Commissione Partecipazione Tema 1: La rigenerazione urbana come resilienza Donatella Venti, Chiara Bagnetti Tra i grandi cambiamenti che hanno/stanno profondamente mutando le città è sicuramente da annoverare quello della crescente multiculturalità che porta, in molti quartieri, ad una popolazione di nuova o recente immigrazione maggioritaria rispetto ai residenti storici. La complessità che ne deriva comporta una necessaria differenziazione delle domande poste non solo riferite ai servizi, ma anche rispetto agli spazi urbani, ai tempi di vita, dalla produzione, all istruzione, al tempo libero, alle pratiche religiose. Gli inevitabili conflitti d uso rischiano spesso di paralizzare interventi, ma ancor di più di configurare una città sempre più particellare. La rigenerazione urbana non può quindi prescindere dal riconoscimento delle diverse visioni, dal coinvolgimento diretto degli abitanti nei processi di rigenerazione, fino ad arrivare ad una presa in carico della gestione di spazi pubblici, come recentemente emerso nel workshop La città che vogliamo organizzata dalla Commissione Nazionale Partecipazione all interno della Biennale dello Spazio pubblico (Roma, 2013). La progettazione partecipata è un metodo di lavoro che considera l interazione di tutti i diversi attori presenti, in un dato contesto di intervento, di fondamentale importanza per la conoscenza del problema e per la definizione delle soluzioni appropriate da adottare, che non sempre e non necessariamente sono le migliori dal punto di vista tecnico. Fondamentali pertanto risultano: un approccio di tipo incrementale (piccoli passi), recursivo (si torna anche indietro rivedendo le premesse), strategico (rispetto a ciò che sta più a cuore agli attoricittadini). Dal panorama nazionale emergono alcune categorie della partecipazione o meglio, pur nella estrema variabilità e ricchezza, ricorrenti modalità di trattamento, relativamente alla funzionalità rispetto agli obiettivi interni, nonché livelli successivi di approfondimento. In tutti i casi è riconoscibile un ruolo prioritario svolto dalla partecipazione, più o meno esplicitamente dichiarato,
rispetto al quale si sono strutturate sia le fasi del percorso che la strumentazione metodologica utilizzata. Il più ricorrente è il ruolo di indagine: riguarda la percezione sia dei fattori di contesto sia delle problematiche aperte da parte degli abitanti o di stakeholders (per strategie settoriali o integrate) e spesso si conclude con l individuazione delle esigenze ritenute prioritarie, anche ai fini della stesura dei Piani comunali. Il Ruolo di conoscenza si incentra sulla qualità dell informazione e sue garanzie ed è molto applicata nei forum Agenda 21 locali (comunicazione dello stato e la qualità dell ambiente urbano); anche le Mappe di Comunità svolgono questa funzione, integrandosi con la visione esperta dei luoghi e fornendo preziose suggestioni per il futuro piano o progetto. Il Ruolo di comunicazione: per esplicitare e comunicare obiettivi di piani e programmi agli abitanti, colmando il divario tra città sottesa al progetto urbanistico e reali esigenze degli abitanti. In alcuni piani è collegato a uno sportello di piano o dell ascolto, o alla conoscenza della storia dei luoghi ed al recupero della memoria collettiva, all individuazione di indicatori di qualità urbana (PRU), e al miglioramento della cooperazione tra i diversi soggetti, al rafforzamento del ruolo delle strutture decentrate (circoscrizioni o municipi). Il Ruolo di ricerca/rafforzamento del partenariato o di negoziazione: ha come obiettivo il coinvolgimento degli attori locali verso obiettivi individuati a monte dai soggetti pubblici, che vengono sia comunicati che negoziati; è finalizzata all attuazione di un programma, attraverso risorse private e/o pubblico-private, come nel caso dei Contratti di quartiere. Il Ruolo di condivisione o di cooperazione antagonista : è il livello di partecipazione più strutturato (informazione, comprensione, opportunità), e favorisce la costruzione di un clima di responsabilizzazione dei partecipanti verso comuni impegni, la predisposizione e diffusione di vision del futuro, la disponibilità a ridefinire orientamenti e posizioni, a generare nuove idee. Le politiche attivate con questi strumenti integrano i diversi tempi di vita (tempo libero, gioco, cultura, volontariato sociale, associazionismo ambientalista), coniugandoli ai fattori (mobilità, servizi, scuola, qualità ambientale).
E pertanto indispensabile che le rifondate politiche per le città siano basate sull ascolto, sulla inclusione, sull attiva partecipazione del maggior numero possibile di soggetti ai processi, con la costituzione di partenariati pubblico-privati nelle nuove forme di social trust in cui possano investire in riqualificazione urbana soggetti finora prevalentemente esclusi dai processi di trasformazione edilizia ed urbanistica. Il paesaggio come bene comune E' necessario evidenziare quanto il benessere delle città sia strettamente collegato al benessere del territorio che la comprende e, quindi, del paesaggio inteso come Bene comune. Se quest'ultimo è individuato in ciò che una comunità può utilizzare, indipendentemente dalla forma di proprietà, per le proprie necessità di vita materiali e immateriali (produttive, ricreative, sociali, culturali, etc.), non si può non introdurre, a monte di qualsiasi forma di gestione dei beni comuni, il concetto di paesaggio. Grazie alla definizione introdotta dalla Convenzione Europea del Paesaggio (CEP Firenze, 2000) e al conseguente riconoscimento della valenza ecosistemica e del ruolo di rappresentazione della relazione tra uomo/società/ambiente, il paesaggio è ormai categoria che accoglie e raccorda le "diversità", anche in termini di rapporto tra le parti di territorio e con i contesti urbani, di velocità di scambio, di conseguenti tensioni/intrecci tra modelli (di vita, di sviluppo, di relazioni) tra loro spesso contraddittori ed incoerenti. I paesaggi contemporanei pertanto assumono una differenziazione non più solamente riferita ai contesti geografici: nella stessa regione, nella stessa provincia, nel singolo territorio comunale assumono caratteri estremamente variegati, che descrivono situazioni insediative di grande complessità. Se fino a pochi anni fa, ad esempio, per descrivere i paesaggi rurali era sufficiente definire categorie quali aree ad elevata produttività agricola, oppure territori marginali, sono ormai emerse nuove funzioni rilevanti in termini di turismo, di nuova residenzialità per scelta di vita, in fuga dalle città, di nuova cultura (si veda la diffusione degli ecomusei), in cui nuovi fruitori e nuovi imprenditori agricoli prendono peso nella gestione del territorio. Non è pertanto più possibile solamente descrivere i paesaggi per prefigurarne possibili traiettorie di trasformazione: diviene indispensabile sperimentare calandosi all interno delle realtà, in termini
ciclici e interattivi, tra intervento e riflessione sull intervento stesso e sulla sua ulteriore implementazione evolutiva. Le esperienze orientate in tale direzione mettono in relazione due degli approcci leader al tema dello sviluppo locale: quello che parte dall analisi delle risorse posizionate nel sistema e dalla loro valorizzazione attraverso strategie di azioni integrate e quello del bottom-up ovvero dell ascolto, da parte dei soggetti trainanti un processo di sviluppo, delle istanze espresse da chi vive i territori stessi, perché la trasformazione non comporti una perdita di valori, ma una loro sedimentazione e riscoperta. In alcuni percorsi, quali i Contratti di paesaggio, la visione fondativa è infatti affidata ad alcuni elementi valoriali, così riassunti: il senso di appartenenza al luogo che richiama la conoscenza di esso (se conosco lo apprezzo, e se lo apprezzo sono fiera di farne parte); l amore per tutto ciò che è al di fuori della propria casa (la strada, la piazza, non sono del pubblico ma anche mie, perciò deve mantenerle); il rispetto per il paesaggio e la responsabilità di fronte alla sua evoluzione, sia positiva che negativa (le calamità, a volte, non sono naturali ma umane); il rispetto per gli altri componenti la collettività (un mio vantaggio potrebbe tradursi in un danno per gli altri, e a lungo tempo anche per me in quanto parte della collettività) Processi come questi, agenti in modo diretto e operativo sulla "cultura del paesaggio" e sul concetto di "bene comune" coinvolgendo attivamente una molteplicità di soggetti, possono produrre, come testimoniato dall'esperienza, esiti importanti, quali: creare di nuove relazionalità interne e esterne al territorio ma anche tra amministrazione e "parti" del territorio amministrato recepire visioni territoriali e azioni strategiche, definite e condivise nel processo, negli strumenti di pianificazione di area vasta e nella pianificazione comunale. porre le basi e sviluppare proposte concrete per la valorizzazione e gestione delle risorse locali intercettare operatori economici, singoli soggetti o associazioni capaci di accogliere e rilanciare approcci innovativi alla valorizzazione territoriale, legati alle specificità del paesaggio e della cultura locale.
stimolare, anche attraverso l'innesco di sani meccanismi competitivi, l'innalzamento della qualità dell'offerta culturale e turistica locale. La stesura di Patti o Contratti a valle di questi processi, assume pertanto significato non solo come conclusione di un percorso di riconoscimento di valori, ma come assunzione di regole condivise che portino ad uno sviluppo coerente con i caratteri riconosciuti e sedimentati e si concretizzano in azioni di rete (quali ad esempio i circuiti di paesaggio ), di sistema (nei diversi settori quali quello turistico o agroalimentare che si integrano in filiere complesse) o in specifici progetti di rivalorizzazione dei beni c.d. minori. Si tratta quindi di strumenti che innescano processi di rivitalizzazione "capillare", maturati e radicati sul territorio e nei suoi attori attraverso un percorso di confronto e di esperienze condivise, e che per questo offrono reali possibilità di successo e un interessante modello operativo anche per le politiche di rigenerazione urbana. Tema 2 Quale forma di piano e i nuovi compiti della pianificazione Massimo Morisi, Chiara Pignaris Parlare di città come motore di sviluppo vuol dire anche affrontare il problema della mobilità, dei trasporti pubblici, delle infrastrutture energetiche, dello smaltimento dei rifiuti Vuol dire cambiare in modo sostanziale le strategie urbanistiche verso azioni di più nette di sviluppo sostenibile che comportino meno dipendenza dalla motorizzazione privata, contenimento dei consumi, comportamenti virtuosi. Questo è possibile solo introducendo negli apparati delle amministrazioni modalità di lavoro che conducano, da un lato, ad una maggior integrazione delle politiche, dall altro ad un maggior coinvolgimento dei cittadini nelle scelte, al fine di accrescere il senso di responsabilità e mettere in valore, come risorsa progettuale positiva, gli inevitabili conflitti che ogni piccolo o grande cambiamento si porta dietro. Il fiorire in tutta Italia di comitati e associazioni di cittadini mostra quanto la domanda di partecipazione nel campo delle politiche territoriali sia elevata, tanto alla piccola quanto alla grande scala. Per i Comuni il territorio rappresenta la principale risorsa ma le cautelose modalità formali di coinvolgimento incorporate nel procedimenti di elaborazione degli strumenti urbanistici non sembrano più sufficienti, né possono ovviarvi vetuste modalità di accesso al procedimento come le
osservazioni. Servono nuovi metodi che aiutino le amministrazioni a migliorare la qualità e le ragioni delle loro opzioni nel governo del territorio, a partire da una nozione condivisa e praticabile di partecipazione civica all interno dei singoli contesti urbani e territoriali e dei diversi ambienti culturali e politico-istituzionali. La partecipazione dei destinatari delle politiche territoriali, comunque definite dalla strumentazione giuridica e urbanistica, alla loro formazione e al monitoraggio attivo della loro messa in opera è la chiave di tali metodi nuovi. Per partecipazione intendiamo (con Paolo Fareri, un autore mai sufficientemente studiato nella ricca messe di suggestioni teoriche e metodologiche che ci ha lasciato) non solo il coinvolgimento dei cittadini ma anche la mobilitazione di tutti gli attori rilevanti (vecchi e nuovi) nei processi decisionali inerenti al governo del territorio e alle sue opzioni specifiche in ambito locale: con l obiettivo primario di produrre e di mettere in gioco tutta la conoscenza ( scientifica, ordinaria, interattiva ) indispensabile e necessaria per argomentare e sostenere quelle opzioni. Per questo partecipare è una funzione di apprendimento da parte degli attori istituzionali, sociali, professionali coinvolti che consente al processo di pianificazione e di progettazione e attuativo di diventare ciò che oggi non è: tempestivo, efficiente, efficace, quindi utile e non un mero e oneroso orpello procedurale tanto per gli amministratori quanto per i cittadini e gli operatori. Utile, proprio perché legittimato a monte da un adeguato e ben strutturato confronto deliberativo. Che non consuma tempo ma ne fa risparmiare: visto che, ove applicata con rigore e all interno di un procedimento certo, consente alle amministrazioni competenti e alle loro interazioni intergovernative, di chiudere senza alibi i percorsi decisionali di riferimento: perché chi aveva qualcosa da dire, proporre o controproporre unitamente ai rispettivi argomenti, avrà trovato certezza e garanzia di espressione e di risposta nell ambito di uno specifico spazio partecipativo e dibattimentale correlato a quel medesimo procedimento di formazione dell atto, e non potrà reclamare ulteriori forme, luoghi e occasioni di confronto legittimo. È quanto prevede la nuova legge toscana sul governo del territorio in combinato disposto con la legge di quella stessa regione sulla partecipazione. La quale, dopo 5 anni di sperimentazione e 116 processi partecipativi realizzati, ha consolidato la normativa generale e procedurale sulla partecipazione disponendo l obbligo del dibattito pubblico per tutta una serie di interventi infrastrutturali. Il che consiglia all Inu di aprire un focus analitico e ricognitivo specifico, ovviamente in prospettiva comparata non solo italiana: anche perché in Toscana ciò che si va tentando è proprio un raccordo certo tra
costruzione partecipata della decisione, sicurezza e parsimonia dei tempi dibattimentali, chiarezza degli effetti sulla formazione delle decisioni, trasparenza e qualità pubblica degli argomenti e dei fondamenti conoscitivi dei medesimi, garanzia delle responsabilità politico-amministrative. Insomma, e finalmente, un mutuo raccordo funzionale tra cittadinanza attiva e istituzioni: senza commistioni di ruoli né confusioni di compiti ( né ulteriori giustificazioni alla rimozione delle questioni territoriali più spinose!). Altre regioni sono da tempo impegnate su un fronte simile: l Emilia Romagna sta concludendo la prima tornata di progetti sostenuti dalla Lr. 3/2010, che ha permesso di avviare più di venti esempi pilota rigenerazione urbana partecipata. L Umbria, la Puglia, la Sardegna e altre regioni hanno sviluppato in questi anni interessanti esperienze, mentre lo stesso governo centrale sembra impegnato nella elaborazione di una proposta di legge sul Dibattito Pubblico per le grandi opere variamente ispirata al modello francese. Le esperienze più riuscite dimostrano che l avversione per il conflitto (come ancora ci ricorda Paolo Fareri), così come «la convinzione secondo cui solo processi consensuali generano efficienza ed efficacia, non solo nasce da valutazioni errate ma rischia di privare il processo progettuale di risorse rilevanti. In realtà lo sviluppo di relazioni conflittuali può contribuire positivamente all avanzamento del processo decisionale». La presenza di conflitto indica la disponibilità di soggetti interessati e di energie sociali al trattamento di un problema, che è di per sé risorsa scarsa e dunque preziosa: perché il conflitto genera interesse attorno al trattamento dei problemi collettivi, spinge gli attori a definire meglio le loro posizioni, mobilita ulteriori capacità e nuove conoscenze tecniche e contestuali, articola ed arricchisce le definizioni del problema e il confronto con le possibili alternative. A condizione che se ne legittimino e se ne pongano in valore le potenzialità positive e che lo si assuma come postulato e ingrediente, a un tempo, della qualità e dell efficacia di un progetto territoriale. Insomma, come amava ripetere Aristotele, l invitato sa giudicare il banchetto meglio del cuoco: possiamo essere meno radicali ma è certo che i cuochi solitari producono ricette velleitarie.