DIRITTO DI PUNIRE E FINALITÀ DELLE PENE SECONDO CESARE BECCARIA

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DIRITTO DI PUNIRE E FINALITÀ DELLE PENE SECONDO CESARE BECCARIA Quello di Cesare Beccaria rappresenta un caso esemplare del cosiddetto utilitarismo giuridico (vedi documento precedente, ma anche, al 2.1 Il dibattito filosofico sulla pena di morte). Il punto di partenza della sua argomentazione è espresso in modo chiaro proprio all inizio dell opera Dei delitti e delle pene: Le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall'incertezza di conservarla. Essi ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità. Si tratta evidentemente di una concezione contrattualistica dello Stato, cioè di una concezione filosofico-politica secondo la quale lo Stato nasce da un contratto tra i singoli individui. Il contrattualismo moderno si afferma nel 17 e 18 sec. per opera della scuola del diritto naturale. Attraverso il contratto gli individui convengono di uscire dallo stato di natura dove sono eguali e liberi, ma privi di garanzie e di formare una società civile sottomettendosi volontariamente a un potere sovrano 1 Secondo le dottrine contrattualiste, perciò, senza tale contratto gli uomini si troverebbero nel cosiddetto stato di natura, una condizione di maggiore libertà ma anche di eccessiva insicurezza. Sono però assai diversi i modi di concepire tale stato di natura, come pure la natura del contratto. Il modo in cui Beccaria si riferisce allo stato di natura risente di un evidente influenza del pensiero di T. Hobbes, come indica l immagine degli uomini indipendenti ed isolati e quella del continuo stato di guerra che caratterizzerebbe tale condizione. Gli uomini cioè, al di fuori 1 Enciclopedia Treccani on line, voce contrattualismo

dello Stato (non c è qui distinzione fra Stato e società civile) non sarebbero che selvaggi guidati solo dal proprio naturale egoismo. Questa immagine è confermata poco dopo, quando Beccaria introduce il primo riferimento alle pene: Vi volevano de' motivi sensibili che bastassero a distogliere il dispotico animo di ciascun uomo dal risommergere nell'antico caos le leggi della società. Questi motivi sensibili sono le pene stabilite contro agl'infrattori delle leggi. Nonostante questa influenza hobbesiana nel concepire lo stato di natura, Beccaria non trae le stesse conclusioni che traeva Hobbes a favore dell assolutismo della sovranità. Al contrario, il suo modo di concepire il contratto sociale è invece coerente con la tradizione liberale che ha le sue radici nel pensiero di J. Locke: della libertà naturale, infatti gli uomini ne sacrificarono una parte per goderne il restante con sicurezza e tranquillità. L obiettivo dello Stato, perciò, è quello di garantire a tutti il massimo possibile di libertà. Dovrà perciò intervenire sulla vita degli associati solo per lo stretto necessario: ogni intervento oltre tale limite dev essere condannato come tirannico. Da questi presupposti liberali Beccaria trae le sue considerazioni sul diritto di punire, ispirandosi in modo esplicito all opera di Montesquieu Lo spirito delle leggi:

Ogni pena che non derivi dall'assoluta necessità, dice il grande Montesquieu, è tirannica; proposizione che si può rendere piú generale cosí: ogni atto di autorità di uomo a uomo che non derivi dall'assoluta necessità è tirannico. Ecco dunque sopra di che è fondato il diritto del sovrano di punire i delitti: sulla necessità di difendere il deposito della salute pubblica dalle usurpazioni particolari; e tanto piú giuste sono le pene, quanto piú sacra ed inviolabile è la sicurezza, e maggiore la libertà che il sovrano conserva ai sudditi. Consultiamo il cuore umano e in esso troveremo i principii fondamentali del vero diritto del sovrano di punire i delitti, poiché non è da sperarsi alcun vantaggio durevole dalla politica morale se ella non sia fondata su i sentimenti indelebili dell'uomo. Qualunque legge devii da questi incontrerà sempre una resistenza contraria che vince alla fine, in quella maniera che una forza benché minima, se sia continuamente applicata, vince qualunque violento moto comunicato ad un corpo. Si noti come Beccaria non utilizzi moralistici appelli alla tutela della libertà naturale, ma osservi invece come questa tendenza alla libertà è un sentimento inscritto nel cuore umano, che tenderà sempre a resistere con successo a lungo andare agli abusi del potere; il quale quindi sarà tanto più forte quanto più asseconderà la natura, invece di ostacolarla come fa quello tirannico. La necessità di ridurre al minimo le pene deriva perciò innanzitutto da ragioni di utilità.

Di seguito Beccaria riprende in modo più esteso, a giustificazione del diritto penale, le considerazioni sul contratto sociale già accennate a proposito delle leggi in generale: Nessun uomo ha fatto il dono gratuito di parte della propria libertà in vista del ben pubblico; questa chimera non esiste che ne' romanzi; se fosse possibile, ciascuno di noi vorrebbe che i patti che legano gli altri, non ci legassero; ogni uomo si fa centro di tutte le combinazioni del globo. La moltiplicazione del genere umano, piccola per se stessa, ma di troppo superiore ai mezzi che la sterile ed abbandonata natura offriva per soddisfare ai bisogni che sempre piú s'incrocicchiavano tra di loro, riuní i primi selvaggi. Le prime unioni formarono necessariamente le altre per resistere alle prime, e cosí lo stato di guerra trasportossi dall'individuo alle nazioni. Fu dunque la necessità che costrinse gli uomini a cedere parte della propria libertà: egli è adunque certo che ciascuno non ne vuol mettere nel pubblico deposito che la minima porzion possibile, quella sola che basti a indurre gli altri a difenderlo. L'aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire; tutto il di piú è abuso e non giustizia, è fatto, ma non già diritto. Osservate che la parola diritto non è contradittoria alla parola forza, ma la prima è piuttosto una modificazione della seconda, cioè la modificazione piú utile al maggior numero. E per giustizia io non intendo altro che il vincolo necessario per tenere uniti gl'interessi particolari, che senz'esso si scioglierebbono nell'antico stato d'insociabilità; tutte le pene che oltrepassano la necessità di conservare questo vincolo sono ingiuste di lor natura. È curioso come l argomentazione utilizzata da Beccaria per contestare gli abusi utilizzi la contrapposizione tra fatto e diritto ma subito dopo faccia appello alla modificazione della forza (che è sempre un fatto) in diritto, attraverso la mediazione della ragione, che disciplina la forza in modo da renderla utile alla maggioranza. Ciò conferma l ambiguità di Beccaria, derivante dall ispirazione illuministica unita a quella hobbesiana (Hobbes deduceva senz altro il diritto dal fatto).

Da ultimo, Beccaria, trae dai suoi presupposti le conclusioni contenute nel brevissimo paragrafo sul fine delle pene. In base alla classificazione di cui al precedente documento, si può dire che quella di Beccaria può essere rubricata come una dottrina della prevenzione negativa. Infatti egli afferma: Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. [ ] Il fine dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d'infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione [tra al gravità della pena e la gravità del delitto], farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo. Manca perciò in Beccaria un idea positiva dell azione punitiva, in particolare l idea che fra gli scopi della punizione possa esserci quello del recupero-rieducazione del condannato, in modo che egli possa reintegrarsi nella società; c è solo quella di trattenerlo dal far nuovi danni, oltre che quella di prevenzione generale della deterrenza, rivolta agli altri cittadini, in modo che siano trattenuti dal compiere analoghi reati. Questa concezione solo negativa dell azione punitiva è coerente con la visione pessimistica, di stampo hobbesiano, dell essere umano: se si ritiene che non esista alcuna socialità naturale e che ogni uomo si fa centro di tutte le combinazioni del globo, è difficile pensare che gli uomini si possano migliorare. Affinché idea del fine rieducativo della pena si possa fare strada è necessaria una visione più ottimistica della natura umana, sebbene non necessariamente fondata su presupposti religiosi. Coerente con la sua concezione della finalità della pena sono le argomentazioni di Beccaria contro la pena di morte e contro la tortura. In esse l accento è posto meno sulla crudeltà in sé delle pene che sul carattere gratuito di tale crudeltà, cioè sulla loro inutilità o inefficacia (sulla sua critica alla pena di morte, vedi il dettaglio nel paragrafo 2.1).