La pronuncia di inibitoria a tutela della concorrenza e sua efficacia nei confronti di terzi ed aventi causa.



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La pronuncia di inibitoria a tutela della concorrenza e sua efficacia nei confronti di terzi ed aventi causa. SOMMARIO: 1. Premessa 2. La natura e la portata della pronuncia di inibitoria ai sensi dell art. 2599 c.c. 3. I limiti oggettivi e soggettivi della sentenza di inibitoria 4. Conclusioni. 1. L art. 2599 c.c. contiene una disposizione di particolare interesse ed utilità al fine di tutelare l impresa contro chiunque ponga in essere atti di concorrenza sleale a suo danno. Tale norma, invero, stabilisce che la sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti. Si pensi, in concreto, ad una sentenza che accerti la responsabilità (extracontrattuale) di una delle parti litigiose per il compimento di atti di concorrenza sleale consistenti nell indebito utilizzo dell altrui know-how 1, condanni, di conseguenza, il responsabile al risarcimento dei danni ed altresì ordini al medesimo di astenersi dal compimento di ulteriori atti di concorrenza sleale nei confronti della parte vittoriosa. È tuttavia necessario precisare che le possibilità pratiche di utilizzazione di una pronuncia giudiziale di inibitoria resa ai sensi dell art. 2599 c.c. non sono definite da alcuna disposizione normativa, né è dato riscontrare un orientamento giurisprudenziale sufficientemente consolidato che consenta di individuarle. In questa sede si cercherà di fornire alcuni elementi utili a tale riguardo, senza pretese di completezza, esaminando il panorama dottrinale e giurisprudenziale sulla portata 1 Il concetto di know-how è di evidente derivazione anglosassone e si riferisce, come ben precisato dalla dottrina, ad un complesso di informazioni e di dati che nel loro insieme e nella configurazione e combinazione reciproca degli elementi compositivi consentono un risultato vantaggioso precluso a chi non possieda le stesse informazioni nello stesso insieme o nella stessa combinazione così FLORIDIA, Le creazioni protette, in AA.VV., Diritto industriale, Torino, 2009, p. 194. L ordinamento italiano ha previsto per la prima volta una tutela espressa del know how con l introduzione dell art. 6-bis nella Legge Invenzioni, in sede di recepimento degli accordi internazionali cosiddetti TRIPs (accordi sugli aspetti della proprietà intellettuale relativi al commercio, allegati al GATT). Tale norma tutelava le informazioni aziendali tra cui per l appunto i know-how qualora esse fossero segrete e mantenute tali dalle imprese mediante l adozione di apposite misure di riservatezza, stabilendo che la loro rivelazione o utilizzazione in modo contrario alla correttezza professionale costituiva un atto di concorrenza sleale. In questo modo si compiva un richiamo all art. 2598 n. 3 c.c., che sanziona come illecito extracontrattuale ogni atto non conforme alla correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l altrui azienda. L art. 6-bis Legge Invenzioni è stato abrogato dal Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30), che peraltro ne ha trasfuso il contenuto agli artt. 98-99. In particolare, la riforma del 2005 ha istituito un vero e proprio diritto di proprietà intellettuale sui segreti aziendali, sancendo espressamente il divieto di rivelarli a terzi o utilizzarli indebitamente, a prescindere dalla condizione che tali condotte siano state poste in essere in modo contrario alla correttezza professionale. Va comunque precisato che è sempre fatta salva la tutela offerta dalla disciplina sulla concorrenza sleale di cui all art. 2598 c.c., che andrà a concorrere con quella di cui al Codice della Proprietà Industriale, fornendo così ai segreti aziendali una tutela ancor più forte (su questo tema v. diffusamente FLORIDIA, op.cit., pp. 192 ss. e 346; ). Tuttavia in dottrina permangono dubbi sull effettiva esistenza di un ambito di operatività residuo dell art. 2598 c. c. in materia di tutela dei segreti aziendali dopo l introduzione dell art. 99 c.p.i. v. GHIDINI, DE BENEDETTI, Codice della proprietà industriale, Milano, 2006, p. 257; SCUFFI, FRANZOSI, FITTANTE, Il codice della proprietà industriale, Padova, 2005, p. 454. 133

della norma di cui all art. 2599 c.c. Si tratterà, in particolare, di verificare l eventuale valenza di titolo esecutivo della pronuncia in esame, nonché di valutarne i contenuti oggettivi e soggettivi. 2. Innanzitutto si rileva come già solo la natura di tale ordine di inibitoria sia molto controversa, sia in dottrina che in giurisprudenza. In particolare, oggetto di ampio dibattito è se l inibitoria possa legittimare o meno il ricorso all esecuzione forzata in forma specifica 2. In altri termini, se sia possibile procedere coattivamente alla distruzione di tutto quanto è stato realizzato mediante il compimento di accertati atti di concorrenza sleale. La giurisprudenza si attesta su posizioni decisamente negative: la Corte di Cassazione 3, infatti, afferma che la pronuncia di inibitoria abbia natura di mero accertamento e non di condanna; si nega, pertanto, che essa sia suscettibile di attuazione diretta nelle forme dell esecuzione forzata, e si ammette solamente che, nel caso in cui il soggetto inibito non ottemperi spontaneamente all obbligo di non fare, sia possibile adire nuovamente il giudice allo scopo di ottenere dei provvedimenti risarcitori. La Suprema Corte precisa, ad ogni modo, che la pronuncia di inibitoria, che secondo la suindicata interpretazione apparirebbe assumere un efficacia meramente morale, in realtà è dotata di una sua propria rilevanza giuridica, poiché serve per acquisire in un eventuale secondo giudizio di cognizione l accertamento, compiuto nel primo giudizio, dell illiceità dell atto di concorrenza sleale. In altre parole, secondo la giurisprudenza, il reale effetto pratico dell'inibitoria sarebbe quello di permettere di adire nuovamente il giudice, onde far accertare la violazione dell'obbligo di astensione contenuto nell'inibitoria ed ottenere, così, una nuova condanna 4. Il carattere essenziale dell'inibitoria sarebbe, dunque, quello di apprestare una tutela giurisdizionale preventiva, rivolta verso il futuro ed in vista di un nuovo eventuale giudizio. Diversamente, le opinioni della dottrina circa il contenuto dell'ordine di inibitoria sembrano più aperte o possibiliste. Alcuni autori 5 ritengono, infatti, che la sentenza contenente l inibitoria concorrenziale sia a tutti gli effetti una sentenza di condanna a non fare, in particolare a non continuare o a non ripetere, la cui esecuzione forzata si realizza attraverso 2 Cfr. VANZETTI DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Milano, 2000, p. 115; UBERTAZZI (a cura di), Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, 2003, sub art. 2599 c.c., p. 1728. 3 Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1995, n. 8080, in Giust. Civ. Mass., 1995, p. 1422 e in Dir. ind., 1996, p. 774, con nota di VANZ, L efficacia dell inibitoria. 4 V. App. Milano, 29 aprile 2006, in Giur. ann. dir. ind., 2006, p. 794 ss. spec. p. 806. 5 Cfr. FRIGNANI, L injunction nella common law e l inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974, p. 549; RAPISARDA, TARUFFO, Inibitoria (azione), (dir. proc. civ.), in Enc. giur., XVII, Roma, 1989, p. 1; VANZ, op. cit., p. 777; GHIDINI, La concorrenza sleale, Torino, 2001, p. 351 ss. 134

l imposizione di obblighi di rimuovere quanto fatto in violazione dell obbligo di astensione 6. Altri 7 ritengono, invece, che la sentenza di inibitoria non abbia natura di condanna ma solo di accertamento, esprimendo una posizione non dissimile da quella fatta propria dalla giurisprudenza (v. supra). Nella specie, l inibitoria avrebbe il medesimo contenuto normativo dell accertamento dell illiceità del comportamento che si vieta di ripetere. In altre parole, solo con la sentenza che accerta l illiceità del comportamento anticoncorrenziale sorgerebbe l obbligo, per chi tale comportamento ha tenuto, di astenersi dal compierlo anche in futuro. L inibitoria non aggiungerebbe null altro al principio per cui solo dopo che un comportamento determinato sia stato accertato come illecito da un giudice è possibile obbligare qualcuno a non ripeterlo più in futuro. Ne consegue che non si potrebbe eseguire coattivamente la pronuncia di inibitoria ex art. 2599 c.c. mediante la distruzione di quanto realizzato in violazione dell obbligo di astensione. A ciò si perviene considerando che l esecuzione specifica di obblighi di non fare riguarda non tanto l attuazione di un generale dovere di astensione, bensì l attuazione dell obbligo di ripristinare la situazione di fatto ad un momento antecedente il compimento degli atti accertati essere illeciti. E questo presuppone che sia accertato un comportamento illecito già compiuto, mentre l inibitoria di cui all art. 2599 c.c. è tendenzialmente rivolta ad impedire la commissione di atti futuri 8. A prescindere dall'inquadramento dell'inibitoria fra le sentenze di condanna ovvero quelle di accertamento, i menzionati orientamenti dottrinali convengono nel ritenere che, per legittimare l esecuzione forzata, sarebbe quantomeno necessario che il giudice, nel pronunciare l inibitoria ex art. 2599 c.c., indicasse anche le misure concrete da porre in essere per riportare la situazione di fatto a una condizione di pari concorrenzialità tra le parti della controversia. In caso contrario, e quindi in ipotesi di una condanna inibitoria generica, si attribuirebbe al giudice dell esecuzione il potere discrezionale di far eseguire forzosamente un obbligo anche al di fuori dei limiti posti dalla sentenza, oltre il contenuto della quale non si può legittimamente andare 9. Dall'esposizione che precede emerge che il punto in comune tra giurisprudenza e dottrina sembra quindi ridursi alla circostanza che il solo effetto pratico, certo e non contestato della sentenza di inibitoria è quello di consentire, attraverso il passaggio in giudicato della stessa, di rivolgersi nuovamente al giudice per far accertare la 6 È da segnalare anche una corrente dottrinale che, pur considerando la sentenza contenente una pronuncia di inibitoria concorrenziale come una sentenza di condanna, non la ritiene suscettibile di esecuzione forzata, partendo dal presupposto che quest ultima possa avere ad oggetto soltanto obblighi rivolti verso il passato e non verso il futuro, come generalmente viene ritenuto al riguardo dell inibitoria. In tal modo si cerca di sciogliere il tradizionale vincolo secondo il quale vi sarebbe stretta corrispondenza tra sentenze di condanna ed esecuzione forzata cfr. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 1122. 7 Cfr. MONTESANO, Condanna civile e tutela esecutiva, Napoli, 1965, p. 50; CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, pp. 154 e 231; SPOLIDORO, Le misure di prevenzione nel diritto industriale, Milano, 1982, p. 28 ss. 8 Cfr. SPOLIDORO, op.cit.,p. 59 ss. 9 Cfr. GHIDINI, op.cit., p.354; SPOLIDORO, op.cit., p. 67. 135

violazione dell obbligo di astensione proclamato nella sentenza ed ottenere così una nuova sentenza di condanna, questa sì eseguibile coattivamente. Nel caso prospettato, atteso il contenuto generico dell'ordine di inibitoria, ossia della mancanza di indicazione, da parte del Giudice, delle misure concrete in cui avrebbe dovuto tradursi l'obbligo di non fare, sembra ragionevole concludere, alla luce dell orientamento giurisprudenziale prevalente e delle specifiche indicazioni fornite dalla dottrina, che non sia possibile procedere all'esecuzione in forma specifica di un inibitoria generica, ma che sia piuttosto possibile utilizzare tale tutela offerta dal giudice per ottenere una nuova e diversa condanna, rispetto a comportamenti futuri che fossero posti in essere in violazione di siffatto ordine. 3. Approfondendo il caso esemplare in esame, si consideri che, successivamente alla commissione dei fatti integratori di responsabilità per concorrenza sleale, la parte responsabile abbia ceduto a terzi la propria azienda, con la conseguenza che ora questi terzi sono a conoscenza del know-how indebitamente utilizzato dal loro dante causa, come accertato dalla sentenza di inibitoria. Diviene, pertanto, legittimo chiedersi se l inibitoria estenda i propri effetti solo verso il diretto utilizzatore indebito o anche nei confronti dei terzi acquirenti. Per dare risposta a tale quesito, è da verificare il rispetto dei limiti del giudicato di cui alla sentenza che accerta il compimento di atti di concorrenza sleale. Ogni pronuncia giurisdizionale, infatti, in termini di efficacia incontra dei limiti c.d. soggettivi, ossia relativi ai soggetti investiti del provvedimento, nonché dei limiti c.d. oggettivi, relativi invece al contenuto dell'accertamento compiuto. Circa i limiti soggettivi del giudicato sulla pronuncia di inibitoria, è bene richiamarsi ai principi generali, con particolare riferimento all efficacia delle sentenze rese in un giudizio ordinario di cognizione. Dal punto di vista sostanziale, la sentenza è un provvedimento di per sé destinato a produrre l effetto di cosa giudicata, ossia, in base all art. 2909 c.c., a rendere incontrovertibile ed immodificabile, al verificarsi di determinate condizioni, l accertamento in essa contenuto 10. A tal riguardo, si fa presente che la sentenza, una volta passata in giudicato, è efficace ( fa stato ) solo tra le parti ed i loro aventi causa 11. 10 Tradizionalmente la dottrina giuridica distingue tra cosa giudicata sostanziale e formale. Per cosa giudicata sostanziale (o giudicato sostanziale) si fa riferimento alla disposizione di cui all art. 2909 c.c., ai sensi del quale l accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato è incontrovertibile tra le parti del giudizio ed i loro eredi ed aventi causa. Sotto il diverso aspetto formale, una sentenza passata in giudicato, a norma dell art. 324 c.p.c., non è più suscettibile di essere sottoposta a mezzi di impugnazione c.d. ordinari (regolamento di competenza, appello, ricorso per cassazione e revocazione ordinaria di cui all art. 395 nn. 4 e 5). Ovviamente i due fenomeni sono del tutto indistinguibili, dal momento che il passaggio in giudicato formale, conseguente alla decorrenza del termine per proporre impugnazione, produce altresì gli effetti del giudicato sostanziale di cui all art. 2909 c.c. Ne deriva, a contrario, che la proposizione di uno dei mezzi di impugnazione summenzionati impedisce anche il passaggio in giudicato sostanziale, ossia l incontrovertibilità dell accertamento contenuto nel provvedimento gravato. Cfr. sull argomento, ex multis, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2002, p. 367 ss.; MONTESANO, ARIETA, Trattato di diritto 136

Da un diverso punto di vista processuale, altro effetto di una sentenza è quello per cui essa, se contiene una statuizione di condanna, costituisce titolo esecutivo (idoneo cioè a fondare l esecuzione forzata sulla prestazione oggetto della condanna), ma ciò solo tra le parti del giudizio o i loro eredi, ai sensi dell art. 477 c.p.c. Sulla base del tenore letterale delle norme, pertanto, sembrerebbero esclusi gli aventi causa diversi dai successori mortis causa a titolo universale. In realtà la dottrina 12 generalmente ammette che un titolo esecutivo sia efficace anche nei confronti dei successori a titolo particolare inter vivos quali gli acquirenti, se la cessione è avvenuta prima dell inizio del processo esecutivo. Prima del passaggio in giudicato, evidentemente, la sentenza non contiene alcuna statuizione immodificabile: non ha, quindi, un efficacia sostanziale. Ha invece l efficacia (provvisoria) di titolo esecutivo la sentenza di cognizione di primo grado, ai sensi dell art. 282 c.p.c., ma solo tra le parti del giudizio. Nel caso oggetto del presente esame, il fatto che l azienda della parte soccombente in giudizio sia stata ceduta a terzi consente di ritenere che essi siano inquadrabili nella categoria degli aventi causa della parte del giudizio. Pertanto, sotto il profilo sostanziale, l accertamento di anticoncorrenzialità contenuto nella sentenza comporterà che anche tali terzi acquirenti saranno soggetti al divieto di porre in essere atti lesivi del diritto accertato dalla sentenza medesima, ed in particolare di produrre e commercializzare altri beni attraverso l illecito utilizzo del know-how appartenente alla parte vittoriosa. Inoltre, dal punto di vista dell efficacia di titolo esecutivo, qualora si aderisse alla tesi 13, oggi minoritaria e non condivisa dalla giurisprudenza, secondo la quale è possibile fondare un esecuzione forzata sulla base di un inibitoria ex art. 2599 c.c., sarebbe possibile estendere l efficacia esecutiva della sentenza ai terzi acquirenti. Quanto al profilo oggettivo, è necessario delimitare il contenuto della sentenza di inibitoria, al fine di individuare quali sono i comportamenti potenzialmente illeciti, successivi al suo passaggio in giudicato, che possono fondare un nuovo giudizio di condanna a rimuovere l effetto illecito. Infatti, sarà possibile considerare illecito un comportamento, in quanto contrario all inibitoria contenuta in una sentenza, processuale civile, I/2, Padova, 2001, p. 2021 ss.; SATTA, PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 427 ss.; ATTARDI, Diritto processuale civile, Padova, 1997, p. 427 ss. 11 Cfr. SPOLIDORO, op.cit., p. 83. Si sottolinea che l accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato può produrre degli effetti indiretti anche nei confronti di determinati terzi che non abbiano partecipato al relativo giudizio. Tuttavia, nonostante questa efficacia estesa, i terzi non potranno essere pregiudicati dal giudicato che li riguarda, anche solo indirettamente. L ordinamento invero appresta degli strumenti di tutela a favore di tali terzi come l opposizione di terzo di cui all art. 404 c. c., particolare mezzo di impugnazione svincolato da termini di decadenza e sul quale l eventuale giudicato non influisce. Cfr. in dottrina MONTESANO, ARIETA, op.cit., p. 2037. 12 Cfr. CONSOLO, LUISO (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Milano, 2007, sub art. 477, p. 3551; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1971, sub art. 477; BONSIGNORI, L esecuzione forzata, Torino, 1991; TOTA, Note sulla successione a titolo particolare nel processo esecutivo, in Riv. esec. forz., 2002, p. 605. 13 Cfr. supra nota 5. 137

solamente qualora esso rientri nell ambito oggettivo dell obbligo di astensione pronunciato dal giudice. Al riguardo in dottrina 14 si ritiene non necessaria una perfetta identità tra il comportamento inibito dal giudice nella prima sentenza e quello successivamente posto in essere in contrasto con l inibitoria. Vi sarebbe comunque il rispetto dei limiti oggettivi del giudicato se fra i due comportamenti vi fosse un rapporto di identità del tipo genere-specie, all interno della quale le eventuali diversità fenomeniche non possono escludere l operatività del provvedimento 15. Si sottolinea, tuttavia, che una sentenza di inibitoria dal contenuto totalmente generico pone in concreto il problema di definire se un comportamento successivo ecceda o meno i limiti oggettivi del giudicato formatosi sulla medesima sentenza di inibitoria. In altri termini, qualora il giudice non indicasse nemmeno un genere di atto inibito, l inibitoria non potrebbe esplicare validamente i propri effetti rispetto a tutte le varianti di comportamento adottabili allo stesso fine 16. Alla luce di queste osservazioni, nel caso in discussione si potrebbe quindi obiettare che la pronuncia di inibitoria del giudice è eccessivamente generica per consentire di individuare una tipologia di atti di concorrenza sleale vietati alla parte soccombente. Ad ogni modo, ammettendo che l oggetto dell inibitoria qui consista nel divieto per il soggetto condannato di compiere ulteriori atti del medesimo tenore di quelli accertati nel corso del giudizio, ovverosia di sfruttare il know-how indebitamente utilizzato a fini produttivi e commerciali, per addebitare un illecito anticoncorrenziale al terzo acquirente sarà necessario accertare che i prodotti da esso commercializzati sono tutti diretti derivati del know-how oggetto della sentenza di inibitoria. Qualora, invece, si trattasse di prodotti realizzati con know-how che sono in realtà molto diversi da quelli accertati dal giudice, la pronuncia di inibitoria diverrebbe del tutto inutile, poiché non vi sarebbe più alcun comportamento illecito da inibire a tutela del know-how della parte vittoriosa. 4. Da quanto sopra brevemente illustrato, si evince come il tema dell azione inibitoria concorrenziale prevista all art. 2599 c.c. sia caratterizzato da ampi dibattiti nella dottrina giuridica italiana, sia sotto il profilo della natura della sentenza che la dispone, sia sotto il profilo della sua portata e dei suoi effetti, con particolare riferimento ai limiti soggettivi ed oggettivi del giudicato. 14 Cfr. GHIDINI, op. cit., p. 353, per cui le eventuali e pur utili esemplificazioni di atti ricompresi nell inibitoria, operate dal giudice, non potrebbero che possedere appunto valore esemplificativo e proprio in ragione di siffatta estensione dell inibitoria la sua emanazione possiede un significato pratico che va oltre il semplice divieto di ripetere o continuare un accertato atto illecito. 15 Cfr. GHIDINI, ibidem; sulla stessa linea Cass. civ., sez. I, 25 luglio 1995, n. 8080, cit. 16 LIBERTINI, Azioni e sanzioni nella disciplina della concorrenza sleale, in La concorrenza e i consorzi, in GALGANO (a cura di) Trattato di dir. comm. e dir. pubblico dell economia, IV, Padova, 1981, p. 245; SPOLIDORO, op.cit., p. 88 ss., pone il problema dell operatività in concreto del criterio dell identità genere-specie proposto da GHIDINI, giungendo alla conclusione che si tratta quasi sempre di un operazione logica del tutto arbitraria, temperata dall individuazione di criteri di razionalizzazione quale quello dell equivalenza delle attività anticoncorrenziali, ovvero della delineazione di un nucleo della violazione concreta (mutuato dal diritto tedesco). 138

D altro canto, la giurisprudenza non ha sino ad ora offerto se non poche pronunce, segno anche della scarsa applicazione pratica che la norma ha avuto. Si può comunque ragionevolmente concludere che, alla luce dell orientamento favorito dalla Cassazione, difficilmente una sentenza contenente un inibitoria concorrenziale sarà reputata avere efficacia di titolo esecutivo, ancor meno se il giudice si limita laconicamente a riportare il dettato della norma, enunciando un mero ordine di non ripetere gli atti accertati come anticoncorrenziali e non fornendo alcuna specificazione circa le misure concrete da adottare per evitare la ripetizione degli illeciti. In conclusione, vale sottolineare comunque come parte della dottrina 17 ritenga che il mancato rispetto di una statuizione di inibitoria concorrenziale possa venire represso attraverso l applicazione della fattispecie delittuosa di cui all art. 388 c.p., rubricato Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. Questa norma, in particolare, punisce con la reclusione fino a tre anni o con una multa che va da 103,00 a 1.032,00 chiunque, per sottrarsi all adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l accertamento dinanzi all autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti. Secondo tale teoria, pur in assenza di un provvedimento di natura condannatoria, il compimento di atti idonei ad integrare una violazione dell obbligo sancito dal giudice con l inibitoria configurerebbe una mancata esecuzione di un provvedimento dell autorità giudiziaria. Un breve accenno in chiusura merita, infine, il nuovo articolo 614-bis c.p.c. introdotto con la riforma di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, in base al quale con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Questa norma, sulla scia dei provvedimenti di astreinte del diritto francese, prevede delle sanzioni pecuniarie, che il giudice determina in via preventiva, come conseguenza della mancata ottemperanza da parte dell obbligato all esecuzione di determinati doveri. La collocazione della norma subito dopo le disposizioni che disciplinano l esecuzione forzata in forma specifica di obblighi di fare o non fare consente di interpretarla come finalizzata ad evitare il ricorso all esecuzione forzata in forma specifica attraverso la previsione di una sanzione pecuniaria in caso di mancato adempimento spontaneo all ordine del giudice di fare o non fare, quindi con effetto deterrente. Essa, quindi, garantisce una tutela rafforzata alle posizioni creditorie per le quali l esecuzione forzata è di più difficile realizzazione, perché trattasi di obbligazioni per natura incoercibili 18. 17 Cfr. VANZETTI, DI CATALDO, op.cit., p. 115. 18 Cfr. CONSOLO, DE CRISTOFARO (cura di), Codice di procedura civile commentato. La riforma del 2009, sub art. 614bis, Milano, 2009, p. 276 ss. 139

Orbene, se si aderisse alla tesi che vede nell inibitoria concorrenziale una pronuncia di condanna, si dovrebbe concordare sul fatto che la nuova disposizione sanzionatoria di cui all art. 614-bis c.p.c. di recente introduzione diverrebbe un utile strumento addizionale atto a rafforzare la tutela dell imprenditore beneficiato da una sentenza che accerta atti di concorrenza sleale a suo danno. Invero, il provvedimento inibitorio come provvedimento di condanna, dotato quindi di efficacia esecutiva, comporterebbe per il condannato un obbligo di facere (ad esempio la distruzione delle cose realizzate mediante il comportamento giudicato come anticoncorrenziale) o di non facere (quale, ad esempio, il divieto di continuare a commercializzare i prodotti abusivamente realizzati), esecutabili coattivamente proprio attraverso il procedimento di esecuzione in forma specifica. Pertanto, se la sentenza in esame contenesse anche la previsione di una sanzione pecuniaria a norma dell art. 614-bis c.p.c., senza dubbio il timore della sanzione pecuniaria indurrebbe con maggiore probabilità il condannato a dare esecuzione all obbligo contenuto nell inibitoria. Tanto più alla luce del fatto che non sarebbe necessario un nuovo provvedimento per agire coattivamente sui beni del condannato al fine di soddisfare il credito alla suddetta sanzione pecuniaria: infatti, la stessa sentenza che, pronunciando sull inibitoria, prevedesse anche una sanzione per la violazione dell atto inibito, costituirebbe direttamente un valido titolo esecutivo per fondare tale esecuzione forzata. 140