«Il virtuale è sempre una molteplicità che viene attualizzata da scelte creative e libere» Peter Eisenman



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Transcript:

Sansavini, Laura. (2010), Arte Robotica, in Editing the Future. Arte + Nuove Tecnologie (a cura di M. Coletti e C. Trivellin), Comune di Milano Cultura - Casva - Centro Alti Studi per le Arti Visive, Milano, pp. 105-129. ARTE ROBOTICA Laura Sansavini «Il virtuale è sempre una molteplicità che viene attualizzata da scelte creative e libere» Peter Eisenman 1. Nuove prospettive Siamo nell'anno 1972. A Hong Kong la nave Queen Elizabeth viene distrutta da un rogo mentre si trova in porto per essere trasformata in una università galleggiante. A Biella nasce la prima televisione privata italiana. Il premio Nobel per la pace non viene assegnato e a Milano la direzione del Piccolo Teatro viene affidata a Giorgio Strehler. Nello stesso anno ad Avignone l'antropologo Renè Girard teorizza il principio del "desiderio mimetico", James Ballard sta ultimando il suo "Crash" e a Eindhoven Edward Ihnatowicz presenta Senster, la prima scultura robot controllata per mezzo di un computer, il primo caso di autonomia comportamentale nell'arte robotica. In Canada nasce Garnet Hertz. Questi eventi, a fianco dei fatti più noti che hanno fatto la storia, altrettanta parte hanno avuto nel processo di costruzione di un fenomeno che, proporzionalmente allo sviluppo tecnologico, oggi ci porta a indagare il ruolo della robotica. Un ruolo quanto mai attuale, a partire dallo sviluppo raggiunto in diversi campi, dal quello militare a quello della domotica e della medicina.. Facciamo un salto fino ai giorni nostri. La teoria mimetica diventa oggetto di studio di alcuni ricercatori, tra i quali lo psicologo Andrew Meltzoff e il neurologo Vittorio Gallese, il ricercatore italiano che ha scoperto i "neuroni specchio" con Giacomo Rizzolatti. In Italia un artista, Garnet Hertz, riceve un premio per la prima volta dedicato all'arte robotica 1. Sembra che una felice combinazione cronologica colleghi a doppio filo questi due momenti storici. Se la teoria di Girard si presenta già come naturale prolungamento della biologia al campo del sociale, è interessante notare che proprio dalla 1

biologia si è avuta un inattesa conferma delle ipotesi girardiane, con la scoperta dei neuroni specchio. Una scoperta fondamentale che anche i media-artist contemporanei non possono non considerare, anche indirettamente. Chi lavora con la robotica, anche in campo artistico, oggi è sempre più spesso spinto a interrogarsi sul proprio ruolo ed entro quali limiti estendere il proprio campo d'azione. Il problema è poi anche sociale o etico, l arte sempre più biotech, è cerbero "ibrido" composto da bios, technology e tecnè. La robotica conosce oggi una crescita straordinaria e non è fantascienza pensare che tra qualche anno i robot saranno indispensabili alla nostra società, non senza problematiche. Non stupisce dunque che molti artisti in tutto il mondo abbiano posto al centro del loro operare l evoluzione di questa disciplina, cimentandosi anche con gli strumenti robotici. 2. Introduzione Nella nostra cultura, dominata dai sempre più pervasivi media elettronici, è interessante prendere in considerazione, insieme con il video, le produzioni multimediali, le performance, le telecomunicazioni e le installazioni interattive, il ruolo della robotica nell arte contemporanea. L arte robotica oscilla da anni tra i due poli della sperimentazione continua e dell instaurazione di una tradizione analitica; come tutti i settori dell arte tecnologica, a partire dal cinema e dalla fotografia ai loro esordi, deve affrontare le difficoltà legate alla definizione del medium. L immaginario fantascientifico, i nuovi trend della ricerca scientifica e delle applicazioni industriali, le evoluzioni che la tecnologia impone al nostro modo di pensare, sentire e agire influenzano, ma non coincidono, con le tendenze dell arte robotica. Anche se gli artisti, naturalmente, non ignorano le definizioni mitologiche, letterarie o industriali riguardanti i robot o le forme di vita artificiali, queste ultime non delimitano le categorie di alcuna opera di arte robotica. Ogni artista sviluppa le sue particolari strategie ed ibrida la tecnologia robotica con altri media, altri contesti, altri riferimenti culturali. All interno del ricco panorama culturale in cui i media elettronici avanzano in modo sempre più dominante, pervadendo ogni aspetto della cultura, è necessario dunque considerare il ruolo della robotica nell'arte contemporanea, tra video, performance, telecomunicazioni, installazioni multimediali e interattive. Definizione e origine della parola robot Uno degli aspetti forse più problematici dell arte robotica sta

nella definizione stessa di ciò che si intende per robot. Ad intricare l'argomento intervengono le numerose tradizioni mitologiche delle svariate culture. La pulsione congenita dell uomo a rappresentare e ricostruire la vita, non è che un capitolo di quel percorso di perpetuazione compiuto dalla natura, dal Golem a Pigmalione, da Michelangelo a Cagliostro, fino alla genetica e alla vita artificiale. Da secoli l idea dell essere inanimato che diventa vivo e autonomo affascina gli uomini e li angustia. Nella narrativa, la preoccupazione che i robot potessero competere con l'uomo o addirittura sterminarlo è molto comune: nella serie di racconti Io, Robot Isaac Asmov nel 1950 enunciò le tre leggi della robotica nel tentativo di controllare la competizione fra robot ed esseri umani 2. Prima del padre della robotica, tanta parte della letteratura ha generato esseri artificiali che hanno affascinato l immaginario universale dei lettori di ogni parte del mondo: Frankestein di Mary Shelley (1818), L'uomo di sabbia (1817) di E.T.A. Hoffmann, in cui compare una bambola meccanica a forma di donna che inganna il protagonista, il Golem di Gustav Meyrink (1915), il dramma R.U.R. di Karel Čapek (1920). Impossibile non ricordare anche ciò che proliferò dal punto di vista cinematografico: automi, robot, cyborg, androidi e replicanti appaiono come attori protagonisti in Metropolis (1926) di Fritz Lang, Star Wars (1977) di George Lucas, Blade Runner (1982) di Ridley Scott. Un punto di partenza per avvicinarsi a un concetto arbitrario di arte robotica, è capire cosa si intende dunque per robot. Se sull origine del termine non vi sono dubbi, sul significato si è molto discusso. La parola robot deriva dal termine ceco robota, che significa lavoro pesante o lavoro forzato. L'introduzione si deve allo scrittore ceco Karel Čapek, il quale usò per la prima volta il termine nel 1920 nel suo già citato R.U.R., Rossum's Universal Robots. In realtà Čapek non fu il vero inventore della parola, la quale infatti gli venne suggerita dal fratello Josef, scrittore e pittore cubista, che aveva già affrontato il tema in un suo racconto del 1917 nel quale però aveva usato il termine automat, ovvero automa. La diffusione del romanzo di Karel, molto popolare sin dalla sua uscita, servì a dare fama al termine. Anche se i robot descritti da Čapek erano uomini artificiali ma organici, la parola viene quasi sempre usata per indicare un uomo meccanico. Il termine androide (dal greco anèr, andròs, uomo, e che quindi può essere tradotto "a forma d'uomo") può essere usato in entrambi i casi, mentre cyborg ("organismo cibernetico" o "uomo bionico") indica una 2

creatura che unisce in sé parti organiche e meccaniche. Oggi la robotica con le sue applicazioni ha invaso molteplici campi, da quello medico a quello militare e ingegneristico. Non è fantascienza pensare che i nuovi scenari geopolitici saranno determinati anche e soprattutto dai paesi, come gli Usa e il Giappone, che alla nano e alla bio-robotica da anni dedicano investimenti e ricerca. E negli anni Cinquanta che appare il primo robot industriale negli Stati Uniti, nei successivi vent anni computer e robot diventano il veicolo per la realizzazione di operazioni sempre più complesse. Negli stessi anni prende avvio anche la sperimentazione dei primi robot artist, che cominciano ad interessarsi all automazione. 3. Una nuova estetica Oggi la tecnè porta l'artista più vicino a una conoscenza tecnologica e scientifica, sul modello cinquecentesco di Leonardo Da Vinci, che non ha riconosciuto separazione fra l'arte e la scienza. Gli artisti robotici non possono prescindere dalle definizioni mitologiche, artistiche o industriali dei robot e delle forme artificiali di vita. Allo stesso tempo, introducendo l'automatismo come nuovo mezzo artistico fanno emergere una nuova concezione estetica dell opera, fortemente connessa all aspetto comunicativo e interattivo. Come sottolinea l artista e teorico Eduardo Kac in Telepresence and Bioart: L arte acquista valore con l aggiunta di elementi e tecnologie avanzate come la robotica e la genetica. L arte senza qualche tipo di tecnologie non esiste, dalla matita al forno per cuocere la ceramica, dai colori al computer 3. La nuova opera d arte è immateriale, piuttosto che materiale, replicata, piuttosto che originale, e con una doppia estetica: una interna e una esterna. Potrebbe allora apparire più opportuno spostare il punto di vista dal medium (l'hardware) al contenuto (il software). Oltre a software e hardware a questo punto si inserisce un altro termine, liveware, l organico. Il significato dell opera non va ricercato nella sua manifestazione oggettuale, che ne costituisce solo l involucro, ma nelle reti di relazioni, nei processi collettivi, nelle componenti emozionali che contribuiscono a forgiare la materia di ciò che sta dentro l involucro stesso. 4. I pionieri Mentre i prototipi dei primi robot non commerciali sono stati sviluppati negli anni Cinquanta, nel campo dell intrattenimento e della ricerca scientifica è all'alba degli anni Sessanta che possiamo trovare le prime opere d arte robotica, all interno di 3

un panorama artistico in evoluzione, tra la corrente del cinetismo, e la reintroduzione della macchina all interno del dibattito dell arte. All alba di questo panorama, un prototipo particolarmente interessante è CYSP, scultura cibernetica di Nicolas Shöffer. Quest opera, presentata al pubblico parigino nel maggio 1956, all'attuale Theatre de la Ville durante la manifestazione The poetry night, rappresenta un primo e pionieristico passo avanti, dal momento che venne sviluppata con sensori e componenti elettrici che riproducessero diversi tipi di movimenti in base all interazione con lo spettatore. (Figura 1) Ungherese di nascita, ma parigino d'adozione, Shöffer è considerato uno dei padri della dell'arte cibernetica, colui che segna il limen, il passaggio tra meccanica ed elettronica, tra cinetica e robotica. E' interessante leggere ciò che scrive Shöffer a proposito della tecnologia: La tecnologia è l'elaborazione ed il miglioramento dei metodi dei campi umani. Distingueremo tre tecnologie: una tecnologia strumentale, che si sviluppa da tre milione anni. Va dagli attrezzi più semplici ai microprocessori. Una tecnologia sociale che legata alle idee o agli oggetti di tipo finanziario, industriale e politico, e una tecnologia economica, che si riferisce ai princìpi ed alle tecniche di profitto degli investimenti, così come agli studi teorici ed al loro sviluppo pratico 4. Tra i primi esperimenti, come ricorda Eduardo Kac in Robotic Art Chrology 5, è significativa l opera presentata nel 1955 da un membro del gruppo giapponese Gutai, Akira Kanayama, Pittura remote-control, realizzata utilizzando un dispositivo telecomandato. Kanayama fu probabilmente influenzato anche dal contesto avanguardistico di cui faceva parte. L'opera, che fu presentata in anteprima alla First Gutai Indoor Exhibition, nell ottobre del 1955, a Tokyo, ha segnato un nuovo tipo di concezione artistica, svelando una nuova potenzialità, quella della macchina al posto della mano dell artista, che può produrre senza toccare neppure. (Figura 2) Nel 1964 Nam June Paik, fondatore della video art e pioniere della video-sintesi, crea il Robot K-456, un mucchio di rifiuti alto due metri con le eliche di un aeroplano giocattolo al posto 4 5

degli occhi. Con il Robot K-456 sono introdotti la mobilità, l'interazione con il pubblico, il radiocomando. Paik si avvicina all'arte robotica con umorismo, caricando i suoi robot di umanità, senza timori. Un altro evento sorprendente è stato il duetto tra il Robot K-456 e Charlotte Moorman, già entrata nel 1964 a far parte di Fluxus, soprattutto per volere di Paik. Moorman, solista dell'american Symphony Orchestra, ha realizzato una performance musicale insieme al robot, col quale ha suonato al violino Plus-minus di Stockhausen. Un altra installazione è Senster, creata da Edward Ihnatowicz per lo showplace permanente di Philips a Eindhoven, dove è rimasta in esposizione per quattro anni dal 1970 al 1974. Senster oltre a interagire con i presenti, è la prima scultura robot controllata per mezzo di un computer. Alta più di quattro metri, è dotata di microfoni per rilevare il suono; in base agli stimoli sonori ricevuti, risponde arbitrariamente in uno-due secondi. E il primo caso di autonomia comportamentale in un opera robotica in cui l'interazione nello spazio è innescata da un elaboratore dati. (Figura 3) Norman White è forse l'artista che più costantemente ha portato avanti la ricerca artistica in questo campo. Un esempio è la sua prima opera robotica, Ménage (1974), realizzata con quattro robot che si muovono avanti e indietro montati al soffitto lungo piste separate e un quinto al pavimento. Ogni robot ruota grazie a un'antenna scanner in base alla sorgente di luce. I robot tendono a attrarre gli altri fino a che le loro piste non li separano. Malgrado la semplicità dei princìpi di controllo, il comportamento del gruppo è sorprendentemente complesso. Un altro lavoro di White è Robot Helpless (1987-96). Si tratta di un'opera interattiva, basata sulla voce sintetizzata che chiede (aiuto) alla gente di spostarsi come il robot vorrebbe. «In quest'opera la macchina tenta di valutare e imitare il comportamento umano» 6. Un altro pioniere è James Seawright, classe 1936, che così spiega perché costruisce le sue opere: «Il mio scopo non è programmare macchine, ma produrre diversi tipi di personalità. Infatti solo una persona che ci conosce bene può riuscire a sorprenderci, così le macchine». Questa la sua grammatica per un'estetica interattiva, che si può cogliere nelle sculture quali Watcher (1965-66), Searcher (1966) e nei «reactive enviroment» quali Electronic Peristyle (1968) e 6

Network III (1979). In quest'ultima opera un minicomputer traduce i movimenti degli spettatori su piastre sensibili alla pressione in modelli lampeggianti sul soffitto. Una dinamica incessante di interrelazioni e contaminazioni tra l'uomo e l'ambiente modifica contemporaneamente la realtà e il modo di pensare tale realtà. Su questa scia, in equilibrio tra sperimentazione e nuove problematiche, verso la metà degli anni Sessanta si colloca anche Squat di Tom Shannon (1966), la prima opera interattiva, ibrido tra organico ed inorganico. Si presenta come una pianta che al contatto umano attraverso dispositivi elettronici cambia direzione e si muove. Le opere di un altro artista, presentate ad Ars Electronica 7 nel 2005, si avvicinano molto alle sculture viventi di Shannon. Si tratta dei robot creati da Theo Jansen, macchine di grandi dimensioni che prendono l energia esclusivamente dal vento e mettono in evidenza l'ibrido tra la scienza ingegneristica e i principi naturali biologici. Le opere di Jansen sono ibridi semitecnologici robotizzati, alla ricerca di un equilibrio naturale. Le creature, il cui dna viene selezionato dall artista tra milioni di varianti evolutive concepite con l ausilio del proprio computer, sono continuamente soggette a modifiche dettate da una logica generativo-trasformazionale simile a quanto potrebbe riscontrarsi in natura. (Figura 4) Riecheggiando il gergo scientifico, l'artista ha battezzato il genere delle proprie creature fantastiche come animaris - fantasiosa contrazione di animale e mare conferendo a ciascuna di esse una specifica classificazione entro un universo evolutivo le cui regole sono rigidamente dettate dalla selezione digitale di un Pc Atari 8. Sottoposte a precisa classificazione, le creature vengono 'liberate' sugli spazi costieri olandesi, dove cominciano a vivere una propria vita, immagazzinando l energia entro bottiglie-polmone che le rendono in grado di spostarsi anche nei momenti di bonaccia. Il ritorno alla natura è compiuto, il vento dona agli animaris la giusta energia, dopo una sapiente costruzione a tavolino, e a computer, di un corpo animale. Un innesto in piena regola, che testimonia la scelta artistica di rendere vivo e bestiale ciò che non lo è, come Geppetto con Pinocchio, dottor Frankestein con il suo Frankenstein. 5. Crossing arts 7 8

La robotica nell arte sperimenta e si addentra nei più disparati campi, mutando così come la tecnologia negli anni: dalla botanica, al teatro, all innesto corporeo. Quello della botanica cybernetica è un tema molto esplorato dagli artisti. Negli anni Ottanta James Seawright ha sviluppato opere d'impianto robotico comandate da computer, con un software in grado di interagire con l'ambiente e con il pubblico. Ne è un esempio il suo Electronic Garden #2 (1983), cinque fiori-robot comandati da computer e regolati in base ai parametri del clima, quali la temperatura e l'umidità. L'opera originalmente era stata installata nello spazio pubblico di un giardino interno. I visitatori potevano alterare il comportamento dei fiori spingendo i tasti e modificando il programma installato nel microprocessore, suggerendo la possibilità di integrazione armoniosa fra gli esseri umani, la natura e la tecnologia, nello stesso momento in cui si integrano perfettamente con le altre piante ornamentali. A poco più di dieci anni di distanza troviamo il Telegarden (1995) creato da Ken Goldberg, insieme a Joseph Santarromana, George Bekey, Steven Gentner, Rosemary Morris, Carl Sutter e Jeff Wiegley. TeleGarden è un'installazione telerobotica che consente agli utenti del web di vedere e coltivare un giardino in tempo reale. Interagendo con il computer si possono piantare, innaffiare e controllare la crescita delle piante attraverso l'azione di un braccio robotico 9 che troneggia al centro del piccolo cerchio verde. Il Telegarden è stato sviluppato all'università di California del sud nel 1994 ed è andato sul web nel giugno del 1995. Durante il primo anno, oltre nove mila utenti hanno 'interfacciato' per contribuire a coltivarlo. Nel mese di settembre del 1996, il Telegarden è stato spostato verso l'ingresso del centro di Ars Electronica, in Austria, in cui è rimasto connesso alla Rete fino all'agosto del 2004. (Figura 5) Il Telegarden è per Goldberg la trasposizione in miniatura, nello spazio virtuale, di una comunità in cui l'organizzazione si fonda sulla combinazione di più fattori tecnologici, come l'informatica, la robotica, internet. Anche un giardiniere robot, e un letto di fiori possono diventare, in un comune progetto di ecologia di società globale, luogo d'incontro sul web. Anche l artista americano Ken Rinaldo, classe 1958, basa la sua attività su l intersezione tra sistemi di natura e tecnologici. Autopoiesis è una sua installazione robotica presentata al Kiasma di Helsinki nel 2000 composta da quindici sculture 9

robotiche che interagiscono con il pubblico e modificano in questo modo il loro comportamento, mentre in Delicate Balance il movimento di alcuni pesci, chiusi all'interno di boule piene d'acqua appese a bracci meccanici, determina la direzione delle sculture robotizzate che le tengono in aria in base ai movimenti dei Siamesi fish. 6. Robot sulla scena teatrale L artista canadese Bill Vorn è sicuramente da annoverare tra i creativi che più hanno contribuito a dare forma a un corpus di opere esplorando le possibilità espressive della robotica. Fin dall inizio degli anni 90, Bill Vorn lavora con la robotica, e crea installazioni sonore e luminose ispirate al concetto di vita artificiale. L arte robotica di Bill Vorn mira ad indurre nei visitatori empatia verso strutture articolate in metallo che diventano personaggi. Concepite sulle basi di un principio di decostruzione, le Hysterical Machines sono costituite da un corpo sferico e da otto bracci di alluminio. Ogni macchina è dotata di un sistema di sensori, motori e controllo che funzionano come un sistema nervoso autonomo ed interamente reattivo. Queste macchine sono in grado di percepire la presenza umana e reagire ai visitatori in base agli stimoli ricevuti, dando vita ad una serie di interazione uomo/macchina e di interpretazioni sociali ed emotive basate su un singolo schema dinamico. La forza di questi simulacri poggia sul sovvertimento della percezione nello spettatore delle creature robotiche. Implementando un insieme di comportamenti reattivi di base e creando un contesto audiovisivo immersivo come ambiente per le installazioni, le opere di Bill Vorn stimolano un riflesso automatico di riconoscimento antropomorfico e di proiezione, come succede per ogni fenomeno dinamico che comunica con i nostri sensi: le macchine robotiche di Vorn non sono automi specializzati e virtuosi, ma opere d arte espressive. Ballerini della scena post-umana, robot danzanti. Sono questi i prototipi di Louis Philippe Demers e Bill Vorn presentati nelle performance Le Procès e L'Assemblée. I robot dei due artisti non hanno fattezze umane, si avvicinano più alle macchine industriali e il loro comportamento non tende a riprodurre quello dell'uomo. (Figura 6) In Le Procès (1999) il pubblico si trova ai lati della scena in cui si aggirano robot in azione, posizionati sopra e sotto dei ponteggi e tutti intorno. In modo simbolico la performance descrive il processo -il titolo è kafkiano- dell uomo alle

macchine, in una sorta di tribunale dove le varie identità si mescolano. Qui fallisce qualsiasi tentativo di attribuire agli attori-robot una intenzionalità e soprattutto il comportamento delle macchine rimane per lo spettatore indecifrabile, perché non assimilabile a quello umano. Ogni macchina ha un proprio compito da eseguire, proprie capacità cognitive da assecondare nella più pura autoreferenzialità, mentre il pubblico è costretto a prendere posizione osservando le proprie emozioni di fronte a queste gioco meccanico. L'Assemblée (2001) mette in scena il confronto tra l'uomo e un raggruppamento di macchine, invertendo la prospettiva: i robot sono gli spettatori che stanno sugli spalti muniti di microfoni e riflettori, mentre nell'arena camminano gli umani, gli attori. La scena rimane completamente al buio fino a quando i robot cominciano il loro spettacolo di luci e suoni, una sorta di coreografia di gruppo di cui l'uomo percepisce solo il disturbo, il rumore, la mancanza di relazione e di logica da parte delle macchine. La scena è cinematografica, alla Blade Runner. In Huis Clos invece lo spettatore può perdersi nella foresta dei congegni meccanici che trasformano il movimento, il suono, i riflessi cromatici in un esperienza sospesa tra l arte e lo spettacolo. Si tratta di un bosco meccanico che il pubblico può liberamente visitare. A sorpresa al passaggio dello spettatore, i grandi rami, comandati da sensori nascosti. La foresta prende vita, come un grande organismo robotico che simula la natura. Performance teatrali, verso un più cupo e drammatico rapporto uomo-corpo, sono anche quelle messe in scena dal gruppo catalano La Fura dels Baus, e soprattutto dal suo fondatore Marcel.lì Antunez Roca 10, che ne è stato coordinatore artistico, musicista e attore dal 1979 al 1989. Antúnez Roca è conosciuto in tutto il mondo per le sue performance "mecatroniche" e per le sue installazioni robotiche. Negli anni '90 elabora, attraverso le sue opere, concetti come bodybots (robots di controllo corporale), sistematurgia (narrazione interattiva con computer) e dreskeleton (interfaccia corporale in forma di vestito esoscheletrico). L'unione di elementi scientifici e tecnologici, e la loro interpretazione tramite dispositivi unici e particolari, gli permette di creare una rinnovata cosmogonía, cruda e ironica, su argomenti classici come l'affetto, l'identità, l'escatología, o la morte. Il tutto in "salsa" esclusivamente digitale, e in questo si avvicina alle sperimentazioni dei tedeschi di Knowbotic Research, che aprono a riflessioni inedite sulla nuova complessità della scena contemporanea già avviate tra l altro 10

dal fenomeno definito videoteatro. Parlando di una sua performance, Afasia, Antunez Roca dice: Prima di tutto queste investigazioni mi permettono di sperimentare il rapporto con il pubblico. Operare in mezzo ad una complessità come quella di Afasia significa avere la possibilità di controllare fisicamente tutto quello che succede durante la performance: luce, suono, immagine multimediale, videocamera in tempo reale, effetti del suono, robot. Questo impianto risponde all intento di creare una nuova interfaccia, che fa funzionare l intero spettacolo a partire dal corpo. L'uomo ha creato in molti secoli tante interfacce che permettono tante libertà d azione ma allo stesso tempo dei limiti. Per esempio la tastiera del computer è la riproposta della tastiera del pianoforte, non si può certo dire che sia male, ma questo ti obbliga a essere sempre seduto, senza nessuna altra attività che quella di agire con le mani solo sulla tastiera che è appunto un interfaccia che costringe il nostro corpo a essere sedentario, in questo senso è evidente il limite di questa soluzione. E proprio nel tentativo di superare questi limiti che lavoro sulla ricerca di nuove relazioni con le macchine, portandole in scena con un impianto multimediale, come in Afasia 11. Nella performance descritta dall'artista è il suo corpo ad intervenire in modo esteso sulla scena. Con un complesso esoscheletro innervato di sensori, il performer esprime una tele-operatività che permette di muovere dei robot musicali e d interagire con una videoproiezione da computer. Sulla scena campeggiano totemiche delle installazioni d acciaio che attraverso un complesso sistema di servomeccanismi, producono dei suoni: una sorta di grande chitarra, un tamburo e una serie di fiati. Con il movimento del suo corpo pilota le interfacce: agisce a distanza su questi strumenti suonandoli con una gesticolazione precisa. E' uomo-orchestra che si muove e suona, estendendo l azione del suo corpo non solo nello spazio ma nelle macchine elettroniche che traducono i suoi gesti in informazioni dinamiche, bit che muovono le cose. Il suo corpo con quelle protesi elettromeccaniche muove la macchina, la informa 12. 7. Into my (robotic) arms Ritorniamo agli anni Settanta dove, tra gli artisti maggiormente significativi, troviamo Mark Pauline e Stelarc. Il primo è il fondatore del gruppo Survival Research Laboratories (SRL) nato a San Francisco nel 1978. Con i suoi collaboratori più stretti, Chico MacMurtriee, Brett Goldstone, Matt Heckert ed Eric Werner, Pauline ha progettato e creato 11 12

delle macchine di leggendaria distruttività e orrore, nelle quali si integrano minacciose metafore meccaniche e cadaverici residui animali. Come afferma lo stesso artista in un'intervista: Nonostante le inevitabili limitazioni, noi tentiamo di creare delle situazioni che scatenino degli interrogativi e che permettano alla gente di troncare con la limitata realtà che hanno ora a disposizione, giocando con i simboli e prendendo in considerazione la confusione reale della nostra cultura. Sfruttiamo questo aspetto della cultura occidentale per realizzare degli spettacoli dove la gente interagisce come vittima, con un mondo abitato da macchine, costruito per soddisfare le esigenze di questi congegni meccanici antropomorfizzati 13. Pauline considera le sue performing machines come sculture frankensteiniane, costruzione degli elementi dello spirito che ogni macchina riflette in base alle persone che l'hanno costruita insieme. Robot realizzati artigianalmente, lanciafiamme, cannoni sonici, carcasse di animali, mostri meccanici pilotati attraverso Internet; un manichino di mezzo soldato che si muove arrancando penosamente sulle braccia; un'automobile in fiamme che viene sollevata e lasciata ricadere da una gru; una gigantesca mano mossa da un pistone con otto tonnellate di potenza; go-kart spinti da propulsori di jet: questi sono gli ingredienti degli spettacoli. Da vent'anni questo gruppo di ricerca americano realizza macchine semoventi che attraversano grandi spazi, generando fortissimi rumori e fumi pestilenziali. A volte, all'interno delle macchine si trovano articolazioni di animali, grottescamente mosse da ingranaggi recuperati dagli scarti industriali. Scene da laboratorio di Frankenstein. I veicoli si scontrano, auto e camion vengono sventrati da gru e dispositivi per la demolizione. La location ricorda più una periferia metropolitana che un palcoscenico tradizionale, dove gli esseri umani partecipano solo come operatori a distanza o spettatori. Le esibizioni hanno titoli tutt'altro che rassicuranti: Ulteriori esplorazioni di esperimenti letali, Previsione calcolata dell'ultima distruzione, Disintegrazione strutturale spontanea. Sembrano le etichette di terribili pozioni nascoste nello scantinato di un castello svizzero... Come il nome del gruppo (SRL, tradotto, Laboratori di ricerca di sopravvivenza), anche gli spettacoli richiamano una continua ricerca sperimentale, nel tentativo di provocare sensazioni e reazioni sempre più forti e disorientanti, riportando a nudo la vera struttura degli oggetti, che sempre più spesso ci viene nascosta. Così va in scena la resurrezione e distruzione finale del prodotto tecnologico. Vengono esaltate le macchine in quanto ri-creazione umana, una sorta di ripresa del controllo sulla tecnologia che ci avvolge. Tutto quello che

viene costruito può servire per altri scopi: spetta solo all'artista trovarli, attraverso le proprie conoscenze scientifiche e meccaniche. L'invito continuo è allora quello di trasformarsi da spettatore passivo in operatore attivo, di analizzare, manipolare e ricreare il prodotto industriale. Anche per questo esortano il pubblico a partecipare ai loro show, per esempio mettendo a disposizione mirini computerizzati per sparare micidiali proiettili con cannoni telecomandati. Come la filosofia cyberpunk insegna, ognuno di noi può intervenire sulla realtà, anche riscoprendo funzioni e possibilità nascoste negli oggetti di tutti i giorni 13. Gli Amorfic Robot Works 14 si sono formati nel 1992 e sono un gruppo di artisti e tecnici newyorkesi che lavorano insieme per generare installazioni robotiche. Il direttore artistico è Chico MacMurtrie, che così descrive il suo operare: Il mio lavoro è un'attività di continua scoperta nel campo del movimento e del suono. Ogni macchina è ispirata, o influenzata, sia dalla società moderna, sia dalle sperimentazioni fisiche del gruppo. L'insieme di questi input si trasforma in idee e opere. Gli Arw hanno prodotto centinaia di lavori interattivi e macchine umane e non, comandate da computer, come Growing Raining Tree, sorta di salice piangente interattivo, realizzato per il Lois & Richard Rosenthal Center for Contemporary Art di Cincinnati, in Ohio. L'albero si muove attraverso un meccanismo robotico che permette di interagire con gli spettatori. Più ospiti si trovano sotto i sessanta rami di stagno dell'albero, più l'albero comincia a muoversi. Un'altra scultura interattiva è Urge, collocata ai Giardini Yerba Buena di San Francisco, in California, e fa parte di una serie di sculture similari disposte dagli Arw in tutto il mondo. In questa scultura, sorta di scheletro antropomorfo posto sopra una gigantesca sfera, l'interattività, dunque il movimento del robot, viene innescata dallo spettatore, che con il suo peso, sedendosi di fronte alla scultura la renderà animata. Corpo mutante Una vera e propria mutazione corporea è quella di Stelarc, performer radicale di origine cipriota, ma emigrato in Australia da tempo. Stelarc, realizza performance radicali ai limiti della body art più estrema, come quella che lo ha visto venticinque volte, tra il 1976 e il 1988, sospendersi nel vuoto delle strade di New York o Melbourne appeso a degli uncini infilati nella pelle. Oggi le tecnologie sono soprattutto il supporto fondamentale 13 14

delle nostre immagini piuttosto che dei nostri corpi fisici. Il corpo non può più soddisfare le aspettative generate dalle immagini che di esso abbiamo creato. Nell'ambito delle immagini mutanti e moltiplicanti l'incapacità del corpo è evidente. Le immagini orbitanti anestetizzano il corpo... 15. Ha utilizzato strumenti medici, protesi, sistemi di realtà virtuale e Internet per esplorare, estendere e amplificare i parametri operativi del corpo; ha filmato all'incirca due metri del proprio spazio fisico interno (polmoni, stomaco, colon) con una scultura-sonda. Lavori come Ping Body e Parasite lo hanno visto alla prova con nozioni di sistemi nervosi esterni, estesi e virtuali che collegano il corpo dell'artista a Internet. una protesi robotica che si applica al corpo, mossa da un sofisticato sistema di interfacce in grado di coordinarla con il movimento delle mani, quelle reali. (Figura 7) E' applicata al braccio destro del corpo, come elemento aggiuntivo, anziché come sostituzione prostetica, ed è in grado di muoversi indipendentemente. Essa ha un meccanismo per aprire e chiudere le dita, può ruotare il polso di 290º e possiede un sistema di feedback tattile per un rudimentale "senso del tatto". Come spiega Stelarc, Mentre il corpo attiva questo terzo manipolatore, il "vero" braccio sinistro è comandato a distanza, spinto in azione da due stimolatori muscolari, su cui sono posizionati elettrodi. La dinamica dei movimenti del braccio ritma la performance e i segnali dello stimolatore sono utilizzati come sorgenti sonore, così come i rumori dei meccanismi motorizzati della Terza Mano 16. Altra opera è The Stomach sculpture del 1993 che mostra attraverso l'intervento chirurgico come la tecnologia diventi una componente del corpo: non si tratta più di protesi ma di interventi diretti nel corpo e fusi con esso. Stomach sculpture è stata realizzata grazie al chirurgo Charles Akle e consiste in una scultura interna, cioè una capsula di 5 centimetri per 5 millimetri di oro, argento, titanio e acciaio, che si estende nello stomaco con un servomotore controllato da un circuito logico. I componenti della capsula, che si apre, escono dalla stessa formando una scultura, un'opera d'arte. Si tratta di una prova di biotecnologia. Dietro lo slogan di Stelarc "enhancing the body" c'è qualcosa che è forse opportuno chiamare "necessità evolutiva": innalzare il proprio corpo, spostando in avanti i termini della 15 16

sua funzionalità, fisica e mentale. In questo senso Stelarc sembra interessato più a un progetto di "biologizzazione" della macchina, affine a quello dei Survival Research Laboratories, piuttosto che a al concetto di opera d'arte, come Orlan, famosa per le sue chirurgie plastiche reificate, messe in scena. In questa contemporaneità sovraccarica di informazioni, che inebetisce i corpi e stordisce le menti, dove non c'è una libertà di idee, può esistere una libertà di forma. Dice Stelarc: La libertà fondamentale degli individui è determinare il destino del proprio Dna. In questo modo i mutamenti biologici diventano una scelta, non un caso. E da qui l'importanza delle tecnologie, come quelle mediche, che controllano, modificano e mappano il corpo, proprio come Derrick de Kerckhove sostiene nel suo saggio Remapping sensoriale nella realtà virtuale e nelle altre tecnologie ciberattive 17. Ma se per il performer australiano il corpo è obsoleto, per Derrick De Kerckhove la concezione cambia: Oggi l'uomo non è più misura di tutte le cose. [...] La pelle non è più un limite esclusivo, ma un'interfaccia di comunicazione con la macchina e sistemi sensoriali tecnici, come il satellite, che è un sistema di estensione sensoriale tecnicamente esistente 18. Il corpo come concezione rinascimentale, totale e centrale, è finito. Il corpo contemporaneo è bionico, misto di tecnologia e biologia. E così, per Stelarc, il corpo diventa obsoleto e sostituibile: Considerare obsoleto il corpo, nella forma e nella funzione, potrebbe sembrare il colmo della bestialità tecnologica. [...] Non si tratta più di perpetuare la specie umana mediante la riproduzione, ma di perfezionare l'individuo tramite la riprogettazione. Ciò che è significativo non è più il rapporto maschio-femmina, ma l'interfaccia uomo-macchina 19. E' ancora De Kerckhove a fare da controcanto: Credo che l'esplorazione del corpo sia fondamentale perché è necessario mutare la nostra comprensione della relazione tra corpo e ambiente. Oggi questa relazione è mediata dalla tecnologia. [...] Coloro che sostengono l'inutilità del corpo si sbagliano, perché il corpo diventa sempre più importante come prima interfaccia con il mondo 20. Per Stelarc il corpo "migliore" allora sarà quello svuotato, come cavità senza organi, anestetizzato, o meglio un cybercorpo, non più soggetto, ma oggetto: irto di elettrodi e di antenne che amplificano le sue capacità e proiettano la sua presenza in luoghi remoti e virtuali. E' tempo di rendere 17 18 19 20

compatibile l'uomo alle macchine, innestando al corpo esoscheletri per potenziarlo, utilizzando strutture robotiche come ricettacoli per trasformarlo. La manipolazione genetica, la metamorfosi del corpo che da biologico diventa sempre più tecnologico, non solo attraverso protesi esterne, ma sempre più interne e meno invasive è tema portante della poetica dell'artista australiano a cui va il merito di avere aperto per primo il varco verso questi temi, oggi sempre più discussi, non solo nell'ambito della performance artistica. Come sostiene anche il teorico ed artista Eduardo Kac, il futuro della robotic art si trova a convergere verso quello della bioart, verso quella che ampiamente è stata definita biotech art. La macchina non sarà più solo sede della manipolazione, ma sempre più il vivente, addizionato di tecnologia. Su questo tema il teorico Antonio Caronia distingue tre linee di tendenza 21 : il corpo replicato, il corpo invaso, il corpo disseminato. Dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti il passo è breve. L autore come esempio del corpo replicato fa riferimento al tema classico dell uomo artificiale, l'androide biologico di Dick. Come esempio del corpo invaso Caronia fa riferimento a Stelarc, alla sua Stomach Sculpture. L'esperienza del corpo disseminato nasce già con il telefono: la voce telefonica è quindi già una prima forma embrionale di disseminazione del corpo. L'uomo sarà sempre più compatibile alle macchine, il corpo sarà potenziato da esoscheletri utilizzando strutture robotiche come ricettacoli per trasformarlo. Nuovi scenari Un altra interessante prospettiva è quella che offerta dall artista e ricercatore statunitense Garnet Hertz. L'oggetto a cui ruota attorno la ricerca di Hertz è cioè un innesto biorobotico: il suo nome scientifico è Gromphadorhina portentosa, proviene dal Madagascar ed è uno scarafaggio gigante. Lungo fino a otto centimetri, si muove lentamente. Hertz, ricercatore alla University of California, riprogramma la vita di una esotica blatta dotandola di una estensione robotica. È forse il primo insetto cyborg della storia, nato da un interessante percorso di ricerca intitolato "Controllo e comunicazione nell'animale e nella macchina". Uno degli obiettivi di questo studio è dimostrare che la robotica contemporanea e gli animali siano più simili di quanto si sia pensato fino ad oggi. Hertz sostiene per esempio che molti robot, per muoversi su terreni accidentati, emulano il 21

modello comportamentale dello scarafaggio, in grado di adattarsi velocemente all'ambiente. (Figura 8) E l'idea che ha portato alla cyberblatta nasce proprio qui: cosa accade se uno scarafaggio si mette letteralmente alla guida di una macchina? Hertz ha così costruito un carrello robot dotato di un insolito sistema di controllo automatico: al posto di un cervello elettronico, l'intelligenza della macchina è uno scarafaggio del Madagascar. Posizionato sopra un trackball modificato, l'insetto è circondato da una serie di diodi. Muovendosi con le zampette sopra la pallina, lo scarafaggio fa spostare il carrello: in caso di collisione, appositi sensori fanno illuminare il diodo corrispondente. Immediatamente, l'animaletto sgambetta nella direzione opposta, fuggendo dalla luce. Infatti gli scarafaggi sono notoriamente "allergici" ad ogni tipo di fonte luminosa. Il cyberscarafaggio sembra adattarsi all'ambiente circostante, proprio come se le ruote, il metallo ed il silicio del carrello automatico ne fossero diventate parte integrante. L'ambizione di Hertz è favorire la riflessione sullo scontro tra natura e tecnologia. Di certo, rimane qualche interrogativo sui diritti degli animali. Del collettivo Robotlab è invece l'opera intitolata Profiler (2004-2007), un robot che disegna le silhouettes dei visitatori e le dispone in una composizione correlazionata. Salendo su una pedana dotata di un fondale luminoso, il visitatore interagisce con il robot che si dispone per la ricognizione e la cattura della figura umana con i suoi video-occhi, consentendo al computer di elaborare l immagine e di trasformarla in una serie di linee disegnate dal robot con pochi movimenti su una grande lavagna. L installazione bios [bible] (Robotlab, 2007) mostra un robot industriale intento a trascrivere, con minuzia incredibile, la Bibbia su di un lungo rotolo di carta. Il robot, partendo dalla genesi, riproduce tutto il testo nell arco di sette mesi 22 (Figura 9) Il robot che entra sempre più nella vita quotidiana è un tema affrontato anche dagli artisti contemporanei di ultima generazione. France Cadet nel 2007 ha creato Do robotic cats dream of electric fishes? In quest'opera Nemo, un pesce robotico nuota imperturbabile in uno schermo davanti al quale 22

gatto robotico si siede di fronte ad esso e fissa Nemo come se stesse guardando un pesce vivo che nuota in un acquario reale. Ogni tanto si alza, muove la coda e tenta di prendere la preda, ma senza fortuna. Inserendosi nella vita quotidiana, i robots oggi sono sempre più simili alle forme di vita biologica. Anche Autopoiesis (2000) di Kenneth Rinaldo, è una creazione artistico-biologica composta da una schiera di robots che interagiscono con il pubblico e modificano la loro posizione in funzione di quella dei visitatori. Le sue installazioni interdisciplinari guardano alle intersezioni tra i sistemi naturali e i sistemi tecnologici. L integrazione tra gli elementi organici e quelli elettromeccanici dichiara una confluenza e una coevoluzione tra il biologico e il materiale tecnologico in trasformazione. (Figura 10) Le tecnologie digitali si integrano sempre più nella vita di tutti i giorni e il confine fra virtuale e reale è sempre più sottile. Questa installazione immagina uno spazio in cui ciò che accade all interno dei nostri dispositivi digitali ha la capacità di entrare nel mondo fisico. Piccoli insetti fatti di luce si spingono dallo schermo verso gli spettatori stabilendo un contatto. Mentre i due sistemi cercano di capirsi, si crea una nuova storia di responsabilità, intimità e confine fra virtuale e reale. Problematiche e sviluppi futuri La robotica è già nella nostra vita, costantemente. Basta guardare lo spazio che quasi quotidianamente i media dedicano alle sue applicazioni. Nel giro di qualche anno i robot diventeranno parte integrante della società umana, come sottolinea anche Pier Luigi Capucci 23 : La robotica, in tutte le sue forme da quella industriale a quella personale e di massa, è considerata di importanza strategica all interno dell Unione Europea e varie iniziative, tra cui la European Robotics Platform (EUROP), ne sostengono la ricerca e lo sviluppo. La sua diffusione comporterà una serie di problematiche sociali, etiche e persino giuridiche. In questa direzione va anche il progetto europeo transnazionale Feeling Growing (Feel, Interact, express: a Global approach to development With Interdisciplinary Grounding), che cerca di stimolare la ricerca sulle capacità comunicative, interattive, espressive ed emotive dei robot. In questo scenario è dunque opportuno aprire una parentesi sull etica in relazione all evoluzione tecnologica e, in 23

particolare, dei robot. La tecnoetica è l'etica in relazione all evoluzione tecnologica dei robot. Il concetto è stato definito dallo studioso Roy Ascott 24. Come sostiene anche il critico e teorico Eduardo Kac, il futuro della robotic art oggi si trova sempre più a convergere verso quello della bioart, verso quella che ampiamente è stata definita biotech art. La macchina non è più - solo - sede della manipolazione, ma sempre più il vivente, addizionato di tecnologia. Il futuro della robotic art si trova a convergere verso quello della bioart, verso quella che ampiamente è stata definita biotech art. La macchina non sarà più - solo - sede della manipolazione, ma sempre più il vivente, addizionato di tecnologia. Le tecnologie Grin (genetica, gobotica, informatica e nanotecnologie), stanno cambiando la nostra vita. Dunque, come sostiene in Radical evolution il futurologo Joel Garreau: La novità vera è che la scienza, che per anni si è rivolta all'esterno, oggi guarda sempre più dentro il corpo umano. Secondo Ray Kurzweil, autore di The Age of Spiritual Machines, la singolarità oltre la quale l'intelligenza artificiale eguaglierà e supererà quella umana è vicina grazie a una crescita esponenziale delle tecnologie. Kurzweil implica la realizzazione di alcune condizioni ed ipotesi tutt'altro che ovvie. Quella fondamentale è che la tecnologia possa modellare completamente il sistema nervoso umano. Come ha anche osservato recentemente il fisico Ignazio Licata, secondo i principi della fisica quantistica, in realtà le nanobiotecnologie, che lavorano sull'ordine dei nanometri, sono ben lontane da queste possibilità. Per Ignazio Licata infatti non basta un criterio di brute force come quello di Kurzweil, basato sulla quantità di bit elaborati, ma bisogna piuttosto indagare le connessioni profonde tra diversi modelli di fisica e di computazione per comprendere se possono supportare qualcosa di simile ad una coscienza. Il primo passo allora passa attraverso un radicale ripensamento non soltanto di cos'è la coscienza, ma sopratutto di cosa intendiamo per "macchina", ricordando che con questo termine non si indica un insieme di ingranaggi, ma ci si riferisce piuttosto ad un modello di mondo fisico e di informazione di cui la macchina è soltanto l'implementazione ultima. Oggi, al di là delle previsioni sul futuro imperante, il problema più urgente non è lo sviluppo di un'etica sull'innesto robotico nei nostri corpi, ma un'etica umana condivisa da coloro che costruiscono robot. Su questa urgenza nasce la roboetica, che ha aperto immediatamente 25 un selvaggio dibattito in tutto il 24 25

mondo. E stato stilato un manifesto sulla roboetica, che possa analizzare i vari problemi posti dall'interazione uomo-macchina e vantare un comitato di esperti internazionali su ogni campo della robotica. Esso riguarda soprattutto per ora, il coinvolgimento della società dei produttori di macchine nel dibattito oggi aperto, al fine di un comune codice etico.