Saggio pubblicato sul libro: Enrico Cheli (cur.) La comunicazione come antidoto ai conflitti. Punto di fuga editore, Cagiari, 2003



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Transcript:

Saggio pubblicato sul libro: Enrico Cheli (cur.) La comunicazione come antidoto ai conflitti. Punto di fuga editore, Cagiari, 2003 Per una educazione dell intelligenza relazionale nella scuola Di Enrico Cheli Grazie all'avvento dei mass media, la comunicazione è divenuta la caratteristica più distintiva dell'epoca attuale, al punto che molti autori hanno coniato, per descriverla, il termine "società della comunicazione". In pochi decenni siamo passati dalle veglie attorno al focolare alla TV, dai libri e giornali su carta agli hypertesti via internet, dai teatri all'home video, dai concerti alla radio e ai CD. Insomma, i media infatti sono entrati a far parte, nel bene e nel male, della nostra vita quotidiana, spesso al punto che non ci facciamo più caso e che non possiamo neppure farne a meno. Non sorprende quindi che la comunicazione sia divenuta un oggetto di studio sempre più centrale e che attorno ad essa ruotino libri, corsi di laurea e professioni. Tuttavia, oltre al grande sviluppo dei media e della ricerca scientifica ad essi relativa, ha avuto luogo negli ultimi decenni anche una considerevole evoluzione nel campo della comunicazione interpersonale, principalmente a seguito del profondo mutamento sociale e culturale innescato dalla controcultura degli anni '60 e '70, che ha scardinato valori e modelli comunicativi basati sulla rigidità dei ruoli, l ipocrisia, la formalità, la repressione della sessualità e delle emozioni e via dicendo, affermandone di nuovi, basati su una maggiore libertà espressiva, su regole relazionali più elastiche e su una maggiore possibilità di sperimentare creativamente. Anche la ricerca scientifica sulla comunicazione e le relazioni interpersonali ha conseguito rilevanti progressi, sia grazie a studi e ricerche in campo socio-psico-antropologico, sia grazie ad esperienze cliniche e terapeutiche, sia infine grazie al diffondersi dei percorsi di empowerment e sviluppo del potenziale umano, caratterizzati da approcci interdisciplinari ed olistici. Ciò nonostante, questo secondo fronte evolutivo è rimasto, per vari motivi, in secondo piano nella percezione collettiva, al punto che, quando si parla di comunicazione, si pensa ormai prevalentemente ai media, quasi ignorando l'ambito interpersonale, che pure è molto, molto importante per il nostro benessere individuale e collettivo.

La comunicazione interpersonale: figlia di un dio minore? La quantità e la qualità delle nostre relazioni con gli altri sono tra i fattori che più incidono, in bene o in male, sulla qualità della vita: esse influenzano la formazione e la continua trasformazione della nostra identità e individualità; determinano il grado di soddisfazione o insoddisfazione nella nostra vita privata: negli affetti, nelle amicizie, in famiglia; si riflettono sulla gratificazione o frustrazione che ricaviamo sul lavoro insomma sono alla base di tutte le principali sfere del nostro vivere sociale. Ciò nonostante sia i singoli che le istituzioni dedicano a queste problematiche ben scarse attenzioni e risorse e i risultati negativi di questa disattenzione non mancano purtroppo di manifestarsi: ne sono chiari esempi i molti anziani che soffrono di solitudine e gli altrettanto numerosi bambini costretti a giocare da soli e a rapportarsi solo con la TV e i videogiochi; l impersonalità quando non la sospettosità e acidità delle relazioni sul posto di lavoro, spesso caratterizzate da conflitti latenti coi colleghi, da invidie e gelosie, da rapporti di pura facciata; i difficili rapporti tra genitori e figli e tra parenti e via dicendo. Al contempo, la percentuale sempre più alta di separazioni e divorzi, e soprattutto la conflittualità che li caratterizza, testimoniano la bassa qualità della comunicazione perfino nelle relazioni di coppia e l'incapacità di affrontare costruttivamente e pacificamente le molteplici e spesso nascoste differenze esistenti tra i partner. Una grave lacuna educativa Il cuore del problema è che nessuno ci ha mai insegnato a comunicare e ad impostare in modi sani e costruttivi i nostri rapporti con gli altri. Impariamo a parlare, a scrivere, a leggere ma nessuno ci insegna ad ascoltare e comprendere realmente l'altro in quanto diverso da noi. Ci viene insegnata una storia umana fatta di conflitti e guerre ma non ci viene detto niente su come poterle evitare. Riceviamo una formazione professionale priva di qualsiasi formazione relazionale che ci prepari ai rapporti che avremo con i colleghi e con i superiori, che pure incideranno in modo notevole, diretto (collaborazione) e indiretto (gratificazione o frustrazione), sul nostro lavoro e quindi anche sul nostro rendimento. Da qualche anno la scuola si occupa perfino di educazione sessuale (o forse è più appropriato chiamarla informazione sessuale ) ma ancora niente viene fatto sul piano della educazione comunicativo-relazionale dei giovani (tra l altro, la maggior parte dei problemi di coppia dipendono da aspetti comunicativi ed emozionali, più ancora che sessuali).

La nostra è certamente una civiltà tecnologicamente avanzata ma è poco più che primitiva sul piano comunicativo-relazionale. La famiglia non ha spesso né la sensibilità per cogliere il problema né le capacità per affrontarlo; la scuola potrebbe avere (o trovare) le capacità ma sembra assai lontana dalla sensibilità; l'università avrebbe entrambi i requisiti, almeno in certi settori, ma solo da poco ha concesso spazio ai temi della comunicazione, e comunque circoscritto alle comunicazioni di massa. Solo da una decina d'anni sono nati in Italia i corsi di laurea in Scienze della comunicazione, ma per ora si sono incentrati esclusivamente sui media e sulle professioni legate ad essi. Anche nei corsi di laurea in psicologia, sociologia, scienze della formazione e dell educazione, che pure dovrebbero dedicare ampio spazio alla comunicazione interpersonale e alle relazioni con gli altri, esse vengono trattate per lo più marginalmente 1. Solo nel settore della formazione privata vi è stata finora una qualche attenzione a questi temi, peraltro rivolta solo agli adulti e circoscritta agli aspetti più professionalmente strumentali (accoglienza del cliente, immagine e presentazione di sé, parlare in pubblico, tecniche di persuasione etc.). La latitanza dell università è ancora più evidente se si considera che da vari anni stanno emergendo ed assumendo rilevanza nuove professioni incentrate proprio sulla comunicazione e le relazioni interpersonali: il consulente relazionale, il mediatore familiare, lo psicoterapeuta familiare, l'addetto alle relazioni col pubblico etc. Non solo, ma anche molte professioni tradizionali si stanno accorgendo dell'importanza di questi temi e numerosi professionisti sono interessati ad integrare la propria formazione con saperi e tecniche attinenti la comunicazione interpersonale (si pensi agli avvocati impegnati in separazioni e divorzi, che sempre più spesso si trovano a dover svolgere un vero e proprio compito di mediazione tra i coniugi). Dato che il titolo di questa relazione riguarda esplicitamente la scuola, potrebbe sembrare gratuito l evidenziare la scarsa sensibilità dell università per i temi della comunicazione e delle relazioni interpersonali, ma c è invece uno stretto nesso tra i due fenomeni. Dobbiamo in primo luogo ricordare che è l università a formare gli insegnanti e dalle scelte formative operate dipende poi la sensibilità e la capacità di questi ultimi. Inoltre, alla stesura dei programmi ministeriali per la scuola contribuiscono anche vari docenti universitari, ed è necessario che loro per primi si rendano conto dell importanza della educazione relazionale. Infine, se in un prossimo futuro la scuola decidesse di dare nei programmi il giusto peso alla educazione relazionale, non potrebbe che 1 Vi sono comunque alcune, seppur rare, eccezioni, come ad esempio il Master in Comunicazione e relazioni interpersonali istituito su mia proposta dall'università di Siena, il primo del genere nel nostro paese. Il corso intende appunto preparare esperti nei campi della mediazione e risoluzione pacifica dei conflitti, del counselling relazionale, della comunicazione e delle relazioni nelle organizzazioni che poi, a seconda della laurea e degli interessi, potranno lavorare in vari ambiti: da quello socio-sanitario e assistenziale ai servizi di relazioni col pubblico, dalla gestione e sviluppo delle risorse umane o delle relazioni interne in aziende ed enti fino alla libera professione come consulenti, terapeuti o facilitatori di attività di gruppo.

rivolgersi all università per realizzare i necessari interventi di aggiornamento e formazione (ed è quindi indispensabile che fin d ora l università si attrezzi in tal senso). Fatti questi necessari chiarimenti strategici, veniamo adesso alla scuola. Intelligenza o intelligenze? Nonostante le riforme susseguitesi negli ultimi decenni, il sistema scolastico italiano è ancora fortemente imperniato su una educazione di tipo logo-logico, che si rivolge essenzialmente all intelligenza cognitiva, trascurando o addirittura ignorando altre importanti dimensioni intellettive. Ciò in aperto contrasto con la concezione multidimensionale dell intelligenza che va ormai sempre più affermandosi; tale concezione, come è noto, non comprende solo le capacità strettamente cognitive, ma anche quelle senso-motorie, comunicativo-relazionali, emozionali, artistiche etc. Il successo dei libri di Daniel Goleman e di vari altri autori sulla intelligenza emotiva testimoniano il bisogno diffuso di ampliare certe definizioni anguste e al contempo di accrescere le capacità dell individuo in una ottica di empowerment che si rifletta sia sul campo lavorativo sia sulla sfera pubblica, sia anche su quella della vita privata. Capacità come il saper comunicare con efficacia, l affrontare con armonia le relazioni interpersonali, l esprimersi con chiarezza, il saper ascoltare le altre persone, il saper trovare un punto di incontro tra le proprie e le altrui esigenze sono sempre state apprezzate e considerate socialmente e soggettivamente utili, ma le si riteneva in larga misura doti innate, legate al carattere della persona e quindi non educabili. Questa tesi è oggi totalmente superata e sappiamo anzi che così come possiamo educare l intelligenza cognitiva, possiamo con opportuni metodi e strumenti - educare anche l intelligenza relazionale. Oltre ad insegnare agli studenti a parlare una o più lingue possiamo dunque insegnargli ad usare consapevolmente i codici e i linguaggi della comunicazione non verbale, a saper osservare e capire le dinamiche relazionali che si svolgono "dietro le quinte", a comprendere le emozioni che si smuovono in noi e nell'altro, a riconoscere gli obbiettivi reali della comunicazione da quelli apparenti, a distinguere i ruoli e le maschere che vengono rappresentati da colui o colei che sta dietro quelle immagini. La scuola dà giustamente grande importanza alla competenza linguistica, ma essa si rivela un guscio vuoto se non è affiancata da una adeguata competenza comunicativa. Gran parte dei problemi di relazione sia sul lavoro sia anche nella vita privata sono dovuti a pregiudizi, abitudini limitanti, ruoli rigidi, cliché di vario tipo. Ci sembra di entrare in contatto con l'altro, ma in realtà siamo quasi sempre separati dalle maschere e corazze che, senza rendercene

conto, entrambi indossiamo; crediamo di comunicare ad una persona reale ma in realtà abbiamo a che fare con un fantasma della nostra mente, uno stereotipo che ci siamo costruiti o che ci è stato trasmesso dalla famiglia, dagli amici o dai media. Alcune proposte operative Comunicare non è solo una dote innata ma è un'arte che, come tutte le arti, si può imparare a poco a poco, se siamo motivati a farlo e se disponiamo degli strumenti e delle condizioni adeguate. La motivazione non manca certamente né negli studenti né negli insegnanti, che - come ho potuto appurare più volte personalmente ed anche riscontrare in varie indagini in materia - collocano la comunicazione ai primissimi posti nella scelta dei temi su cui desiderano incentrare il loro aggiornamento professionale (anche se poi, spesso, non ottengono quello che chiedono). Anche gli strumenti non mancano, anzi ve n è in abbondanza sia sul piano delle conoscenze scientifiche sia su quello delle tecniche operative sia infine su quello dei metodi per l affinamento della consapevolezza di noi stessi e degli altri. Il punto debole, per il momento, potrebbe semmai risiedere nel basso numero dei docenti e dei formatori con specifiche competenze in materia, che non sarebbe in effetti sufficiente ad avviare in tempi brevissimi una riforma che preveda l inserimento della educazione comunicativo-relazionale nei programmi. Ma certo il gran numero di laureati in scienze della comunicazione potrebbe rappresentare una solida base di partenza per ovviare al problema nel giro di pochissimi anni. Dunque non vi sono reali problemi operativi per una introduzione della educazione comunicativorelazionale nella scuola: gli ostacoli sono semmai nella scarsa sensibilità di alcuni rilevanti settori del mondo politico e anche economico e scientifico. Se è vero che fino a tempi recentissimi la scuola era, in Italia, quasi totalmente scollegata dalle esigenze del mondo del lavoro, oggi si pretenderebbe di asservire interamente la prima al secondo e trasformare tout court l educazione in formazione al lavoro, secondo un modello meramente tecnico-nozionistico e materialistico, che ormai le stesse branche più avanzate della cultura aziendale stanno abbandonando, a favore di una concezione più ampia e multidimensionale del lavoro e delle capacità ad esso funzionali, in cui giocano un ruolo non secondario i concetti di competenze trasversali e di empowerment. Che fare allora? Come procedere per avviare un processo di riconoscimento e inserimento delle capacità comunicativo-relazionali nei programmi scolastici? Le opzioni sono a mio avviso svariate e la cosa più sensata potrebbe essere quella di avanzare simultaneamente in più direzioni.

La prima dovrebbe essere ovviamente quella di realizzare iniziative di sensibilizzazione quali convegni, dibattiti, campagne stampa, pubblicazioni etc. non disgiunta dall apertura di tavoli di confronto con le competenti autorità. Per avere qualche possibilità di riuscita ciò richiede una alleanza il più estesa possibile tra tutte quelle forze scientifiche e culturali, istituzionali e volontaristiche che sono o possono essere interessate per diverse finalità ad un tale progetto. Una seconda direzione potrebbe essere quella di realizzare dei progetti pilota in alcuni distretti scolastici o singoli istituti, utilizzando i margini, seppure ristretti, di autonomia di cui essi godono, magari con il concorso di enti locali quali comuni, provincie, regioni. Una terza possibilità potrebbe essere quella di istituire in alcune sedi universitarie corsi di laurea e master più o meno specificamente attinenti le esigenze di formatori evidenziate più sopra. Prima di concludere vorrei precisare che - anche se questo mio intervento si incentra sulla dimensione interpersonale e relazionale ritengo vi sia un altra area della comunicazione che meriterebbe un giusto riconoscimento nei programmi scolastici: la media education o, come preferisco chiamarla, l educazione ad un uso più sano e consapevole dei media. A tale tema ho dedicato un intero libro, di prossima uscita, e quindi mi limiterò in questa sede ad un breve cenno, per ricordarne l importanza e per esplicitare che queste due dimensioni quella relazionale e quella dei media potrebbero e anzi dovrebbero procedere assieme in questa opera di sensibilizzazione. Sono fermamente convinto che sia solo questione di tempo e che prima o poi sarà inevitabile introdurre l educazione comunicativo-relazionale nei programmi scolastici: il mutamento socioculturale in corso lo renderà sempre più indispensabile, pena gravi dissesti, su vari piani. Sarà indispensabile come forma di prevenzione socio-sanitaria della devianza, della alienazione e dei conflitti distruttivi; sarà indispensabile come competenza professionale; sarà indispensabile per la maturazione civile e democratica della popolazione; sarà indispensabile come preparazione alla convivenza nella società multietnica e multiculturale che ormai si va profilando e infine sarà indispensabile come preparazione della opinione pubblica alla gestione e risoluzione pacifica dei conflitti internazionali. Mi sembra pertanto che tutti coloro che possono contribuire a questo processo - sociologi, psicologi, politologi, antropologi, pedagogisti, filosofi, economisti e via dicendo debbano fin d ora attivarsi perché ciò avvenga nei tempi e nei modi migliori. Bibliografia BECHELLONI G., La svolta comunicativa, Ipermedium, Napoli, 2000.

CHELI E. L'età del risveglio interiore. Autoconoscenza, spiritualità e sviluppo del potenziale umano nella cultura della nuova era, Franco Angeli, Milano, 2001. CHELI E., Comprendersi. Linguaggi, giochi e drammi della comunicazione e delle relazioni interpersonali, (in corso di pubblicazione). CHELI E., (cur.) La comunicazione come antidoto ai conflitti, Punto di fuga editore, Cagliari, 2003. CHELI E. Olismo e riduzionismo nella scienza, nella cultura e nella mente, (in corso di pubblicazione). DI PIETRO M. L educazione razionale-emotiva, Erickson, Trento, 1992 FRANCESCATO D., PUTTON A., CUDINI S., Star bene insieme a scuola, Carocci, Roma, 1986 GARDNER A., Formae mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze, Feltrinelli, Milano, 1987. GOLEMAN D., Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1995 GORDON T., Insegnanti efficaci, Lisciani e Giunti, Teramo, 1991 GORDON T. Genitori efficaci, La meridiana, Molfetta, 1994 MELUCCI A., Il gioco dell io. Feltrinelli, 1991. MORCELLINI M., FATELLI G., Le scienze della comunicazione, Carocci ed., Roma,1998. STONE H., STONE S., Tu ed io. Incontro, scontro e crescita nella relazione interpersonale, ed. Compagnia degli araldi, Montespertoli, FI,1999.