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Berlino premia «Il canto della pelle (Sex Unlimited)» di Claudio Ambrosini Claudio Ambrosini dirige Il canto della pelle (Sex Unlimited) Continuano i riconoscimenti internazionali alla musica di Claudio Ambrosini. Il compositore veneziano, reduce dal Leone d Oro per la musica del presente, che l anno scorso si è aggiudicato con Plurimo (per Emilio Vedova), è stato da poco insignito del premio «Music Theatre Now», indetto dall International Music Theatre Institute di Berlino, per il suo spettacolo di teatro musicale Il canto della pelle (Sex Unlimited), il cui libretto era stato già premiato dalla Fondazione Beaumarchais nel 2007. Il lavoro in questione è un «melodramma giocoso in due parti e un labirinto» che comprende quattro voci, attrice, danzatore, dieci strumenti ed elettronica (cfr. VeneziaMusica e dintorni n. 15, pp. 40-41), e forma la parte mediana di un trittico operistico formato da Big Bang Circus (Piccola Storia dell Universo) e Il giudizio universale. Ma la poliedrica attività di Ambrosini non si arresta qui. Le sue musiche sono infatti state protagoniste dell omaggio ad Andrea Zanzotto presentato il 17 ottobre a Farra di Soligo. Al «trittico per quattro voci di donna e pianoforte» creato a partire dalle magiche parole di Filò nel 2003 si è aggiunto per l occasione anche Ur-Malo, «polittico per quattro voci di donna, pianoforte e cose» su testo di Luigi Meneghello, con Zanzotto massima gloria della letteratura veneta novecentesca. Spostandoci a Parma è poi la volta del De vulgari eloquentia per flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte, brano che oltre ad averlo composto nel 1984 Ambrosini dirige con il suo Ex Novo Ensemble. E non è finita: pochi giorni dopo l appuntamento parmigiano, nel Palazzo dei Congressi di Taormina è proposta la prima esecuzione assoluta del Quintetto delle dissonanze, eseguito dall Alborada String Quartet insieme alla straordinaria tromba di Paolo Fresu. Un calendario dunque a tutto tondo, che mette in evidenza la duttilità e la versatilità compositiva di questo artista, che alla fine della stagione lirica della Fenice vedremo impegnato nel debutto mondiale della sua inedita produzione teatrale, Il killer di parole, un soggetto scritto a quattro mani con Daniel Pennac per uno spettacolo diretto da Giorgio Barberio Corsetti. (l.m.) Il Trio Fibonacci apre «Intrasonus» 2008-2009 «Il nostro desiderio è innanzitutto quello di coprire un vuoto che da troppi anni opprime il territorio veneto, che riguarda l assenza quasi totale della musica classica contemporanea nelle stagioni ufficiali istituzionali. Perché anche quando questo tipo di musica viene proposto, resta sempre relegato ad evento di nicchia rivolto ad addetti ai lavori. È questo il motivo principale che ci ha spinto, qualche anno fa, a dare vita alla programmazione di Intrasonus». Così Roberto Rusconi commenta «Il Suono Ascoltato», la nuova stagione di «Intrasonus», da quest anno giustamente inserita nel circuito «Giovani a Teatro». Ed effettivamente il cartellone 2008-2009 si preannuncia estremamente interessante: dopo il concerto inaugurale tenuto dal Calefax Reed Quintet di fronte ai 200 studenti del Marco Polo, i primi due appuntamenti prevedono infatti formazioni musicali di primissimo piano, come il canadese Trio Fibonacci e il Moscow Contemporary Music Ensemble. Il primo, nato nel 1998 e da tempo affermato soprattutto per il suo articolato ed eclettico repertorio contemporaneo, nell arco di una serata al Centro Culturale Candiani il 22 novembre proporrà un programma che da Felix Mendelsshon giunge alle composizioni di Marc Hayland che è stato sovvenzionato dal Dipartimento delle Arti del Canada per assistere alla sua esecuzione veneziana e dello stesso Rusconi. Come antipasto al concerto, Julie-Anne Derome, la violinista fondatrice del Trio, il giorno prima sarà di scena alla Sala Consiliare di Portogruaro con un suo assolo, che alternerà musiche di Giacinto Scelsi, Margareta Jeric e ancora Rusconi, che di «Intrasonus» è anche l entusiastica anima direttivo-organizzativa. Il 20 dicembre, sempre all Auditorium del Candiani, sarà la volta del Moscow Contemporary Music Ensemble, uno dei gruppi di musica contemporanea più importanti di tutta la Russia, fondato nel marzo 1990 da Yuri Kasparov. L obiettivo principale di questa compagine di musicisti è quello di promuovere la musica russa del XX e XXI secolo all estero, e per converso far conoscere al pubblico russo la musica di compositori europei e americani. Il programma, impegnativo e seducente, presenterà, oltre a brani di compositori italiani, come Davide Anzaghi, opere di Gustav Mahler, Sergej Prokofiev, Yuri Kasparov, Anton Safronov e Alexey Sioumak. (l.m.) contemporanea 39 Mestre Centro Culturale Candiani 22 novembre, ore 18.30 Trio Fibonacci Mestre Centro Culturale Candiani 20 dicembre, ore 18.30 Moscow Contemporary Music Ensemble Portogruaro Sala Consiliare 21 novembre, ore 21.00 Julie-Anne Derome Moscow Contemporary Music Ensemble contemporanea

contemporanea 40 contemporanea Dallapiccola e Petrassi: due itinerari paralleli di Anna Scalfaro Sul ruolo che Luigi Dallapiccola e Goffredo Petrassi rivestirono nel panorama musicale italiano si potrebbe esclamare con Joyce «How Life begins». Con le stesse parole Dallapiccola aveva ricordato un momento significativo della sua vita: la lettura, nel 1921, del Manuale Goffredo Petrassi di armonia di Arnold Schönberg. Il compositore istriano riconobbe subito nel collega viennese un modello artistico e umano e, più tardi, nella dodecafonia il mezzo di espressione più congeniale; dopo aver impiegato il metodo per la prima volta nel 1942, salvo rare eccezioni non lo avrebbe abbandonato mai più. Anche Goffredo Petrassi si sarebbe cimentato con la dodecafonia, ma l avrebbe presto accantonata per seguire strade differenti, in nome di un eclettismo stilistico che lo avrebbe avvicinato ad un altro grande compositore del Novecento, Igor Stravinskij. I due musicisti italiani spianarono vie del tutto nuove per l Italia, contribuendo a far uscire il paese da un nazionalismo ormai angusto e lasciando una preziosa eredità alle generazioni future. Le vite di Petrassi e Dallapiccola sono costellate da curiose coincidenze. Nati entrambi nel 1904, il primo crebbe e si formò a Roma nella classe di composizione di Alessandro Bustini al Conservatorio di S. Cecilia; il Luigi Dallapiccola Come ulteriore approfondimento della sezione speciale dedicata al Novecento, pubblichiamo una riflessione su due protagonisti della prima metà del secolo, già ricordati nel numero scorso all interno dell intervento che Virgilio Bernardoni ha incentrato sulle origini del Novecentismo italiano (cfr. VeneziaMusica e dintorni n. 24, p. 33). secondo proseguì gli studi avviati nella città natale, Pisino d Istria, al Conservatorio di Firenze, sotto la guida di Vito Frazzi. Entrambi esordirono nei primi anni trenta con composizioni di stampo neoclassico, sulla scia dei più anziani Casella, Malipiero e Pizzetti; entrambi scrissero una Partita per orchestra, affine a quella congerie di pezzi, allora molto in voga, dai titoli ricercari, toccate, sonate e sonatine che volevano recuperare forme antiche; infine, furono entrambi nominati docenti, Petrassi al Conservatorio di Roma nel 39 e Dallapiccola a Firenze l anno dopo. Una notevole diversità di carattere rese particolare il loro rapporto di amicizia: Petrassi non accettava certe asprezze di Dallapiccola, e Dallapiccola mal tollerava le piacevolezze di Petrassi. Quanto era disponibile e aperto quest ultimo a realtà pur distanti da lui, tanto fermo e radicale si manteneva Dallapiccola nelle proprie posizioni. L uno lasciò numerosi scritti, spinto dal desiderio di raccontarsi e chiarire le proprie idee; l altro non scrisse quasi nulla, per un innato pudore nell esprimere pensieri e sentimenti. Malgrado le differenze, nutrirono però l uno per l altro una profonda stima. Tuttavia dopo la guerra i loro rapporti si incrinarono, e occorsero anni perché i contrasti venissero appianati; ciò che avvenne dopo l incontro nella cripta di S. Domen ico a Siena per l esecuzione dei Mottetti per la Passione di Petrassi, un opera molto amata da Dallapiccola, che condivideva con l amico un profondo sentimento religioso. Accomunati i due compositori lo furono anche, alla vigilia della guerra, nell angosciosa presa di coscienza della deriva verso cui stava andando il Paese. A distanza di anni, Petrassi si sarebbe amaramente pentito di essersi fatto trascinare, da giovane, dai fasti nazionalistici del fascismo, di aver «creduto più alla retorica che alla realtà di quell Italia che si stava sfasciando». E Dallapiccola, pur affermando con orgoglio nei suoi scritti di non essersi mai lasciato incantare dal regime, non sarebbe riuscito a nascondere l amarezza di non aver capito fin da subito la gravità della situazione. Eppure, in quel momento storico così delicato, mentre tanti altri intellettuali ed artisti cominciavano a rendersi conto con drammatico ritardo della realtà, i due compositori ebbero la forza di imprimere un nuovo corso alla propria produzione, con l abbandono della fase neoclassica dei recuperi e l esplorazione di vie nuove. Agli inizi degli anni quaranta, Petrassi e Dallapiccola composero entrambi delle liriche su frammenti greci. La tradizione umanistica, in Italia più che altrove, era considerata parte fondamentale del bagaglio di conoscenze di ogni uo-

mo di cultura. Dallapiccola, in particolare, si era appassionato al mondo classico, e ancor più a quello ellenico, grazie agli insegnamenti del padre, professore di greco e latino, al punto che l antica Grecia arricchì continuamente il suo immaginario poetico e ispirò moltissime tra le sue opere. Petrassi, costretto per necessità economiche ad interrompere gli studi, si era abbonato alla collana Lirici greci di Romagnoli e tra i suoi libri preferiti vi era l Odissea. Nel confronto di Petrassi e Dallapiccola sul terreno della cultura greca ebbe un ruolo particolare il poeta-traduttore Salvatore Quasimodo con il suo volume Lirici greci, da cui entrambi trassero i testi. Uscito nel 1940 per i tipi della rivista antifascista «Corrente», il volume suscitò subito un grande interesse per l estrema libertà con cui il poeta aveva James Joyce reso gli originali. Come notava Luciano Anceschi nel saggio introduttivo, Quasimodo aveva avvicinato i testi antichi allo spirito del presente, traducendoli secondo i modi della nuova poesia ermetica. Le versioni non davano solo l impressione di poesie «moderne», ma erano anche prive degli arcaismi e degli espedienti retorici che avevano caratterizzato le precedenti traduzioni (tra cui, ad esempio, quelle di Romagnoli). Petrassi fu il primo a cimentarsi con le versioni di Quasimodo nelle Due liriche di Saffo, per voce e pianoforte, del 1941. Il compositore aveva già alle spalle una discreta produzione lirica e aveva già intonato i versi di un poeta vicino all ermetismo, Libero de Libero, nel Lamento di Arianna (1936) per voce e pianoforte. Rispetto alle composizioni precedenti, però, le Due liriche di Saffo emergono per originalità e complessità. Petrassi porta a piena maturazione il suo linguaggio armonico: il canto è sciolto e spontaneo, sensibile ad ogni fremito dei versi, mentre la scrittura pianistica, che privilegia la ricerca armonica e timbrica, è di un accesa modernità, ricca di dissonanze. Gli accordi esulano ormai da una catena di relazioni tonali per assumere una funzione più che altro coloristica, non immemore di Debussy. Sono scelte compositive che, nell Italia del periodo, denotano una ricerca di modernità, o comunque di altre strade che non siano quelle del recupero di scritture Salvatore Quasimodo contemporanea 41 modaleggianti o pseudoarcaiche. Dallapiccola fa ancora di più. Nei Cinque frammenti di Saffo del 42, per voce e orchestra da camera, impiega per la prima volta la dodecafonia. È per lui l inizio di un nuovo capitolo. D ora in avanti proseguirà sulla strada di un acquisizione sempre più rigorosa del metodo, pur non rinunciando mai del tutto ad una linea melodica cantabile, per così dire «all italiana». Se per Petrassi le versioni di Quasimodo restano un caso isolato, per Dallapiccola l esperienza si ripeterà: ai Cinque frammenti di Saffo seguono i Sex Carmina Alcaei ( 43), per voce e orchestra da camera, e le Due liriche di Anacreonte ( 45), per voce, clarinetto piccolo in mi bemolle, clarinetto in la, viola e pianoforte. Le tre composizioni costituiscono il ciclo delle Liriche greche. Caratteristico della raccolta non è solo l impiego della dodecafonia, ma anche la cura assoluta del timbro e del suono. Dallapiccola crea spazi incantati e leggeri, quasi impalpabili, alla ricerca di «stati d animo sospesi a mezz aria». A quest atmosfera evanescente si sarebbero ispirati altri compositori italiani che tra gli anni quaranta e cinquanta avrebbero anche loro musicato versioni di Quasimodo, a riprova del successo riscosso dal volume tra i musicisti. Dallapiccola, che soleva ritornare a distanza di tempo sulle proprie scelte poetiche, avrebbe impiegato nuovamente le versioni del poeta nei Cinque Canti, per baritono e otto strumenti, del 1956. Se Dallapiccola ribadisce in più occasioni la significativa coincidenza tra la conoscenza del volume Lirici greci e la decisione di impiegare la dodecafonia, Petrassi, restio alle dichiarazioni, si limiterà a notare che le versioni del poeta meglio si prestavano alla musica. Al di là delle affermazioni, è significativo che in un momento tragico per il destino del nostro paese Petrassi e Dallapiccola abbiano scelto di mettere in musica le versioni di Quasimodo. La resa moderna della lirica greca, l originale novità di queste traduzioni così «insolite» rispetto a quelle di pur illustri filologi, veniva incontro al vivo e diffuso desiderio di un rinnovamento radicale delle cose, di chiudere un periodo di artificiosa e sterile stabilità culturale. Così come nel tradurre i frammenti Quasimodo aveva rinunciato a termini classicheggianti e ad esperimenti di metrica barbara, allo stesso modo Petrassi e Dallapiccola rinunciano a recuperi neoclassici. L attualizzazione dell antica poesia greca in Quasimodo coincide con un ripensamento del linguaggio musicale nei due compositori. D altro canto l ammodernamento della scrittura in Petrassi e il ricorso alla dodecafonia in Dallapiccola ricevono l avallo della tradizione classica: il nuovo è «garantito» dall antico, che ne consente l affermazione senza fratture vistose. contemporanea

contemporanea 42 contemporanea Il «Viaggio di Michael attorno alla terra» alla Biennale Musica di Paolo Cecchi Tra gli eventi più significativi del LII Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia va annoverata la ripresa dell allestimento, a cura dell orchestra MusikFabrik e del gruppo teatrale catalano della Fura dels Baus, del «Viaggio di Michael attorno alla terra», secondo dei tre atti dell opera di Karlheinz Stockhausen Donnerstag, tratta dal gigantesco ciclo Licht, preceduto nella messinscena dal preludio dell opera, intitolato «Il saluto di Michael». Donnerstag composta tra il 1978 e il 1981 è un opera a carattere teologico che fa riferimento, come tutto il ciclo di cui fa parte, ad una cosmologia mistico-soteriologica al cui centro vi è l ascesa dell uomo dalla condizione materiale dell esistenza terrena ad una superiore consapevolezza spirituale, capace di liberarlo dalla propria finitezza mortale e di proiettarlo verso una nuova condizione di comunanza con Dio, che si realizza nell eterna vicinanza alla forma assoluta rivelata nel cosmo infinito. In tale visione alcuni temi propri della teofania e dell angelologia cristiana ed ebraica, e dello spiritualismo delle sostanze divine della tradizione vedica, coesistono con una visione personale della trascendenza, pregna di un sincretismo religioso in cui filtrano anche istanze «futuribili», tra cui la convinzione della presenza di altri esseri intelligenti oltre all uomo nel cosmo, la cui esistenza è considerata come ulteriore manifestazione dell infinita conoscenza e misericordia divine. Al centro di Donnerstag (e di tutto il ciclo Licht) sono le figure/archetipi di Michael (ad un tempo uomo che aspira alla riunione con Dio, ed angelo salvatore, analogo all arcangelo Gabriele della tradizione cristiana), di Eva/ MondEva, personificazione del principio dell eterno femminino, nella doppia veste di generatrice e mediatrice tra l uomo e la divinità, mentre un minor risalto è dato alla figura antagonista di Luzifer, raffigurazione delle forze negative interne ed esterne all uomo che tendono a separarlo da Dio. Nell articolata visione teologico-spirituale proposta da Stockhausen la musica rappresenta la sostanza ultima, assieme alla luce, in cui si manifesta il divino e che unisce l uomo al trascendente, tanto che Michael alla fine dell opera, in uno splendido duetto con la tromba solista, ne canta la funzione salvifica: «Uomo sono diventato/per vedere me e Dio Padre/come visione umana/per portare la musica celeste agli uomini/e la musica umana ai celesti». Nell opera la rappresentazione della sostanza suprema che si manifesta in suoni è resa dalla musica dei «cori invisibili» registrati su nastro, che significativamente all inizio del terzo atto intonano alcuni passi tratti dai libri biblici dell Esodo e del Levitico, e dalla cosiddetta Apocalisse di Baruch, libro apocrifo dell Antico Testamento. Karlheinz Stockhausen In Donnerstag la musica non è quindi solo il principale linguaggio attraverso cui si realizza l idea drammatica, ma fa parte del contenuto stesso della cosmologia trascendente rappresentata, quale fenomeno che è ad un tempo la manifestazione e la glorificazione di Dio. Nell opera riappare così benché in forma radicalmente mutata e con finalità del tutto nuove l idea di una metafisica musicale universale a sfondo teologico che circola in talune tendenze del pensiero estetico del romanticismo e dell idealismo tedesco. La concezione mistico-religiosa di Donnerstag determina anche il materiale, l articolazione e le strutture formali e parametriche dell intera partitura, grazie all impiego di un nucleo di tre melodie sovrapposte denominato «superformula», che Stockhausen considera la rappresentazione musicale della «molteplicità nell unità» universale che caratterizza le manifestazioni visibili del divino, secondo una concezione per certi versi analoga a quella su cui si fonda l intera teologia musicale del Moses und Aron schoenberghiano, in cui la serie dodecafonica diviene matrice generatrice dell opera in quanto simbolo musicale del principio trascendente inconoscibile da cui tutto deriva. Stockhausen, attraverso complessi procedimenti di proliferazione, permutazione e combinazione variata della «superformula», genera tutta la trama musicale di Donnerstag e ne determina lo sviluppo e l articolazione dei singoli parametri. La «superformula» è composta da tre «strati», corrispondenti alle singole formule melodico-ritmiche assegnate ai tre protagonisti dell opera e del ciclo Michael, MondEva e Luzifer e governa sia le dimensioni e le durate macrostrutturali dell opera, sia i nuclei diastematici che determinano in modo seriale le altezze dei singoli episodi, sia infine le durate e la morfologia delle figurazioni ritmiche (per una circostanziata e chiara illustrazione delle funzioni generatrici a livello costruttivo della «superformula» nel ciclo Licht, si veda il saggio di Jerome Kohl pubblicato in «Perspectives of New Music», n. 28/2, 1990, pp. 262-291). La concezione della «superformula» e dei tre «strati» che la costituiscono fanno ovviamente riferimento alla prassi della serializzazione integrale che Stockhausen utilizzò in quasi tutte le sue composizioni degli anni cinquanta, ma ne costituisce una rielaborazione assai più duttile, secondo un procedimento di derivazione integrale dei diversi parametri da un nucleo originale messo a punto dal compositore nel 1970 in Mantra per due pianoforti, percussioni e modulatori ad anello, la cui formula generativa è costituita da una serie di 13 note, ad ognuna delle quali è associata una specifica durata, una specifica dinamica e una specifica articolazione, e che può venire sottoposta ad un numero estremamente ampio di permutazioni ed espansioni. Mantra segnò per Stockhausen il ritorno alla composizione interamente determinata e ferramente concepita in modo «organicistico», dopo che alla fine degli anni sessanta egli si era dedicato all esplorazione della cosiddetta musica intuitiva e alla composizione collettiva (si pensi ad esempio a composizioni come Aus den Sieben Tagen e a Musik für ein Haus). Dopo l esperienza di Mantra Stockhausen utilizzò il principio della formula generativa anche in Inori, composto nel 1974, che per molti aspetti va considerato sia dal punto di vista compositivo, sia per quel che riguarda taluni aspetti teatrali e mimico-coreutici il precedente immediato in nuce delle opere del ciclo Licht. Benché sia in questa sede impossibile dar conto anche per cenni dell importanza che la «superformula» riveste nel determinare complessivamente la coerenza e l unità nella molteplicità dell opera, è importante almeno sottolineare che le morfologie melodiche delle tre formule che la compongono si basano ognuna su una gamma di intervalli prevalenti, che permettono al compositore di organizzare singoli episodi o anche singole sottosezioni dell opera in base ad una commistione sempre diversamente dosata ma governata da un intima coesio-

contemporanea 43 ne interna determinata dall utilizzo seriale della formula delle polarità consonante/dissonante e diatonico/cromatico. Benché ognuna delle tre formule salvo quella di Luzifer, difettiva di un suono contenga il totale cromatico, ciascuna di esse presenta degli intervalli prevalenti che ne determinano la polarità: la formula di Michael, ove sono privilegiati gli intervalli di terza maggiore e di quarta, configura l ambito consonante/diatonico, mentre il polo opposto è costituito dalla formula dell antagonista Luzifer, in cui risaltano gli intervalli di semitono e di tritono; infine la formula di MondEva ha una funzione mediatrice tra i due opposti per il prevalere delle seconde minori e delle terze maggiori. Tale «polarità mediata» che può apparire sulla carta semplicistica e meccanica nel suo dualismo, viene invece utilizzata da Stockhasuen in tutta la partitura con una sapienza ed una varietà «armonica» e «melodica» per certi versi stupefacente, percepibile anche ad un primo ascolto dell opera (di cui esiste un incisione discografica in quattro compact discs diretta da Peter Eötvös e dallo stesso Stockhausen pubblicata dapprima dalla Deutsche Grammophon e poi ristampata dalla Stockhausen Verlag). Va inoltre sottolineato che in molte parti di Donnerstag, e in particolare nel secondo e nel terzo atto, emerge dalla trama musicale una sorta di nuovo «melodismo polifonico» che non ha nulla a che vedere con ritorni o regressioni ad un ambito para-tonale, ma invece conquista una nuova dimensione dell articolazione diastematica, dopo la voluta frammentazione e decostruzione del parametro melodico che Stockhausen mise in atto nelle opere composte negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta. Il nuovo «melodismo» di Donnerstag (già insito ovviamente nella configurazione della «superformula» generatrice) in parte riprende alcune intuizioni che caratterizzavano Formel, partitura per orchestra da camera composta da Stockhausen nel 1951, ma poi ritirata dal compositore ed eseguita per la prima volta solo nel 1971, ove i principi della serialità integrale sono applicati ad un materiale di partenza fortemente connotato in senso melodico. Insieme ad alcune opere dell ultimo Maderna, e in parte a partiture di Boulez come Pli selon Pli, Donnerstag perviene ad una nuova concezione della melodia, intesa come processo sonoro orizzontale dotato di continuità, che si articola organicamente in segmenti e cellule ciascuno dotato di una coerenza interna nel profilo diastematico, e che risulta integrato una texture polifonica strumentale e vocale che prolifera incessantemente per metamorfosi ed espansione. In Donnerstag il discorso musicale si articola in una quadruplice articolazione di mezzi sonori impiegati: la vocalità solista dei tre personaggi-archetipi, la vocalità dei cinque cori dal vivo e dei «cori invisibili» registrati su nastro, lo strumentalismo solista che connota i tre protagonisti (la tromba per Michael, il corno di bassetto per MondEva, i tromboni per Luzifer), ed infine l orchestra. Nel secondo atto si realizza, in una trama unicamente strumentale, il viaggio di Michael attorno alla terra, tappa intermedia della sua ascesa dalla dimensione terrena e finita all immortalità della conoscenza divina, che si realizza nel terzo atto mediante la trasmutazione del protagonista dalla provvisoria esistenza umana alla sua originaria sostanza angelica. Al centro della costruzione musicale dell atto vi è la tromba, strumento/ alter ego di Michael che come una sorta di fallo generatore feconda e interroga con le proprie linee melodiche settori e strumenti dell orchestra continuamente ricombinati e diversificati. Dopo un prologo, la prima parte dell atto si articola in sette «stazioni» che corrispondono ad altrettanti luoghi della Terra visitati da Michael, mentre nella seconda parte altri cinque brevi episodi vedono il progressivo avvicinarsi del protagonista alla figura di MondEva, in un preludio dell unione mistica tra maschile e femminile che sarà al centro di Sonntag, ultima delle opere del ciclo. In tutto l atto è prevalente come matrice strutturale unificante, e come elemento «subtematico» ricorrente la formula di Michael (la si ascolta nella sua interezza proprio all inizio, intonata dalla tromba di Michael), che nella seconda parte dell atto si intreccia progressivamente alla formula di MondEva, coerentemente con il progressivo congiungimento dei due personaggi/archetipi. La seconda parte del «Viaggio di Michael» caratterizzata da una netta rarefazione della trama sonora rispetto alla prima parte, e dall uso di lunghi, insistiti pedali orchestrali presenta forse la musica più affascinante e coinvolgente di tutta la composizione. Si pensi ad esempio alla sezione «Halt»/«Sosta» in cui per la prima volta corno di bassetto e tromba iniziano a dialogare, e dove la tromba di Michael intesse un memorabile duetto con il contrabbasso pizzicato, di chiara ascendenza jazzistica; al penultimo episodio, denominato «Kreuzigung»/«Crocifissione», dalla trama sonora quasi puntilistica, animata da un fervore geometrico di figurazioni ritmiche sempre cangianti; sino al finale, in cui la tromba solista e il corno di bassetto intonano un dialogo di ieratica serenità che rappresenta in suoni l unione di Michael e MondEva (Stockhausen fa sì che i due strumenti/personaggi si scambino nel duetto le rispettive formule generatrici), e la cui trama sonora si estingue progressivamente in un lungo trillo in rallentando, che prelude alla parte più propriamente cosmicoteologica dell opera, rappresentata dall atto finale, denominato «Il ritorno di Michael». Della rappresentazione veneziana vanno lodate l esecuzione dell orchestra della MusikFabrik, diretta con precisione e vigore da Lucas Vis, e l eccezionale bravura del trombettista Marco Blaauw, che impersonava Michael, e di Nicola Jürgensen (MondEva) al corno di bassetto, degni eredi di Markus Stockhausen e di Suzanne Stephens, primi interpreti delle impervie parti strumentali dei due personaggi principali di Donnerstag. La realizzazione scenica della Fura dels Baus è parsa efficace e coerente per quel che riguarda le funamboliche evoluzioni in scena di Michael che ha suonato per quasi tutta la rappresentazione issato in una piattaforma meccanica posta alla fine di un braccio basculante e rotante in continuo movimento mentre meno convincenti, e a tratti francamente di cattivo gusto, sono risultate le proiezioni di immagini e fotografie che costellavano la rappresentazione. Va inoltre sottolineato che la regia ha spesso ignorato il coordinamento attentamente prescritto in partitura da Stockhausen tra segnali musicali e movimenti scenici dei protagonisti, coordinamento che costituisce un elemento importante nell integrazione tra la parte musicale e quella visuale dell opera. È auspicabile che la sia pur parziale ripresa di Donnerstag che ha riscosso un ampio consenso da parte del pubblico e della critica induca in un prossimo futuro altre istituzioni musicali italiane a nuove realizzazioni (anche solo concertistiche) di almeno alcuni singoli atti di questa e di altre opere del ciclo Licht, che racchiudono molti momenti di musica straordinaria e costituiscono un esito imprescindibile della composizione sperimentale degli ultimi trent anni. contemporanea

contemporanea 44 contemporanea L Accademia di San Giorgio in concerto Dopo i due applauditi concerti di ottobre, continua anche tra novembre e dicembre l attività dell Accademia Musicale di San Giorgio, che si alterna tra la Fondazione Cini di cui è orchestra in residenza e il Teatro La Fenice. Il direttore artistico dell Accademia, Massimo Contiero, ci offre alcune linee guida dell intero programma, che inquadrano l attività di questo imp o r t a n - te gruppo di musicisti, che può contare anche sul primo violino del Konzertmeister Giovanni Guglielmo e sugli strumenti solisti di Giuseppe Barutti (violoncello) e Germano Scurti (bayan): «Alcuni temi caratterizzano questo ciclo di quattro concerti che l Accademia di San Giorgio organizza con il sostegno della Fondazione Cini, del Teatro Fenice e del Casinò di Venezia. Il bicentenario della morte di Franz Joseph Haydn è ricordato con una delle sue più celebri composizioni, Le sette Un ciclo di quattro concerti organizzato con il sostegno della Fondazione Cini, del Teatro La Fenice e del Casinò di Venezia Accademia Musicale di San Giorgio Fondata nel 1994 dal violinista Rony Rogoff, è dal 1999 l orchestra in residenza della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Formata da musicisti in grado di incidere l integrale della musica da camera di Johannes Brahms, è stata ospitata da importanti istituzioni italiane ed europee ed ha collaborato con prestigiosi direttori d orchestra e solisti. La consuetudine a suonare insieme e il grado di affiatamento raggiunto consentono all orchestra di esibirsi spesso anche senza direttore. Il repertorio del gruppo spazia dal barocco alla musica contemporanea, includendo i più importanti capolavori scritti per orchestra d archi. Per realizzare un progetto suggerito dalla Fondazione Cini, nei prossimi anni l Accademia Musicale di San Giorgio affronterà il repertorio che si è formato nel secolo XX grazie all instancabile opera di promotore e mecenate esercitata dal direttore d orchestra svizzero Paul Sacher, cui si deve anche la creazione dell omonima fondazione, a Basilea. Molti capolavori del Novecento, tra i quali opere di Bartòk, Stravinskij, Petrassi, Honegger, sono frutto di sue commissioni. ultime parole di Gesù. A quest opera severa e meditativa è accostato il Requiem di Toru Takemitsu. Dopo aver presentato, negli anni scorsi, le più significative opere del XX secolo che Paul Sacher aveva diretto, molte delle quali da lui commissionate, il progetto legato al nome del grande mecenate svizzero prosegue programmando i brani e gli autori del periodo classico da lui affrontati con il Collegium Musicum di Zurigo, l Orchestra Studio di Ginevra, le Orchestre da Camera di Basilea e Losanna e altre prestigiose formazioni europee, collaborando di volta in volta con solisti come Mstislav Rostropovich o Walther Schneiderhan. Un omaggio è tributato, presentando un frutto recente della sua instancabile creatività, a Guido Turchi, più che novantenne compositore ancora felicemente attivo a Venezia. Con due m o m e n - ti musicali per bayan e archi, ancora una volta Luca Mosca ha poi voluto riservare alla nostra Accademia la prima esecuzione di un suo lavoro. Il Novecento storico, ambito privilegiato dell attività dell orchestra, è infine rappresentato dall Ottavo Quartetto di Dimitri Shostakovich trascritto da Rudolf Barshai e dalla Quarta Sinfonia di Hartmann». Un programma dunque che mescola magistralmente antico, moderno e contemporaneo in un mix di grande fascino e interesse. (l.m.) Venezia Teatro La Fenice 13 dicembre, ore 20.00 Wolfgang Amadeus Mozart Cassazione in si bemolle maggiore K 99 Marcia - Allegro molto - Andante Minuetto - Andante - Menuetto Finale (Allegro, Andante, Marcia) Johann Christian Bach Sinfonia concertante in la maggiore per violino violoncello e orchestra Andante di molto - Rondò (Allegro assai) solisti Giovanni Guglielmo e Giuseppe Barutti Kalr Amadeus Hartmann Sinfonia n. 4 per archi (1948) Lento assai con passione - Allegro di molto risoluto Adagio appassionato Venezia Fondazione Cini 5 novembre, ore 17.30 Wolfgang Amadeus Mozart Cassazione K 63 in sol maggiore «Finalmusik» Marcia Allegro Andante Minuetto Adagio Minuetto Finale (Allegro assai) Luigi Boccherini Concerto in sol maggiore per violoncello Allegro moderato Adagio Rondò quasi minuetto solista Giuseppe Barutti Guido Turchi Tre brevi «Fantasie» mnemoniche I. Egloga (Lento) II. Elegia in forma di ricercare (Largo, disteso) III. Lied con Rondò (Adagio cantabile) Luca Mosca Due Momenti musicali per bayan e archi prima esecuzione assoluta Allegro molto Tranquillo solista Germano Scurti

Andrea Palladio espone a Vicenza La musica di Nicola Campogrande accompagna la mostra di Andrea Oddone Martin Il 20 settembre si è aperta la mostra «Palladio 500 anni». Un evento assoluto, che, nella sede vicentina di Palazzo Barbaran da Porto, riunirà documenti rarissimi e pregiati, dipinti di grandi pittori, come Tiziano, El Greco, Canaletto, e disegni che da 400 anni sono conservati in Gran Bretagna, acquistati all epoca da Inigo Jones, e che rientrano in Italia per l occasione. Successivamente, l esposizione si trasferirà a Londra, presso la Royal Academy of Arts. Incontriamo Nicola Campogrande, cui è stato affidato il compito di scrivere la musica che connoterà alcune sale di questa prest i- g i o s a rassegna. La composizione delle musiche per la mostra dedicata al Palladio non è il suo primo impegno in questo settore. Ricordiamo fra le altre: «Africa, capolavori da un continente» a Torino e «Sebastiano del Piombo» a Palazzo Venezia di Roma. Lei definisce questo tipo di musica «di accompagnamento». Quali sono le caratteristiche precipue di questo genere? La musica di accompagnamento è pensata per stimolare il visitatore di una mostra a entrare in sintonia con le opere esposte. Come per una colonna sonora cinematografica, non chiede la sua attenzione, ma cerca di disporlo alla visione con suoni, timbri, ritmi che attivino e guidino la sua percezione. In alcuni casi si tratta di creare un ambiente sonoro raccolto, protetto, che aiuti a staccarsi dal mondo circostante; altre volte è la vita incastonata nelle opere a dover essere esaltata (mi era capitato per la splendida mostra di Modigliani al Palazzo Reale di Milano). L aspetto per me più affascinante la sfida, se si vuole è che il visitatore si trova a contatto con la musica in momenti non prevedibili (le musiche di accompagnamento vengono ovviamente riprodotte in loop) e dunque A Palazzo Barbaran da Porto si celebrano i 500 anni dalla nascita del grande architetto Vicenza Palazzo Barbaran da Porto fino al 6 gennaio contemporanea 45 il compositore deve offrire continui appigli e, insieme, continui congedi per le orecchie che abbandoneranno l ascolto passando alla sala successiva. Il che rende questo tipo di musica significativamente diverso da quello destinato alla sala da concerto (che costituisce il mio lavoro quotidiano). In questa grande mostra celebrativa alcune sale accoglieranno per la prima volta le raccolte italiane e inglesi dei disegni di Palladio. Molte di queste tavole riguarderanno lavori non giunti a compimento che forniscono l idea dell architetto intento al lavoro progettuale, mentre elabora idee e concetti attraverso una strumentazione sintattica ricchissima. Quest area della creatività risulta più o meno reale della realtà concreta degli edifici costruiti? Quali sono secondo lei le differenze fra la creatività architettonica e quella musicale? Il compositore lavora per tutta la vita a progetti musicali che si chiamano partiture. È normale che queste vengano eseguite, e che dunque il compositore possa Nicola Campogrande visitare il proprio cantiere (le prove degli interpreti) e ammirare l opera edificata (l esecuzione in concerto). A me, per dire, accade regolarmente, e mi dispiacerebbe se le cose andassero in altro modo. Ci sono però casi nei quali il progetto rimane tale, la partitura va a finire in un armadio e l esecuzione non avviene, o avviene ad anni o secoli di distanza: dobbiamo per questo pensare necessariamente che la partitura abbia un valore inferiore? Certo, può essere: si può pensare che nessuno la esegua perché il lavoro non interessa. Ma l esistenza di casi come quello di Charles Ives la cui musica è stata eseguita e apprezzata sostanzialmente solo dopo la sua morte suggeriscono una certa dose di prudenza. Ovviamente con Palladio il problema non si pone, tanto sono meravigliosi i suoi schizzi e i suoi disegni. In che modo l inflessibile certezza progettuale di Andrea Palladio incrocia la composizione della musica per la mostra dedicata ai suoi 500 anni? Palladio, da giovane, era uno scalpellino. Sapeva che cosa significava lavorare, sudare, limare, rifinire. La sua operosità, la quantità di opere progettate e realizzate, raccontano di un uomo con una fede enorme nella possibilità di rendere più bella, più ricca, più emozionante la nostra vita. È quello che fanno i compositori, soprattutto se la loro coscienza li induce a lavorare con serietà, con scrupolo, con la pazienza e le energie smisurate che ci vogliono per immaginare, scrivere, limare una partitura. Io ce l ho messa tutta e conto che il mio piccolo omaggio possa far piacere a Palladio e a chi vorrà approfittare della straordinaria esposizione di Vicenza. contemporanea