UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI PALERMO



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UFFICIO DI SORVEGLIANZA DI PALERMO Proc. n. SIUS 2013/8290 ha pronunziato la seguente II Magistrato di Sorveglianza ORDINANZA nei confronti del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti per la Regione Siciliana, Sen. Salvo Fleres, dei seguenti detenuti nella seconda Casa circondariale di Palermo: 1. MARINO Sandro, 2. QUATTROCCHI Michele, 3. MAGNASCO Massimiliano, 4. MERLINO Giuseppe, 5. QUATTROCCHI Salvatore, 6. DI SALVO Giovanni, 7. GERMANA'Filippo, 8. DRAGO Rosario, 9. VIOLA Leo, 10. FLERES Onofrio, ll.aluzzo Rocco, Visto il reclamo proposto dall'avvocato Vito Pirrone, con studio in Catania, Via Balduino n.24, nell'interesse dei detenuti sopra elencati; Esaminati gli atti del procedimento; Viste le conclusioni adottate dal P.M. e dal difensore all'udienza del 7 luglio 2014; Sciogliendo la riserva assunta nella medesima udienza, OSSERVA: II reclamo, intitolato istanza per detenizione inumana e degradante, denunzia in premessa la violazione di alcuni diritti fondamentali del detenuto, che ineriscono alle condizioni di vita all'interno dell'istituto penitenziario e che attengono, in particolare, al sovraffollamento e alla conseguente assenza degli spazi minimi vitali all'interno delle celle (dotate di un numero di occupanti superiore alla capienza consentita) e nelle aree comuni (mancanza di palestra e di zone comuni dove consumare i pasti), all'insufficienza di regole d'igiene (dovuta, anche, alla non infrequente mancanza di acqua e al mal funzionamento degli scarichi), all'assenza di intimità anche per i bisogni corporali, alla mancata dotazione di acqua calda e docce all'interno delle celle, all'omessa attivazione dell'impianto di riscaldamento, all'inadeguata fornitura di prodotti per la pulizia delle celle, all'esposizione al c.d. "fumo passivo" per l'imposta condivisione della cella con 1

detenuti fumatori, all'insufficiente apprestamento di attività trattamentali e alla mancata salvaguardia del diritto allo studio. Il reclamante lamenta poi la lunghezza delle attese cui spesso sono sottoposti i familiari dei detenuti prima di accedere ai colloqui, la presenza di un bancone divisore e vetro durante l'effettuazione dei colloqui stessi, le gravose condizioni di lavoro cui sono sottoposti gli agenti penitenziari. Nella seconda parte l'istanza affronta, in termini più generali, il tema della tutela dei diritti fondamentali, affermando la necessità di assicurare che l'esecuzione della pena avvenga nel rispetto della dignità umana e che sia attuata in conformità alle leggi e ai regolamenti, da individuare non solo nell'ambito della legislazione italiana, ma altresì nel sistema di tutela rappresentato dalla CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell'uomo) e della Corte EDU di Strasburgo, oggi Corte di Giustizia dell'unione Europea. Segue l'indicazione delle norme interne specificamente preposte a garantire che il trattamento penitenziario sia conforme ad umanità e assicuri il rispetto della dignità delle persone (arti. 1, 5, 6 e 12 L. 354/1975 e artt. 6 e 7 D.P.R. 230/2000), evidenziandosi come le condizioni di detenzione all'interno dell'istituto di appartenenza, caratterizzato dalla presenza di un numero di detenuti sproporzionato rispetto alla sua capienza legale, si pongano in contrasto con tali principi. A ciò si aggiungono i precetti dettati dal quadro normativo transnazionale, tra cui vengono citati l'art. 18 delle Norme Penitenziarie Europee, l'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo nonché le pronunce maggiormente significative della Corte di Strasburgo, di cui si sottolinea la diretta efficacia nel nostro ordinamento. A tale riguardo viene citata la nota sentenza resa dalla Corte EDU di Strasburgo del 16.07.2009 sul caso Sulejmanovic/c. Italia, relativa alla condanna dell'italia a corrispondere un equo indennizzo nei confronti di una persona detenuta in condizioni accertate come contrarie al senso di umanità, poiché ristretto in spazi inferiori a 3 mq prò capite e privo delle soluzioni organizzative e trattamentali atte a temperare tale situazione detentiva. Viene, poi, richiamata la risoluzione del Comitato Permanente sulla Tortura, che in materia di spazio vitale ha fissato in 7 mq per persona la superficie minima auspicabile per una cella di detenzione, ribadendo come nell'istituto di Pagliarelli, a causa dello stato di gravissimo sovraffollamento, si consumi quotidianamente la violazione di tutte le norme di diritto interno e sopranazionale richiamate. Nella parte finale del reclamo vengono, poi, svolte deduzioni in ordine alla competenza del Magistrato di sorveglianza adito e in merito alla legittimazione del Garante per la tutela dei diritti dei detenuti e si conclude chiedendo di: 1) accertare e dichiarare le lesioni dei diritti soggettivi sofferti dal condannato presso l'istituto di Palermo Pagliarelli per aver sopportato detenzione inumana e degradante a causa del sovraffollamento; 2) disporre il ripristino delle condizioni di legalità e di umanizzazione della detenzione; 3) in linea subordinata sostituire la misura custodiale in carcere con altra misura che pur garantendo l'applicazione della norma e l'esecuzione dei provvedimenti giudiziari sanzionatori eviti il perdurarsi di trattamenti umani e degradanti; 4) prospettare al Signor Ministro della Giustizia le gravissime condizioni di vivibilità e trattamentali esistenti presso la Casa Circondariale Pagliarelli di Palermo; 5) liquidare a titolo di indennizzo la somma ritenuta congrua secondo discrezionale giudizio di equità, per danno morale subito, ponendola a carico della Amministrazione Penitenziaria, del Ministero competente o di altra autorità amministrativa che il giudice riterrà responsabile e/o a carico della quale intenderà porre l'obbligo d'indennizzo, oltre a spese e competenze legali per la procedura. Nel decidere su identici ricorsi avanzati da altri detenuti della seconda casa circondariale di Palermo, e dal Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti per la Regione Siciliana, questo Ufficio ha così valutato (copia della decisione in atti): 2

"( ) Deve preliminarmente rilevarsi che il procedimento è stato proseguito, e deve essere definito, nonostante la scarcerazione o il trasferimento altrove di alcuno dei detenuti dopo la proposizione del reclamo come sopra articolato: invero, l'esercizio delle funzioni attribuite al magistrato di sorveglianza ex art. 69 o.p. non presuppone l'interesse attuale e particolare del predetto detenuto, trattandosi invece di questioni - così come formulate - riguardanti il complessivo trattamento penitenziario nella casa circondariale, sottoposto al potere-dovere di vigilanza sugli istituti. Orbene, la Direzione della Casa circondariale di Palermo Pagliarelli, richiesta di verificare e relazionare in ordine a quanto lamentato dal condannato, con nota pervenuta il 22.1.2013, ha rappresentato che: le stanze detentive dell'istituto sono di mq 9,25 circa, escluso il servizio igienico che è di mq 3 circa, per un totale di mq 12,25 circa, essendo state progettate secondo i parametri previsti dal DM Sanità del 5 luglio 1975, che fissava in 9 mq la misura minima di una camera di pernottamento per le civili abitazioni, precisando che in ragione del livello di sovraffollamento raggiunto, il parametro sopra citato è sceso a un livello di tolleranza pari a mq 3,5 circa; le celle non sono dotate di acqua calda, fatta eccezione per le sezioni predisposte all'allocazione delle detenute mamme con bambini, secondo i criteri vigenti all'epoca di progettazione dell'istituto, mentre le docce di sezione sono fornite di acqua calda; il riscaldamento non viene garantito per mancanza di fondi sia per l'alimentazione che per la manutenzione; i servizi igienici, che rispettano la tipologia comune a tutti gli istituti penitenziari italiani, sono allocati all'interno di ogni cella, hanno una regolare porta di accesso e non sono provvisti di finestra; la pulizia delle celle è demandata ai detenuti che le occupano in conformità alla norma vigente e alle direttive più recenti; la fruizione dei ed. "passeggi" è consentita con modalità e orari (dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 13.00 alle 17.30) conformi ai dettami delle direttive in materia; i locali destinati alla fruizione di attività ludiche, di cui ogni sezione è dotato in numero di due, rispettano i parametri previsti dall'edilizia penitenziaria in conformità al DM Sanità del 5 luglio 1975, e contengono attrezzi da gioco (ping-pong, calciobalilla), tavoli e panchetti per sedersi; le attività trattamentali vengono gestite nel rispetto di un'equa distribuzione al fine di garantire un'ampia partecipazione a tutti i detenuti; nelle sale colloqui il piccolo vetro divisorio di circa 15 cm. è stato rimosso già da tempo; per l'attesa dei colloqui sono predisposte due grandi sale fornite di servizi igienici e macchinette dispensatrici di beni di confort, e il percorso è quasi interamente coperto. (...) A tale riguardo va, in estrema sintesi, premesso, che in materia di tutela dei diritti la cui violazione sia potenziale conseguenza del regime di sottoposizione a restrizione della libertà personale e dipenda da atti dell'amministrazione a esso preposta, dopo l'intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 26/1999 (che ha dichiarato incostituzionale la normativa dell'ari. 35 O.P per la mancata attuazione delle garanzie della giurisdizione) e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 25079/2003, il rimedio giurisdizionale esperibile va ricondotto a quello di cui agli artt. 14 ter e 69 dell'ordinamento penitenziario (previsto in caso di reclamo avverso il regime di sorveglianza particolare ex art. 14 bis) e la relativa disciplina è data dal combinato disposto degli artt. 14 ter e 71-71 quinquies del citato ordinamento. Come noto gli artt. 14-ter, 69, 71 e seguenti dell'ordinamento penitenziario prevedono il termine di dieci giorni per proporre reclamo; il termine di cinque giorni per l'avviso dell'udienza al pubblico ministero, all'interessato e al difensore; la partecipazione necessaria del difensore e del

pubblico ministero all'udienza; la facoltà dell'interessato di presentare memorie; la possibilità di proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. Nel passare, ora, all'esame delle doglianze inerenti la lamentata lesione della propria dignità e del diritto a fruire di un trattamento penitenziario conforme ai canoni di umanità subita dai condannati nel corso della detenzione presso la seconda Casa Circondariale di Palermo, va anzitutto affermato il primario obbiettivo di sottoporre l'intera vita del carcere ai principi ed alle regole generali dello stato di diritto, assicurando piena tutela al rispetto dei diritti fondamentali della persona. Come fondatamente ricordato dal reclamante il complesso normativo di riferimento per l'inquadramento dei diritti dei detenuti, oltre a comprendere la legislazione italiana si estende alle norme europee e sovranazionali. Sul punto riveste portata basilare l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (CEDU) che, con il "divieto della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti", impone allo Stato di assicurarsi che le condizioni detentive di ogni detenuto siano compatibili con il rispetto della dignità umana e che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad un disagio o ad una prova di intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione. Da ciò consegue il dovere dell'amministrazione penitenziaria di garantire sufficienti condizioni di vivibilità nelle camere di detenzione, evitando di custodirvi un numero di detenuti superiore a quello consentito, eliminando la presenza di condizioni che comportino la compromissione del diritto alla salute e, in generale, assicurando il rispetto dei parametri individuati come standard minimo di vivibilità. Ebbene, valutando il fondamento delle doglianze dedotte dall'istante alla luce di tali, universali, principi (discendenti dalle norme nazionali ed europee) deve riconoscersi la sussistenza della lesione dei diritti del detenuto, quanto meno in relazione a talune delle circostanze sottoposte al vaglio del Magistrato. Nello specifico si rileva che - per quanto concerne le allegazioni riguardanti: l'essere ospitato all'interno di una camera di detenzione inferiore a mq. 9, con annesso servizio igienico senza finestra, da condividere con altri compagni di pena, con conseguente compromissione dello spazio disponibile prò-capite oltre il limite minimo di vivibilità; l'essere sottoposto al "fumo passivo" con conseguente violazione del diritto costituzionale alla salute; le limitazioni alla fruizione delle ore all'aperto e della socialità; l'insufficienza di regole d'igiene (dovuta, anche, alla non infrequente mancanza di acqua, al mal funzionamento degli scarichi e alla mancata fornitura di prodotti di pulizia), l'assenza di intimità anche per i bisogni corporali, la mancata dotazione di acqua calda e docce all'interno delle celle e l'omessa attivazione dell'impianto di riscaldamento - va ravvisata la sussistenza di condizioni detentive contrastanti con le disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo e delle direttive del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, e dunque lesive delle posizioni soggettive del detenuto. Non può negarsi, invero, che nonostante gli interventi organizzativi operati dall'amministrazione Penitenziaria, desumibili dal contenuto delle controdeduzioni formulate con la memoria in atti, la condizione detentiva denunciata dai reclamanti, contraddistinta da un endemico sovraffollamento e da un ambiente restrittivo deteriorato e fatiscente per la carenza pluriennale di interventi di manutenzione, integri una sostanziale compromissione dei diritti fondamentali del detenuto.

L'accertato fondamento di tali doglianze comporta, dunque, di ingiungere alla Direzione della seconda Casa circondariale di Palermo, al Provveditorato regionale e al Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria di adottare gli opportuni provvedimenti per rimuovere le riscontrate violazioni e di assumere tutte le iniziative necessarie a garantire al reclamante condizioni di detenzione conformi ai parametri previsti dal quadro normativo di riferimento. Quanto alle restanti allegazioni si osserva come la doglianza concernente le carenze trattamentali, con particolare riferimento al mancato avviamento all'attività lavorativa e alla salvaguardia del diritto allo studio, è dedotta in forma generica, essendo riferita alla totalità dei detenuti e non a una situazione soggettiva asseritamene lesa (ad es. mediante un'istanza proposta e ingiustamente respinta), di guisa che i metodi e i criteri adottati dalla Direzione (gestione nel rispetto di un'equa distribuzione al fine di garantire un'ampia partecipazione a tutti i detenuti) non appaiano suscettibili di specifiche censure. Anche la censura concernente la situazione dei colloqui con i familiari risulta infondata atteso che per una parte riguarda l'asserita compressione di diritti che fanno capo a soggetti diversi dal reclamante e, per quanto concerne la presenza del vetro divisore, è smentita da quanto specificamente comunicato a tal riguardo dalla Direzione, circa l'avvenuta rimozione del vetro divisorio di circa cm 15, operata già da tempo. Passando alla disamina delle ulteriori richieste si osserva come si riveli inammissibile la domanda con cui è chiesta la sostituzione della misura custodiale in carcere con altra misura che, pur garantendo l'applicazione della norma e l'esecuzione dei provvedimenti giudiziari sanzionatori, eviti il perdurarsi di trattamenti umani e degradanti. A tale riguardo si osserva che la richiesta involge gli istituti concernenti l'adozione di misure alternative alla detenzione o di differimento facoltativo della pena ex art. 147 c.p., in ordine alle quali il Magistrato di sorveglianza ha una competenza solo interinale, mentre la decisione spetta al Tribunale di Sorveglianza. Parimenti inammissibile risulta l'istanza con cui si chiede di prospettare al Ministro della Giustizia le condizioni di vivibilità e trattamentali esistenti presso la seconda Casa Circondariale di Palermo, non ravvisandosi in capo al reclamante la legittimazione a formulare tale richiesta. Quanto, infine, alla richiesta di liquidare a titolo di indennizzo la somma di euro 1000,00 per detenuto, o quella maggiore ritenuta congrua secondo discrezionale giudizio di equità, per danno morale subito, ponendola a carico della Amministrazione Penitenziaria, del Ministero competente o di altra autorità amministrativa che il giudice riterrà responsabile e/o a carico della quale intenderà porre l'obbligo d'indennizzo, si osserva che la domanda risulta inammissibile stante la competenza esclusiva del giudice civile. Invero, alla magistratura di sorveglianza è riservata dall'art. 69 co.5 o.p. sia la cognizione sommaria di eventuali violazioni di diritti soggettivi nell'ambito del trattamento penitenziario rieducativo, sia l'interdizione di siffatte violazioni (disposizioni vincolanti per l'amministrazione ma insuscettibili di esecuzione coattiva). Come ampiamente chiarito dalla elaborazione giurisprudenziale (e in particolare, da ultimo, con la decisione del Magistrato di sorveglianza di Vercelli del 18.4.2012, in Rivista italiana di diritto e procedura penale -fase. 3-2012) si tratta di una tutela peculiare ed aggiuntiva, che si affianca ma non si sovrappone

agli ordinari rimedi apprestati dall'ordinamento a tutela delle posizioni soggettive dei singoli. Si tratta cioè di una giurisdizione di accertamento cui rimane estraneo sia il potere di adottare provvedimenti, aventi natura costitutiva, di annullamento dell'atto amministrativo, in assenza della specifica riserva di legge di cui all'art. 113 co.3 Cost., sia il potere di condanna anche risarcitoria nei confronti dell'amministrazione. Non può pertanto configurarsi l'esercizio dell'azione civile risarcitoria da parte del detenuto nell'ambito del reclamo di cui agli artt. 14 ter, 35 e 69 co.5 o.p. D'altronde, siffatta giurisdizione civile del magistrato di sorveglianza va esclusa anche in base a un'interpretazione costituzionalmente orientata, dato che il procedimento camerale di cui all'art. 14 ter o.p., per la sua peculiare natura (cognizione sommaria, scanditi tempi stretti, assenza delle regole minime del contraddittorio civile e di strumenti processuali per l'esecuzione coattiva), appare inadeguato sul piano delle garanzie e in generale non conforme al modello di cui all'art. Ili Cost., mentre la necessità di ricorrere all'ordinario processo civile non configura alcuna sperequazione a danno del detenuto e assicura, anzi, migliori garanzie di tutela (tra cui quella di ottenere una pronunzia immediatamente esecutiva in caso di esito vittorioso). Va altresì richiamato, a tale specifico riguardo, il recente insegnamento della suprema Corte, per cui è inammissibile il reclamo ex art. 35 dell'ordinamento penitenziario avanzato al magistrato di sorveglianza per ottenere il risarcimento dei danni patiti per effetto della detenzione subita in spazi angusti in relazione alla violazione di diritti fondamentali, trattandosi di pretesa azionabile unicamente in sede civile [Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4772 del 15/01/2013 Cc. (dep. 30/01/2013 ) Rv. 254271]". In assenza di nuovi dati di fatto per una diversa valutazione, tale decisione va estesa anche agli odierni ricorrenti, che hanno avanzato le identiche richieste. P.Q.M. Visti gli artt. 14 ter, 35 e 69 Ord. Pen; In parziale accoglimento del reclamo proposto dai detenuti sopra qualificati, ingiunge alla Direzione della seconda Casa Circondariale di Palermo, al Provveditorato regionale e al Dipartimento per l'amministrazione Penitenziaria di adottare gli opportuni provvedimenti per rimuovere le riscontrate violazioni dei diritti dei detenuti, concernenti il rispetto dello spazio vitale all'interno delle celle, il diritto ad occupare una cella con compagni non fumatori, il diritto a fruire di adeguati periodi di tempo all'esterno delle celle fruendo della c.d. socialità, il diritto all'uso adeguato di bagni e docce e degli altri oggetti necessari alla cura e alla pulizia della persona e le altre circostanze meglio indicate nella parte motiva e di assumere tutte le iniziative necessarie a garantire condizioni di detenzione conformi ai parametri previsti dal quadro normativo di riferimento. Respinge i restanti motivi di doglianza. Dichiara inammissibili la richiesta di sostituzione della misura custodiale in carcere con altra misura e di prospettazione, al Ministro della Giustizia, delle condizioni di vivibilità e trattamentali esistenti presso la seconda Casa Circondariale di Palermo.

Dichiara inammissibile la domanda di liquidazione di indennizzo. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Palermo il 7 luglio 2014. Il Magistrato di Sorveglianza