INU - Gruppo di lavoro Politiche e strumenti per la residenza sociale Edilizia Residenziale Sociale: una nuova stagione



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INU - Gruppo di lavoro Politiche e strumenti per la residenza sociale Edilizia Residenziale Sociale: una nuova stagione Negli ultimi anni, nel dibattito politico italiano, è tornato un nuovo interesse per la questione abitativa che, negli anni 90, era stata frettolosamente archiviata sulla base dei dati che rilevavano la crescita assoluta del patrimonio residenziale, molto oltre lo standard di un vano ad abitante, e l incremento della proprietà dell alloggio, che interessa ormai oltre l 80% delle famiglie. I nuovi fattori di crisi possono essere così sintetizzati: 1. la forte crescita dei valori immobiliari, iniziata nel 1994 e proseguita ininterrottamente fino al 2007, ha avuto una forte ricaduta sui valori degli affitti, incompatibile con il livello attuale dei salari; 2. la recente crescita dei tassi di interesse sta mettendo in difficoltà le famiglie che hanno contratto un mutuo per l acquisto dell alloggio; 3. la crescita delle forme di lavoro a tempo determinato, in particolare per i giovani, rende meno praticabili le forme tradizionali di accesso all abitazione in proprietà (acquisto con mutuo garantito dal contratto di lavoro); 4. la ripresa di migrazione interna, che si assomma all immigrazione extracomunitaria, richiede un maggiore stock abitativo in locazione. La questione abitativa non si pone più, quindi, come una questione di carenza assoluta del bene casa, quale poteva essere negli anni del dopoguerra, né di una carenza localizzata nelle aree di forte immigrazione, riscontrata negli anni del boom economico fino a tutti gli anni 70. Oggi la crisi degli alloggi è associata prevalentemente alle modalità dell offerta (affitto) ed all incidenza della rendita (il prezzo dei suoli) sul prezzo finale: la crescita dei valori immobiliari, sproporzionata rispetto alla capacità di reddito delle famiglie, e l alta percentuale di famiglie proprietarie generano una forte rigidità del mercato che penalizza soprattutto chi deve accedere per la prima volta all abitazione. Rispetto a queste nuove condizioni del mercato, le politiche abitative impostate con la legge 167/62, complessivamente strutturate come Edilizia Residenziale Pubblica, rivelano gravi fattori di crisi. Infatti le politiche abitative derivate dalla 167/62 si sono strutturate su tre pilastri: 1. la riduzione del costo dei suoli attraverso l esproprio delle aree; 2. l investimento pubblico nell edilizia sovvenzionata (in particolare tra gli anni 70 ed 80) che ha sostenuto l offerta abitativa in locazione per le fasce di reddito più basso; 3. l offerta privata di edilizia agevolata a prezzi convenzionati, contenuti grazie alla riduzione del costo dei suoli, per estendere la base sociale dell abitazione in proprietà. Il primo fattore di crisi si registra, a partire dagli anni 90, con l estinzione del canale di finanziamento pubblico dell ERP, le cosiddette ritenute GESCAL sui salari dei lavoratori dipendenti, che ha spostato l equilibrio tra l edilizia sovvenzionata e l edilizia convenzionata ed agevolata a vantaggio della seconda, trasformando progressivamente le politiche abitative in intervento a sostegno dell offerta e, quindi, della produzione mediante il contenimento del costo dei suoli e le agevolazioni creditizie all acquisto - più che di sostegno alla domanda. Le politiche abitative derivate dalla legge 167/62 si sono così allontanate dall epicentro del problema, ossia dalla domanda di chi non riesce neanche a pagare l affitto sul libero mercato. La risposta a questa domanda è stata invece affidata da un lato al patrimonio residenziale pubblico, divenuto però residuale poiché non incrementato con nuovi investimenti ma contemporaneamente interessato da diffusi processi di vendita, e, dall altro, alle politiche sociali di sostegno alla persona, ossia al fondo sociale per l affitto, destinato a coprire le spese sostenute dagli inquilini per i canoni determinati sul libero mercato. L altro fattore di crisi strutturale dell Edilizia Residenziale Pubblica è la crescita costante dei costi dell esproprio: con la legge 865/71 questi erano parametrati sul valore agricolo delle aree; già nel 1992 essi salgono a circa la metà del valore di mercato; attualmente infine fanno riferimento al valore di mercato pieno. È evidente che l esproprio non può più svolgere il ruolo di contenimento dei costi a scapito della rendita, e questi sviluppi mandano in crisi anche l edilizia convenzionata.

È evidente quindi che anche l acquisizione delle aree necessarie a promuovere le politiche abitative, come già l acquisizione delle aree destinate al verde e ai servizi, deve essere affidata alle modalità perequative previste dai piani di ultima generazione. Dall edilizia residenziale pubblica all edilizia residenziale sociale Di edilizia residenziale sociale, come campo di intervento distinto dall edilizia residenziale pubblica, si parla dal 2006, accomunando in questa dizione le diverse esperienze promosse dai comuni delle principali città italiane che, pressati dalla domanda sociale ed in assenza di risorse nazionali, hanno sperimentato nuove procedure per sostenere l offerta di alloggi in affitto, al di fuori del solco tracciato dalla legge 167/62. L edilizia residenziale sociale si distingue dall edilizia residenziale pubblica perché: 1. non si basa necessariamente sull esproprio delle aree, ma usa invece principalmente le aree acquisite consensualmente attraverso la perequazione, ovvero aree già pubbliche disponibili per la trasformazione urbanistica; 2. corollario contenutistico di questa differenza procedurale è anche la tendenza dell ERS ad inserirsi come una componente all interno di trasformazioni urbanistiche non specializzate; a sostituire perciò il modello dei quartieri interamente costituiti da ERP con residenze sociali integrate all interno di tessuti socialmente misti; 3. è finalizzata a produrre alloggi in affitto, non solo a canone sociale, ma su una vasta gamma di articolazioni del canone, proprio perché il problema dell affitto ormai non tocca più solo le fasce sociali più deboli; 4. cerca di coinvolgere risorse private nell investimento immobiliare remunerato con i rendimenti da affitto, sostenendo la nascita di nuovi soggetti economici ed etici attraverso nuove opportunità di rapporto pubblico/privato: l offerta di suoli o di diritti urbanistici pubblici; l impegno del comune come garante del pagamento dei canoni; la possibilità di realizzare una quota di alloggi per la vendita ad integrazione dell intervento di realizzazione degli alloggi in locazione. Questi caratteri ci fanno percepire l edilizia residenziale sociale come un attività che solo in parte si sovrappone all edilizia residenziale pubblica: in particolare essa può comprendere l edilizia sovvenzionata e la cooperazione a proprietà indivisa, ma include anche l iniziativa delle fondazioni dell housing sociale; appare invece marginale, al suo interno, l edilizia convenzionata ed agevolata orientata alla vendita. Peraltro, essendo l edilizia un settore produttivo, per consentire ad un suo segmento di usufruire di sovvenzioni pubbliche con finalità sociali, la disciplina comunitaria richiede che sia delimitato giuridicamente il campo dell edilizia residenziale sociale. La legge 9/2007 ha affidato questo compito di definizione al Ministro delle Infrastrutture, di concerto con i Ministri della solidarietà sociale, delle politiche per la famiglia e per le politiche giovanili e le attività sportive, di intesa con la Conferenza Unificata Stato regioni città ed autonomie locali. Il lavoro di questo tavolo di confronto istituzionale è stato lungo e si è concluso solo con il Decreto Interministeriale approvato in C.U. il 20.03.2008. Nel frattempo, i commi 285 e 286 dell articolo 2 della legge 244/2007 (finanziaria del 2008) hanno anticipato la definizione di alloggio sociale, e i commi 258 e 259 dell articolo 1 della stessa legge hanno previsto nuove forme di incentivazione all edilizia residenziale sociale. Nella definizione di ERS data dai due strumenti legislativi, emergono alcune significative differenze in rapporto ad alcune questioni: 1. La durata dell affitto. La legge 244/2007, al comma 285 dell articolo 1, definisce come residenze di interesse generale destinate alla locazione i fabbricati situati nei comuni ad alta tensione abitativa composti da case di abitazione non di lusso sulle quali grava un vincolo di locazione ad uso abitativo per un periodo non inferiore a 25 anni. Il Decreto Interministeriale, al comma 2 dell articolo 1, definisce invece l alloggio sociale come unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente ; al successivo comma 3 del medesimo articolo, il decreto include però nella stessa definizione gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici o privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche

quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno 8 anni ed anche alla proprietà. La riduzione del vincolo di locazione a soli 8 anni pone un serio problema di sostenibilità urbanistica nelle politiche abitative. Infatti le agevolazioni pubbliche, soprattutto l assegnazione di aree e gli incentivi urbanistici, determinano carichi urbanistici (e vantaggi privati) permanenti in cambio di benefici sociali assolutamente transitori. Questo scambio potrebbe essere accettabile se noi ritenessimo solo congiunturale la penuria di alloggi in locazione, che pertanto richiederebbe una risposta emergenziale. Tale carenza sembra però strutturalmente legata alle nostre città o, almeno, alle grandi aree urbane. Per governare una materia fluida come le modalità d uso del patrimonio abitativo occorrerebbe affermare un principio di simmetria nella durata dello scambio: impegni temporanei nell uso degli immobili dovrebbero essere favoriti solo con incentivi reversibili, come agevolazioni fiscali; misure permanenti, quali incentivi urbanistici o l assegnazione di aree, dovrebbero invece accompagnare l offerta di alloggi in locazione permanente, o almeno vincolati per un periodo abbastanza lungo (25 o 30 anni) da rendere non significativo per gli investitori il valore residuo. 2. La localizzazione nelle aree di tensione abitativa. Tra la definizione della legge 244/2007 e quella del decreto è scomparsa la condizione di localizzazione nei comuni a forte domanda abitativa. Certamente, rispetto ai fenomeni di integrazione territoriale nelle aree metropolitane, appare limitativa l individuazione dei soli grandi comuni capoluogo ma, nell attuale limitatezza delle risorse per le politiche abitative, appare necessario concentrare le azioni dove maggiore è la necessità. 3. L inserimento nell edilizia sociale delle abitazioni destinate alla proprietà. Questa è un ulteriore differenza tra i due provvedimenti, ed è stata oggetto di discussione in molte sedi. Molte esperienze di edilizia sociale promosse dai Comuni hanno integrato la realizzazione di alloggi per l affitto con la produzione di edilizia per la vendita a prezzi convenzionati oppure a prezzi di mercato. Appare evidente però che, se l oggetto principale dell edilizia sociale è l offerta di abitazioni in locazione, la quota in vendita è strumentale al raggiungimento dell equilibrio finanziario per poter coinvolgere risorse private. Piuttosto che estendere il campo dell edilizia sociale alla produzione di alloggi in proprietà, ripercorrendo così la strada già seguita dall ERP, sembrerebbe più coerente definire modalità di realizzazione dell edilizia in affitto che, in maniera trasparente, integrino fisicamente e finanziariamente forme diverse di offerta abitativa. 4. L assimilazione a standard aggiuntivo. Entrambi i provvedimenti prevedono che siano acquisite gratuitamente le aree per l edilizia sociale assimilandole ad uno standard aggiuntivo. La formulazione però è abbastanza diversa nei due testi. Nella legge 244/2007 si prevede che, in aggiunta agli standard, negli strumenti urbanistici sono definiti ambiti la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari. di aree o immobili da destinare all edilizia residenziale sociale, in rapporto al fabbisogno locale e in relazione all entità ed al valore della trasformazione. In tali ambiti è possibile prevedere, inoltre, l eventuale fornitura di alloggi a canone calmierato, concordato e sociale. Nel decreto invece si afferma solamente che l alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali. Il testo di legge: affida ai piani urbanistici la definizione (individuazione e quantificazione) dell offerta di ERS; prevede la cessione di aree o di immobili per l ERS come condizione per la trasformazione urbanistica di alcuni ambiti, senza definire esplicitamente come standard tali aree e immobili; corregge significativamente la logica omologante dello standard rapportando la quantità delle aree da cedere per ERS, oltre che alla dimensione della trasformazione (proporzionalità), anche al fabbisogno locale (intensità della domanda) ed al valore economico della trasformazione (fattibilità perequativa). Il decreto invece: assimila l ERS ad uno standard urbanistico aggiuntivo;

rinvia alle leggi regionali le modalità di individuazione delle aree da cedere. Al di là della questione nominalistica del definire l ERS come standard, o standard aggiuntivo o quota delle trasformazioni vincolata a finalità sociali, occorre ribadire la diversa natura delle aree per ERS rispetto allo standard per spazi e servizi pubblici o di uso pubblico. Le aree di standard costituiscono la città pubblica, conformano il disegno dello spazio pubblico e delle emergenze funzionali collettive e fungono da contrappeso urbanistico rispetto ai pesi insediativi. L ERS, anche quando è di proprietà pubblica, serve per un uso privato quale l abitare e costituisce comunque un peso insediativo da controbilanciare con altri standard di spazi pubblici. Tale differenza deve mettere in guardia rispetto ad un uso indifferenziato - per ERS o per spazi collettivi - delle aree pubbliche acquisite come standard, per evitare di abbassare la qualità urbana delle nostre periferie. L uso del concetto di standard per le aree acquisite gratuitamente per l ERS richiede inoltre una seconda avvertenza riguardo al regime delle aree. Le aree di standard sono ovviamente vincolate alla proprietà pubblica e costituiscono patrimonio indisponibile dell Ente Locale. Estendere questo regime alle aree di ERS può comportare dei limiti di operatività. Infatti, nelle sperimentazioni avviate dai comuni per realizzare alloggi in affitto con partnership private, il piano finanziario si sostiene spesso con la realizzazione di abitazioni in proprietà o in diritto di superficie. Proprio in considerazione del valore strumentale delle abitazioni in proprietà, sarebbe auspicabile che i comuni avessero anche la possibilità di alienare le aree acquisite per ERS, quando il trasferimento di proprietà è funzionale alla realizzazione di edilizia pubblica in affitto, in analogia con quanto avviene per le opere connesse nelle concessioni di lavori pubblici (art.143, c.5 ed art. 53, c.6 del D.lgs.163/2006). 5. Le modalità di coinvolgimento e selezione dei partner privati. Anche su questo punto tra i due testi emergono differenti possibilità. La legge, oltre alle già citate modalità impositive rispetto ai proprietari di aree edificabili, assimilabili a nuovi obblighi di standard aggiuntivo, prevede anche forme di incentivazione urbanistica: il comma 259 dell art.1, dispone che i comuni, al fine di realizzare interventi di edilizia residenziale sociale, di rinnovo urbanistico ed edilizio, di riqualificazione e miglioramento della qualità ambientale degli insediamenti, possano consentire un aumento della volumetria premiale nei limiti di incremento massimi della capacità edificatoria. Il decreto invece, accanto alle forme impositive sopra richiamate, al comma 4 dell art.2, prevede che agli operatori pubblici e privati selezionati mediante procedimento di evidenza pubblica per la realizzazione degli alloggi [sociali] spetta una compensazione costituita dal canone di locazione e dalle eventuali diverse misure stabilite dallo Stato, dalle regioni e province autonome e dagli enti locali. Tale compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire i costi derivanti dagli adempimenti degli obblighi del servizio nonché un eventuale ragionevole utile. Gli scenari che emergono dai due provvedimenti identificano strumenti molto diversi; entrambi si possono combinare con le opportunità offerte dall acquisizione perequativa di suoli o di immobili come standard aggiuntivo. Il primo incentiva l offerta di edilizia sociale da parte dei proprietari di aree di trasformazione, attraverso l incremento degli indici e, quindi, accrescendo la dimensione della loro operazione immobiliare. Il secondo intende promuovere la formazione di nuovi soggetti imprenditoriali interessati alla remunerazione dell investimento con rientri prolungati nel tempo costituiti da canoni e misure integrative pubbliche fino al ragionevole utile. In questa seconda modalità appare fondamentale il richiamo alla selezione degli operatori attraverso procedure di evidenza pubblica; è evidente che la scelta competitiva dei partner privati è plausibile in combinazione con un offerta pubblica dei suoli. Conclusioni Entrambi i testi in materia di Edilizia Residenziale Sociale, definiscono il campo ed prospettano possibili linee di intervento, ma rinviano la definizione delle procedure alle leggi regionali ed ai piani comunali.

In vista delle future specificazioni ed applicazioni, interessa ribadire alcune questioni essenziali: Gli interventi pubblici di sostegno all offerta di edilizia sociale, diretti ed indiretti, non possono essere distribuiti a pioggia ma devono essere concentrati in relazione al fabbisogno, ossia dove è maggiore il differenziale tra domanda ed offerta e dove i prezzi di mercato sono più distanti dalla capacità delle famiglie. La programmazione delle azioni pubbliche per l ERS non può avvenire solo a livello comunale ma deve interessare la dimensione metropolitana; con questa finalità le regioni devono ritrovare un ruolo di elaborazione delle strategie e di coordinamento degli enti locali. L edilizia sociale deve mantenere il suo centro di interesse nell offerta di alloggi in locazione, coinvolgendo nei suoi programmi operativi anche l offerta di alloggi in proprietà con funzione strumentale al raggiungimento di equilibri economici degli investimenti, ed alla creazione di un mix sociale orientato alla coesione. L assimilazione dell ERS ad uno standard aggiuntivo, o meglio ad una quota delle trasformazioni orientata alla domanda sociale, non può portare ad un uso indifferenziato delle aree di standard: le aree necessarie per gli spazi pubblici non devono essere usate per realizzare abitazioni; anche gli interventi di edilizia sociale devono essere computati come una componente della domanda, e non dell offerta, di spazi pubblici. Le politiche per l edilizia sociale non devono essere settorializzate, come spesso è avvenuto per l ERP, ma devono essere strettamente integrate nelle politiche urbane, intrecciandosi con le azioni di rigenerazione urbana, a partire da quelle attivate sui quartieri prodotti dalle precedenti stagioni di edilizia residenziale pubblica. Le politiche di edilizia sociale devono essere sostenute da politiche fiscali che agevolino una nuova offerta di alloggi in locazione nel patrimonio abitativo privato esistente, da interventi di riordino della gestione del patrimonio residenziale pubblico, da politiche sociali di sostegno alle persone per integrare il canone sociale e riportarlo a livelli di sostenibilità economica per gli operatori pubblici e privati. 12 aprile 2008