Municipio Roma X Parco Regionale dell Appia Antica GLI ACQUEDOTTI NELL ANTICA ROMA Come si può leggere nell introduzione del trattato sugli acquedotti di Frontino, il noto curator aquarum (magistrato preposto all amministrazione pubblica delle acque) della fine del I sec. d.c., per oltre quattrocento anni i Romani si accontentarono di attingere l acqua dal Tevere e da una semplice rete di fonti e di pozzi (Frontino, 4). E a partire dal 312 a.c., con la costruzione dell acquedotto del censore Appio Claudio Cieco, che prese le mosse la realizzazione di quel complesso e capillare sistema di approvvigionamento idrico (urbano e Fig. 1 Frontespizio del Commentario frontiniano del Poleni. suburbano), unico nel mondo antico per monumentalità e funzionalità, alimentato da ben undici acquedotti principali, l ultimo dei quali edificato dall imperatore Severo Alessandro, alla metà degli anni 20 del III sec. d.c.
E stato calcolato che a Roma la quantità di acqua pro capite, già nella prima età imperiale corrispondesse a diverse centinaia di litri al giorno: con una bella immagine Strabone, geografo di lingua greca dell età augustea, associa l acqua degli acquedotti a veri e propri fiumi che attraversano la città in lungo e in largo in condotti sopraelevati e sotterranei (Strabone, V, 3, 8). Fig. 2 L acquedotto Claudio, I. Caffi, 1857. I primi passi da compiere per la progettazione e cantierizzazione di un acquedotto erano innanzitutto la scelta delle sorgenti, fatta sempre con criteri di massima accuratezza, e lo studio analitico dei percorsi con la previsione e la soluzione dei problemi tecnici che la morfologia del territorio imponeva; da ultimo si procedeva all acquisizione da parte dello Stato dei terreni che dovevano essere attraversati dalle opere di canalizzazione.
Fig. 3 Gli antichi acquedotti presso Roma (R.Fabretti, De aquis et aquaeductibus veteris Romae, Roma 1680, 137, t. II)
Effettuate le operazioni preliminari e passando alla fase operativa, di fondamentale importanza era la captazione delle acque, che di norma veniva realizzata convogliando in un grande bacino di raccolta il corso di una fonte principale e quello di sorgenti minori. Dal bacino di captazione, attraverso un imbocco (incile), l acqua veniva Fig. 4 Esempi di sezioni di specus. imbrigliata nel canale dell acquedotto (specus), entrambi foderati al proprio interno da uno speciale rivestimento impermeabile, il c.d. cocciopesto, impasto costituito da malta, con pozzolana e frammenti di laterizi e talvolta di ceramica triturati. Lo specus poteva scorrere sotterraneo oppure in elevato, sostenuto da muri o da arcate costruite in blocchi di pietra o nelle altre diverse tecniche edilizie: in quest ultimo caso imponenti e grandiose attraversavano ampie fasce di campagna romana e in alcuni tratti anche aree interne alla città. Il canale era in genere a sezione rettangolare, con una copertura a volta in muratura oppure realizzata con tegole o mattoni bipedali o sesquipedali (vedi scheda di approfondimento sulle tecniche edilizie) posti in piano o
alla cappuccina (cioè a doppio spiovente). Precisi calcoli di ingegneria idraulica assicuravano all acqua che scorreva all interno del canale una pendenza costante, in media del due per mille, che le consentiva di scendere dal punto di captazione ai serbatoi terminali di raccolta e distribuzione. Ad opportuni intervalli nel percorso venivano collocati dei bacini di decantazione (piscinae limariae), costituiti da un ampliamento del canale o da una vasca posta ad uno dei suoi lati, con una duplice funzione: attenuare la velocità dell acqua e favorire la sua depurazione. Ogni actus (35 m. ), secondo Vitruvio, o ogni due actus (70 m.), secondo Plinio il Vecchio, erano costruiti dei pozzi verticali in muratura (lumina), che consentivano l areazione e l asportazione dei detriti del canale. Giunta nel centro abitato, l acqua dallo specus veniva convogliata in grandi serbatoi (castella aquae) e da qui raggiungeva le diverse destinazioni e utenze sia pubbliche che private, attraverso Fig. 5 Sezione di un castellum aquae di Pompei. tubi di terracotta o più spesso di piombo (fistulae aquariae), nonostante fosse già nota ai Romani la nocività di tale metallo per la popolazione, come ben sappiamo da Vitruvio. In genere, sulle fistulae relative ad abitazioni di clienti dell alta società o connesse ad edifici pubblici, venivano stampati a rilievo il nome del proprietario e del concessionario e altre informazioni pertinenti alla messa in opera delle tubazioni: questa consuetudine ha permesso, in alcuni casi fortunati, di risalire ai proprietari di case e ville, grazie al
ritrovamento nell area di antichi complessi edilizi di fistulae iscritte, come è accaduto nel corso di scavi del 1828, per la ben nota villa dei Quintili, al V miglio della via Appia Antica. L amministrazione dell approvvigionamento idrico a partire dall 11 a.c. fu affidata da Augusto ad un curator aquarum, personaggio di rango senatorio che aveva già ricoperto la massima magistratura dello Stato (consolato). Ad esso spettava il compito di bandire gli appalti dei lavori, di organizzare e regolare il funzionamento e la manutenzione degli acquedotti: per le sue funzioni egli poteva contare su una squadra di 240 aquarii (schiavi-operai con diverse specializzazioni tecniche), personale che dal 52 d.c., sotto l imperatore Claudio, fu aumentato di ulteriori 460 unità, raggiungendo così il numero complessivo di 700 operai, che dà il senso della complessità e dell importanza attribuita dallo stato romano al settore della gestione delle acque. Fig. 6 L Acquedotto Claudio nel Parco degli Acquedotti.
Sei degli undici acquedotti di Roma antica, nel loro percorso dalle sorgenti al centro dell abitato, attraversavano quel tratto a sud-est della Fig. 7 Porta Maggiore, gli spechi dell Acquedotto Claudio e dell Anio Novus. città, attualmente corrispondente al territorio del X Municipio: Anio Vetus, Aqua Marcia, Aqua Tepula, Aqua Iulia, Aqua Claudia, Anio Novus, a cui va aggiunto un settimo acquedotto, il Felice, costruito in età tardo-rinascimentale (cfr. schede itinerario A). Fig. 8 Gli spechi della Marcia, della Tepula e della Iulia a Porta Maggiore
Per saperne di più R. Lanciani, I commentari di Frontino intorno le acque e gli acquedotti di Roma antica, (ristampa), Roma 1975. AA.VV., Il Trionfo dell Acqua. Acque e Acquedotti a Roma, IV sec. a.c. XX sec., (catalogo della Mostra), Roma 1986. Th. Ashby, Gli Acquedotti dell Antica Roma, (traduzione e ristampa della prima edizione in inglese, del 1935), Roma 1991. A. Trevor Hodge, Roman Aqueducts and water supply, Londra 1992. J.P. Adam, L arte di costruire presso i romani, Milano 1998, (in part. le pp. 257-284). Roma Archeologica, Quattordicesimo Itinerario, Aquae il sistema delle acque a Roma, n. XIV, aprile 2002. L. Lombardi, G. Lena, G. Pazzagli (a cura di), Tecnica di idraulica antica, Roma 2006. Fonti delle illustrazioni Fig. 1 Il Trionfo dell Acqua 1986, p. 178, fig. 1. Fig. 2 Il Trionfo dell Acqua 1986, Tav. II. Fig. 3 Il Trionfo dell Acqua 1986, p. 3, fig. 2. Fig. 4 Tecnica di idraulica antica 2006, p. 42, fig. 17. Fig. 5 Adam 1998, p. 274, fig. 579. Fig. 6 I. Della Portella (a cura di), Via Appia Antica, Verona 2003, p. 76. Figg. 7 8 F. Tella.