LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE STABILISCE CHE LA CARTELLA ESATTORIALE E IMPUGNABILE SOLO PER VIZI PROPRI.

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1 N 02/2011 05 Gennaio 2011(*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE STABILISCE CHE LA CARTELLA ESATTORIALE E IMPUGNABILE SOLO PER VIZI PROPRI. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 25614 DEL 18 DICEMBRE 2010 Ecco, ad esempio, una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la N. 25614 del 18 Dicembre 2010, che fa luce sulle motivazioni di impugnazione di una cartella esattoriale. Il principio che se ne ricava è importante e da annotare: La cartella esattoriale è impugnabile solo per vizi propri. Era successo, infatti, che un contribuente, avendo ricevuto, a seguito di una sentenza della Commissione Tributaria, un ruolo esattoriale privo della determinazione del tributo, aveva prodotto, avverso tale notifica, ricorso alla Commissione Tributaria. Di diverso avviso, invece, la Corte di Cassazione che, con la sentenza in informativa, ha sancito che la cartella esattoriale non è impugnabile per vizi dell atto da cui

nasce il debito alla fonte dell iscrizione a ruolo della cartella in quanto ciò che deve essere impugnato è il provvedimento giudiziario da cui deriva il ruolo e non il ruolo in quanto tale. AMMESSA LA DEDUCIBILITA DEI COMPENSI AGLI AMMINISTRATORI, LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE TORNA SUI SUOI PASSI ED IL FISCO NON NE PUO CONTESTARE NEMMENO LA CONGRUITA. CORTE DI CASSAZIONE- SEZIONE TRIBUTARIA- SENTENZA N. 24957 DEL 10 DICEMBRE Ricorderete tutti il clamore suscitato dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione N. 18702 del 13 Agosto 2010 che aveva sancito la non deducibilità del compenso erogato agli amministratori di società di capitali e, ex adverso, la deducibilità di quelli erogati ad amministratori di società di persone. Fiumi di inchiostro della dottrina, interrogazioni parlamentari ed accesi dibattiti hanno accompagnato la pronuncia de qua che si fondava sull interpretazione letterale dell art. 62, commi 2 e 3, del TUIR nella versione precedente alla riforma IRES ignorando, ex adverso, la chiara disposizione contenuta nel comma 5 dell art. 95 del TUIR che prevede, come è noto, la deducibilità dal reddito d impresa dei compensi corrisposti agli amministratori di società di capitali. Ora è stata fatta luce (id:giustizia) sulla vexata quaestio. Gli Ermellini, con sentenza N. 24957 del 10 Dicembre 2010, hanno sancito la deducibilità dei compensi agli amministratori senza alcun riferimento a tabelle o ad altre indicazioni vincolanti in quanto la spettanza si determina con il consenso fra le Parti e, quindi, con esclusione di qualsivoglia valutazione di congruità ad opera dell Amministrazione Finanziaria. Peraltro, i Giudici della Cassazione, hanno stabilito un altro interessante principio : la prevalenza della qualità del costo sulla quantità dello stesso donde il costo viene riconosciuto come prodromico a creare ricavi ed utili. Ergo, se si accetta tale principio di libertà del costo, è difficile sottoporre i compensi agli amministratori che, pure, sono costi, a limitazioni quantitative. LA RESTITUZIONE DEI CONTRIBUTI NON DOVUTI DA PARTE DELL INPS DEVE ESSERE MAGGIORATA DI INTERESSI O RIVALUTAZIONE. E IRRILEVANTE LO STATUS DI ACCIPIENS IN BUONA O MALA FEDE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 25589 DEL 17 DICEMBRE 2010 2

Era da tanto che aspettavamo questo principio ed eccolo sancito, finalmente, con la sentenza N. 25589 del 17 Dicembre 2010 da parte della Suprema Corte di Cassazione. Gli Ermellini hanno stabilito che la restituzione dei contributi indebitamente versati all INPS, sancita da una sentenza del Giudice provvisoriamente esecutiva, non soggiace alle regole sulla ripetizione dell indebito oggettivo (id: art. 2033). Ergo, oltre alla restituzione della sorta capitale indebitamente versata, la stessa deve essere maggiorata di interessi o rivalutazione calcolati dal giorno dell indebito versamento e non già, come prevede l art. 2033 c.c. e sempre che vi sia buona fede dell accipiens, dalla domanda giudiziale. La motivazione della pronuncia è parimenti importante: il versamento non avviene, infatti, nell ambito di un rapporto privatistico ma in ottemperanza ad un atto pubblico imperativo quale deve essere considerata la pronuncia della Magistratura. Ergo, il creditore deve essere indennizzato per l intera diminuzione patrimoniale subita. Non conta, quindi, lo status di accipiens in buona o mala fede del percettore delle somme così come avviene nella ripetizione dell indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.: è sufficiente che quei contributi non fossero dovuti. Da qui la riparazione integrale del danno patrimoniale subito adoperando, come parametro, la misura del tasso medio di rendimento dei titoli di Stato con scadenza non superiore a 12 mesi. IN CASO DI DIFFORMITA PREVALE SEMPRE IL CONTENUTO DEL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA LETTO IN AULA IN LUOGO DI QUELLO ESPLICITATO NELLA MOTIVAZIONE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE- SENTENZA N. 44642 DEL 20 DICEMBRE Quante volte, leggendo una massima o un dispositivo abbiamo avuto difficoltà a comprenderne il significato attraverso le successive motivazioni talvolta divergenti dallo stesso dispositivo di tal che è stato spontaneo l interrogativo: in caso di divergenza fra il dispositivo della sentenza letto in aula e le successive motivazioni quale prevale? La risposta, oggi, è venuta dalla Suprema Corte di Cassazione sezione penale- con la sentenza N. 44642 del 20 Dicembre 2010. 3

Gli Ermellini hanno chiarito che in caso di divergenza fra le due fonti il contenuto del dispositivo prevale, sempre e comunque, ogni qualvolta esso non si appalesi intrinsecamente incoerente ovvero non presenti delle parziali omissioni nelle singole determinazioni che conducono alla determinazione della pena che risulta positivamente irrogata, omissioni non colmabili con automatismi ricavabili dall'applicazione al caso concreto della disciplina generale". L OBBLIGO DELLA FATTURAZIONE PER LE PRESTAZIONI OGGETTO DI APPALTO DECORRE DAL COLLAUDO O DALL ACCETTAZIONE DEL COMMITTENTE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA SENTENZA N. 25602 DEL 17 DICEMBRE 2010 La Suprema Corte di Cassazione, sezione Tributaria, ribadisce un principio che nella sua produzione è ormai consolidato (da ultimo con sentenza n. 10818 del 2009) relativamente all epoca di emissione della fattura in caso di appalto. Gli Ermellini hanno sancito, con la sentenza N. 25602 del 17 Dicembre 2010, che l emissione della fattura relativa ai compensi ricevuti deve essere successiva al collaudo ovvero all accettazione anche tacita della prestazione ad opera del committente. Ecco il fatto storico. L Amministrazione Finanziaria contesta ad una Società l omessa fatturazione di alcuni corrispettivi ricevuti da un committente a fronte di lavori da questo appaltati. Gli Organi della Giustizia tributaria, fra cui la Commissione Regionale Tributaria, respingono il ricorso della Società che aveva motivato la mancata fatturazione con la circostanza che essa era dovuta solamente dopo il collaudo. Da qui il ricorso in Cassazione. Gli Ermellini, nell accogliere il ricorso della Società, hanno sancito che la fatturazione deve avvenire in ordine ai corrispettivi che si riferiscono ad una positiva esecuzione del collaudo o conseguente all espressione, per facta concludentia, di una volontà incompatibile con la mancata accettazione secondo quanto stabilito nell art. 1665 c.c.. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO 4

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HANNO COLLABORATO ALLA REDAZIONE DI QUESTO NUMERO VINCENZO BALZANO, FRANCESCO DURACCIO, PIERO DI NONO, FRANCESCO CAPACCIO, GIOSUE ESPOSITO 5