanto tormentata. Questo documento vuole essere una rapida ricostruzione di quanto successo in tutto questo periodo e vuole inoltre evidenziare il lavoro che ancora resta da fare con le famiglie rom uscite dai campi, una sfida, una scommessa un investimento per la città. Le origini dei campi di via Rovelli 160 e di via Rovelli 99 A seguito del crollo della federazione Jugoslava e della conseguente guerra civile intestina, alla fine degli anni 80 ebbe inizio un massiccio esodo di profughi verso i paesi limitrofi. Anche l Italia è stato uno dei terreni di approdo dell ondata di profughi provenienti dalla Croazia, dalla Bosnia e dalla meridionale regione autonoma del Kosovo. Nei primi mesi del 1992, in una fase di acuta attenzione dell opinione pubblica italiana sull esodo delle popolazioni della ex- Jugoslavaia, la città di Bergamo diventava teatro di un disordinato insediamento di persone e famiglie provenienti dalla regione del Kosovo. Date le precarie e deprecabili condizioni alloggiative in cui versavano i profughi (la maggior parte dei quali viveva in un locale diroccato sotto il ponte del cavalcavia di Boccalone e in fatiscenti roulottes sparse qua e là nelle aree periferiche), l Amministrazione Comunale decideva di affrontare il problema dando indicazioni al Centro Servizio Stranieri di formulare un ipotesi di intervento con caratteristiche di emergenza. Il Comune di Bergamo procedeva allora ad un primo censimento dei profughi presenti in città da cui risultavano circa 150 persone immigrate dal Kosovo, tutte di etnia rom (anche se inizialmente si erano presentate come albanesi) e per la maggior parte provenienti dal quartiere rom di Moravska, nel cuore della città di Pristina. La maggior parte delle persone censite (quasi esclusivamente maschi adulti) sopravviveva grazie ad attività di questua e di lavaggio dei vetri ai semafori, oppure con lavori saltuari ed informali. Periodicamente queste persone rientravano in Kosovo per ritrovare le famiglie e investire in qualche modo i soldi raccolti (in particolare migliorando le proprie abitazioni all interno del quartiere rom). Una volta conclusa l indagine, il CSS provvedeva agli inizi del 1993 ad allestire un campo di accoglienza d emergenza presso l area dell ex macello, sito in via Rovelli 160. Costituito da 16 roulottes annesse ad un locale con docce e bagni in comune, il campo era predisposto per contenere esclusivamente maschi adulti, per una capienza di circa 60 persone. Gli altri casi (intere famiglie oppure donne con bambini), su iniziativa del CSS trovarono sistemazione sul territorio provinciale grazie anche alla massiccia mobilitazione di volontari, Caritas e Parrocchie; in particolare, le famiglie che da subito avevano dimostrato una predisposizione all inserimento sociale (soprattutto per la disponibilità al lavoro del capofamiglia) furono inserite nelle case messe a disposizione in alcuni paesi dell Alta Val Seriana, della Val S. Martino e della Val Cavallina). Tra la fine del 1994 e l inizio del 1995, un gruppo rom diverso ed autonomo dal primo, composto da famiglie da tempo residenti in Italia e provenienti da campi nomadi di Moncalieri, Palermo e Gallarate, si installava spontaneamente nel piazzale antistante il mercato ortofrutticolo (via Rovelli 99). In particolare, avevano utilizzato l area in questione come ritrovo primaverile per la festa di San Giorgio e da lì non si erano più spostati. Si trattava di 18 famiglie composte da un totale di 92 persone. Il gruppo manifestava subito la richiesta di una sistemazione a carattere stanziale. La presenza di un alto numero di bambini e la totale carenza di servizi e infrastrutture nel piazzale di insediamento, obbligarono il CSS a farsi carico della gestione del campo sia da un punto di vista disciplinare che sotto il profilo socio-assistenziale. Come per il gruppo proveniente dal Kosovo, anche la sistemazione in via Rovelli 99 assume inizialmente un carattere provvisorio e di emergenza. Gli sviluppi alla fine degli anni 90 Nella seconda metà degli anni 90, i due campi nati per affrontare situazioni emergenziali e pensati come soluzioni temporanee si trasformano in strutture stabili e con ospiti stanziali. A determinare questa situazione contribuisce in maniera determinante l inasprirsi del confitto bellico nella ex Jugoslavia e le tensioni sempre più crescenti in Serbia e Kosovo, le aree di provenienza della maggior parte dei rom ospitati. In concreto questo spinge la maggior parte dei maschi adulti del campo di via Rovelli 160 a trasferire l intera famiglia a Bergamo e così crescono le presenze di donne e bambini (ovvero le mogli, i figli e in qualche caso i genitori anziani dei primi ospiti). Nel frattempo anche il campo

di via Rovelli 99 si allarga, in particolare alle prime famiglie si aggiungono quelle di recente formazione dovute ai matrimoni dei figli e alle nascite dei primi nipoti, nonché quelle di parenti che sostano senza autorizzazione nelle zone adiacenti. Alla fine del 1998 gli ospiti dei due campi sono in totale 230 persone, rispettivamente 130 (via Rovelli 160, campo Kosovo) e 100 circa (via Rovelli 99, campo Rom). E però con i bombardamenti della Serbia della primavera del 1999 che l arrivo a Bergamo di famiglie rom provenienti da Pristina si fa decisamente massiccio e preoccupante. Tra la primavera e l estate del 1999, ci sono settimane in cui il solo campo Kosovo supera i 200 ospiti, per la maggior parte persone non autorizzate e solo di passaggio a Bergamo in attesa di raggiungere parenti in altre città o in altri paesi europei. Nella relazione fatta al Consiglio Comunale il 17/11/99 si affermava che il totale delle presenze nei 2 campi era di 285 persone di cui 111 bambini. Si tratta di famiglie che scappano definitivamente dalle loro case e che lasciano forse per sempre il Kosovo. L emergenza in atto costringe il Comune a rafforzare le azioni di sostegno e di monitoraggio del campo e si fa sempre più evidente la precarietà delle infrastrutture e delle soluzioni abitative (esplode il numero delle baracche e scompaiono le aree libere). Dalla Shigella alla chiusura La situazione di sovraffollamento e di debolezza infrastrutturale dei due campi si mantiene costante fino al 2001 quando una epidemia di Shigella determina un emergenza sanitaria che spinge a trovare soluzioni definitive ai due insediamenti. In particolare il campo di via Rovelli 99 viene chiuso nel giro di pochi mesi proprio nello stesso anno e le famiglie trovano sistemazioni adeguate, chi in alloggi Aler o comunali o private, chi in centri di accoglienza o strutture simili in altre città. Contemporaneamente iniziano anche i primi trasferimenti di famiglie del campo di via Rovelli 160. Tra rimpatri volontari, allontanamenti più o meno forzati e inserimenti abitativi (chi in alloggi Aler, chi in alloggi comunali e chi in case private prese in affitto o addirittura acquistate), tra il 2002 e l inizio del 2007 si completa la chiusura e lo smantellamento anche del campo Kosovo. Le famiglie che lasciano i campi dal 2001 al 2007 A partire dal 2001, la chiusura del campo Rom di via Rovelli 99 e l inizio dell azione di smantellamento del campo Kosovo di via Rovelli 160 hanno portato il nostro Servizio a seguire l inserimento abitativo di 47 famiglie (34 famiglie del campo di via Rovelli 160 e 13 famiglie del campo di via Rovelli 99 ) trasferite in alloggi Aler, in alloggi del Comune o in altre strutture (alloggi privati, centri di accoglienza ). In totale, a partire dal 2001 sono stati seguiti gli inserimenti di 215 persone. Tabella 1: inserimenti abitativi dal 2001 ad oggi 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Tot. Famiglie inserite 13* 13 6 3 6 6 47 Numero persone 57 69 31 16 24 18 215 * nel 2001 sono state inserite solo famiglie del campo di via Rovelli 99, a queste 57 persone vanno poi aggiunte quelle irregolari o che hanno rifiutato i percorsi di integrazione, qui non conteggiate. Distribuzione delle famiglie rom in città Delle 47 famiglie uscite dal campo con inserimento abitativo nel periodo tra il 2001 e il 2007, sono 37 le famiglie attualmente inserite in un alloggio (Aler o comunale) all interno del comune di Bergamo, e seguite dal Servizio Migrazioni. Di queste 37, una famiglia era uscita dal campo Kosovo verso una casa comunale già nel 1999 per gravi motivi di salute di un bambino (sono quindi 36 le famiglie seguite e uscite tra il 2001 e il 2007). Per le altre 11 famiglie inizialmente seguite, la situazione è diversa: 5 famiglie sono state sfrattate, 5 sono fuori dal Comune di Bergamo (in provincia 3, in altra città 1 e all estero 1) ed una famiglia, padre e figlia minorenne, è stata divisa in seguito ad inserimento in comunità per minori della figlia e in Comunità Ruah del padre. Le 37 famiglie tuttora seguite (31 provenienti dall ex campo di via Rovelli 160 e 6 provenienti dall ex campo di via Rovelli 99) si sono naturalmente allargate, vuoi per la nascita di nuovi figli e in alcuni casi per i ricongiungimenti familiari, e ad oggi risultano così composte: Totale persone 187 di cui 92 minori, 88 adulti e 7 anziani Tabella 2: distribuzione famiglie rom nelle diverse circoscrizioni N famiglie Circoscrizione 1 3 Circoscrizione 2 2 Circoscrizione 3 0 Circoscrizione 4 6 Circoscrizione 5 2 Circoscrizione 6 19 Circoscrizione 7 5 totale 37 La distribuzione delle famiglie Rom sul territorio cittadino non è uniforme ma rispecchia le disponibilità di alloggi Comunali e/o di proprietà dell Aler nelle singole circoscrizioni. Il lavoro oggi dell equipe rom Con la chiusura del campo di via Rovelli 160, il lavoro dell equipe rom del Servizio Migrazioni attraverso gli operatori della Cooperativa Sociale Migrantes (che sin dall inizio dell insediamento

dei campi ha lavorato con i servizi comunali) si può ora concentrare esclusivamente sulle azioni di housing sociale necessarie per garantire il successo degli stessi inserimenti abitativi. In sintesi le azioni connesse con l'inserimento e l accompagnamento nella vita in alloggio delle famiglie rom si dividono tra interventi di mediazione/accompagnamento ai servizi ed enti della città e di educazione e facilitazione nell inserimento abitativo: Interveni di mediazione/accompagnamento ai servizi ed enti della città: Mediazione tra l ufficio alloggi (comunale e Aler) e la famiglia inserita; Mediazione fra famiglia e uffici tecnici (per riparazioni, segnalazione guasti...) Contatti ed incontri con i servizi sociali territoriali per presentare le famiglie neo inserite o per collaborare nel superare difficoltà per le famiglie già prese in carico dalle diverse assistenti sociali Mediazione tra gli uffici della Questura e la famiglia; Monitoraggio per le iscrizioni scolastiche dei minori; Accompagnamento dei casi di minori in carico ai servizi sociali e neuropsichiatria; Educazione e facilitazione nell inserimento abitativo Mediazione con il vicinato e i condomini (riunioni condominiali, incontri con amministratore e/o rappresentante dei condomini); introduzione alle regole fondamentali della vita in condomino e alle pratiche di buona gestione dell'alloggio (lettura regolamenti) Sostegno nella gestione forniture (Gas, acqua, luce) e tasse varie (rifiuti ) Sostegno e accompagnamento nella gestione economica, soprattutto nei casi di scarsa autonomia (entrate ed uscite mensili: pagamenti bollette, spese varie, buste paga ) Monitoraggio e accompagnamento per il rinnovo dei permessi di soggiorno; Favorire i contatti con la realtà locale (asilo, scuola, circoscrizione, parrocchia, oratorio,...); Aiuto nella ricerca del primo arredamento E evidente che l uscita dal campo non è la fine del percorso di inserimento di una famiglia rom ma è l inizio di una nuova fase altrettanto critica e che richiede investimento. Le criticità e le difficoltà che accompagnano gli inserimenti abitativi possono in parte essere associate alla forte specificità culturale e sociale della comunità rom; lo stile di vita, il sistema valoriale, i bisogni e le necessità dei rom spesso non coincidono con quanto il nuovo ambiente e il nuovo contesto abitativo richiedono. Non si possono ignorare la complessità delle reazioni che nascono con l ingresso in condominio di una famiglia rom. Si pensi alla presenza di numerosi bambini in ogni nucleo famigliare e al disagio che questo provoca nei condomini abitati prevalentemente da anziani (rumori e disturbo anche nelle ore del riposo); oppure si consideri la necessità per i rom di frequentarsi fra parenti e amici ad ogni minima occasione, creando spesso ritrovi spontanei ma affollati di persone; così come l abitudine di ospitare parenti per molti giorni senza sentirsi in dovere di chiedere le necessarie autorizzazioni. A ciò si aggiunga la scarsa attenzione alla gestione economica. Delle 37 famiglie tutt ora monitorate dall equipe rom, si segnalano cinque situazioni particolarmente problematiche che da tempo richiedono notevoli sforzi per evitare esiti negativi. Si tratta di un dato significativo e da non sottovalutare; d altra parte, lo stesso dato permette di affermare che almeno l 86,5 % degli inserimenti sin qui realizzati non ha per ora evidenziato criticità particolarmente gravi. Al proposito, si segnala che in quasi tutte le famiglie inserite, il capofamiglia ha un lavoro regolare (anzi, in alcuni casi anche le mogli o i figli più grandi hanno trovato un impiego), così come tutti i minori in età dell obbligo sono regolarmente iscritti e dimostrano una buona media di frequenza a scuola (anche in questo caso non si possono comunque nascondere alcune difficoltà e problemi, vedi isolati casi di assenze prolungate o di scarso impegno nell apprendimento); dati alla mano possiamo affermare che i casi critici sulla frequenza scolastica si aggirano attorno al 3 % del totale dei bambini inseriti a scuola. La chiusura dei campi rom porta in se diversi obiettivi raggiunti, in primis vogliamo ricordare la dignità recuperata di famiglie, donne, anziani e bambini che a causa del conflitto balcanico si sono ritrovati a vivere in condizioni di forte precarietà ed emarginazione, dopo una vita fatta di lavoro e risparmi con cui hanno costruito le loro case a Pristina. È un grande risultato anche per la città e per i quartieri di Celadina e Boccalone, per anni gravati dalla presenza di una realtà così complessa. Siamo certi che il lavoro svolto sino ad oggi, e quello che ancora ci aspetta, servono a creare le condizioni migliori per un percorso di integrazione concreto.

Dijana Pavlovic: Esperienze e associazioni rom e sinti L intervento di Dijana Pavlovic avrà il carattere di una narrazione autobiografica. Attraverso le sue riflessioni di persona che si occupa anche per lavoro delle culture rom, si cercherà di ragionare su quale senso e ruolo possono avere la partecipazione alla vita associativa per persone di origini rom e sinti in Italia.