di Gianluca Miligi Nella prima parte dell intervento Baudrillard riassume alcune delle sue tesi filosofiche e sociologiche sul rapporto tra immagini e realtà nella società mediatica contemporanea, per poi lasciare spazio a un acuto e suggestivo discorso sull immagine intesa come fotografia. Partiamo dall inizio: il filosofo francese articola le note tesi sulla violenza delle immagini e sulla connessa scomparsa del reale. Se tutto deve diventare ricco di immagini, di informazione, di virtuale, il cruciale effetto negativo è appunto la scomparsa della realtà. Come bisogna intendere e svolgere il senso del termine scomparsa : questo è il punto nodale. Per completare però il quadro iniziale, subito dopo Baudrillard afferma inoltre che il «commercio delle immagini genera una potentissima indifferenza nei confronti del reale». In questo primo passaggio si tengono insieme due differenti prospettive, l una più filosofica, l altra più sociopsicologica. Una cosa, infatti, è (a) la scomparsa della realtà, realtà che pare ritrarsi su un ipotetico sfondo al punto di non essere più conoscibile: diviene così un incognita, una X: e il «reale diviene un insieme di finzioni» (la caverna platonica ). L immagine paradossalmente diviene autonoma e autoreferenziale, e non più immagine di qualcosa. Altra cosa invece è (b) l indifferenza nei confronti del reale, che comunque sentiamo come tale - come ciò che ci circonda, che però esiste solo genericamente : un ossimoro - o, in altri termini, l incapacità di avere della realtà un esperienza diretta e/o una conoscenza mediata sì, ma non dalle immagini (ad esempio, un conto è credere che uno spaccato della vita cinese visto in un servizio televisivo sia la Cina, un conto aver vissuto in quel Paese o aver quantomeno letto libri che lo riguardano, conoscerne storia, cultura, pensiero etc.). Torniamo al primo punto per svolgerlo nei suoi aspetti impliciti: la realtà non può scomparire al 1 / 5
punto tale che ci ritroviamo totalmente a vivere le immagini, il virtuale, come la realtà stessa. Perché, in questo caso, avremmo piuttosto il passaggio da una realtà precedente quella d esperienza e conoscenza vera o reale, a una realtà falsa o virtuale. Impossibile quindi prescindere, in senso assoluto, dal fatto di percepire qualcosa come reale, poiché la realtà permane almeno come funzione cognitiva strutturale. Inoltre, e qui abbiamo un punto delicato: fintanto che ciò che vediamo, le immagini, ci confondono, ci stordiscono e ci impediscono di dist inguere il grado di adeguazione alla, o di rappresentazione della, realtà, si ha pur sempre in qualche modo la possibilità di invertire quello stato e recuperare una minima capacità di fare chiarezza (capacità critica, e ciò significa essere in grado di operare distinzione di piani). Diverso è il caso in cui si crede che quelle immagini siano (parte della) realtà : e qui, a nostro serio giudizio, siamo al limite del campo delle psicopatologie. Il discorso di Baudrillard intorno al tema risulta più acuto e estremo rispetto a quello svolto da un altro critico della società dello spettacolo o dell immagine, Guy Debord. Per Baudrillard non si verifica solo un dominio dell immagine o dello spettacolo sulla realtà il dominato, con tutte le rovinose conseguenze psicologiche, sociali, ideologiche, nel nostro rapporto col mondo. Si verifica, infatti, come detto, la scomparsa della realtà o metaforicamente l uccisione della realtà, operata, come recita il titolo di un suo noto libro, dalla Televisione. Ma a scomparire o morire è sempre la realtà reale, non la realtà tout court, cosa impossibile dal punto di vista cognitivo e fenomenologico. Trionfa quindi quella realtà producibile, anche grazie alle sempre più potenti tecnologie, nel quadro di uno spesso strumentale commercio delle immagini : il reale come insieme di finzioni variamente manipolabili. A questa soglia estrema perviene e si ferma la prospettiva teorica di Baudrillard: ma la soglia la scomparsa della realtà è pur sempre fenomeno, qualcosa che si osserva, si conosce ha sempre un oltre, quello della scomparsa delle stessa scomparsa della realtà, della sua completa rimozione. Ciò delineerebbe un mondo in cui il soggetto vive nella dimensione della follia, in quanto non sarebbe più in grado di distinguere, a nessun livello, tra immagine o finzione che si offre come realtà e realtà in sé. Ma sull apertura di questo versante del discorso, che può svolgersi e in senso psicologico e in senso oltremodo filosofico, ci fermiamo per continuare a seguire Baudrillard nei punti-chiave del suo intervento. Quando tutto viene messo in mostra non c è più nulla da vedere : così avviene nei reality show, in cui persino il pubblico viene a farne parte, in un gioco che, contrariamente al nome dello spettacolo, dissolve la realtà appiattendo tutto su una superficie insignificante. Se diventare immagine comporta esporre tutto, allora non è più possibile conservare alcun segreto ( non abbiamo più nulla da nascondere : un oscenità). Perché questo si mantenga, è innegabile, bisogna che qualcosa resti celato, ossia non convertito in immagine; aggiungiamo che solo così si lascia spazio alla facoltà di immaginazione. Ciò comporta una forma di violenza dell immagine sul singolo, in quanto l immagine 2 / 5
medesima, possiamo dire, assoggetta a sé chi investe, lo spettatore, il soggetto, con l effetto di farlo diventare piuttosto un oggetto. Analoga violenza sul piano del linguaggio, invece, fa sì che il linguaggio perda la sua dimensione simbolica, la più importante, sostiene Baudrillard. Ma non c è solo la violenza esercitata dalla immagine, bensì anche la violenza perpetrata alla immagine: un punto senz altro originale della sua analisi. Con la produzione incessante delle immagini, col loro indiscriminato sfruttamento, «finisce il destino dell immagine come illusione fatale, vitale». In questo siamo, controintuitivamente, degli iconoclasti, come a Bisanzio, ma da posizione e motivazioni opposte (nell ottavo secolo d. C., l imperatore Leone III con un editto dichiara il culto delle immagini sacre alla stregua di quello di idoli ordinando la distruzione di queste immagini nelle chiese). La produzione totale dell immagine, infatti, distrugge il senso di quest ultima: non c è più vera immagine, medesimo risultato della diretta negazione-proibizione dell immagine stessa (potremmo dire che iconoclastia e iconofilia o iconolatria assoluta in fondo vengano a coincidere nell effetto). A questa acuta ma pessimistica disamina segue una domanda, inevitabile: è possibile uscirne? All interlocutore Baudrillard risponde che è solo possibile resistere al flusso, al movimento, all accelerazione col silenzio e l immobilità della fotografia, col segreto di una singola immagine. Resistere perciò allo scatto automatico delle immagini e al loro succedersi perpetuo : ecco la cura proposta dal filosofo francese, la resistenza mediante l opposto. In fondo non sembrano profilarsi altre soluzioni plausibili. Che cos è allora la fotografia? «La consacrazione di tutto quello che a forza di essere detto, a forza di essere affaticato dai discorsi deve subire una metamorfosi», deve trasformarsi in qualche altra cosa. L immagine, la fotografia, quindi ci pare una definizione molto suggestiva è la più bella metamorfosi del discorso. Qui sembrano convivere, più o meno consapevolmente, due piani: uno è quello che della fotografia coglie l essere altro dal discorso quasi un anticipazione in una vita precedente, cioè l essere ciò che non dis-corre, che non viene consumato in una infinita sequenza. L altro è la capacità, sostiene Baudrillard, della fotografia di cogliere il dettaglio significativo, il punctum, come lo definisce Barthes: «come una freccia, mi trafigge. [...] Io sono attratto da un particolare. Io sento che la sua sola presenza modifica la mia lettura, che quella che sto guardando è una nuova foto, contrassegnata ai miei occhi da un valore superiore 3 / 5
. Questo particolare è il punctum (ciò che mi punge)» (cfr. Roland Barthes, La camera chiara ). Tocchiamo un sottofondo filosofico più forte: sembra infatti emergere una portata noetica della fotografia: essa coglie il nucleo, la determinatezza di un oggetto, di uno stato di cose, di un fenomeno, esponendolo alla percezione. Possiamo integrare, dalla nostra prospettiva, il discorso: parlare di noesi, che ovviamente qui non è puro pensiero né intuizione, in quanto è comunque esperienza visiva consiste perciò in una dimensione fenomenologica, non vuol certo implicare che la fotografia sia in grado di dire tutto, al contrario. È forse proprio attraverso il dettaglio o punctum dell oggetto, della situazione etc, che può giungere a evidenza la sua, dell oggetto, irriducibile determinatezza. Ma non tutti gli oggetti chiedono di essere fotografati, prosegue Baudrillard, perché deve darsi quella che definisce seduzione duale : è l oggetto a richiamare l obiettivo, potremmo dire. Questo punto di vista è «opposto a quello dei fotografi professionisti, artisti, che vogliono avere un punto di vista soggettivo, una visione personale e specifica del mondo». Se questo non può essere del tutto eliminato, da riconoscere però che troppo spesso risultano preponderanti l autocompiacimento, le mere velleità artistico-creative e gli effetti di artificiosità. Qui cade, senza che Baudrillard vi faccia cenno, anche una questione, secondaria, relativa alla querelle tra fotografia analogica e fotografia digitale (senza rielaborazioni-manipolazioni con i programmi di fotoritocco) [1], piuttosto sterile se si accoglie la sua concezione, che mette in risalto, come detto, il lato oggettivo, l importanza evocativa dell oggetto, dell immagine fotografica. Il discorso di Baudrillard si conclude con un accentuazione filosofica che parte da questa analisi: egli parla di un di un quasi rapporto metafisico tra il soggetto e l oggetto, in cui il rischio è che non solo il soggetto ma anche l oggetto scompaia. Ma qui giungiamo al punto conclusivo dell intervento concernente la questione del mondo. Troppo spesso è la critica di Baudrillard, si crede che il mondo sia passivo, inanimato, materiale, invece l ipotesi radicale avanzata è che esso sia al contrario attivo e che ci voglia sedurre. In sintesi possiamo dire che dal mondo ci proviene sempre un appello, per cui ciò che ci serve è saper rispondere a questa seduzione : il giusto approccio alla fotografia, sopra descritto, è una delle possibili risposte. 4 / 5
[1] Qui bisogna ricordare che le moderne macchine fotografiche digitali producono foto in vari formati: il jpeg, p.e., in cui l immagine è compiuta in un file, poi modificabile solo mediante l uso di software: è come se si correggesse, con amplissime possibilità, un quadro. Ma è possibile scattare anche in formato raw ( grezzo ): al momento dello scatto vengono registrati tutti i valori numerici dei parametri apertura diaframma, tempo di posa, etc., che definiscono quella foto (non l inquadratura ovviamente): cosa si può fare se essa non soddisfa per le sue caratteristiche? Variando i valori dei parametri stessi è come se si ritornasse al momento e al luogo (magari dall altra parte del mondo) dello scatto ma con un impostazione differente: ciò consente quindi di avere un altra foto, la quale poi può essere "tradotta" in un file-immagine compiuto. Già quanto detto crea, all interno della fotografia digitale, due diverse opportunità: la seconda sicuramente di taglio tecnico e professionale, che aderisce più alla fotografia tradizionale su pellicola: in questo caso, una volta scattata, la foto nel bene o nel male rimane per sempre sé stessa. La tecnologia col suo progredire propone nuove questioni e ne rende complesse altre. 5 / 5