LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO

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LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO La Fenomenologia può essere letta come il percorso compiuto dall'io empirico, dalla singola coscienza finita e limitata, che, dalla sua forma originaria di coscienza ingenua che si confronta in maniera immediata col mondo, giunge fino a divenire Ragione filosofica (o speculativa) e dunque sapere assoluto. Per questo lo stesso Hegel considera la Fenomenologia come di una sorta di introduzione alla filosofia. E' da precisare però che non si tratta di una propedeutica che precede la scienza, ma piuttosto di propedeutica che è già scienza. In questo caso Hegel paragona questo modo di introdurre il pensiero alla filosofia all'apprendimento al nuoto: imparare a nuotare è già nuotare come imparare a ragionare filosoficamente è già fare filosofia. Inoltre, la via che conduce la coscienza finita all'assoluto infinito è anche la via che l'assoluto compie per giungere a sé medesimo. Fenomenologia deriva dal greco phainómenon, che significa il manifestarsi o l'apparire, quindi vuol dire scienza dell'apparire o del manifestarsi. Si tratta dell'apparire dello Spirito che, in una serie successiva di figure, ossia, di momenti collegati dialetticamente tra loro, giunge al sapere assoluto. La Fenomenologia dello spirito racconta una storia, che si svolge su due piani: 1.quello della via percorsa dallo Spirito per giungere a sé attraverso le vicende della storia del mondo, che per Hegel è la strada attraverso cui lo Spirito si è realizzato e si è conosciuto; 2.l'altro è il piano del singolo individuo che deve compiere quella stessa via e farla propria. La storia della coscienza dell'individuo non può essere altro che il percorrere la storia dello Spirito. Alcune affermazioni del filosofo sono illuminanti in merito: «il singolo deve ripercorrere i gradi di formazione dello Spirito universale, come gradi di una via già tracciata e spianata». Questi gradi sono tappe della storia della civiltà, che la coscienza individuale deve «riconoscere» e riguadagnare. «Tale esistenza passata è proprietà acquisita allo Spirito universale». «Mettendoci per questo riguardo dall'angolo visuale dell'individuo, la cultura consiste nella conquista di ciò che egli trova davanti a sé, consiste nel consumare la propria natura inorganica e nell'appropriarsela». Lo Spirito che appare è la coscienza. La coscienza è sempre di qualcosa, consapevolezza di qualcosa d'altro (interno o esterno che sia), dunque è una relazione originaria tra un io e un oggetto, tra soggetto e oggetto. L'itinerario della Fenomenologia consiste proprio nella progressiva mediazione di questa opposizione fino al suo superamento. L'itinerario fenomenologico percorre le seguenti tappe o momenti: Coscienza; Autocoscienza; Ragione; Spirito; Religione; Sapere assoluto. Ogni tappa consiste il superamento e l'inveramento di quella precedente (nel senso che la tappa precedente si realizza pienamente solo in quella successiva, che ne è perciò la verità). Ogni coscienza è autocoscienza; l'autocoscienza si scopre come ragione, la ragione si realizza pienamente come spirito, che, tramite la religione, nel sapere assoluto raggiunge il suo vertice. Ognuna di queste tappe è costituita da momenti o figure, la cui de-terminatezza appare sempre inadeguata e perciò esse sono spinte a divenire altro, al loro superamento, secondo un ritmo dialettico. Il momento culminante di questo processo coincide con il momento in cui lo Spirito diventa oggetto a se stesso. 1.La Coscienza (certezza sensibile, percezione, intelletto) La prima tappa è costituita dalla coscienza che guarda il mondo come altro-da-sé, da lei indipendente. Essa si dispiega nei tre momenti successivi di certezza sensibile, percezione e intelletto, ciascuno dei quali porta dialetticamente all'altro. La certezza sensibile è paragonabile all'occhio che si apre per la prima volta e vede il mondo. Essa sembrerebbe essere la conoscenza più vera della realtà, perchè la più immediata. Si tratta invece di un approccio ancora ingenuo, dove la realtà appare come un tutto indistinto: essa è in grado di cogliere solo il qui e ora, ma questi qui e

ora mutano costantemente impedendo alla coscienza di farsi un'immagine precisa del mondo. La percezione permette di conoscere (distinguere) il singolo oggetto, che appare presto come contraddittorio perché esso può essere uno e molti, è un oggetto con molte proprietà. Questa contraddizione conduce al superamento di questo momento nell'intelletto. L'oggetto appare ora come un fenomeno, inserito in un contesto spazio-temporale e causale, è prodotto da forze e leggi. Tali leggi sono proprio concepite dallo stesso intelletto. Il soggetto comprende che c'è una stretta relazione tra oggetto e soggetto, non c'è più la totale indipendenza che trovavamo con la coscienza sensibile (il fenomeno è ciò che appare a me, non è solo un oggetto isolato. Non è indipendente dalla coscienza, così come le leggi che lo regolano sono stabilite da una coscienza). Perciò la coscienza è spinta a riflettere su di sé, diviene Auto-coscienza. 2. L'Autocoscienza (dialettica padrone-servo, Stoicismo-Scetticismo e Coscienza infelice) L'Autocoscienza attraverso i singoli momenti impara a capire cosa essa è veramente. Si caratterizza inizialmente come appetito, desiderio di appropriazione degli oggetti circostanti, di annullare l'alterità per inglobare in sé tutti gli oggetti che le ruotano attorno (pensiamo all'atteggiamento di appropriazione delle cose tipico dei bambini molto piccoli). Presto però è portata a uscire da questa condizione perché si scontra con altre autocoscienze. Inizialmente essa sarà spinta a considerare anche gli altri soggetti come degli oggetti, quindi a volersene appropriare, a volerli soggiogare. Ma la relazione dialettica tra due soggetti contrapposti conduce ad uno sbocco nuovo. Entrambe le autocoscienze tentano di sottomettersi a vicenda, ne nasce una lotta, una questione di vita o di morte. Questa condizione assomiglia allo stato di natura hobbesiano, dove ognuno lotta per mantenersi in vita in una condizione di conflitto costante. Solo l'individuo che ha saputo mettere a repentaglio la propria vita emergerà come vincitore, perché in questo suo rischio si è reso individuo indipendente. La lotta non ha come esito la morte fisica di una delle due autocoscienze, ma la sottomissione di una nei confronti dell'altra (pensiamo allo schiavo dell'antichità, spesso prigioniero di guerra). Nasce così la distinzione tra padrone e servo, con la conseguente dialettica che Hegel descrive in pagine divenute famosissime sulle quali soprattutto i marxisti hanno più volte attirato l'attenzione. Il servo ha avuto paura (angoscia) della morte, ha barattato la vita con la sua libertà, divenendo una cosa dipendente dal padrone. Il padrone usa il servo e consuma le cose che esso gli procura e produce per lui. Ma in questo tipo di rapporto si sviluppa un movimento dialettico che finirà per portare al rovesciamento delle parti. Infatti, il padrone finisce per diventare dipendente dalle cose, perché disimpara a fare tutto ciò che fa il servo, mentre quest'ultimo finisce per diventare indipendente dalle cose, facendole. Inoltre il padrone non può realizzarsi pienamente come autocoscienza, perché lo schiavo, ridotto ai suoi occhi a cosa, non può rappresentare per lui il polo dialettico con cui confrontarsi adeguatamente. Il padrone non ha un pari con cui confrontarsi, non riconoscendo l'altro non riesce neppure a conoscere e ri-conoscere se stesso. Proprio il lavoro rappresenta un fattore di autopromozione, un mezzo per raggiungere la consapevolezza di sé e delle proprie capacità. Il lavoro l'attività che distingue l'uomo dalle altre creature, e consiste nella capacità di allontanare nel tempo il momento del soddisfacimento degli appetiti e dei bisogni primari. Mentre l'animale che ha fame si procura del cibo e lo divora, l'uomo impara a costruire gli arnesi per manipolare il cibo, trasforma le materie prime in prodotti originali, si costruisce un'abitazione, impara a coltivare la terra, ad allevare il bestiame. La sua attività lavorativa diventa la realizzazione delle capacità umane, dunque dell'essenza umana in genere. L'uomo emerge dalla condizione selvaggia e crea, attraverso il lavoro, la civiltà, che diviene sempre più complessa con il progresso delle tecniche e la progressiva divisione e specializzazione del lavoro. Dunque il lavoro emancipa l'uomo che vede negli oggetti che ha creato la cristallizzazione della propria attività (reificazione, cioè farsi res=cosa), delle proprie conoscenze, della propria creatività: scopre se stesso nel frutto del suo lavoro.

Inoltre, nel produrre oggetti non suoi, il servo apprende un autocontrollo degli appetiti che lo proietta al di fuori della sua animalità. In ultima analisi, l'uomo diventa uomo perché trasformando la natura trasforma se stesso, si avvia a diventare un animale spirituale. L'Autocoscienza però giunge a piena consapevolezza solo attraverso le successive tappe: stoicismo/scetticismo, coscienza infelice. Lo stoico supera entrambi i soggetti della figura precedente: per lui signore e servo sono entrambi degli indifferenti. Lo stoico raggiunge la serenità in ogni condizione, sia in quella di servo che in quella di padrone. Ma lo stoicismo volendo liberare gli uomini dalle passioni lo allontana dalla vita vera, la sua libertà resta astratta. Perciò lo stoicismo passa dialetticamente nello scetticismo, il quale trasforma il distacco dal mondo in un atteggiamento di negazione del mondo. Ma lo scettico si contraddice quando nega validità alla percezione ma percepisce, nega validità all'intelletto ma pensa, nega validità all'agire morale ma agisce secondo regole. Il superamento della contraddizione permette il passaggio alla coscienza infelice (anche in questo caso siamo di fronte a pagine celebri dell'opera, su cui meditarono soprattutto gli esistenzialisti). La coscienza è infelice perché sente una scissione insanabile in sé. Questa figura ricorda il cristianesimo medievale. Essa è collocata in questo mondo ma è tutta rivolta all'altro mondo, irraggiungibile. Nell'aspirazione verso l'assoluto e l'infinito essa sente tutta la propria nullità. Il superamento di questa dolorosa scissione avviene quando la coscienza raggiunge la consapevolezza che la sola e vera realtà non si trova fuori da lei, ma in lei. L'Autocoscienza ha compiuto il suo percorso verso il proprio auto riconoscimento e trova la sua verità nella Ragione 3. La Ragione Essa è la certezza di essere ogni realtà. Questa è la posizione tipica dell'idealismo, nel quale si compie l'unità di pensiero ed essere. In questo caso la nuova tappa corrisponde alla mentalità dell'uomo del rinascimento, pieno di fiducia nelle proprie possibilità e in quelle razionali, proiettato alla scoperta di un mondo organizzato razionalmente. Si tratta della mentalità tipica dell'uomo moderno, e dall'ottimismo che accomuna gli studiosi del Cinquecento ai filosofi dell'illuminismo. La ragione che osserva la natura muove dalla consapevolezza che il mondo è razionale, organizzato secondo leggi comprensibili dall'uomo. La ragione che agisce vede l'individuo realizzarsi personalmente, prima come individuo isolato che persegue i propri piaceri, ma non trova soddisfazione nella sua solitudine, poi come individuo che segue la legge del cuore nel rapporto con gli altri, ma non riesce ad assumere un vero comportamento morale perché segue solo il suo sentire. Infine l'individuo cerca un criterio morale oggettivo per agire, la virtù, ma scegliendo un criterio astratto al quale pretende di piegare tutta la realtà, finisce per cadere nel fanatismo (si tratta dell'atteggiamento degli estremisti alla Robespierre, che lottarono per la libertà e la fine della tirannìa istituendo paradossalmente un regime ancor più tirannico e sanguinario di quello che avevano combattuto). L'individualità che è reale in sé e per sé non è altro che l'autocoscienza che supera la sua opposizione rispetto agli altri e al corso del mondo, trovando in questi il proprio contenuto. La coscienza cerca un criterio realmente universale e necessario per agire (l'imperativo categorico). Ma finalmente in questa fase l'autocoscienza scopre che la sostanza etica non è altro se non ciò in cui essa è già immersa: l'ethos della società e del popolo in cui vive: sapienza e virtù consistono nel vivere conformemente ai costumi del proprio popolo. Hegel, in altre parole, non si accontenta della morale kantiana, considerandola vuoto formalismo: la ragione non è sempre identica a se stessa, come pretendeva Kant, ma è sempre storicamente determinata, è Ragione che si esprime nella cultura dei popoli, ovvero, ethos (abito morale, spirito di un popolo, con le sue tradizioni, la sua cultura, la sua spiritualità, le sue istituzioni, le sue leggi...). Finché ci si pone dal punto di vista dell'individuo (cioè della ragione individuale) si è condannati a non raggiungere mai

l'universale: la legge morale non è in noi o nella ragione, ma nella storia e nello stato. L'illusione di Kant è di aver trovato una regola formale valida in ogni tempo, secondo Hegel c'è solo la morale concreta, figlia del contesto (storico) in cui è iscritta, e tuttavia razionale (la ragione è dinamismo e sviluppo, non un dato immodificabile). In questo modo la Ragione trova la piena realizzazione nello Spirito. 4. Lo Spirito La Ragione che si realizza in un popolo libero e nelle sue istituzioni è la coscienza che si riunisce intimamente nella propria sostanza etica, e questo è ormai lo Spirito. Lo spirito è «Io che è Noi, Noi che è Io». Bisogna continuamente tener conto di questa dimensione intersoggettiva, sociale, dello Spirito. In essa non c'è più scissione tra essere e dover essere come nella morale kantiana (per Kant l'agire morale è frutto di una continua lotta con se stessi, e non siamo sempre all'altezza delle nostre aspettative, ma spesso anche se individuiamo con la ragione ciò che è giusto fare, poi non abbiamo la forza di compierlo). Per il restante itinerario fenomenologico le figure diventano figure di un mondo, tappe della storia che ci mostrano lo Spirito alienato nel tempo e che, attraverso questa alienazione, giunge a ritrovarsi, ad autoconoscersi. La prima tappa fenomenologica dello Spirito consiste nella eticità antica. Nella polis greca ad esempio, uomo libero e cittadino coincidono pienamente: l'individuo è tale perché fa parte di una collettività. Gradualmente però matura una scissione tra individuo e società che si fa molto accentuato a partire dall'avvento del cristianesimo, che esalta la sacralità e unicità della persona umana. Questa concezione, laicizzata, si esprime nell'individualismo moderno, di matrice borghese che, ad esempio, col liberalismo, rivendica i diritti naturali e inalienabili dell'uomo, che ognuno detiene prima e indipendentemente dalla fondazione dello stato, fonte del diritto positivo (cioè, codificato). Questa massima e lacerante contrapposizione tra individuo e società si traduce in lotte cruente (le rivoluzioni inglese nel '600 e francese nel '700). Il Terrore è l'esito estremo della contraddizione tra stato e individuo: esso, dopo aver eliminato tutte le gerarchie sociali e le differenze, si rivolta contro tutto e tutti e infine contro di sé, annullandosi. Lo Spirito torna alla riconciliazione con sé nell'eticità contemporanea, quando finalmente si capisce che gli individui possono vivere serenamente se vengono ricompresi nella sostanza etica dello stato, che finalmente non nega ma tutela i diritti della persona. 5. La religione Nella religione lo Spirito prende coscienza di sé come Coscienza che è consapevole dell'essenza assoluta (ma non come sutocoscienza dell'assoluto, che sarà il punto di vista del sapere assoluto). Anche in questo caso abbiamo delle tappe. La prima è quella delle religioni naturali, che rappresentano l'assoluto sotto forma di cose naturali (astri, animali), poi la religione greca, che rappresenta l'assoluto in forma umana, infine la religione cristiana, dove lo Spirito si incarna e poi torna in sé e per sé. In essa Hegel vede i concetti cardine della propria filosofia (Dio è visto come spirito e logos, concetti che preannunciano una visione filosofica e idealistica del reale). 6. Il sapere assoluto Il superamento della conoscenza rappresentativa propria della religione porta finalmente al puro concetto, e al sapere assoluto, ossia, al sistema della scienza che Hegel esporrà nella Logica, nella Filosofia della Natura e nella Filosofia dello Spirito. Conclusione «La Fenomenologia di Hegel rappresenta un unicum nella storia della filosofia e ha attratto e continua ad attrarre anche a motivo delle sue significazioni polivalenti e della sua ambiguità sconcertante» D.Antiseri

Quell'unicum acquista valore se lo si guarda sullo sfondo della sua epoca e lo si paragona in particolare ai romanzi di formazione, che fioriscono nell'ambito della cultura romantica tedesca. I personaggi di questi romanzi incontrano una serie di difficoltà e, attraverso il duro tirocinio di un'esperienza sofferta, superano le loro originarie convinzioni, che via via risultano illusorie (e tuttavia tappe da cui bisognava passare) e giungono, infine, alla verità. La Fenomenologia può essere considerata come un grande romanzo di formazione filosofica, in cui però il protagonista è sia l'individuo sia lo Spirito stesso. La Fenomenologia ci ha portati dal punto di vista del sapere della coscienza empirica al punto di vista del Sapere assoluto. Retrospettivamente considerate, le varie tappe e figure della fenomenologia non sono ancora la scienza compiuta in tutta la sua verità. Questa ha luogo nel Sapere assoluto, le cui tappe vengono esaminate in maniera approfondita nelle opere successive: La scienza della logica, L'enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Lineamenti di filosofia del diritto, e nelle lezioni berlinesi, pubblicate dai discepoli dopo la morte di Hegel.