LESIONE DEL CREDITO DEL DATORE DI LAVORO ALLE PRESTAZIONI DEL LAVORATORE, INFORTUNATO PER FATTO ILLECITO DEL TERZO. DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO



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LESIONE DEL CREDITO DEL DATORE DI LAVORO ALLE PRESTAZIONI DEL LAVORATORE, INFORTUNATO PER FATTO ILLECITO DEL TERZO. DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO Il datore di lavoro che, a seguito dell'invalidità temporanea assoluta di un proprio dipendente, causata da fatto illecito del terzo (ad esempio, sinistro stradale), sia tenuto per legge e/o contratto a pagare "a vuoto" la retribuzione durante il periodo di assenza, ha diritto al risarcimento del danno dal terzo responsabile del sinistro, in misura pari a tutti gli esborsi, ivi compresi i contributi, effettuati a cagione di tale assenza. Ha inoltre diritto, con onere della prova a proprio carico, al risarcimento dell'eventuale maggior costo del sostituto, assunto per assicurare la prosecuzione dell'attività d'impresa. Questi principi valgono anche nel caso di socio di società di persone, sia che questi presti la propria opera in qualità di lavoratore subordinato, sia che si tratti di solo conferimento di lavoro con partecipazione agli utili societari, salvo, in quest'ultimo caso, che la diminuzione degli utili della società, conseguente alla temporanea assenza del socio fisicamente danneggiato, non venga integralmente "scaricata" sullo stesso attraverso la diminuzione della propria quota di utili. Premessa * * * Non di rado gli Uffici dell'associazione sono richiesti di consulenza in ordine al diritto del datore di lavoro di ottenere, in caso di invalidità temporanea assoluta del dipendente - e quindi di impossibilità di questi di prestare l'attività lavorativa - determinata da fatto illecito del terzo (generalmente per incidente stradale), il risarcimento dei danni patiti a causa di tale assenza. Questa nota si propone di fare il punto della questione, in termini sufficientemente sintetici, alla luce del vigente quadro normativo e del cosiddetto "diritto vivente", che è ormai da tempo consolidato nell'addossare al terzo responsabile dell'illecito il peso del danno che il datore di lavoro sopporta a causa della colposa alterazione del sinallagma contrattuale: a fronte, infatti, della perdita conseguente alla mancata, temporanea utilizzazione della prestazione lavorativa, perdura, per legge o per contratto, l'obbligo del datore di corrispondere la retribuzione. Questo obbligo è regolato, da un lato, dall'art. 2110, ai sensi del quale, per una serie di eventi, espressamente individuati, tra cui la malattia, al lavoratore, ove non competano, per legge o per contratto, forme di previdenza o assistenza, è dovuta dal datore di lavoro la retribuzione nella misura e nel tempo stabiliti dalle leggi speciali, dal contratto collettivo, dagli usi o secondo equità; dall'altro, dalle norme dei contratti collettivi di lavoro, che stabiliscono il trattamento normativo ed economico delle assenze per malattia del prestatore: in particolare, e per quanto qui di stretto

interesse, individuano, per il primo profilo, il periodo di conservazione del posto cui ha diritto il lavoratore in caso di interruzione del servizio dovuta a malattia o infortunio non sul lavoro, e, per il secondo profilo, il trattamento retributivo per detto periodo. A quest'ultimo riguardo, normalmente si tratta, per le categorie operaie e intermedie dell'industria, di una integrazione di quanto il lavoratore percepisce dall'i.n.p.s. a titolo di indennità di malattia, mentre, per impiegati, quadri e dirigenti industriali, della corresponsione, nei limiti previsti dai singoli contratti, della retribuzione a totale carico azienda (non essendo prevista per queste categorie l'erogazione dell'indennità a carico I.N.P.S.). Inquadramento della fattispecie nello schema della tutela aquiliana dei diritti di credito La materia del diritto al risarcimento dei danni patiti dal datore di lavoro, che, senza ricevere temporaneamente la prestazione lavorativa del dipendente infortunato a causa del fatto illecito di un terzo, estraneo al rapporto contrattuale, è tuttavia tenuto, per norma di legge o di contratto collettivo, a corrispondere la retribuzione ed a pagare i contributi durante l'assenza, è stata oggetto di lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. L'attenzione al tema da parte della giurisprudenza, in particolare, ha preso avvio da un obiter dictum contenuto nella sentenza 11 luglio 1978, n. 3507, della Corte di Cassazione che, nel respingere la domanda del lavoratore che, pur avendo continuato a percepire durante l'assenza dal lavoro per invalidità temporanea assoluta, prodotta da un incidente stradale con responsabilità di terzo, l'intera retribuzione dal proprio datore di lavoro, pretendeva il risarcimento del danno anche dal terzo responsabile, aggiunse che, in realtà, in tali casi, "il vero danneggiato risulta essere il datore di lavoro costretto, per legge o per contratto, a continuare i pagamenti al lavoratore sebbene questi non sia in grado di eseguire la prestazione lavorativa, situazione producente la lesione del diritto di credito ad opera di un terzo anziché da parte del soggetto giuridicamente tenuto all'adempimento nei riguardi del creditore". In realtà, è necessario ritornare ad una decisione un po' più risalente, 15 gennaio 1971, n. 174, resa dalla Cassazione a Sezioni Unite, per vedere affermata la tutela aquiliana (cioè extracontrattuale) del diritto di credito, problematica più generale nella quale si inquadra l'aspetto particolare della risarcibilità del danno del datore di lavoro che, in conseguenza della forzata inattività di un suo dipendente determinata dal fatto illecito del terzo, è comunque obbligato a pagare la retribuzione e a versare i contributi. In quella occasione le Sezioni Unite hanno affermato, per la prima volta, il principio della risarcibilità dei danni conseguenti alla lesione di una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento come diritto, sia questo un diritto soggettivo assoluto (quale, ad esempio, la proprietà) o un diritto relativo (quale, appunto, il diritto di credito). La portata innovativa della pronuncia riguarda proprio l'affermata risarcibilità della lesione arrecata da un terzo al diritto di credito (c.d. tutela aquiliana del credito); in altri termini, consiste nella riconosciuta applicabilità, anche a questa fattispecie, dell'art. 2043 c.c., ai sensi del quale "qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno": l'ingiustizia del danno, che obbliga al risarcimento il responsabile del fatto, può dunque configurarsi, a seguito della pronuncia in parola, anche rispetto al diritto di credito. Questa sentenza e quella successiva n. 3507 del 1978 prima citata, hanno creato le premesse al riconoscimento, da parte della magistratura, del danno del datore di lavoro che perda temporaneamente le prestazioni del lavoratore per fatto illecito del terzo, perdurando l'obbligazione retributiva e contributiva, e quindi di un diritto dello stesso al conseguente risarcimento a carico del

terzo responsabile. Questo riconoscimento, in particolare, lo si deve alla decisione 12 dicembre 1988, n. 6132, resa dalla Cassazione a Sezioni Unite, chiamata a comporre due indirizzi diametralmente opposti sul tema espressi dalla Corte in precedenti sentenze. Con questa pronuncia, la Corte, per giungere alla positiva soluzione del problema, ha ricondotto la fattispecie nell'alveo della più generale tematica che va sotto il nome di "tutela aquiliana del credito". La Corte ha ritenuto che la logica del rischio d'impresa, in base alla quale il legislatore ha posto a carico del datore, entro certi limiti, con la norma di cui all'art. 2110 sopra richiamata, le conseguenze della malattia del dipendente, vale solo nei rapporti interni fra le parti del rapporto di lavoro, ossia nei casi un cui la malattia sia determinata da cause, per così dire, naturali; non può, invece, operare quando il mancato funzionamento del sinallagma tipico del rapporto di lavoro (costituito, da un parte, dalla prestazione lavorativa, e dall'altra, dalla retribuzione) sia dovuto all'azione illecita del terzo, estraneo al rapporto. Quando il datore viene privato della prestazione del dipendente per fatto illecito del terzo - e quindi si è in presenza di una colposa alterazione del sinallagma contrattuale - il rischio del pagamento della retribuzione al lavoratore assente per malattia non può essere addossato al datore di lavoro, ma di esso deve rispondere il terzo responsabile, il fatto del quale "priva contestualmente il debitore (cioè, il lavoratore) della sua integrità fisica e il creditore (cioè, il datore di lavoro) delle prestazioni lavorative che gli erano dovute". Secondo questa lettura, il datore di lavoro è quindi direttamente leso nel proprio diritto di credito (alla prestazione lavorativa) dal fatto del terzo, il quale è tenuto a risarcire i danni ex art. 2043 cod. civ.. Voci di danno risarcibile L'area del danno risarcibile è stata delimitata dalla citata sentenza n. 6132/1988, ai cui principi si è poi adeguata la prevalente giurisprudenza di merito e legittimità successiva, nel seguente modo. Retribuzione pagata "a vuoto" La prima voce di danno che il datore di lavoro può chiedere al terzo responsabile è costituita dall'ammontare della retribuzione pagata "a vuoto" in conseguenza della mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative. La retribuzione deve essere considerata in tutte le sue componenti, quindi non solo le voci correnti, ma anche gli elementi accantonati in vista di una liquidazione differita (quali, quote di TFR, ratei di tredicesima ed eventuale quattordicesima mensilità, premi vari, ecc.). Competono anche gli accessori (interessi e rivalutazione monetaria) dalla data di pagamento della retribuzione a vuoto a quella di risarcimento. Per questa posta di danno non sono richieste deduzioni o prove particolari, se non quella dell'avvenuto esborso delle somme. Ovviamente, il risarcimento riguarda le sole somme a carico dell'azienda; non si estende all'indennità di malattia anticipata per conto dell'i.n.p.s., alla cui richiesta di risarcimento è legittimato l'istituto e non il datore di lavoro.

Maggior spesa per sostituzione del dipendente Nel caso in cui la prestazione del lavoratore infortunato sia fungibile e l'azienda, per evitare guasti e sconvolgimenti nell'attività imprenditoriale ed assicurarne la prosecuzione, abbia la necessità di sostituirla nel periodo in cui perdura l'assenza, avrà diritto, subordinatamente alla prova rigorosa di tale necessità, al risarcimento dell'eventuale maggior spesa sopportata per la concreta sostituzione. In altri termini, qualora l'azienda abbia la necessità di sostituire il lavoratore assente, per evitare le negative incidenze dell'assenza sull'efficienza produttiva, e lo stipendio pagato al sostituto fosse, in ipotesi, maggiore di quello erogato al sostituito, potrà ripetere dal terzo anche tale differenza, dando prova di tale necessità. La ripetizione non può evidentemente estendersi all'intera retribuzione corrisposta al sostituto, in quanto, se così fosse, l'azienda verrebbe a fruire gratuitamente della prestazione di questi. Maggior danno per l'impossibilità della sostituzione Ulteriore voce di danno che il datore di lavoro può lamentare è la perdita dovuta alla impossibilità di ottenere una prestazione equivalente, in sostituzione del lavoratore, ad esempio per l'infungibilità della prestazione. Anche in tal caso il diritto al risarcimento è comunque subordinato alla prova rigorosa di tale impossibilità e della conseguente perdita. Contributi previdenziali Ulteriore, specifica voce di danno, che il datore di lavoro ha titolo di reclamare, è costituita dai contributi previdenziali obbligatoriamente versati dal datore di lavoro sull'ammontare della retribuzione dovuta al dipendente. A questo riguardo, le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 6132 più volte citata e la giurisprudenza successiva hanno affermato che, in caso di mancata prestazione lavorativa, il danno del datore di lavoro non è dato esclusivamente dalla retribuzione corrisposta al lavoratore ma dal costo complessivo di tale prestazione, che, pertanto, comprende anche l'importo dei contributi previdenziali, ai quali il datore di lavoro non può sottrarsi. Anche per questa specifica posta di danno, al pari di quella rappresentata dallo stipendio, basta la prova dell'avvenuto pagamento. Si può pertanto concludere che, in assenza di prove concernenti danni specifici, ulteriori, al datore di lavoro compete il risarcimento delle somme pagate a titolo di retribuzione, corrente e differita, e di contributi previdenziali obbligatori (compreso, si ritiene, il premio di assicurazione I.N.A.I.L.). Morte del debitore della prestazione Se la conseguenza del fatto illecito del terzo fosse la morte istantanea del lavoratore, e non la sua temporanea inabilità assoluta, i principi suddetti non troverebbero applicazione. La morte del debitore, infatti, fa definitivamente cessare entrambe le obbligazioni, tanto quella del lavoratore alla prestazione lavorativa, quanto quella del datore al pagamento del corrispettivo. Soci di società di persone: applicazione dei medesimi principi

Il principio della risarcibilità della lesione del credito da mancata prestazione, sopra illustrato, consolidato ormai nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, è stato ritenuto applicabile anche alla prestazione di lavoro dei soci nelle società di persone. Tale estensione è stata operata dalla Corte di Cassazione con recente sentenza 4 novembre 2002, n. 15399, che ha distinto a seconda che la prestazione del socio in favore della società sia svolta nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato, ovvero costituisca solo il conferimento di lavoro del socio nei termini del contratto sociale. Nel primo caso, l'assenza del socio dovuta ad azione illecita del terzo potrà produrre le stesse voci di danno sopra illustrate trattandosi di lavoratore dipendente. Nel secondo caso, in cui la prestazione lavorativa del socio, assente per fatto illecito del terzo, costituisce un conferimento di lavoro compensato solo con una partecipazione agli utili, il danno per la società di persone potrà consistere in una diminuzione degli utili. Questa diminuzione di utili, se provata, potrà essere risarcita alla società dal terzo danneggiante a condizione che non venga assorbita da una diminuzione della quota degli utili corrisposta al socio danneggiato. Se ci fosse una previsione in tal senso, nessun pregiudizio potrà lamentare la società nei confronti del terzo; sarà invece il socio, che ha subito il danno alla propria persona, legittimato a chiedere al danneggiante il risarcimento della patita diminuzione della propria quota di utili. Schema di richiesta di risarcimento del danno La richiesta di risarcimento del danno deve essere inoltrata al terzo obbligato (proprietario del veicolo, e, se diverso, anche conducente, obbligati in solido) entro il termine prescrizionale di due anni dal giorno in cui il fatto illecito si è verificato, tramite raccomandata con avviso di ricevimento. Per prassi, ove siano noti gli estremi della compagnia presso cui l'obbligato è assicurato, la richiesta viene inviata anche a quest'ultima (sede legale e Agenzia territoriale che gestisce il rapporto assicurativo), che generalmente provvede direttamente alla liquidazione. Agli effetti può essere utilizzato lo schema riprodotto alla pagina seguente: lo schema prende in considerazione solo il danno da retribuzione e contributi assicurativi pagati per il periodo di assenza del prestatore. Qualora si possano dimostrare danni ulteriori, si dovrà integrare lo schema con tali ulteriori voci di danno. Documenti allegati Allegato lesione.doc