Capitolo 12- L aiuto allo sviluppo e la cooperazione al tempo della globalizzazione - Marco Missaglia



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Capitolo 12- L aiuto allo sviluppo e la cooperazione al tempo della globalizzazione - Marco Missaglia Introduzione In questa breve lezione cercherò di offrire delle risposte plausibili ad alcune domande di fondo sullo sviluppo e sulla cooperazione allo sviluppo: 1) Gli aiuti allo sviluppo possono davvero facilitare lo sviluppo? 2) Come ripensare il sistema degli aiuti allo sviluppo alla luce delle recenti evoluzioni dell economia mondiale (globalizzazione, finanziarizzazione, liberalizzazione)? 3) Più precisamente: in che modo le organizzazioni che si occupano di cooperazione allo sviluppo, nel Nord e nel Sud del mondo, devono rimodellare la propria condotta per tener conto di quelle evoluzioni? Cercherò qui di tracciare delle linee-guida, da cui possano scaturire delle regole operative che soltanto le singole organizzazioni possono darsi, secondo le proprie tradizioni e la propria creatività. Naturalmente, prima di procedere all analisi dei tre punti in questione è opportuno chiarire che cosa siano gli aiuti allo sviluppo e quale sia la loro rilevanza quantitativa. 12.1Gli aiuti allo sviluppo: cosa e quanti sono? Gli aiuti allo sviluppo sono costituiti da trasferimenti di risorse, in danaro o (molto più raramente) in natura, effettuati da paesi sviluppati a favore di Paesi in Via di Sviluppo (da ora in avanti PVS). Tali trasferimenti, per essere qualificati come aiuti allo sviluppo, devono contenere un elemento di natura concessionale. Devono, cioè, prevedere condizioni più favorevoli rispetto a quelle prevalenti sul mercato. Facciamo un esempio: se sui mercati finanziari internazionali il tasso di interesse prevalente per prestiti a 1 anno è, diciamo, del 7% e il governo italiano decide di prestare 1 milione di dollari al Pakistan con scadenza annuale al tasso del 5%, diremo allora che l Italia sta concedendo al Pakistan un aiuto allo sviluppo pari a: 70.000 $ (interessi annuali su 1 milione di dollari al 7%) 50.000 $ (interessi annuali su 1 milione di dollari al 5%) = 20.000 $ Aiuto italiano al Pakistan Naturalmente anche il dono tout court è classificato come aiuto allo sviluppo. Se, nell esempio precedente, il governo italiano dovesse decidere di non richiedere al Pakistan né la restituzione del capitale (1 milione di dollari) né il pagamento degli interessi che il mercato su di esso riconosce (70.000 $), allora l aiuto complessivo che l Italia riconosce al Pakistan sarebbe di 1 milione e 70.000 dollari. Gli aiuti, proprio come nell esempio che abbiamo appena visto, possono essere riconosciuti direttamente, cioè da paese (Italia) a paese (Pakistan); ma possono anche essere di tipo indiretto, cioè passare attraverso l intermediazione di un organismo multilaterale specializzato sui temi dello sviluppo (Banca Mondiale, agenzie delle Nazioni Unite, ecc.). In quest ultimo caso i paesi donatori finanziano un organizzazione multilaterale, la quale poi utilizza questi fondi per finanziare progetti di sviluppo nei PVS. Gli aiuti, ancora, si possono distinguere a seconda che vengano incanalati verso i PVS attraverso istituzioni controllate dal governo del paese donatore o, viceversa, attraverso le cosiddette Organizzazioni Non Governative (ONG). Queste sono, tipicamente, espressioni della società civile,

organizzazioni nonprofit che professionalmente ideano, realizzano e controllano progetti di varia natura (sanità, istruzione, commercializzazione di vari prodotti, infrastrutture, tecnologia, ecc.) nei PVS. A questo punto, chiarita la definizione di aiuto allo sviluppo, può essere utile farsi un idea dell ordine di grandezza dell aiuto stesso in alcuni importanti paesi donatori. La Tabella 1 riporta i dati relativi agli ODA (Official Development Assistance, la dizione inglese per Aiuti Ufficiali allo Sviluppo) e consente, tra l altro, di osservare come essi si siano modificati nel corso degli ultimi 10-15 anni: Tabella 12.1: Gli aiuti ufficiali allo sviluppo (Official Development Assistance, ODA) Paese ODA ODA ODA ODA ODA ODA ODA Quota ODA a ODA a totale totale totale in % proca proca multil ODA paesi paesi milio % PNL % spesa pite, pite, ater., via meno meno svil. ni $ 1997 1987 PNL 1997 pubbli ca 1987, $ 1997, $ % PNL ONG 1996, svil. 1987, 1997, % del tot 1993 1997 % % tot Can 2.045 0,48 0,34 1,6 89 64 0,11 8,5 32 23 Nor 1.306 1,13 0,86 1,7 294 308 0,25.. 41 39 Usa 6.878 0,21 0,09 1,8 52 30 0,03 8,6 18 20 Jap 9.358 0,30 0,22 1,4 83 79 0,05 2,1 27 19 Bel 764 0,48 0,31.. 107 88 0,06 0,3 50 27 Swe 1.731 0,87 0,79.. 225 222 0,20 6,0 39 30 Net 2.947 0,99 0,81.. 203 212 0,17 9,2 34 27 Fra 6.307 0.58 0,45.. 131 125 0,05 0,2 27 22 Ita 1.266 0,37 0,11 0,6 67 33 0,05 1,0 50 26 Tot 48324 0,33 0,22 75 66 0,05 3,4 28 23 DAC* * Il DAC (Development Assistance Committee) è l organismo dell OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, l organizzazione economica dei 29 paesi più ricchi del mondo) istituzionalmente deputato a gestire e coordinare gli aiuti decisi dai paesi membri. Fonte: Rapporto 1999 sullo Sviluppo Umano, La Globalizzazione, United Nations Development Programme Per cogliere il significato di queste cifre occorre innanzitutto guardare alla seconda e alla terza colonna della tabella. Esse si riferiscono alla percentuale di Prodotto Nazionale Lordo (PNL) che i diversi paesi sviluppati presi in considerazione nella tabella hanno destinato al finanziamento della cooperazione allo sviluppo rispettivamente nel 1987 e nel 1997. Cioè: per ogni 100 dollari di ricchezza creata in un dato anno, quanti dollari sono stati utilizzati per aiuti allo sviluppo? Due osservazioni emergono con assoluta evidenza: 1) i paesi più generosi sono quelli nordici (Norvegia, Svezia e Olanda) seguiti da quelli che nel loro passato sono stati potenze coloniali (la stessa Olanda, la Francia, il Belgio). I fanalini di coda sono gli USA e l Italia. Si tenga conto, per poter meglio valutare queste cifre, che l obiettivo storico solennemente dichiarato in sede ONU è il raggiungimento dello 0,7% del PNL. Soltanto la Svezia, l Olanda e la Norvegia lo rispettano; 2) nel decennio compreso tra il 1987 e il 1997 l ammontare degli aiuti in percentuale del PNL si è ridotto ovunque. In Italia, per esempio, essi sono crollati dallo 0,37% del PNL allo 0,11% (può essere curioso, o forse irritante, notare che tra il 1996 e il 1997 gli aiuti italiani sono crollati dallo 0,19 allo 0,11% del PNL). A spiegare il trend generalizzato di così evidente riduzione degli aiuti allo sviluppo concorrono diverse cause, prima fra tutte la fine della guerra fredda e del mondo di Yalta. Negli anni della guerra fredda, infatti, gli Stati Uniti, l Unione Sovietica ed i loro rispettivi alleati elargivano aiuti più generosamente dal momento che questo era un modo di attrarre i paesi del Terzo Mondo (per molti dei quali, ottenuta l indipendenza dalle potenze coloniali, si poneva il

problema della collocazione politica internazionale) nelle loro rispettive sfere di influenza. Altre cause della riduzione degli aiuti allo sviluppo sono di natura meno generale, più legate a contesti specifici. In Europa, per esempio, ha rivestito un certo peso il processo che negli anni 90 ha portato all adozione di una moneta unica e che, come ben sappiamo, ha comportato una riduzione della spesa pubblica reale. Tra le voci di spesa sacrificate all austerità monetaria vi è senza dubbio la cooperazione allo sviluppo. In Italia, poi, alcuni noti e macroscopici scandali legati alla cooperazione hanno ridotto il consenso popolare intorno a questo tipo di spesa e, da questo punto di vista, le scelte governative che tra il 1987 e il 1997 hanno condotto a un drastico ridimensionamento degli aiuti, non sono state altro che lo specchio fedele delle mutate preferenze dei cittadini italiani. Se dunque, come si vede nella quinta e sesta colonna della Tabella 1, nel 1987 in media ogni cittadino italiano spendeva (attraverso l imposizione fiscale) 67 dollari per aiuti allo sviluppo, nel 1997 tale cifra era già dimezzata! Va detto per completezza che negli ultimi anni si è manifestato qualche segno di ripresa e dopo il 1997 sei donatori fra cui spiccano Gran Bretagna e Canada hanno incrementato la propria quota di aiuti allo sviluppo. Un altro fatto preoccupante e generalizzato messo in evidenza dalla Tabella 1 (nona e decima colonna) è la riduzione degli aiuti tra il 1987 e il 1997 ai paesi cosiddetti meno sviluppati, in sostanza i paesi più poveri tra i paesi poveri. Mentre nel 1987 questi paesi ricevevano complessivamente il 28 per cento del totale degli aiuti allo sviluppo, nel 1997 essi ne ricevevano soltanto il 23 per cento. La Tabella 1 mostra anche, nell ottava colonna, l importanza assunta dalle ONG nella gestione degli aiuti allo sviluppo. Vi sono alcuni paesi (Olanda, USA, Canada, Svezia) nei quali una parte molto rilevante degli aiuti ufficiali allo sviluppo viene gestita dalle ONG (in Olanda, per esempio, per ogni 100 dollari che il governo decide di destinare alla cooperazione ben 9,2 sono affidati alla ONG). In altri paesi, per esempio Belgio e Francia, i governi sono invece molto più orientati a gestire direttamente i fondi pubblici riservati alla cooperazione allo sviluppo. Ciò non significa, naturalmente, che non esistano importanti ONG francesi e belghe (tutt altro!), significa soltanto che esse devono trovare fonti di finanziamento diverse dal canale pubblico. L ultima indicazione che ricaviamo dalla Tabella 1 è relativa all importanza che ciascun paese attribuisce alla cooperazione multilaterale relativamente a quella bilaterale. Dalla settima colonna si evince per esempio che l Italia destina lo 0,05% del PNL, cioè il 50% degli aiuti complessivamente erogati, alla cooperazione multilaterale (Unione Europea, Banca Mondiale, Nazioni Unite, ecc.). Si tratta di una frazione ben superiore alla media degli altri paesi DAC (21,2%) e, almeno qui, di un segno a mio giudizio largamente positivo. La cooperazione multilaterale, infatti, presenta due vantaggi di rilievo rispetto a quella bilaterale: a) garantisce per definizione un miglior coordinamento delle politiche di aiuto con gli altri donatori e, perciò, una loro maggiore efficacia. Banalmente: se Italia e Francia decidono separatamente di destinare ciascuno 1 milione di dollari per un programma di training professionale nelle campagne del Burkina Faso, è probabile che si vengano a creare doppioni. Se invece mettono in comune questi fondi presso un organismo gestito dalla Commissione Europea è altrettanto probabile che quest ultima decida in modo più razionale come impiegarli; b) l aiuto bilaterale, riconosciuto da un paese ad un altro paese senza l intermediazione di organismi multilaterali, è più esposto al rischio che le logiche dell interesse commerciale prevalgano su quelle della solidarietà internazionale. Per esempio, circa il 40% dell aiuto bilaterale italiano nel 1997 era del tipo tied aid (letteralmente: aiuto legato ): ti do 10.000 dollari per comprare una certa attrezzatura per l irrigazione agricola a condizione che tu la compri da produttori italiani. E chiaro che questa condizione non si potrebbe porre nel caso in cui il donatore fosse un organismo multilaterale. Naturalmente, come sempre in economia, la verità non sta mai da una parte sola ed esiste sempre l altra faccia della medaglia. L aiuto multilaterale presenta anche degli svantaggi rispetto a quello bilaterale. In primo luogo esso è più costoso: se i cittadini italiani devono finanziare l acquisto di una attrezzatura agricola da 10.000$ e lo devono fare attraverso l intermediazione di un organismo multilaterale, ciò significa che i 10.000$

dovranno trasferirsi dalle tasche degli italiani alle casse del governo nazionale (tramite l imposizione fiscale); da queste all organismo multilaterale deputato e, infine da quest ultimo al paese ricevente. Si tratta ovviamente, prescindendo dagli eventuali rischi di corruzione, di passaggi costosi, non fosse altro che per il fatto di dover pagare (e profumatamente ) dei funzionari internazionali. Inoltre l aiuto bilaterale legato, per quanto possa infastidire la nostra coscienza ed indurci a sospettare che dietro di esso si celino interessi di natura commerciale, è più controllabile: è proprio il mio egoistico interesse commerciale ad indurmi a verificare che tu usi quei 10.000$ per comprare l attrezzatura agricola e non, diciamo, per ungere le tasche di qualche funzionario o di qualche commerciante d armi. L incentivo al controllo, invece, viene meno o comunque si affievolisce quando i contributi, per essere stati devoluti ad un fondo multilaterale, non sono condizionabili all acquisto di merci prodotte nel paese donatore. E importante, prima di concludere questo paragrafo dedicato alla contabilità degli aiuti e passare all analisi dei punti elencati nell Introduzione, fornire ancora qualche cifra circa la destinazione geografica degli aiuti (chi li riceve) e la loro destinazione settoriale (che cosa viene finanziato). Tabella 2: Aiuto per paese ricevente Totale in milioni $ In % PNL Pro capite, in $ 1991 1997 1991 1997 1991 1997 Africa Subsah 15.658 13.726 12,3 6,7 42,6 33,5 Stati Arabi 10.360 4.807 4,0.. 49,2 20,7 Asia Orient. 2.160 2.136 0,3 0,1 1,7 1,6 (escl. Cina) 161 96........ Asia Merid. 7.642 4.335 1,9 0,7 6,5 3,7 Asia Sud-Est 5.189 4.152 1,4 0,5 13,9 9,2 America Lat. 5.246 5.265 0,5 0,5 10,2 11,4 CIS e Eur. Est 5.697 4.272 0,6 0,4 16,9 10 Fonte: Rapporto 1999 sullo Sviluppo Umano, La Globalizzazione, United Nations Development Programme Senza soffermarci troppo a lungo su questa tabella, quel che si nota è una conferma di quanto già la Tabella 1 ci aveva rivelato: l ultimo decennio ha segnato una riduzione generalizzata degli aiuti allo sviluppo con l unica, rilevante eccezione dell America Latina (che in termini pro capite riceveva nel 1997 più di quanto ricevesse nel 1991). E questo un dato piuttosto sorprendente, almeno se visto dal punto di vista strettamente economico, nel senso che la performance economica dell America Latina è stata, negli anni considerati nella Tabella 2, generalmente molto migliore di quella dell Africa a sud del Sahara. Nel 1990 il reddito reale pro capite in Africa sub-sahariana era pari a 542 dollari all anno, mentre nel 1997 esso era diminuito fino a 518 dollari. In America Latina, al contrario, il reddito reale pro capite tra il 1990 e il 1997 è cresciuto da 1788 a 2049 dollari all anno 1 ; eppure, come si evince dalla stessa tabella, l aiuto diretto all Africa sub-sahariana si è ridotto da ogni punto di vista (in totale, in % del PNL e in termini pro capite), mentre è cresciuto quello di cui hanno beneficiato i latino americani. Come vengono spesi i fondi destinati all aiuto internazionale? 1 Più in generale, la crescita economica in America Latina negli ultimi 20 anni è stata decisamente più soddisfacente che in Africa sub-sahariana. Nel 1995 il reddito reale (la capacità effettiva di acquistare beni e servizi) di un abitante della regione sub-sahariana era inferiore dell 1,3% a quello del 1973, il che significa che i figli stanno mediamente peggio dei padri. In America Latina, invece, si è registrato nello stesso periodo un aumento del reddito reale medio del 2,4%.

Tabella 12.3: come si spende l aiuto? Trasporti e industria 24,8% Educazione, salute e popolazione 15,6% Agricoltura 7,4% Riduzione del debito 7,3% Programmi di assistenza 5,8% Fornitura d acqua e servizi san. 5,6% Aiuto d emergenza 5,2% Educazione di base 1,2% Altro 27% Fonte: The Reality of Aid, 1998/1999, Independent Review, Earthscan 12.2 La funzione degli aiuti allo sviluppo Dirò subito che credo sia corretto rispondere positivamente alla prima domanda posta nell Introduzione a questo scritto: gli aiuti allo sviluppo possono giocare un ruolo vitale nel facilitare i processi di sviluppo. Questa risposta, tuttavia, non è affatto ovvia. Alcuni aiuti, infatti, si sono davvero rivelati controproducenti ed hanno perciò reso legittime le posizioni di che, come il professor Bauer della London School of Economics, sostiene che semplicemente gli aiuti debbano cessare di esistere. Perché questa la tesi volutamente provocatoria sostenuta da Bauer di più di una cosa brutta è peggio. Gli esempi di aiuto controproducente sono purtroppo molti. Tutti conosciamo gli effetti nocivi provocati dalle politiche agricole distorsive a lungo praticate in molti paesi sviluppati: il sostegno ai prezzi agricoli ha indotto i produttori dei paesi ricchi a produrre derrate in misura superiore alle capacità di assorbimento del mercato (di qui i famosi surplus agricoli); i surplus così creati venivano in alcuni casi fisicamente distrutti e, in altri, ceduti a titolo di aiuto, cioè svenduti a prezzi molto bassi, ai paesi più poveri; infine, come perverso risultato dell eccedenza di derrate alimentari provenienti dal Nord del mondo a basso prezzo, gli stessi prezzi agricoli nel Sud calavano, costringendo perciò alla povertà e alla migrazione verso la città molte famiglie contadine. Altri esempi di aiuto controproducente sono legati alla mancata presa in considerazione degli effetti ambientali, alla corruzione di molti governi dei paesi riceventi e dei paesi donatori (il caso italo-somalo dei primi anni 90 è assolutamente paradigmatico), ecc. In sintesi: non si può sostenere a priori la bontà degli aiuti, e non soltanto per i casi di manifesta degenerazione come quelli appena ricordati, ma anche per una ragione più sottile e più profonda sulla quale occorre riflettere. Mi riferisco alla cosiddetta fungibilità dell aiuto. Ne illustro il significato con un semplicissimo esempio. Supponiamo che una ONG abbia reperito dalle proprie casse e da qualche governo donatore i fondi per finanziare la costruzione di una scuola in un PVS. Se il governo del PVS in questione avesse comunque costruito quella scuola, allora l intervento del donatore servirebbe di fatto a liberare risorse che il governo del PVS potrebbe utilizzare per aumentare qualche altra spesa e/o per ridurre qualche tassa. Potrebbe, faccio un esempio volutamente negativo, finanziare l acquisto di armi o ridurre la tassazione che colpisce le fasce più ricche della popolazione. In altri termini: la scuola è stata bensì costruita, ma l aiuto, indipendentemente dalla volontà del donatore, ha prodotto anche effetti nocivi ed indesiderati. Eppure, nonostante i rischi sempre presenti che l aiuto induca effetti perversi, continuo a pensare che esso sia indispensabile, per alcuni paesi addirittura vitale. Non credo che esso debba essere semplicemente eliminato e che il finanziamento dei processi di sviluppo debba essere lasciato al

libero operare dei mercati 2 ; in particolare, al libero operare del mercato dei capitali. Una delle tentazioni nelle quali la globalizzazione finanziaria può farci cadere è infatti quella di ritenere che i mercati finanziari privati, i capitali privati possano da soli finanziare le economie in via di sviluppo che di capitale, per definizione, sono assai bisognose. In fondo, si potrebbe sostenere, i flussi di capitale privato che si sono mossi dai paesi sviluppati ai PVS sono oggi superiori a 250 miliardi di dollari, cioè di una cifra che eccede di 6 volte quella prevalente agli inizi degli anni 90. Basti pensare, solo per citare qualche esempio, che i capitali privati che si sono diretti verso l India nella forma di investimenti di portafoglio sono passati dai 320 milioni di dollari del 1985 ai 4.035 milioni di dollari del 1997; in Egitto il salto è stato da 10 a 1.813 milioni di dollari; in Indonesia da 0 a 3.417; e così via. In definitiva, la globalizzazione finanziaria potrebbe indurre a ritenere che i capitali di fonte privata siano sufficienti a finanziare la crescita delle economie povere. Si tratta in realtà di un errore, un abbaglio evidente non appena si esaminino i dati con maggior attenzione. Infatti, è bensì vero che negli anni 90 i flussi di capitale dal Nord al Sud del mondo sono sensibilmente cresciuti, ma è altrettanto vero che sono cresciuti rispetto ad un livello, quello degli anni 80, mai così basso nella storia del secondo dopoguerra. Gli anni 80 furono quelli della crisi del debito, quelli durante i quali nessuna banca, nessun fondo di investimento o fondo pensione rischiava denari nelle fragili ed indebitate economie del Sud del mondo. Un interessante studio condotto di recente dall UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) dimostra che, se si esclude la Cina, i flussi di capitale privato che si sono mossi dal Nord al Sud del mondo sono stati negli anni 90, in termini reali (cioè di effettiva capacità di acquisto di beni e servizi), inferiori a quelli degli anni 70. A ciò bisogna aggiungere che in realtà sono pochi i paesi verso cui il capitale privato si sta effettivamente dirigendo: la Tabella 3 elenca i venti PVS (su un totale di più di cento) che raccolgono da soli il 94% dei flussi di portafoglio provenienti dal Nord del mondo 3 : Tabella 12.4: Flussi di portafoglio, 1997, dollari correnti Brasile 18.495 Messico 16.028 Tailandia 11.181 Argentina 10.132 Indonesia 10.070 Cina 9.920 Malaysia 7.596 Russia 4.975 Turchia 4.913 Colombia 4.417 India 3.817 Repubblica Ceca 3.459 2 Un grande pensatore liberale, Luigi Einaudi, scrisse che i mercati sono uno strumento straordinario per soddisfare domande, non bisogni. Il significato è chiarissimo, e tuttavia troppo spesso dimenticato in questo tempo di euforia (ideologia) mercantile: se ho 30 milioni di lire per acquistare un automobile allora non c è nulla di meglio del mercato il libero gioco delle domande e delle offerte dettate dai desideri individuali di massimizzare il proprio personale benessere per garantirmi che io riesca ad ottenere proprio l automobile che voglio, che essa sia di buona qualità, che venga prodotta da chi è in grado di farlo nel modo più efficiente, e così via. Se tuttavia io non dispongo né del danaro necessario ad acquistare l automobile né delle garanzie necessarie per poter ricorrere ad un finanziamento, allora il mio bisogno di automobile (di trasporto, comodità, ecc.) non potrà tradursi in una domanda di automobile. Il mercato, allora, non registrerà neppure il mio bisogno, non saprà neppure che mi serve un automobile, ed il mio bisogno resterà quindi insoddisfatto. Se lo sviluppo è una somma di bisogni, i mercati da soli non lo possono garantire. 3 Naturalmente per questi paesi globalizzazione non significa soltanto avere accesso ai capitali privati provenienti dai paesi ricchi; significa anche esporsi al rischio che tali capitali, alla ricerca costante di rendimenti più elevati, scappino in modo improvviso e subitaneo. Le crisi finanziarie che di recente hanno colpito molti di questi paesi ne sono evidente testimonianza.

Filippine 3.192 Cile 2.712 Venezuela 2.411 Perù 2.273 Romania 1.551 Sudafrica 1.281 Slovenia 1.033 Fonte: Rapporto 1999 sullo Sviluppo Umano, La Globalizzazione, United Nations Development Programme Per la maggior parte dei PVS, invece, il capitale proveniente dall estero non è quello privato, ma quello pubblico (o, come si dice in gergo, ufficiale ), fornito da governi e agenzie multilaterali sulla base di considerazioni politiche e non del principio della massimizzazione del profitto. Una prima conclusione da tenere ben presente è perciò di tipo quantitativo: l aiuto allo sviluppo, inteso qui nel senso di capitale pubblico, continua ad essere necessario perché i capitali privati non raggiungono tutti i paesi più poveri, ma soltanto quelli cosiddetti emergenti ; quei paesi, cioè, che hanno già acceso il motore dello sviluppo e al cui interno sono più evidenti aree di relativo benessere materiale. Perché i capitali privati si dirigono verso la Repubblica Ceca e non verso il Burkina Faso? Verso il Brasile e non verso il Senegal? Consideriamo il caso tipico di una impresa che deve decidere se decentrare una parte della propria produzione in un PVS, dove tipicamente il costo del lavoro è di gran lunga inferiore. E chiaro che nella scelta dell impresa entrano in gioco variabili diverse dal puro costo del lavoro. Non basta infatti poter pagare poco un lavoratore; bisogna pure che egli sia sufficientemente istruito per essere produttivo; che sia sufficientemente sano per non ammalarsi troppo spesso; che, nel caso in cui si ammali, sia curabile in modo rapido ed efficace; che, perciò, esista in quel paese un governo in grado di fornire acqua potabile e servizi sanitari decenti; che, ancora, quel governo non sia così inefficiente e/o corrotto da dover imporre, per dare copertura ai propri sperperi, un livello di tassazione che rischierebbe di erodere i profitti dell impresa; ecc.. Da questo semplice esempio risulta perciò chiaro che esiste un capitale sociale acqua potabile, servizi sanitari di base, istruzione diffusa (in particolare istruzione per le ragazze, ciò che incontrovertibilmente contribuisce a ridurre il tasso di fertilità), apparato di governo efficace e poco corrotto la cui esistenza è un prerequisito essenziale al godimento dei vantaggi della globalizzazione. Senza di esso non è pensabile che il capitale privato (l impresa dell esempio precedente) si muova a finanziare alcunché. Ciò non basta, tuttavia, a giustificare la necessità dell aiuto. Per farlo bisogna capire perché non sia lo stesso capitale privato a finanziare, per esempio, il sistema di istruzione di base e la formazione dei pubblici funzionari. Bisogna spiegare, in altri termini, perché non sia lo stesso capitale privato a finanziare la costituzione del capitale sociale. La teoria economica offre due spiegazioni semplici e convincenti. In primo luogo c è un problema di orizzonti temporali e, inoltre, si dà anche un problema di esternalità. Analizziamoli brevemente. Immaginare che il capitale privato possa compiutamente finanziare il sistema di istruzione di base in un certo paese significa ammettere che i detentori di quel capitale abbiano, come si dice, orizzonti temporali molto lunghi; che siano disposti, cioè, ad aspettare 10 o 20 anni (il tempo necessario affinché si producano i ritorni economici dell istruzione) prima di raccogliere i frutti generati dall investimento. E verosimile? Non molto. Anzi: che ciò accada è tanto meno verosimile quanto più si estende la globalizzazione dei flussi finanziari cui si associa, come molti studi ormai dimostrano, un accorciamento degli orizzonti temporali dell investimento. I risparmiatori infatti, di fronte alla molteplicità delle occasioni di investimento che la globalizzazione rende possibile, tendono a diventare impazienti, a non accettare bassi rendimenti per un periodo prolungato di tempo senza che ciò li conduca a

spostare i propri capitali da un impiego all altro (spostamento reso ancora meno costoso dall affermarsi delle nuove tecnologie). C è poi la questione delle esternalità. Anche questa volta l idea è semplice. I detentori di capitale privato, naturalmente, decidono di effettuare un investimento soltanto se potranno appropriarsi dei benefici che esso genererà. Consideriamo, alla luce di questo elementare principio, la possibilità che qualche imprenditore, esasperato dalle lentezze ed incompetenze burocratiche, finanzi la formazione dei pubblici funzionari. Quanto investirà? Non molto, non abbastanza, perché sa che i frutti del suo investimento un amministrazione pubblica più efficiente saranno goduti anche da altre imprese, da altri cittadini, in generale da tutti coloro che non hanno investito nulla per realizzare quel risultato. Dato che non si può assumere che l imprenditore in questione sia un filantropo, egli investirà in misura socialmente sub-ottimale. Da tutto ciò emerge la seconda conclusione della nostra riflessione, conclusione questa volta di carattere qualitativo: l aiuto allo sviluppo, inteso ancora una volta nel senso di capitale pubblico, è necessario perché contribuisce a finanziare quegli investimenti in capitale pubblico non intrapresi, o intrapresi in misura sub-ottimale, dal capitale privato ma essenziali allo sviluppo dello stesso capitale privato. Si tenga conto inoltre, per concludere su questo punto, che quest ultima caratteristica dell aiuto contribuisce a dare concretezza ad una concezione più ampia di che cosa sia sviluppo : non solo crescita del PIL, ma miglioramento degli standard di vita; non solo crescita delle risorse materiali, ma conservazione di quelle naturali e valorizzazione di quelle culturali; non maggiori opportunità solo per le classi agiate, ma una più equa distribuzione della ricchezza e delle opportunità. Insomma, e concludo davvero questa parte della riflessione: uno sguardo freddo agli accadimenti mondiali (e non solo i nobili sentimenti da cui vogliamo continuare ad essere animati) induce a ritenere che la globalizzazione non sta affatto rendendo superfluo l aiuto. Al contrario, l aiuto è più che mai necessario se si vuole che i benefici potenziali indotti dalla globalizzazione stessa si estendano anche ai moltissimi che finora ne sono stati esclusi. Globalizzazione vuol dire che le imprese possono decentrare pezzi della loro attività produttiva in diverse parti del mondo senza sostenere costi troppo elevati; che lo facciano effettivamente, tuttavia, dipende dall esistenza o meno di un capitale sociale che non il mercato, ma gli aiuti allo sviluppo possono contribuire a porre in esistenza 4. 12.3 Le modalità e le linee-guida degli aiuti allo sviluppo La comunità internazionale non sembra però avere realizzato che viviamo in tempi nei quali l aiuto è più che mai necessario. Abbiamo già osservato nella sezione 1 che gli aiuti in quest ultimo decennio si sono ridotti ed abbiamo anche cercato di capirne le cause. Ora dobbiamo soffermarci sulla prima, immediata conseguenza: perché un ammontare sempre più esiguo di aiuti possa svolgere quelle funzioni ambiziose che abbiamo analizzato nella sezione 2, è necessario che l aiuto diventi sempre più efficiente e mirato. Di qui, a mio giudizio, l emergere di alcune linee-guida che devono condizionare l operare di tutte le organizzazioni coinvolte nella cooperazione allo sviluppo: È imperativo che l aiuto, in quanto bene sempre più scarso, sia indirizzato prioritariamente verso i paesi che non beneficiano dei flussi finanziari privati legati alla globalizzazione. Da questo punto di vista è preoccupante che l Africa sub-sahariana, quasi completamente esclusa 4 Non vorrei aver dato l impressione che il capitale pubblico cui ho fatto riferimento istruzione e sanità di base, acqua potabile, formazione dei funzionari, ecc. abbia valore soltanto in quanto condizione necessaria ad attirare investimenti dall estero, capitale economico. E chiaro che tutte queste cose hanno valore in sé, e non solo un valore strumentale ed economico. Credo tuttavia che il terreno economico in senso stretto sia quello ideale per rispondere alle tesi di chi sostiene che l aiuto allo sviluppo vada semplicemente abbandonato.

dai flussi di capitale privato, abbia subito una riduzione dell aiuto pro capite proprio mentre l America Latina, che è fra i principali destinatari dei flussi di captale privato, è l unica regione del mondo in cui l aiuto pro capite è cresciuto (Tabella 1 e Tabella 4). In generale, abbiamo visto che l aiuto ai paesi meno sviluppati i poveri tra i poveri si è ridotto negli ultimi dieci anni non soltanto in termini assoluti, ma anche come quota dell aiuto totale (Tabella1). Nello stesso tempo è stato raddoppiato, tra il 1989 e il 1996, l aiuto riservato a paesi a medio reddito, cioè con un reddito superiore ai 9.385$ nel 1995. Questo fatto è spiegato principalmente dagli aiuti elargiti dagli USA a Israele. È imperativo che l aiuto venga destinato prioritariamente a quei settori sanità, assistenza e coesione sociale, acqua potabile, istruzione di base e non, formazione ella classe dirigente pubblica che abbiamo detto costituire il capitale sociale di una comunità e definire un idea di sviluppo non puramente quantitativa. Anche da questo punto di vista c è ancora molto da fare. Nel Summit Mondiale sullo Sviluppo Sociale del 1995 i governi del DAC si trovarono d accordo nello stabilire che, per garantire un accesso generalizzato ai servizi sanitari di base, all'istruzione e a uno standard nutritivo accettabile, si dovessero investire altri 40 miliardi di dollari all anno per 10 anni. Assumendo che i paesi del DAC si facciano carico del 25% di tale sforzo aggiuntivo, essi dovrebbero elargire aiuti addizionali per 10 miliardi di dollari all anno destinati al finanziamento dei settori in questione. Tale impegno è stato mantenuto soltanto da due paesi, Norvegia e Svezia. Tutti gli altri lo stanno disattendendo 5. È imperativo che l aiuto tenda, più di quanto non sia accaduto fino ad oggi, a promuovere la partecipazione dei beneficiari. Un recente studio della Banca Mondiale mostra che su 121 progetti di fornitura idrica finanziati dalla Banca stessa, i 2/3 di quelli caratterizzati da una forte partecipazione locale (dall ideazione alla valutazione del progetto) hanno corrisposto ai criteri di funzionalità e redditività fissati dalla Banca, mentre tra quelli senza partecipazione tali criteri sono stati rispettati in misura nettamente inferiore (1/10). La motivazione è semplice: le persone mantengono e proteggono ciò che hanno contribuito a creare. Partecipazione, allora, può anche voler dire, laddove ciò sia possibile, compartecipazione finanziaria, da realizzarsi per esempio attraverso la collaborazione con le istituzioni di microcredito e le ONG del Sud del mondo. Voglio dire che siamo ancora troppo affezionati all idea della ONG che fa (la scuola, il pozzo o quant altro), mentre dovremmo evolvere verso l idea di ONG che rende possibile : che, per esempio, offre una garanzia presso l istituzione di microcredito, una consulenza, uno scambio di informazioni. 12.4 Osservazioni conclusive Vorrei concludere questo scritto enfatizzando la funzione di lobbying (che qui non voglio intendere nel senso bassamente corporativo, ma nel senso anglosassone di legittima rappresentanza organizzata degli interessi) che a mio giudizio le ONG devono svolgere. Gli agricoltori hanno la loro lobby, ce l hanno i ferrovieri, i notai, i pensionati, gli speculatori finanziari. I poveri del mondo sono invece troppo poveri per organizzarsi in lobby. Mi pare allora che questo compito dovrebbe essere svolto dalle ONG. Tanto più che non dobbiamo mai dimenticare un punto cruciale: i soldi della cooperazione sono soldi nostri, di noi cittadini che paghiamo le tasse, ed è pertanto giusto, legittimo e quasi doveroso chieder conto dell uso di questi nostri fondi. Che cosa dovrebbero chiedere le ONG? Qui evidentemente si apre lo spazio per altre 10 relazioni e non potendole svolgere mi limito ad indicare telegraficamente alcune priorità: a) chiedere più fondi per l aiuto allo sviluppo. Il raggiungimento dell obiettivo dello 0,7% è sempre più lontano. Una proposta su cui si sta coagulando un forte consenso internazionale e su cui perciò l esercizio di qualche funzione lobbistica è possibile è quella di implementare la 5 Si veda in proposito The Reality of Aid, An Independent Review of Poverty Reduction and Development Assistance, 1998/1999, Earthscan, edited by Judith Randel and Tony German, specialmente la Parte I.

cosiddetta tassa Tobin (dal nome del Nobel per l economia che per primo la propose) e di destinarne il gettito al finanziamento dello sviluppo. Si tratterebbe di tassare allo 0,1% i profitti derivanti dalle transazioni finanziarie speculative. In tal modo si raggiungerebbero due obiettivi: smorzare gli eccessi di volatilità del capitale finanziario, eccessi che sono certamente concausa delle non a caso sempre più frequenti turbolenze sui mercati finanziari internazionali e, appunto, riequilibrare la bilancia dell aiuto internazionale. Si tratta di una proposta molto ben formulata anche nel dettaglio economico, e credo che ciascuna ONG (associazione, partito, gruppo) dovrebbe discuterla e promuoverla in molte sedi 6. b) Chiedere il riequilibrio delle regole che presiedono allo svolgimento del commercio internazionale. Molti paesi ricchi rimangono ancora piuttosto chiusi alle importazioni di beni agricoli, di materie prime come alluminio ed uranio e di abbigliamento, cioè di quei beni per i quali i PVS godono di un vantaggio comparato. La sensibilità delle opinioni pubbliche è in questi casi cruciale: se, faccio soltanto un esempio, ogni volta che gli agricoltori europei scendono in piazza con i loro trattori a difesa delle regole protezionistiche che favoriscono le loro produzioni ci fosse qualcun altro, anche senza trattori, a scendere in piazza per ricordare che quelle stesse regole penalizzano le produzioni dei PVS, allora si produrrebbero due vantaggi: i consumatori pagherebbero prezzi più bassi e i governi europei si presenterebbero alle negoziazioni internazionali sapendo di dover proteggere non soltanto i legittimi interessi degli agricoltori, ma anche quelli di chi è sceso in piazza senza trattore; c) Chiedere che gli aiuti vengano condizionati al rispetto di determinate clausole sociali. Faccio un esempio di grande attualità, la questione del lavoro minorile. La mia opinione in proposito è che il boicottaggio (non compro i palloni da calcio dal Pakistan perché sono stati prodotti con il lavoro minorile) sia una misura sbagliata. La reazione al boicottaggio dei produttori di palloni in Pakistan sarà infatti (ed effettivamente è stata) quella di spostare il lavoro minorile verso la produzione di beni e servizi prodotti per l interno e non per l esportazione, e dunque non più sanzionabili attraverso il boicottaggio. Per esempio, ed è un esempio drammaticamente vero, le bambine vengono spostate verso il settore interno della prostituzione. Sarebbe meglio, allora, pensare ad un meccanismo diverso: se fai lavorare i bambini in qualsivoglia settore di attività per troppo tempo ed in condizioni inaccettabili, in modo tale che essi non possano anche andare a scuola e dedicarsi un po al gioco, allora riduco il flusso di aiuti allo sviluppo verso il tuo paese; d) Infine, va ricordata la questione del debito dei paesi poveri. Esso, complessivamente, ammonta all astronomica cifra di 2 mila miliardi di dollari. L iniziativa HIPC (Highly Indebted Poor Countries) della Banca Mondiale, volta ad alleggerire l onere del ripagamento per i paesi più poveri fra quelli indebitati, sta producendo effetti insufficienti (solo 6 miliardi di dollari su 2.000 sono stati cancellati). Per questo è nata Giubileo 2000, una straordinaria iniziativa di mobilitazione mondiale in cui i promotori chiedono ai rispettivi governi nazionali (che sono i principali creditori) di condonare una quota più rilevante del debito. Non è vero, infatti, che ciò implicherebbe una grossa perdita per i contribuenti del Nord, giacché molti di quei denari non potranno comunque essere mai pagati. Bisogna potenziare Giubileo 2000, darle la forza della nostra voce. Risultati concreti ce ne sono già stati: è stato grazie alla reiterata insistenza dei rappresentanti di Giubileo 2000 ( Sdebitarsi in Italia) che il Ministero del Tesoro Italiano ha reso pubblico l elenco dei debitori dell Italia e si è adoperato affinché il più importante fra di essi, il Mozambico, venisse finalmente ammesso, dopo lunghe battaglie, ai benefici dell iniziativa HIPC. Partecipare serve. Come si vede c è molto da chiedere, molto da fare. Di fronte alle ONG sta un compito di grande impegno e grande fascino: fare (pozzi, strade, ponti), rendere possibile (garantire prestiti, scambiare consulenze e informazioni), stimolare l esercizio della cittadinanza e perciò ri-orientare la politica verso i fini dello sviluppo per tutti e dello sradicamento dello scandalo della povertà e della 6 Al sito: http://attac.org/indexin.htm si possono trovare molte informazioni in proposito.

diseguaglianza crescente. Sono compiti difficili, ma Giubileo 2000 e i fatti di Seattle sono lì a dimostrarci che forse, dopo il danaro e la tecnologia, si sta globalizzando anche la partecipazione politica. Le ONG devono tenere vivo questo bisogno, suscitare un esigenza più diffusa di giustizia internazionale.