CAPITOLO I. 1. Il principio di materialità



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CAPITOLO I Il principio di materialità Sommario: 1. Il principio di materialità 2. Teoria bipartita, teoria tripartita e teorie quadripartite 3 La condotta, l azione e l omissione. Reati omissivi propri e impropri: il concorso dell extraneus nella concussione 3.1. La posizione di garante 3.2. Sulla posizione di garanzia che sorge in capo al medico in ordine alla tutela della salute del paziente 4. Il soggetto passivo e l oggetto del reato 5. L oggetto giuridico del reato 6. I casi controversi: sentenza dichiarativa di fallimento nei reati di bancarotta e soglie di punibilità nei reati tributari e societari 6.1. La sentenza dichiarativa di fallimento: effetti sul piano civilistico e natura giuridica nell ambito dei reati di bancarotta 6.2. La circostanza aggravante della commissione di più fatti e i suoi rapporti col reato continuato 6.3. La modifica della nozione di piccolo imprenditore di cui all art. 1, comma 1, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e i riflessi sui reati fallimentari 6.4. Il concorso dell extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta 6.5. Soglie di punibilità nei reati tributari e societari 1. Il principio di materialità Il principio di materialità, nell ambito del diritto penale, impone che il fatto di reato si estrinsechi nel mondo materiale, non essendo sufficiente, al riguardo, che esso consista in un mero stato soggettivo di volizione. Il principio di materialità trova il suo fondamento costituzionale nell art. 25 della Carta nella quale l uso della locuzione fatto commesso lascia chiaramente intendere l esclusione dall area del penalmente rilevante di quei fatti che, esaurendosi nella sfera psichica dell autore, non trovano una concreta estrinsecazione nella realtà esterna. Il fatto di reato, in armonia con l enunciato principio di materialità, deve necessariamente consistere di un elemento oggettivo (materiale) distinto dall elemento psicologico. Quanto all elemento oggettivo, esso coinvolge necessariamente la condotta, nonché, ove richiesto, l evento ed il nesso di causalità tra condotta ed evento. Sotto il profilo definitorio la condotta penalmente rilevante è quella conforme al fatto tipico descritto dalla norma penale. In dottrina si è tentato

2 di individuare una nozione di condotta penalmente rilevante non formale e pregiuridica allo scopo di isolare, a priori, le condotte penalmente irrilevanti. Per una prima tesi, dunque, la condotta sarebbe un movimento corporeo cagionato dalla volontà; tale tesi, se si rivela idonea a ricomprendere nel suo ambito d applicazione, i reati dolosi e colposi d azione, è, tuttavia, carente con riferimento ai reati omissivi laddove può anche mancare (ed anzi di regola manca) un concreto movimento corporeo. Secondo una seconda tesi, la condotta consisterebbe in un attività finalisticamente diretta alla realizzazione di un evento tipico; tale tesi, se risulta idonea a ricomprendere nel suo ambito i reati dolosi di azione, secondo autorevole dottrina, non sarebbe idonea a giustificare la punibilità dei reati colposi e dei reati omissivi laddove difetterebbe un attività finalisticamente diretta alla realizzazione dell evento tipico. I fautori della concezione finalistica elaborano, con riferimento ai reati colposi ed ai reati omissivi, la figura della condotta potenzialmente finalistica e, cioè, della condotta possibile conforme alle regole della diligenza (nei reati colposi) e di quella capace di evitare l evento (nei reati omissivi). Con riferimento al principio di materialità ed alla condotta, una prima distinzione generale è quella tra i reati di azione ed i reati omissivi; i primi consistono in un movimento corporeo (nozione che deve intendersi in senso lato ed atta a ricomprendere, nel suo seno, anche la parola) atto ad offendere l interesse protetto dalla norma penale, i secondi consistono, invece, nell omissione del comportamento doveroso possibile imposto dalla norma penale al ricorrere di determinati presupposti. Con riferimento ai reati d azione, un problema rilevante è quello di stabilire, ove più movimenti corporei della medesima persona offendano il medesimo interesse protetto dalla norma penale, se ci si trovi di fronte ad un unico fatto penalmente rilevante o di fronte ad una pluralità di reati. In tal caso, l elemento determinante a fini discretivi è quello di valutare la sussistenza o meno della contestualità tra le varie azioni; ove vi sia contestualità, infatti, l azione penalmente rilevante sarà unica, ove, invece, vi sia interruzione tra i vari movimenti corporei offensivi dell interesse protetto, ci si troverà di fronte ad una pluralità di reati. 2. Teoria bipartita, teoria tripartita e teorie quadripartite Il dolo è conoscenza di tutti gli elementi essenziali del fatto tipico. Esso è escluso tanto dalla semplice ignoranza di uno di quegli elementi (disconoscere il rapporto di parentela nel caso di relazione sessuale), quanto dall er-

rore che si tratti di una realtà diversa (impossessamento di una cosa altrui ritenuta propria). Si possono avere delle difficoltà a seconda che ci si muova dalla concezione bipartita a quella tripartita del reato, a seconda cioè che l operatività delle cause di giustificazione sia ricondotta al piano della tipicità ovvero della antigiuridicità del fatto. Concezione bipartita muovendo dall idea che la cause di giustificazione siano elementi negativi del fatto tipico afferma che l erronea supposizione di una causa di giustificazione in realtà inesistente esclude il dolo del reato, lasciando eventualmente sussistere una responsabilità colposa, sempre che il reato sia previsto e punito anche a titolo di colpa. Infatti la rappresentazione erronea dell esistenza di una causa di giustificazione (inesistente) implica il non avere la consapevolezza dell elemento negativo costituto dall assenza di scriminanti. Le difficoltà si incontrano nella precisazione dell oggetto del dolo nell ipotesi in cui il soggetto non si rappresenti in positivo alcuna causa di giustificazione. Nel caso in cui la situazione giustificante esiste obiettivamente ma sia ignorata dall agente, nessun problema: la responsabilità sarà esclusa già sul piano oggettivo per mancanza del fatto tipico (es. incendiare una cosa altrui non sapendo che il proprietario ne aveva già dato il consenso). Nel caso di assenza della situazione giustificante il fatto tipico sarà obiettivamente perfetto sussistendo anche l elemento negativo costituito dalla assenza di cause di giustificazione. Rimane però il problema se il dolo debba investire, nella rappresentazione del soggetto, anche questo elemento negativo, cioè se il soggetto debba avere la consapevolezza anche della mancanza dell esistenza delle situazioni giustificative. Sarebbe però arduo pretendere che il soggetto al momento della realizzazione del reato, possa estendere il suo esame conoscitivo a tutte le possibili situazioni giustificative, talvolta complesse da ritrovare. Concezione tripartita, l oggetto del dolo si esaurisce negli elementi positivi, gli unici concorrenti a costituire la tipicità del fatto. La questione dell erronea supposizione di una situazione di fatto giustificante rimane aperta e nella disponibilità della discrezionalità del legislatore, sempre che quest ultimo intenda provvedere a dettarne la disciplina positiva. Niente esclude che anche un errore sulle causa di giustificazione possa assumere la stessa struttura dell errore sul precetto e configurarsi come tale, ma ciò nell ipotesi in cui il soggetto, perfettamente rappresentandosi la situazione fattuale in cui agisce, crede però erroneamente che sia prevista la legge come causa di giustificazione. Inoltre il dolo offre al soggetto agente quella conoscenza fattuale in mancanza della quale egli non potrebbe mai assumere la coscienza del proprio operare contra ius: solo chi conosce i fatti può infatti prendere decisioni concernenti il proprio comportamento e dunque portare la responsabilità delle proprie scelte rispetto all ordinamento. 3

4 L effetto ultimo dell errore fattuale delle cause di giustificazione è lo stesso dell errore sul fatto tipico, e identica ne può essere la disciplina, nel senso di escludere incondizionatamente la responsabilità dolosa, lasciando eventualmente residuare una responsabilità colposa quando il reato si punito anche a tale titolo e l errore sia dovuto a colpa. Quest ultima è la soluzione adottata dal nostro legislatore con l art. 59 co. 4: una disposizione condivisibile nel merito ma anche opportuna nell evitare un silenzio che avrebbe potuto favorire il prevalere di incertezze sistematico concettuali sulle esigenze sostanziali del diritto penale. Concezione quadripartita, un passo ulteriore verso la scomposizione del reato viene compiuta dalla teoria quadripartita o tetra partita, che arriva a scomporre il reato in quattro elementi, caratterizzata precisamente da due varianti. La prima distingue tra il fatto, la tipicità, ovvero la conformità del fatto alla fattispecie, l antigiuridicità e la colpevolezza. La seconda, invece, individua il fatto, l antigiuridicità del fatto, la colpevolezza e la punibilità, consistente nella meritevolezza di sanzione del fatto antigiuridico e colpevole. Le suddette teorie non hanno avuto grande seguito in dottrina, dovendo cedere di fronte alle stringenti critiche di quanti hanno osservato che, con riferimento alla prima variante, la tipicità non può assurgere ad elemento del reato, essendo il modo di essere dello stesso, e, con riferimento alla seconda, la punibilità è una conseguenza e non un elemento del reato, che consegue alla commissione del fatto criminoso, senza incidere sul relativo perfezionamento. 3. La condotta, l azione e l omissione. Reati omissivi propri e impropri: il concorso dell extraneus nella concussione La condotta criminosa è quel comportamento umano, oggettivamente percepibile, descritto e qualificato come reato dalla fattispecie incriminatrice. Essa può consistere tanto in un azione, ossia in un fare quanto in un omissione, vale a dire in un non fare. In relazione al contenuto della condotta tipica si è soliti pertanto distinguere tra: reati di azione, o commissivi, nei quali la condotta penalmente rilevante consiste in un azione positiva, cioè in un fare materiale percepibile che si manifesta nel mondo esterno, modificandolo attraverso l offesa o la messa in pericolo del bene tutelato dalla norma (es. furto); reati di omissione nei quali, invece, la condotta tipica si identifica in un non fare, o, più precisamente, nell astensione dal compimento dell azione giuridicamente doverosa che il soggetto aveva la possibilità di realizzare (es. omissione di soccorso); reati a condotta mista nei quali per l integrazione della fattispecie incriminatrice, è richiesto il compimento sia di un azione che di un omissione (es. insolvenza fraudolenta).

Quanto all azione, essa è il movimento corporeo, oggettivamente percepibile, diretto a modificare il mondo esteriore attraverso la lesione o messa in pericolo del bene tutelato dalla norma. Essa può esaurirsi in un singolo movimento corporeo, ovvero comporsi di una pluralità di atti che, nel loro insieme, convergono tutti finalisticamente verso la realizzazione dell offesa all interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice. Con riferimento alle modalità con cui può manifestarsi la condotta penalmente rilevante si distingue tra: reati a forma vincolata, nei quali la fattispecie incriminatrice descrive le specifiche modalità, e talvolta addirittura i mezzi, con cui deve essere posta in essere la condotta produttiva dell evento tipico; reati a forma libera, nei quali è sufficiente che l azione sia causalmente idonea a produrre l evento tipico, risultando indifferenti per il legislatore le modalità con cui la stessa si manifesta. La causalità della condotta omissiva ha sempre dato luogo a problemi derivanti dalla mancanza di un substrato naturalistico nell omissione. In pratica, la constatazione che dal punto di vista naturalistico l omissione consista in un nihil, fa dubitare che essa possa realmente concorrere alla produzione di un evento. Reati omissivi propri, sono privi dell evento, dunque sono reati di pura condotta omissiva. Es. l omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (art. 361 c.p.). Reati omissivi impropri, sono quelli alla cui condotta omissiva deve seguire la produzione di un evento naturalistico, in quanto elemento costitutivo del reato previsto dalla fattispecie incriminatrice. Tale categoria è chiaramente prevista dall art. 40.1 c.p., il quale, nell affermare la necessità del nesso di derivazione causale dell evento, la riferisce sia all azione che all omissione. La previsione legislativa del fatto tipico dei reati omissivi impropri può derivare da diverse tecniche di tipizzazione: 1. La fattispecie può essere prevista direttamente dalla stessa norma incriminatrice come omissiva; 2. Il legislatore può indicare la condotta in modo indeterminato, utilizzando cioè un espressione lessicalmente capace di designare tanto una condotta attiva quanto una condotta omissiva. Es. art. 575 c.p. I reati, così tipizzati, sono c.d. fattispecie casualmente orientate o a condotta libera e quando sono in concreto realizzati mediante una condotta omissiva si parla di reati commissivi mediante omissione; 3. Il legislatore può utilizzare una tecnica di conversione (e di raddoppio ) di fattispecie configurate espressamente come attive ( chiunque, con artifizi e raggiri, inducendo taluno in errore art. 640 c.p.) in altrettante fattispecie omissive improprie, attraverso una clausola generale di equivalenza. Es. dovrebbe essere punito anche colui che si procura un ingiusto profitto con altrui danno limitandosi ad approfittare dell errore in cui già versava il contraente, e tenendo così una condotta non 5

6 già attiva di induzione in errore mediante artifizi e raggiri, ma solamente omissiva di approfittamento dell errore altrui. Tali 3 tecniche legislative si pongono in un progressivo allontanamento dai principi di legalità e tipicità: con la prima, la condotta omissive è espressamente descritta dal legislatore; con la seconda è prevista solo implicitamente; con la terza, si avrebbe un vero e proprio vulnus a tali principi, poiché la tipizzazione effettuata dal legislatore di una condotta esclusivamente attiva sarebbe smentita da una clausola generale di raddoppio che, in quanto tale, aggiungerebbe a quella attiva una fattispecie omissiva sulla base di un giudizio sostanziale di equivalenza rimesso all esclusivo apprezzamento del giudice. Si ritiene, perciò, che tale tecnica sia incompatibile con i principi di legalità e tipicità. Sennonché, l art. 40.2 c.p. (dedicato alla sola condotta omissiva): Non impedire un evento, che si ha l obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, si presta a due possibili interpretazioni: Da un lato, l opinione largamente maggioritaria ritiene che l art. 40.2 c.p. deve essere inteso come clausola che consente l individuazione delle fattispecie omissive improprie mediante il suo riferimento e il suo combinarsi con le fattispecie casualmente orientate. Mediante tale soluzione interpretativa, il legislatore, attraverso la configurazione di una fattispecie casualmente orientata, ha mostrato indifferenza verso la realizzazione attiva o omissiva, coprendole entrambe con la sua previsione. Lo stesso art. 40.1 c.p. afferma la plausibilità logico-naturalistica della causalità dell omissione. Dall altro, secondo un altro modo di intendere l art. 40.2, la clausola dell equivalenza non sarebbe priva di un suo contenuto normativo anche se assai modesto, trovando essa la sua ragion d essere essenzialmente nelle peculiarità ontologiche della causalità omissiva, cioè essendo poco plausibile riferire la causalità naturalistica ad una condotta che naturalisticamente è nulla, con la clausola di equivalenza il legislatore farebbe capire che, nei reati omissivi impropri, è si possibile parlare di causalità, ma in un senso tutto normativo di iscrizione dell evento al soggetto e comunque assolutamente peculiare e tre, diverso da quello proprio della causalità attiva. L art. 97 della nostra Carta Costituzionale è la norma che per eccellenza meglio descrive le finalità della P.A.: il buon andamento e l imparzialità degli uffici pubblici. Questi due inderogabili obiettivi sono assicurati attraverso l individuazione delle responsabilità proprie dei funzionari, in relazione alla rispettive sfere di competenza e di attribuzione. Inoltre per poter entrare a far parte delle amministrazioni pubbliche è indispensabile risultare in possesso dei requisiti e delle capacità tecniche indicate dal relativo bando, che disciplina la procedura di concorso. L antitesi alla suddetta figura di reato, la contrapposizione ai delitti propri è il reato comune, ossia gli illeciti che possono essere eseguiti da qual-

siasi soggetto e consistono nella totalità delle incriminazioni contenute nel codice. Difatti, il carattere di reato comune lo si contraddistingue dall utilizzo del pronome chiunque. All interno della categoria dei delitti propri è compresa una sottocategoria, ossia i reati propri esclusivi, il cui proposito criminoso può essere portato a termine solo da chi riveste una certa posizione rispetto ad un fatto ad esempio i prossimi congiunti per il delitto di incesto; In caso contrario, la condotta sarebbe irrilevante per la legislazione penale. Invece i reati propri non esclusivi, sono configurabili come reati comuni, ma nei quali la presenza della qualifica soggettiva determina un mutamento del titolo di reato, a prescindere dalla consapevolezza o meno di tale qualità da parte dell extraneus. Per quanto concerne il reato proprio, la fattispecie esemplare che funge da riferimento qualora si voglia descrivere quel rapporto che potremmo definire gerarchico tra il soggetto qualificato e il comune cittadino è la concussione. Si analizzi ora come assume concretezza il reato. Innanzitutto, sussiste un divario tra la posizione del soggetto qualificato e la posizione del comune cittadino, divario che lo si ritrova non solo nei comportamenti posti in essere, ma anche nel momento in cui il giudice è chiamato ad infliggere una pena. Il soggetto agente, infatti, consapevole della sua supremazia, deve ampiamente approfittare della sua veste pubblica, della sua qualità e dei suoi poteri, utilizzandoli in modo assolutamente anomalo, ingiusto, non dovuto. Il soggetto attivo è detto intraneo, poiché assume la qualifica richiesta dalla norma, mentre l altro è denominato extraneus, in quanto non occupa un ruolo o una carica e non ha alcun potere fra le mani. La legge n. 190/2012, ha introdotto una nuova fattispecie di reato, precisamente L induzione indebita a dare o promettere utilità, ex art. 319 quater c.p., la quale, così si esplicita: salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre a otto anni. Peraltro, ai sensi del secondo comma di tale disposizione, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni. Si noti, peraltro, come, a differenza della concussione, tale reato possa essere commesso non solo dal pubblico ufficiale, ma anche dall incaricato di un pubblico servizio. E così, l intraneus esercitando una funzione pubblica, con il suo atteggiamento assume preminente importanza prevaricatrice tale, da indurre e quindi suggestionare il soggetto passivo all ingiusta promessa o dazione di denaro o di doni, pur sapendo non essere dovuta. A questo punto, potremmo definire, con le opportune valutazioni in merito, la condotta del funzionario, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico 7

8 servizio, essere equiparabile a quella del soggetto agente del reato ex art. 643 c.p., il quale approfitta ed abusa dell altrui incapacità di intendere e volere e quindi di una suggestionabilità oggettiva riscontrabile da parte di tutti, al fine di compiere un atto a sé favorevole e pregiudizievole per l incapace, che nel caso della concussione è l extraneus. Quest ultimo, infatti, data la sua consapevole condizione di inferiorità, non è capace, risulta inerme dal difendersi contro le altrui insidie e insinuazioni che, nel caso in esame, assumono concretezza nelle illecite richieste di denaro o di altra utilità o addirittura nelle promesse da parte del P.U. La condotta di induzione descritta dall art. 319 quater c.p. è la stessa condotta di induzione dell art. 643 c.p., che costituisce uno degli elementi essenziali ed oggettivi della fattispecie criminosa, la quale deve concretizzarsi in un apprezzabile attività di suggestione psicologica, pressione morale e di persuasione finalizzata a determinare, o quantomeno a rafforzare, la volontà minorata del soggetto passivo. Questo elemento costituisce il fatto materiale, insieme all elemento psicologico, i quali conducono certamente ad una condanna con formula piena, e ciò ha valenza sia per la nuova concussione che per il reato di circonvenzione di incapaci. Ora, la dottrina e la giurisprudenza hanno intavolato, da sempre, un intricante dibattito per quanto concerne una specifica ipotesi: qualora l extraneus non sia consapevole ignori le qualità soggettive dell intraneus, ossia abbia contribuito casualmente alla realizzazione del fatto costitutivo. La giurisprudenza maggioritaria ha parzialmente risolto tale problematica applicando l art. 117 c.p., il quale costituisce una deroga ai principi del dolo di partecipazione, e determina dei parametri tassativi in base ai quali muta il titolo di reato: le condizioni, le qualità personali, i rapporti tra il colpevole e l offeso. Quindi, in alcune circostanze, il codice prevede che per i soggetti non qualificati possa essere disposta una clemenza, cioè una riduzione della pena prevista per la loro condotta. L art. 117 c.p. configura, inoltre, una circostanza attenuante facoltativa, infatti al soggetto dotato della particolare qualifica soggettiva pubblico ufficiale, sarà applicata per intero la pena, invece, il concorrente non dotato di detta qualità potrà ottenere un beneficio, una diminuzione, sarà quindi esente, in parte, da responsabilità. In tal caso il giudice deve utilizzare il criterio della distinzione dei compartecipi in correi o meri complici, essendo la possibile diminuzione applicabile discrezionalmente. Tutto ciò è dovuto dal difetto di consapevolezza, da parte del comune cittadino, delle qualità personali dell intraneo che determinano il disvalore penale del fatto. Ergo, la deroga ex art. 117 c.p. riguarda ipotesi in cui le qualità dell autore determinano un mutamento del titolo di reato, cioè, accanto alla figura del reato proprio esiste una corrispondente figura di reato

9 comune. L estraneo, così, ha agito senza essersi rappresentato e aver voluto il fatto, ossia senza dolo. Come già detto, il giudice può tuttavia diminuire la pena inflitta agli estranei se il reato proprio è più grave di quello commesso. Diverso è il caso in cui, rispetto ai reati propri esclusivi, l extraneus conosce detta qualifica, egli risponderà di concorso ex art. 110, c.p. con il pubblico ufficiale. Così, nel caso della corruzione, l extraneus, al di fuori dell ipotesi di concorso, sarà imputato di violenza privata, ex art. 610 c.p., poiché costringe il pubblico ufficiale a fare tollerare o mettere qualcosa. Alla luce di queste valutazioni potremmo sostenere, ancora una volta, con fermezza, che è l elemento soggettivo dell extraneus che acquisterà differente rilevanza, ai fini dell imputazione del fatto di reato, cioè la consapevolezza che quest ultimo ha della posizione occupata dall intraneus: il metus. Se quindi il reato proprio viene commesso in concorso da una persona qualificata e da altre non qualificate è prevista una conseguenza unitaria, anche per il comune cittadino troverà applicazione la sanzione prevista per il peculato (appropriazione indebita posta in essere da un pubblico ufficiale), solo se, un uomo ragionevole al suo posto, usando la diligenza, si fosse reso conto che colui era un pubblico ufficiale. Per quanto concerne l affermazione della penale responsabilità, diventa sempre più difficile riscontrare l avvenuta coartazione psicologica, quando non sia stata avanzata un esplicita ed inequivocabile pretesa che consenta di stabilire se il P.U., di fatto, abbia agito in modo da ingenerare nella vittima la fondata convinzione di dovere sottostare alle sue decisioni per evitare il prospettato pregiudizio. Un altra tipologia di soggezione, si verifica quando il privato acconsente alla richiesta, non per timore del P.U., ma esclusivamente per evitare maggiori danni o per non avere noie. (Cass. Pen., 13/07/2000, n. 9737). Dunque, il metus publicae potestatis è inteso come stato psicologico di timore esercitato dal funzionario verso il privato vittima e può assumere svariate forme 1. 1 Mentre, il delitto di corruzione è un tipico reato a concorso necessario, nel quale P.U. e privato trattano pariteticamente il cd pactum sceleris, e si accordano sul proposito criminoso attraverso reciproche manifestazioni di volontà, ossia su un piano sostanzialmente uniforme. Invece nella concussione, la par condicio contractualis è inesistente, poiché dominus dell illecito affare è il p.u. che costringe il soggetto passivo a sottostare al suo volere, facendo capire a questi che non ha altra scelta, che non dispone di alternative, così lo stato volitivo del privato è scandito dalla sensazione di essere sottomesso alla predominate volontà del P.U. (Cass. Pen. Sez VI, 2/04/2012). In base alla recenti pronunce per quanto concerne il metus publicae potestatis, è indispensabile considerare, di volta in volta, anche la capacità del soggetto passivo, l extraneus di resistere alle pressioni provenienti dal P.U. o dall incaricato di pubblico servizio: più elevati risulteranno il ruolo sociale ed il potere dell interlocutore e minori saranno le possibilità che lo stesso diventi vittima di una costrizione.