Fatto. Motivi della decisione



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Fatto 1. Con ricorso al Pretore di Roma Agostino Pellegrino, assumendo di avere rilasciato, a seguito di sfratto, nel febbraio 1996 un'unità immobiliare dopo averla condotta in locazione svolgendovi l'attività di agente di assicurazione, in forza di un contratto stipulato il 5 novembre 1983, chiedeva, nei confronti del locatore Vincenzo Graziano, la determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale e la condanna del medesimo alla sua corresponsione. Il Graziano si costituiva e contestava la domanda, assumendo che nell'unità immobiliare svolgeva la sua attività fin dal 10 aprile 1984 non il ricorrente bensì la s.n.c. Santa. Il Tribunale di Roma, frattanto subentrato al Pretore a seguito della soppressione dell'ufficio pretorile, riteneva fondata la domanda e determinava l'indennità in lire 19.620.000, condannando il Graziano a corrisponderla. Avverso la sentenza proponeva appello alla Corte d'appello di Roma il Graziano, chiedendone la riforma. Nella resistenza al gravame dell'appellato, la Corte territoriale rigettava l'appello. 2. La sentenza si fonda sulle seguenti ragioni: doveva ritenersi infondata la deduzione dell'appellante che, al momento della cessazione della locazione, parte conduttrice sarebbe stata la Sama s.n.c., quale cessionaria dell'azienda assicurativa e del contratto locativo da parte del Pellegrino, onde a costui non sarebbe potuta spettare l'indennità; il Graziano, cui incombeva il relativo onere probatorio, non aveva infatti provato la cessione dell'azienda e delcontratto locativo; le dichiarazioni rese dal Pellegrino nel suo interrogatorio libero nel senso che nell'immobile operava unitamente ad esso anche la Sama, avrebbero potuto comportare soltanto l'ipotizzare una parziale sublocazione dei locali, in ordine alla quale comunque la parte locatri-ce non aveva mai manifestato opposizione; tanto trovava riscontro, fra l'altro, indipendentemente dalla documentazione prodotta dall'appellato a sostegno del suo assunto, "nella incontroversa circostanza" che quest'ultimo aveva regolarmente continuato a corrispondere il canone locatizio fino alla cessazione del rapporto; la sublocazione parziale di un immobile sarebbe, del resto, sussistente non solo nel caso di concessione in godimento di una parte distinta della cosa, ma anche nell'ipotesi in cui il conduttore consenta ad altri di godere, insieme ed in comune, l'intero immobile condotto in locazione viene citata Cass. n. 969 del1954; l'indennità, all'atto della cessazione della locazione e, quindi, della sublocazione, competeva al conduttore-sublocatore nei confronti del locatore ed al subconduttore nei confronti del sublocatore vengono citate Cass. n. 5579 del 1988, n. 6935 del 1993, n. 692 del 1994 e n. 9677 del 1997; in ordine al motivo di appello concernente il mancato svolgimento di attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e consumatori, era sufficiente osservare che secondo la giurisprudenza di questa Corte vengono citate Cass. n. 6339 del 1985 e n. 10673 del 1991, l'attività assicurativa, di regola, era considerata attività commerciale, in relazione alla quale spettava al conduttore l'indennità per la perdita dell'avviamento, di modo che lo svolgimento dell'attività senza contatti diretti con il pubblico avrebbe dovuto essere provato, ex art. 2697 cod. civ., dal locatore, che invece non aveva assolto alrelativo onere viene citata Cass. n. 11405 del 1992. 3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi Vincenzo Graziano. Ha resistito con controricorso il Pellegrino. Il Graziano ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta "insussistenza della prova che il Pellegrino fosse agente assicurativo e svolgesse detta attività nell'appartamento locato", nonchè "violazione della norma dell'art. 360 n. 5 e 3 c.p.c. per omessa e/o insufficiente motivazione e violazione della norma dell'art. 2697 c.c.".

Il motivo è illustrato con le seguenti argomentazioni: nell'atto di appello, la deduzione che il Pellegrino non era legittimato a richiedere l'indennità perchè non aveva provato nè di essere agente assicurativo nè di avere svolto attività nell'immobile era stata fondata sull'assunto della inidoneità all'uopo dei documenti dal medesimo prodotti, in quanto: a) la lettera del 1978 di nomina ad agente, asseritamene proveniente dal Lloyd Internazionale non poteva essere vera, perchè risultava indirizzata al Pellegrino in via delle Albizzie, mentre la locazione oggetto di lite risaliva al 1983, cioè a ben cinque anni dopo; b) la lettera della Sama di nomina a subagente era datata 1991 e, poichè il Pellegrino, nella dichiarazione resa in sede di interrogatorio libero; aveva dichiarato che essa era divenuta titolare del mandato di agenzia al posto suo dal 1984 e da questa data la società risultava - dal relativo certificato - iscritta presso la Camera di Commercio, dovevaritenersi accertato che dal 1984 al 1991 il Pellegrino non aveva svolto alcuna attività di agente assicurativo, neanche come subagente; c) il contratto di assicurazione del 1992, "unico prodotto dall'attore per comprovare lo svolgimento della sua attività", avrebbe comprovato, invece, il contrario, in quanto risultava essere stato concluso direttamente dalla Sama ("Ag. 0243 così come si legge nella succitata lettera di incarico del 91 e nel contratto in questione": così si esprime il ricorso) e non dal Pellegrino, neanche quale subagente, e ciò, sia perchè nel contratto nell'apposito spazio non vi era l'indicazione del subagente, sia perchè esso risultava sottoscritto da persona diversa dal Pellegrino, come emergeva dalla sigla dell'agenzia. Secondo il ricorrente, ancorchè tali argomenti fossero idonei a comprovare che la documentazione prodotta dal Pellegrino, "siaperchè non vera, sia perchè non attendibile" era inidonea a fornire la prova (di cui il Pellegrino era onerato, ex art. 2697 c.c.) che il Pellegrino era agente assicurativo ed avesse esercitato detta attività nell'immobile, la Corte territoriale li avrebbe completamente ignorati, onde si configurerebbe una chiara ipotesi di omessa motivazione su punto decisivo della controversia, nonchè la violazione dell'art. 2697 in quanto era stata ritenuta provata la qualità di agente assicurativo del Pellegrino senza prova alcuna. 2. Il motivo è infondato. Va premesso che, ancorchè denunci anche una violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. identificando la norma di diritto non osservata nell'art. 2697 c.c., il motivo si sostanzia esclusivamente in una censurariconducibile al n. 5 dell'art. 360 c.p.c.. Come tale si tratta di una censura che non risponde in alcun modo a quanto questa norma considera idoneo motivo di ricorso per Cassazione. Il ricorrente, infatti, enuncia espressamente che le circostanza di fatto di cui si sarebbe omesso l'esame erano state da lui dedotte nell'atto di appello e tale affermazione è, evidentemente, da interpretare nel senso che esse integravano un motivo di appello. Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte (si vedano, da ultimo, Cass. n. 1170 del 2004; n. 12475 del 2004; n. 14003 del 2004; n. 20076 del 2004; n. 22567 del 2004; n. 1606 del 2005), condivisa dal Collegio, l'omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, poichè tale giudice è tenuto ad esaminare i motivi di appello, sia pure, se del caso, anche considerandoli assorbiti dalla valutazione di altri elementi che ritenga decisivi nel quadro della devoluzione del giudizio di cui è investito. Tale difetto di attività è direttamente riconducibile ad una violazione dell'art. 112 del codice di procedura civile, concretandosi nella violazione del dovere di pronunciare sulla domanda di cui quel giudice, quale giudice dell'appello, è investito. Ne consegue che tale vizio non può essere denunciato in Cassazione come violazione di una norma di diritto sostanziale o come vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono, rispettivamente che il giudice del merito abbia preso in esame la questione applicativa della norma di diritto sostanziale o abbia motivato in modo insufficiente o contraddittorio o non abbia motivato affatto su un punto decisivo della controversia.

In riferimento all'omessa motivazione su punto decisivo della controversia l'ambito di applicazione del n. 5 dell'art. 360, per evitare che questa norma si sovrapponga del tutto inutilmente all'operare dell'art. 112 in appello, nel senso appena indicato, si può collocare soltanto là dove quel giudice, nel provvedere nei limiti della devoluzione determinata dall'appello abbia, nel motivare, omesso di considerare un fatto decisivo al di fuori del caso in cui quel fatto fosse stato esso stesso oggetto di motivo d'appello. Si pensi al caso in cui il giudice d'appello nell'esaminare un motivo di appello trascuri di considerare un fatto decisivo che, invece, era stato a suo tempo considerato dal giudice di primo grado, oppure al caso in cui tale fatto emerga dall'eventuale istruzione probatoria in appello. Avendo, dunque, nella specie il ricorrente dedotto con il primo motivo l'omesso esame di pretesi fatti decisivi che erano stati già prospettati come motivi di appello, è evidente che la censura espressamente qualificata alla stregua del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. è inammissibile, in quanto avrebbe dovuto essere prospettata ai sensi dell'art. 112 c.p.c. e, quindi, come vizio riconducibile al n. 4 dell'art. 360. Non senza doversi, inoltre, rilevare che in questo caso è onere del ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, indicare le sedi dell'atto di appello nelle quali i motivi oggetto dell'omessa pronuncia erano stati dedotti (onde nella specie, se anche fosse stato possibile esaminare il motivo nel senso in cui la doglianza avrebbe dovuto essere prospettata, se ne sarebbe dovuta rilevare l'inammssibilità). 3. Il secondo motivo è enunciato in questi termini: "cessione dell'azienda da parte del Pellegrino alla Sama; sussistenza di valida prova a riguardo; carenza di prova dell'asserita sublocazione; insufficiente ed errata motivazione e violazione della norma dell'art. 36 della l. n. 392 del 1978, nonchè dell'art. 2697 c.c.". Il motivo è illustrato adducendosi anzitutto che con il secondo motivo di appello il ricorrente aveva eccepito che il Pellegrino non aveva diritto all'indennità perchè aveva ceduto l'azienda alla Sama e che la Corte territoriale aveva ritenuto non provata la cessione,in quanto il Pellegrino nell'interrogatorio libero aveva dichiarato solo che nell'immobile operava con lui la Sama, sicchè poteva ipotizzarsi al più una parziale sublocazione e non la cessione dell'azienda. Il giudice d'appello sarebbe pervenuto a tale convincimento leggendo superficialmente gli atti. In particolare, avrebbe travisato le dichiarazioni rese dal Pellegrino, in quanto costui aveva dichiarato di essere stato agente assicurativo fino al 1984 circa e che dopo era stata costituita una società, la Sama, la quale era divenuta titolare del mandato di agenzia al posto suo, aggiungendo poi di avere continuato ad operare come prima. Tale affermazione non poteva che significare che il Pellegrino aveva ceduto il portafogli clienti e, quindi, l'azienda, circostanza che trovava conferma nel fatto che la Sama aveva iniziato la sua attività proprio nel 1984 nel ricorso, per la verità si dice 1994, ma è evidente che trattasi di errore materiale. Viceversa non risultava in alcun modo che il medesimo avesse sublocato l'immobile e che avesse continuato a svolgere l'attività in esso, sia pure come subagente, tenuto conto che dal 1984 egli non era più agente assicurativo e che solo dal 1991 aveva assunto la qualifica di subagente. Inoltre, non poteva assumere rilievo probatorio ai fini dell'effettivo svolgimento dell'attività assicurativa la circostanza che il Pellegrino avesse continuato a corrispondere i canoni locativi, in quanto essa comproverebbe solo che il Pellegrino e la Sama avevano taciuto al Graziano la cessione del contratto e dell'azienda, come si evincerebbe dalla mancanza di qualsivoglia prova della comunicazione, imposta invece dall'art. 36 della l. n. 392 del 1978 e dal fatto che il Pellegrino si era ben guardato dal far riferimento alla Sama e che solo nel 1987, inoccasione di una verifica presso la Camera di Commercio, il ricorrente aveva potuto appurare che nell'immobile operava la Sama. La sentenza impugnata sarebbe, dunque, viziata nei termini denunciati con il motivo, sia perchè dalla documentazione in atti era da ritenere comprovata la cessione dell'azienda, sia perchè l'indennità per la perdita dell'avviamento compete a chi effettivamente eserciti l'attività protetta. Infine, anche se si ammettesse che il Pellegrino aveva sublocato l'immobile e che fosse divenuto subagente della Sama, si dovrebbe escludere che in tale qualità gli competesse l'indennità, che

invece spettava alla Sama, come confermerebbe la giurisprudenza di questa Corte al riguardo viene citato quanto ritenuto da Cass. n. 4911 del 1999 a proposito dell'associato in partecipazione. 4. Il motivo è infondato. Esso, salvo che per l'ultima affermazione (quella che ipotizza che effettivamente il Pellegrino avesse sublocato, come ha ritenuto la Corte d'appello), al di là della invocazione di due norme sostanziali, si risolve in una censura che appare riconducibile esclusivamente al n. 5 dell'art. 360. Sotto tale profilo appare, tuttavia, del tutto inconferente, in quanto si risolve nella mera prospettazione di una valutazione dei fatti in modo diverso da quello in cui sarebbero stati valutati dalla Corte d'appello, e non invece in una effettiva denuncia di insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. In particolare, il motivo si risolve nella prospettazione di una possibile valutazione in senso diverso degli elementi che sarebbero stati mal valutati e non invece nella prospettazione che essi non avrebbero potuto che essere valutati se non nei termini indicati dal ricorrente. Sicchè, difetta assolutamente il presupposto della decisività nel senso della idoneità del fatto, ove valutato nei termini indicati dal ricorrente, a comportare necessariamente una diversa soluzione della lite (su siffatta nozione di decisività cui allude l'art. 360 n. 5 si veda, da ultimo, Cass. n. 22979 del 2004) ed il motivo si risolve soltanto nella prospettazione di una valutazione dei fatti diversa da quella svolta dalla sentenza impugnata, del tutto al di fuori, dunque, dei limiti del motivo di ricorso ai sensi del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. In riferimento all'argomentazione con cui si ipotizza che, se vi fosse stata la sublocazione, l'indennità competerebbe alla Sama, si osserva che non solo non si comprende il rilievo annesso a Cass. n. 4911 del 1999, atteso che essa concerne fattispecie di associazione in partecipazione, ma che, inoltre ed a monte, l'argomentazione è inconferente, in quanto non pertinente alla motivazione della sentenza impugnata, che ha parlato di una sublocazione parziale. 5. Con il terzo motivo si lamenta "carenza di prova della frequentazione da parte del pubblico degli utenti" e "violazione delle norme degli artt. 27, 34 e 36 della l. n. 392 del 1978", sotto il profilo che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che l'onere della prova della frequentazione da parte del pubblico degli utenti non gravasse sul Pellegrino, ma sul ricorrente. Viceversa, questa Corte avrebbe precisato "che, in ipotesi in cui nell'immobile vi sia la sede di una agenzia assicurativa, al fine del conseguimento dell'indennizzo, deve essere data la rigorosa prova della frequentazione (Cass. 10885/93) da parte del pubblico degli utenti e non solo di alcuni utenti, e ciò in quanto i contratti assicurativi vengono stipulati, per lo più, anche da subagenti, al di fuori degli uffici e la frequentazione dei locali da parte del pubblico degli utenti è molto limitata". 6. Il motivo travisa la motivazione della Corte d'appello, la quale non ha affatto invertito l'onere della prova, ma, dopo aver ritenuto che nell'immobile il Pellegrino esercitava l'attività assicurativa e che, di norma, cioè secondo l'id quod plerumque accidit, tale esercizio comporta contatti diretti con il pubblico, ha ritenuto che incombesse al Graziano di dimostrare che il caso concreto fuoriusciva dalla regola. Sicchè la motivazione della sentenza impugnata non merita in alcun modo la critica rivoltagli con il motivo in esame. Va poi ricordato che non è pertinente al caso di specie la citazione di Cass. n. 10885 del 1993, che risulta così massimata: "in tema di locazione ad uso non abitativo, presupposto per la spettanza dell'indennità per la perdita di avviamento commerciale è che l'immobile sia utilizzato come luogo aperto alla frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalità originariamente indifferenziata dei destinatari ultimi dell'offerta dei beni o dei servizi. Pertanto, tale indennità non è dovuta nelle ipotesi in cui l'attività del conduttore non sia strutturata in modo da contare sul diretto accesso dei consumatori, anche se questo non sia precluso (nella specie, agenzia assicurativa adibita all'incontro tra i produttori, senza orario di accesso del pubblico, con frequentazione solo di alcuni utenti che si recavano a pagare i premi)". 7. Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione al resistente delle spese di lite, liquidate in euro milleseicento, di cui cento per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 14 giugno 2005. Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2005