Cafoscari. Rivista universitaria di cultura LABORATORIO CAMPUS PER UN PROGRAMMA CULTURALE D ATENEO. Anno XI - n. 2 Luglio 2007



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Transcript:

Cafoscari Rivista universitaria di cultura Anno XI - n. 2 Luglio 2007 LABORATORIO CAMPUS PER UN PROGRAMMA CULTURALE D ATENEO Editoriale Il sogno di un laboratorio permanente Carmelo Alberti - Piermario Vescovo Un Campus che riflette sul presente Tiziano Scarpa L ultima casa Interpreti goldoniani Sara Bertelà Le trepidazioni di una donna, sulla scena di Goldoni Enrico Bonavera L interminabile sfida con il mio Arlecchino Giulio Bosetti La crudele umanità di Todero Glauco Mauri Le «spiritose invenzioni» di un bugiardo Mascia Musy Il temperamento di Mirandolina, locandiera assassina Antonio Fiorentino La necessità dell artefazione Elisabetta Brusa Segrete evocazioni notturne per i trecento anni dalla nascita di Carlo Goldoni Erica Buzzo Das Kaffeehaus, ovvero La bottega del caffè di R. W. Fassibinder Claudio Bondì L arte di «mostrare e non dimostrare». De reditu Il ritorno, un film che viene dalla latinità Daniela Grandin Studiare a San Giobbe: la Biblioteca di Economia "Gino Luzzatto" Massimo Colomban Vega: la community digitale del prossimo futuro - Il MetaDistretto Digital Mediale del Veneto: un cluster innovativo per un settore in forte crescita Elio Canestrelli Mathematical Methods in Economics and Finance e Rendiconti

Il sogno di un laboratorio permanente Si è già detto tante volte su queste pagine, ma forse occorre ripeterlo ancora: Ca Foscari si è acquistato il merito di essere un laboratorio di elaborazione culturale, i cui esiti non solo vanno a beneficio delle sue componenti, ma sono rivolti soprattutto al territorio veneziano e alle numerose Maniera del Longhi Il laboratorio della ricamatrice (part.) presenze che nella città lagunare accorrono dal mondo. Dedicando un numero al Campus universitario internazionale Goldoni e il teatro nuovo, la nostra rivista intende ricordare, ad un tempo, le infinite iniziative d incontro e di riflessione, su temi sociali e artistici, sulla formazione e sull informazione, su tutte le problematiche che investono il nostro tempo. La collaborazione tra la Biennale di Venezia e l Ateneo costituisce un impegno di largo respiro, visto che si mettono in campo il teatro e lo studio, la rappresentazione e la riflessione critica. L intento è quello di affermare una corrispondenza felice tra esperienza e consapevolezza, a partire da un momento celebrativo, com è il terzo centenario della nascita del grande commediografo veneziano, per guardare oltre, alla necessità di rendere permanente le collaborazioni, per sviluppare progetti collaterali duraturi. In tal modo, anche quando la ribalta si spegnerà, sarà possibile affidare alle intelligenze di uomini dalla diversa sensibilità il compito di sperimentare nuovi linguaggi e nuove forme espressive, di mettere in pratica utopie e sogni utili a garantire un futuro consapevole.

3 Un Campus che riflette sul presente Carmelo Alberti Piermario Vescovo, curatori del Campus universitario internazionale Il Campus goldoniano coinvolge un ampio numero di studenti delle Università, delle Accademie e delle Scuole superiori di teatro dell Europa e del Mediterraneo, interessato a sperimentare forme inedite per la formazione degli spettatori delle nuove generazioni. Lungo un arco di dodici giorni il programma comprende dieci giornate piene, a tema, divise in due moduli, unendo le lezioni, che hanno luogo ogni mattina, agli incontri, ai laboratori e agli spettacoli del pomeriggio e della sera. I temi sui quali abbiamo deciso di concentrare l attenzione, sono stati scelti in stretto rapporto all offerta spettacolare del Festival, chiamando a raccolta un gruppo nutrito di specialisti goldoniani europei. Si tratta di un ampia rappresentatività generazionale e di varia provenienza, che coinvolgono le più importanti Università d Italia e dei Paesi dove è più ricca e viva la ricerca sul cammino europeo dell opera goldoniana. Insieme agli uomini di libro, in un rapporto di commistione e libero scambio, negli incontri pomeridiani, prenderanno la parola i registi, i drammaturghi e gli attori che presentano a Venezia i loro spettacoli, insieme ad alcune partecipazioni speciali di grande rilievo, per provare, attraverso la riflessione sul loro lavoro e sui loro progetti, a ripensare la contemporaneità del teatro di Goldoni. I temi delle giornate vogliono unire l esperienza della riflessione storica e critica e della sperimentazione teatrale, evitando, a maggior ragione, i luoghi comuni più triti e i limiti della memoria scolastica, che pesano ancora sui libri e che condizionano talvolta anche le soluzioni sceniche. I percorsi, a partire dall esperienza e dall invenzione teatrale contemporanea, guardano, dunque, al vicinissimo e al lontano, partendo dalle tappe concrete della storia umana e culturale di Carlo Goldoni, alla messinscena della realtà nel suo teatro come agli spazi, meno praticati, della visione fantastica e romanzesca. Ecco, dunque, i militari e la guerra, la famiglia e la società, Venezia e Parigi, il teatro per musica, l autobiografia in commedia, la commedia veneziana, la dimensione dell esotico, la riforma del teatro, il teatro romanzesco, il rapporto tra il teatro veneziano e il teatro napoletano. L impegno è quello di annodare i fili di un programma che guarda a Goldoni, anzitutto, come un autore che mette insieme la storia e la tradizione secolare di una città teatrale e spesso teatralizzata come Venezia, la cultura degli attori italiani, le suggestioni europee, sottraendo ognuna di queste tradizioni dalla loro chiusa, e spesso inerte fissità, riconsiderandole e fondendole, e quindi superandole, in un nuovo progetto teatrale. Una pratica del teatro che si non si definisce solo per la progettualità che esprime la riforma, i temi della moralità, e cioè della politica, che ad essa presiedono, ma che si realizza nella storia concreta di una sperimentazione delle forme teatrali e di una curiosità per il mondo mai disgiunte dall esperienza commerciale. L augurio del Campus dal campiello alle piazze internazionali è quello di ritrovare, nel nome di Goldoni, qualche traccia del rapporto tra una realtà individuale e irripetibile, quella veneziana, e un apertura e curiosità rivolte al mondo. E ancora, e soprattutto, nel significato che ha fondato, due secoli e mezzo or sono, il progetto della riforma e di un teatro nuovo, in una poetica che si propone come azione e spettacolo e in una creazione teatrale che intende riflettere sul presente. Antonio Ermolao Paoletti La piavola de Franza, Albergo Luna-Baglioni, Venezia

4 L ultima casa Tiziano Scarpa, scrittore Mi sono chiesto: che cosa scriverebbe, oggi, Goldoni? E soprattutto: quali sono le caratteristiche che ce lo rendono ancora così vivo sulla scena? Quali sono i segreti della sua invenzione? Che cosa può imparare da Goldoni un drammaturgo della nostra epoca? Ho riletto, o letto per la prima volta, una cinquantina di testi teatrali goldoniani, oltre ai Mémoires e a vari studi storico-critici. Ne ho ricavato alcuni insegnamenti teorici e pratici. Quelli che seguono non sono ovviamente descrizioni da studioso, ma enzimi attivi per l invenzione drammaturgica: 1. mettere in scena una situazione apparentemente marginale o effimera, addirittura una moda (il collezionismo di anticaglie, le vacanze in villa, i cicisbei, ecc.) per rappresentare tutta la società e i suoi conflitti; 2. far diventare protagonista il luogo (cioè lo spazio scenico), tematizzarlo, cosicchè la storia sia quasi la naturale conseguenza del modo in cui è strutturata e vissuta una locanda, una piazzetta, una bottega, ecc.; 3. parlare di soldi, dire il prezzo delle cose, mostrare le preoccupazioni economiche dei personaggi; 4. far succedere tutto davanti agli occhi degli spettatori, senza affidarsi quasi mai al resoconto di fatti accaduti fuori scena. Ho scritto un testo completamente nuovo. La mia Ultima casa non è una riscrittura, ma una pièce interamente originale. Ho focalizzato il mio interesse su La casa nova, commedia del 1761. Carlo Goldoni mette in scena un trasloco che fa andare in crisi i rapporti famigliari. La generazione giovane, più che in una casa nuova, vuole andare a vivere in una nuova mentalità: il trasloco riguarda soprattutto le abitudini sociali. Ora, qual è la casa che l Occidente si sta costruendo? Dove sta andando ad abitare? Quale trasloco di mentalità e abitudini e trasformazioni epocali posso mettere in scena, ricordandomi della lezione goldoniana? Ho immaginato un Occidente che coltiva un attrazione per la propria morte, come se si sentisse prossimo a una fine, o a un passaggio di consegne culturali e civili così drammatico da assomigliare a un trapasso funebre. Ho preso alla lettera questa suggestione, l ho reificata, spazializzata, l ho resa luogo e scena: la casa è diventata un cimitero. Ho immaginato lavoratori clandestini e stranieri che aiutano l Occidente a costruirsi il proprio cimitero, e ci vivono addirittura dentro, in attesa di tempi migliori per loro. Ho dato forma a un conflitto fra un padre e un figlio architetti, ho messo a confronto vecchie utopie e nuovi disincanti: quasi che ormai si trattasse di edificare nient altro che il proprio cimitero, una tomba collettiva e personale. Tutti i personaggi della mia pièce, per un motivo o per l altro, passano la notte o anche solo qualche minuto dentro i loculi in costruzione. [Tiziano Scarpa (Venezia, 1963) ha pubblicato romanzi, poesie, saggi. I suoi testi teatrali sono raccolti nel suo libro più recente, Comuni mortali (Effigie, 2007)]. Giuseppe Bernardino Bison Le beccherie, Museo Civico, Treviso

5 Interpreti goldoniani La parola di Carlo Goldoni vive essenzialmente sulle scene, a dispetto del tempo, dopo trecento anni dalla sua nascita a Venezia, per merito dei suoi interpreti. Per richiamarlo alla nostra memoria «Cafoscari» ha chiesto ad alcuni speciali protagonisti di regalarci i loro pensieri artistici, per accompagnarci lungo i sentieri della creazione teatrale goldoniana. Si ringraziano di cuore: Sara Bertelà, che il 13 febbraio scorso ha sostenuto il ruolo di Domenica, insieme ad una schiera di bravi attori, in Una delle ultime sere di carnovale, per la regia di Pier Luigi Pizzi, alla Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista a Venezia; Enrico Bonavera, che ha appena vinto il prestigioso Arlecchino d oro (Mantova 2007), mentre da anni sostiene il ruolo del famoso Zanni, in alternanza con Ferruccio Soleri, nella riedizione dell Arlecchino servitore di due padroni ideato da Giorgio Strehler; Giulio Bosetti, che dopo aver trionfato in tanti ruoli goldoniani, si accinge a debuttare, nell ambito della prossima Biennale-Teatro, il 28 luglio prossimo, al Teatro Goldoni di Venezia nel ruolo del protagonista del Sior Todero Brontolon, per la regia di Giuseppe Emiliani; Glauco Mauri, che ha realizzato nel 2003 un edizione fantastica e ironica del Bugiardo di Goldoni, in veste di regista dello spettacolo e interprete di Pantalone, insieme al bravo Roberto Sturno nel ruolo del mentitore Lelio; Mascia Musy, che nelle ultime stagioni è stata un apprezzata Mirandolina nella Locandiera diretta da Giancarlo Cobelli. Le trepidazioni di una donna, sulla scena di Goldoni Sara Bertelà, attrice Quando ha pensato di mettere in scena Una delle ultime sere di carnovale, Pier Luigi Pizzi ha voluto ideare una regia esente da metafore, attenta piuttosto al esaltare le contraddizioni dei personaggi. Quindi, per la mia interpretazione di Domenica mi sono concentrata, con la complicità di Pizzi, sull umanità del personaggio, perché Goldoni sa offrire squarci di straordinaria profondità sull animo femminile. Ci sono nelle sue commedie differenti visioni dell amore e dei sentimenti delle donne. Nel carattere di Domenica il commediografo veneziano ha trasfuso un vero e proprio concentrato di umanità: si passa dai momenti di stupore all indecisione sul da farsi, dall egoismo appassionato, da quel tener conto di sé, alla consapevolezza dell altro, della persona amata. Così ciascun personaggio mostra una duplicità, una difficoltà ad agire, soprattutto nel caso di Domenica quando l ansia amorosa produce, da un lato, l emergere dei propri desideri, al punto da limitare la capacità di decidere, dall altro, un istinto naturale che sa capire le aspirazioni altrui. Dai monologhi di Domenica affiorano spunti opposti. Dapprima c è in lei la paura dell abbandono: l aver appreso per via indiretta che il suo disegnatore Anzoletto è in procinto di partire per la Moscovia infrange la sua sicurezza, fino a renderla incerta e trepidante: come si può vedere, Goldoni sa raccontare in modo universale le incertezze individuali, che sono le stesse ieri come oggi. Subito dopo, nel secondo monologo, il commediografo svela i ripensamenti di Domenica mentre è un po brilla, perché ha bevuto qualche bicchiere di troppo. Così si rende conto da sola del proprio egoismo e amaramente si propone di lasciar partire il giovane innamorato per non ostacolare la sua fortuna. Dapprima è mortificata e ferita nell orgoglio di donna, poi è disposta al sacrificio; ma di lì a poco scatta la contesa per gelosia con la vecchia ricamatrice francese, Madama Gatteau, pertanto supera il timore di affrontare una nuova esistenza, lontano da Venezia. Domenica è una padrona di casa, che sa agire in mezzo a tante personalità spiccate: ciascuno degli ospiti non nasconde il desiderio di primeggiare. Sa stare in silenzio, quando occorre; osserva e ascolta con rispetto gli invitati del padre Zamaria. Appare più adulta della sua età, anche perché è orfana, e ha dovuto assumere responsabilità maggiori, non avendo alle spalle il sostegno di una madre. L attenzione verso il padre le insegna a comprendere le necessità di Anzoletto. Goldoni fa parte della mia formazione d attrice, fin dal debutto professionale, quando a 19 anni ho esordito nel ruolo della piccola Momoletta nella Buona moglie per la regia di Marco Sciacccaluga. Il mio ingresso nel mondo del teatro è legato alla sensazione del calore e della luce che mi avvolgeva mentre mi muovevo dalle quinte alla scena. Ho provato la gioia e lo slancio di passare dal buio dietro di me all emozione calda della ribalta. Goldoni, che per me è legato al respiro del palcoscenico, mi ha insegnato ad ascoltare i miei compagni, perché le sue commedie non si possono recitare da soli. La parola e il dialogo acquistano rilievo attraverso la coralità, mediante un gioco d insieme. Come attrice amo creare ascoltando gli altri. Tanto più per Domenica, una donna che è obbligata a

6 vivere i passaggi più drammatici del suo animo mentre sta in mezzo agli ospiti. Quando tutti giocano alla meneghella deve nascondersi dietro le carte; quando più tardi sta a tavola trepida pensando che l amato sta per lasciarla per sempre. Domenica è fatta di tanti livelli d ascolto, al punto che ci vorrebbe un film, con i primi piani, per svelare i suoi stati d animo, in contrasto con l atmosfera del carnevale. Il trionfo di Una delle ultime sere è legato solidamente al senso di fiducia e di complicità che si è sviluppato tra la nostra compagnia e Pizzi: con lui mi sono sentita libera di esaltare le mie capacità, accanto ad altri bravi interpreti, sapendo che il nostro regista mi dava la sicurezza e lo slancio per raggiungere sempre un nuovo traguardo artistico. L interminabile sfida con il mio Arlecchino Enrico Bonavera, attore In realtà penso sempre che non sia stato io a scegliere Arlecchino, ma lui a cercarmi. Negli anni settanta la mia passione andava per la ricerca Grotowski e Barba - e per la clownerie e il teatro popolare - Dario Fo su tutti. Sinceramente detestavo Goldoni e il teatro normale. Quando mi hanno proposto di lavorare sulla Commedia dell Arte in uno spettacolo per le scuole, ho accettato solo per i soldi che mi avrebbe portato. È stata la maschera di Amleto Sartori, arrivata all ultimo momento, prima della prima, che mi ha cambiato la vita. Postami la maschera sul volto ho scoperto una subitanea voglia di giocare, di recitare; una improvvisa leggerezza e forza, una saggezza nascosta in chissà quali frammenti del mio DNA. È da lì, dal bisogno di razionalizzare, comprendere e gestire tanta energia, che è nata la mia ricerca personale. Che poi sia passata dal lavoro con Carlo Boso, poi con Ferruccio Soleri, e anche con l indispensabile Giulio Bosetti, è stato fondamentale ma non definitivo. Oggi, dopo più di cento repliche come Arlecchino nel Servitore di due padroni al Piccolo di Milano, e tanti e diversi allestimenti che mi hanno visto Arlecchino e Brighella, con e senza maschera, so che si tratta di un viaggio personale che continua. La visione che mi porta è da un lato il ricordo televisivo dell Arlecchino di Moretti, dall altra il mio sogno irrealizzato e irrealizzabile di riconoscermi nello Scimmiotto dell Opera di Pechino. Nel continuo passare dal recitare con e senza maschera credo di aver imparato molte cose di me, e di averne ancora tane da imparare e scoprire. Certo, recitare con la maschera comporta rischi notevoli: dimenticarsi della realtà, della verità del personaggio in favore della mimica e della tecnica. Checché se ne dica, la maschera delimita sempre un personaggio fortemente epico e in qualche modo archetipico, un demone, potremmo dire. Occorre all inizio molta energia, poi tecnica, e poi la ricerca e scoperta di sapori di dettagli, di una dolcezza che porta il carattere da una evidenza semplicemente narrativa ad una dimensione umana e poetica. È l aspetto più difficile. Occorre tempo, occorre che la vita scorra, il tempo attraversi l uomo. Vladimiro Rossi un bravissimo clown che incontrai quando aveva vent otto anni ai miei complimenti rispose: «No, è troppo presto! Per iniziare ad essere un buon Augusto bisogna raggiungere i quarant anni, e magari qualche figlio. Allora inizi a dare sapore a ciò che fai». È il mistero e il fascino dell Arte. La tecnica si può imparare, anche copiare. Ma la vita, l intensità dello sguardo, la scelta dei tempi, è solo tua e personale. Con Arlecchino c è sempre un rapporto di odio/amore. Detesto tutto il sudore che mi causa. Detesto la sua pignoleria nel segnalarmi quando mento. Credo sempre di non essere fisicamente giusto per lui per me il corpo di Arlecchino è quello di Soleri, bassotto, cicciotto e tracagnotto; e anche il mio cervello pensa troppo rispetto al suo tant è lui mi viene a cercare, e quando non lo fa lui lo faccio io. E la sfida ricomincia. Prima o poi riuscirò a vincerla, riuscirò a dire: «Eccoti, sei così, ti riconosco, sei il mio Arlecchino». Nonostante qualche premio non riesco mai ad essere soddisfatto. È forse questa insoddisfazione che mi porta a continuare a studiare, ma anche a dirmi dopo un lavoro senza maschera, magari in un testo drammatico «ma vedi come sei bravo come attore? chi te lo fa fare di ricacciarti in quel costume colorato ed insulso?». Insomma per farla breve, tra me ed Arlecchino è un fatto personale. In definitiva della Commedia dell Arte non mi importa granché. Non sono tra quelli che pensa che si tratti di un genere sensazionale ed ancora vitale. Vorrei sempre che il teatro parlasse ai propri contemporanei e che sapesse essere pericoloso, sgradevole, pur nel divertimento e nella comicità. Ma lui, maledetto, è un caso a sé, riesce ad essere continuamente, ancora, inesorabilmente presente a sé stesso, quanto ostinatamente nostro contemporaneo. Il perché, francamente, non lo so, e forse è bello proprio non saperlo.

7 La crudele umanità di Todero Giulio Bosetti, attore e regista Avevo trent anni e mi fu proposto da Gianfranco De Bosio allora Direttore del Teatro Stabile di Torino di interpretare il personaggio di Lelio, il protagonista de Il bugiardo di Goldoni. Dopo aver letto la commedia che ancora non conoscevo, subito mi domandai: «la vicenda interesserà il pubblico, ma soprattutto divertirà»? Io non mi ero divertito alla lettura. Il personaggio era un uomo di apparente simpatia, ma carico di difetti, quasi un lestofante. Mi misi al lavoro e, sotto la guida di Gianfranco, cercai di avvicinarmi a quello che allora era chiamato (ricordo a questo proposito un saggio di Elio Vittorini) il realismo goldoniano, senza voler trovare a tutti i costi il risvolto della comicità. Alla resa dei conti lo spettacolo fu un successo, ed io fui quasi sorpreso, alla prima, nel sentire gli spettatori continuamente attenti e divertiti, nel sentirli ridere a battute che io non avevo mai sospettato potessero essere comiche. Conclusi con me stesso che Goldoni ci presenta una umanità ricca di vizi e di poche virtù (lo stesso Pantalone ne Il bugiardo comunica senza problemi di non vedere il figlio da vent anni, ora che lo rincontra a Venezia e non cerca giustificazioni quando dichiara di averlo pressoché abbandonato a Napoli da un fratello), un umanità che a una semplice lettura siamo costretti a giudicare, ma che diviene il mezzo attraverso il quale Goldoni riesce a coinvolgere, dandoci una pittura colorata che ci incanta, e soprattutto ci diverte. Dopo tanti anni è per me la volta de Sior Todero brontolon. Dispiace meno invecchiare se si possono raggiungere personaggi di tale spessore. Goldoni anche qui ha creato un personaggio negativo, che lui per primo considera odioso. E per mezzo della commedia effettua una critica violenta verso la borghesia che sta decadendo. Ma le cronache ci dicono che lo spettacolo ha sempre avuto successo, e l attore che ha interpretato Todero ha goduto della acclamazione del pubblico. Qual è il meccanismo che crea il divertimento mostrando il peggio dell essere umano? Todero è un egoista, è un avaro, è un cattivo padre, agisce con la crudeltà del dittatore. E, a una prima lettura, fa nascere solo riprovazione. Ma adesso so alla luce delle mie esperienze del passato che una messa in scena che si lasci guidare dall autore, che non usi la commedia soltanto come pretesto, donerà allo spettatore momenti di alto divertimento. Questo non vuol dire attenersi ad una recitazione di maniera, ma approfondire, invece, e cercare di cogliere quali sono i lati universali del personaggio, che ce lo fanno sentire, a quasi trecento anni di distanza, ancora fratello. Da parte mia, non cercherò di far ridere a tutti i costi, ma mi avvicinerò a Todero con la collaborazione di un regista che stimo quale è Giuseppe Emiliani fidandomi del mio istinto di attore, senza pensare troppo, e cercando solo di «sentire l odore del personaggio». È questo un consiglio che mi diede molti anni fa Ennio Flaiano, una sera dopo teatro. L arte di Goldoni è grandissima, il suo è «teatro comico» che, in un interpretazione che cerchi assolutamente la verità, dentro il suo ritmo prodigioso può far risplendere il valore dell opera del grande veneziano. Goldoni declama di fronte all Accademia degli Arcadi nel giardino Scotto a Pisa, sipario del Teatro Verdi, Pisa

8 Le «spiritose invenzioni» di un bugiardo Glauco Mauri, attore e regista Per la prima volta, dopo venticinque anni di attività, la nostra Compagnia ha affrontato Goldoni. Un appuntamento a lungo meditato e al quale, dopo aver portato sulla scena tanti dei più grandi classici del lontano e recente passato, non potevamo mancare. Le «spiritose invenzioni» di Lelio, narrate da un Goldoni tenero e graffiante, hanno offerto un interrogativo sul fascino ambiguo che può nascondersi nella bugia. In un mondo impigrito dalle consuetudini e da polverose regole, l inquietante poesia de Il bugiardo porta un bagliore di vita e di allegria che ci diverte ma ci fa anche riflettere sulle nostre debolezze e i nostri difetti. Lelio non è un banale bugiardo. Le sue spiritose invenzioni prodotte dalla fertilità del suo «ingegno pronto e brillante», fanno di lui un artista della bugia. Goldoni era anche costretto dalla società in cui viveva a conclusioni moraleggianti; tanto è vero che nella prima edizione della commedia alla fine entravano in scena le guardie per portare in prigione il bugiardo. Ma forse non è il giudizio morale di una società ingannata e derisa che punisce Lelio, ma saranno proprio la fertilità del suo ingegno e l ebbrezza del suo inventare a condannarlo. Nessuno ormai gli crede più quale sconfitta! e il geniale inventore in una inattesa e commovente disperazione si ritrova solo in un mondo che non può più accettarlo. Lelio, con il suo fedele Arlecchino, lascia Venezia per andare non sappiamo dove ma certamente in un luogo dove inventarsi nuove avventure. «Bugie mai più... ma qualche volta qualche spiritosa invenzion...», dice Lelio, e per quel mondo che lo scaccia un mondo ancorato a tradizioni superate e impigrito nei sentimenti il suo addio ci arriva come un provocatorio, irriverente, audace augurio a far vibrare quella fantasia che a volte aiuta la vita. Lelio è un bugiardo geniale, affascinante ma pur sempre un bugiardo... però nonostante tutto, la simpatia per il nostro Lelio traspare dalla sorridente ironia con cui Goldoni parla dell uomo con le sue luci e le sue ombre, i suoi errori e la sua gioia di vivere. Giacomo Favretto In attesa degli sposi, Galleria Nazionale d Arte Moderna, Roma

9 Il temperamento di Mirandolina, locandiera assassina Mascia Musy, attrice La mia Mirandolina l ho costruita con Giancarlo Cobelli partendo dalla lettura della prefazione al testo dello stesso autore. Carlo Goldoni, parlando del personaggio di Mirandolina, scrive che «ella darà al Cavaliere delle ferite mortali». Questa frase ci ha fatto riflettere sul potenziale omicida del personaggio. Insomma in realtà Mirandolina sarebbe una vera assassina, l assassina del Cavaliere. E non solo, perché in sintonia con questa energia omicida, Mirandolina avrà addirittura la forza di «assassinare» un secolo, spazzando via dalla sua locanda (a fine commedia) Cavaliere, Marchese e Conte cioè il Settecento con la sua nobiltà decadente, per far posto al nuovo Ottocento con la sua nascente borghesia. Iniziando da qui, abbiamo costruito un personaggio potente, per la sua intelligenza ma anche per il suo temperamento femminile. Abbiamo immaginato una donna lontana da frizzi lazzi smorfiette e moine, una donna che si misura ogni giorno con una realtà complessa e faticosa, una donna che sgobba dalla mattina alla sera, che deve tenere in attivo la sua locanda, che deve continuamente difendere la sua posizione di capo d azienda, soprattutto di fronte alle continue pressanti mire dei suoi clienti-spasimanti. Così Goldoni non poteva trovare per Mirandolina un nome più appropriato: colei che viene ammirata suscitando le mire dei pretendenti, ma anche colei che mira dritto al cuore della sua preda. Compiuto il suo «assassinio del Cavaliere» (siamo ormai al III atto), il matrimonio con il servo Fabrizio è un unione che ha sapore di matrimonio borghese, ottocentesco. Non sarà un matrimonio d amore, un matrimonio da innamoramento, ma piuttosto un matrimonio salvifico con il quale Mirandolina si mette al riparo dopo aver agito con tale pericolosa violenza, dalla cui esperienza imparerà a non rischiare mai più (nel sottofinale dopo aver affermato di voler sposare Fabrizio dice: «Sinora mi sono divertita e ho fatto male, mi sono arrischiata troppo e non lo voglio fare mai più»). Con questo matrimonio Mirandolina certo si salverà dal pericolo in cui si è cacciata, tuttavia la sua vita di locandiera dovrà cambiare (ella dice nell ultima battuta della commedia: Cambiando stato voglio cambiar costume..»), ma il futuro della maritata Mirandolina e della sua locanda Goldoni lo consegna alla nostra fantasia. Mirandolina è fra i personaggi più affascinanti e più difficili del nostro teatro. Perché oltre all energia che possiede, ha in sé da un lato un magico potenziale femminile (più volte citando Mirandolina i personaggi usano l espressione «m ha stregato»), e dall altro un istintivo profondo spirito imprenditoriale decisamente maschile. Questa combinazione produce un personaggio esplosivo. Pompeo Marino Molmenti Villeggiatura del senatore Augusto Buzzati a San Pellegrino presso Belluno, Collezione privata

10 La necessità dell artefazione Antonio Fiorentino, scenografo «Le théâtre n est pas le pays du réel C est le pays du vrai» Victor Hugo, Tas de pierres III, 1830-1833 Evitare con cura il realismo (impossibile a teatro dove al massimo si può solo esibire qualche elemento reale) consente, attraverso una consapevole artefazione della materia, la rifondazione del luogo contenuto e contenente la vicenda da rappresentare, facilitando così l instaurarsi di un patto tra palcoscenico e pubblico capace di riunire e creare emozione. Io lavoro con le parole il più a lungo possibile. Chiedo al regista, quando può, quando è il momento, di raccontarmi la sua visione, qualunque questa sia, senza preoccuparsi della rappresentazione: mi racconti pure le cose più impensate, la sua visione appunto. È quella visione, unita alla mia, che io cerco di completare con dettagliate descrizioni spaziali, ma sempre a parole, senza passare subito ad un fatto formale materiale. Cerco di rimandare al più tardi possibile la traduzione materiale la riduzione materiale l interpretazione materiale, di questo ambito di pura fantasia, perché in ogni traduzione si può perdere qualcosa se non si sono ben formalizzati i linguaggi. È solo quando, dopo essere ritornati più volte a distanza di tempo alla descrizione della visione, e non provi più il bisogno di modificare nulla, che la puoi fissare dandole una verità materiale per porla alla verifica funzionale attraverso modelli tridimensionali e studiarne la materia, lo spazio e l illuminazione. Nella fase iniziale non puoi solo tu esprimerti con un linguaggio diverso: devi usarne uno comune a tutti quelli che stanno lavorando al progetto dello spettacolo, uno dei quali l autore non può parlare altrimenti che per mezzo delle parole; è solo successivamente che in parallelo io uso la strategia di fornire una ricerca iconografica che documenti un percorso personale storico emozionale che ha determinato le mie scelte in modo che diventi questo un patrimonio condiviso a cui fare riferimento. Per il Campiello di Carlo Goldoni, che avrei dovuto fare con Jacques Lassalle per la Comédie Française ho ripercorso tutta l esperienza accumulata durante l ideazione di diverse scene ambientate a Venezia, dal primo testo goldoniano che ho incontrato, I rusteghi per la regia di Massimo Castri sino alla recente Bottega del caffè per la regia di Luca De Fusco in una Venezia di vecchi specchi, con ancora viva l immagine di un Campiello neorealista in bianco e nero per la regia di Nanni Garella rappresentato con la stessa scena e gli stessi costumi prima in lirica e poi in prosa. Ma pur ricco dell esperienza accumulata, all inizio di un lavoro sento il bisogno di riacquisire tutto come fosse la prima volta che tratto l argomento. Ho ordinato questo nuovo percorso in un dossier di 164 immagini esposte in 18 tavole tematiche: dalle illustrazioni dello Zatta per l edizione del 1788 sino ai bozzetti ed alle foto delle rappresentazioni più recenti senza poter tralasciare l edizione di Strehler. Il 700: Canaletto, Bellotto Marieschi, Bella, Calevaris, alcuni esempi dell 800 e 900 di Venezia sotto la neve. La Venezia costruita dall affollamento di case di volumi diversi; palazzi/architettura minore, nella pittura e nelle incisioni, in ricostruzioni grafiche e nella realtà odierna; l architettura di Burano e qualche piccolo campiello nascosto immutati nel tempo. E finalmente la materia; il colore, dai quadri settecenteschi guardati più da vicino, dai disegni su fondo azzurro carta da zucchero eseguiti con sanguigna o seppia e biacca e alcune sperimentazioni eseguite digitalmente con numerose selezioni e viraggi di colore su particolari dell architettura fotografata. Così, mentre cominciavo a elaborare a Venezia i primi appunti di Lassalle, lui a Parigi vedeva la mia Venezia e ritrovava la sua. Dentro queste suggestioni ci immaginavamo che le case dovessero avere un volume, una loro architettura. Credevamo che dovessero essere disegnate dai colori e dalla matière salpêtrée sous la neige su un fondo astratto sombre, le groseille dans le gris (J. Lassalle). Dopo un primo modello tridimensionale ci siamo resi conto che non era questa la scena della nostra visione ma qualcosa rimaneva impresso nella mente. Quel fondo neutro, abbiamo capito che doveva essere la neve e la nebbia; il cielo nebbioso da cui far affiorare le case descritte solo dal ricordo dei colori e della salpêtré. Le case ora potevano perdere il loro volume sostanziarsi solo nella superficie della facciata e rispondere esclusivamente alle funzioni richieste dallo spettacolo. Niente più interni, niente più infissi, solo gli scuri e la porta, dietro le aperture delle finestre il cielo, dietro ogni casa un altra casa: nessuna realtà. Nessuna realtà anche nella materia che non aveva più ragione di esistere, che doveva divenire cielo, dove neve e salpêtré si confondono con le vibrazioni delle volute della nebbia che da colore al fondale. Un fondale continuo pieno di piccole variazioni tra

11 bianco grigio e quell azzurro del fondo dei disegni lumeggiati a biacca. I colori dovevano disegnare tutto essere loro a fare il disegno dell architettura, ma non doveva essere un disegno a creare l architettura e meno che mai una pittura. Se la visione era quella di un architettura sostanziata dal ricordo del colore, da quello che restava del colore nel tempo, nella memoria della città diveniva impossibile prescindere dall architettura reale. Bisognava scomporre il reale, selezionare le parti significative del reale, per poi ricomporlo, montarlo, in un nuovo equilibrio, con nuovi rapporti prelevando i colori le materie: solo ciò che serviva a sostanziare la nostra visione. Con l aiuto della mia assistente Martina Bovo ho imparato a sperimentare questo nuovo modo di trattare la realtà attraverso la digitalizzazione delle immagini. Ho potuto campionare dalla Venezia in cui vivo i colori, le macchie di salpêtre, montarle tra loro, modificare le ombre e le luci, le aperture, i cornicioni: svuotare la realtà di tutto quello che non serviva per poi rendere tutto lieve e sostituire l intonaco con il cielo nebbioso e così a poco a poco la visione diveniva vera. Per sostanziarla avevo bisogno di qualcosa di tangibile in analogia con la scena. Il servizio reso dal virtuale era finito. Dopo diversi tentativi abbiamo trovato, incollando su un cartoncino una carta velina trattata a caldo, un supporto su cui stampare che ci piacesse toccare, che avesse il senso tattile del racconto, della visione, delle case nella nebbia. Passo dopo passo, in contatto continuo con Jacques Lassalle, con il datore luci, con il costumista, con tutti i reparti tecnici del teatro in Comédie, coinvolgendo tutti, attraverso la mediazione di un nuovo modello; e prima ancora di iniziare a redigere il progetto, la materia del modellino diventava ancora più vera nei laboratori di Sarcelle. Antonio Fiorentino Bozzetto di scena per Il campiello

12 Segrete evocazioni notturne per i trecento anni dalla nascita di Carlo Goldoni Elisabetta Brusa, regista teatrale Il visitatore che gira tra le stanze di Casa Goldoni a Venezia e si abbandona alla suggestione di un luogo che evoca straordinariamente il clima teatrale tra marionette e dipinti di un secolo che in questa città ha avuto il suo trionfo, si imbatte ad un certo punto in un tavoliere che propone un gioco didattico. Su questo tavoliere è stata applicata una riproduzione della pianta topografica di Lodovico Ughi del 1729. Si tratta del documento cartografico più dettagliato dell epoca. Su di esso sono stati evidenziati con il colore rosso le case veneziane abitate da Carlo Goldoni e con il colore verde i numerosissimi teatri che resero nel Settecento questa città una delle capitali della civiltà teatrale del momento. Il tavoliere e le testimonianze di una studiosa veneziana Anna Scannapieco che accompagnano con segnalazioni storiche questo piacevole intrattenimento, hanno maturato un idea perché non ricostruire quello stesso gioco in città permettendo di trasformare l esperienza di una passeggiata in un percorso mirato alla conoscenza dei luoghi appartenuti al grande commediografo? Parlando di teatro, pensiamo subito ad un immagine notturna, legata alla simbologia della grotta e a quella della caverna wagneriana, per questo le nostre passeggiate si sono trasformate in percorsi luminosi. Nei mesi di settembre ed ottobre a Venezia, dopo il tramonto, si evidenzieranno le facciate di alcune case e di alcune calli, dove ancora si legge un calle del teatro o della commedia a ricordo di qualcosa che è caduto nell oblio ma che si risveglierà per celebrare un importante anniversario. Con la luce creeremo parole effimere che si andranno a proiettare sulle pietre a terra e sui muri, riportando alla memoria ricordi ed emozioni di un passato che ci appartiene, e che ricostruiremo attraverso diciassette tra case e teatri stazioni. Questa mappa visiva, sostenuta dall efficienza di una tecnologia avanzata, sarà il nostro libro aperto, di facile e immediato consumo, che si nutrirà di quel Mondo e quel Teatro che sono i due più cari libri del nostro commediografo. E dal Mondo goldoniano prenderemo lo spunto per animare una certa quotidianità veneziana: la Tavola con i suoi cibi e i suoi rituali, il Viaggio che porta con sé l amore della scoperta del Nuovo, il Gioco e la vita del salotto, che rivela l arguzia e la conoscenza dell altro, la Città che si sviluppa e cresce all esterno, nelle calli, nei campi, nelle altane, nelle locande e lo trasformeremo in Teatro, in piccole performances che alcuni studenti del corso di laurea in Tecniche Artistiche e dello Spettacolo dell Università Ca Foscari di Venezia realizzeranno giocosamente, evocando i fantasmi di quei luoghi in cui sorgevano gli edifici teatrali che hanno realmente ospitato le opere del grande drammaturgo e che oggi non esistono più. Questa festa vede la partecipazione di molti amici di Carlo Goldoni a partire dall APT che ha stimolato la realizzazione del progetto immettendolo immediatamente in un contesto che raccoglie veneziani e foresti, così come al nostro amato Goldoni sarebbe certamente piaciuto. Giacomo Casa Ballo in maschera, Villa Revedin Bolasco, Castelfranco Veneto

13 Das Kaffeehaus, ovvero La bottega del caffè di R.W. Fassbinder Erica Buzzo, Corso di laurea specialistica in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale Potrebbe forse sembrare azzardato proporre un dualismo che tenta di stabilire ponti e individuare riflessi tra due drammaturghi quali Carlo Goldoni e Rainer Werner Fassbinder. Due mondi completamente diversi, due modi di guardare tanto irriducibili ad un comune sentimento di vita e arte, quanto in sintonia nel documentare il disincanto di fronte al costume delle rispettive epoche. Fassbinder, come Goldoni, è testimone delle metamorfosi del suo tempo. Nella produzione teatrale del regista tedesco, rimasta perlopiù racchiusa nell esperienza dell Antiteater e legata dunque all idea di esperimento, è difficile trovare personaggi dai forti ideali, figure di innocenti o di colpevoli, tuttavia Fassbinder ha voluto «mantenere nei confronti della società la disperata logica dell accusatore, disperata perché consapevole sia dell infondatezza dell accusa visto che il male ci coinvolge tutti sia dell impossibilità di una redenzione i dadi sono truccati.» (Marianne Ufer, L Antiteatro di R. W. Fassbinder, «Quaderni di teatro», n. 24, maggio 1984, p.120). Il suo teatro è specchio delle tendenze contraddittorie di una Germania che cerca di risorgere dalle macerie del nazismo, ed in particolare della nuova società borghese che sembra ciecamente difendere il sogno del miracolo economico. Ecco che nascono quella critica violenta e aggressiva e quelle manifestazioni creative, espressioni di un vivere che si consuma in una furia annichilatrice sempre più vicina alla morte. Il teatro di Goldoni non può non situarsi ben altrove da questa furia annichilatrice. Non esiste nel commediografo veneziano il logorio di una voluta autodistruzione o il senso macabro di un agonia irreversibile della società contemporanea, sia questo dovuto soltanto ad un ancora sconosciuto sentimento del tragico post-nazista. È con Das Kaffeehaus che Fassbinder si lega al mondo teatrale di Goldoni. Concepito da Fassbinder insieme a Peer Raben va in scena la prima volta il 10 settembre 1969 al Theater der Freien Hansestadt di Brema. Della prima teatrale, a testimonianza della quale dovrebbe esistere un video-adattamento risalente al febbraio 1970, filmato negli studi tv di Colonia in dieci giorni e della durata di 105 minuti per la regia del solo Fassbinder, si ricorda la rivoluzionaria soluzione scenografica affidata a Wilfried Minks: sul palco un tappeto rosa, con al centro un mobile di vetro con sopra una finta torta, e dappertutto sedie nere. La Venezia goldoniana è diventata un saloon, dove gli attori, tutti armati di colt, recitano a piedi nudi. Il tempo dello spettacolo è dilatato, scorre lento come fosse percepito da una mente in stato di torpore. Per la maggior parte della commedia i nove attori se ne stanno immobili, seduti, rivolti al pubblico con lo sguardo apparentemente assente, solo piccole variazione di gesti, accenni di passi, blandi movimenti senza soluzione di continuità. Il campiello antistante il caffè, caro a Goldoni, diventa un moderno locale con il jukebox, un piano bar cristallizzato dove entrano lenoni, scipiti e volgari profittatori, donne oppresse e sgraziate e dove tutti dialogano senza un filo di entusiasmo. Il volgare e il venale riecheggia dal testo settecentesco, ma i toni si caricano di un enfasi che, costruita sulla reiterazione indifferenziata più che su un pathos enunciativo finisce per livellare quel ciarlare caotico e frenetico di una bottega veneziana ad un ronzio di parole gelido e insanabile. Si pensi a tal proposito come viene riproposta quella «funzione computistica» per cui l ossessività alle liste di cambio valute porta alle estreme conseguenze quel mercanteggiare caro alle tematiche goldoniane. Tuttavia si vuole ricordare che nel testo originario di Goldoni non si trovano battute che possano somigliare alle ossessive liste di cambio valute. Certo, il soldo e gli affari sono il sistema nevralgico della commedia ma la denuncia che del loro uso scriteriato fa l autore non può portare a quell ossessione fine sé stessa e senza incidenza sul mutare delle abitudini. Nel processo di irrefrenabile sfacelo e nel senso di irrimediabile corruzione del corpo e dello spirito riposa l essenza de La bottega, ma nell opera di Fassbinder, dove ogni residuo di umanità rischia di essere inghiottito da una totale perdita di senso etico-estetico, la degradazione è certamente rimarcata. Sia essa di stampo erotico o ammiccante sempre più al mercanteggiare, il connubio tra i due aspetti è sovente imprescindibile: è la marca tragica che segna un netto distacco dalla commedia goldoniana. E il finale ne è il sigillo con la portata in trionfo del potere del denaro. Apoteosi di questo è la scelta fassbinderiana di non chiudere la casa da gioco ma piegare la vicenda secondo la forza centripeta del suo meccanismo e simbolo della gravità è il fatto che Pandolfo, dopo la delazione di Don Marzio alla polizia, si salva perché l intera città è in credito. Insomma, ci si trova di fronte all impotenza di una città che ormai sta peggio di un biscazziere in rovina. Così la scena conclusiva non trova nessun colpevole da giustiziare: anche a Don Marzio sono risparmiate le ingiurie previste da Goldoni. Per questo Don Marzio, affetto da miopia reale e simbolica, doveva finire vittima della sua stessa maldicenza, nella rivisitazione fassbinderiana nessun gioco dominatoridominati trova giustizia e anche un Don Marzio è salvato. La denuncia di una natura umana in crisi risuona da Goldoni a Fassbinder, il primo, nel Settecento, sceglie il lieto fine (le coppie si risaldano), il secondo, nel Novecento, può scardinare certe convenzioni e lo fa senza indugiare nel fare della bisca il centro di una nuova vita. Se nucleo della riforma goldoniana è il depurare la vecchia commedia di

14 tutto l osceno e l inverosimile, sostituendola con un teatro che mano a mano elimini le maschere per far posto ai veri personaggi della nuova realtà borghese, importante elemento nel progetto riformatore è la fiducia dell autore nei valori di tale classe e la proposta di un teatro che sia, almeno potenzialmente, un mezzo per correggerne i vizi. E La bottega del caffè mostra come i valori borghesi vengano individuati mediante un processo di opposizione/espulsione per cui gemmano quei personaggi che presuppongono la distinzione vizio-virtù. A grandi linee la contraddizione tra leggi del mercato e leggi della morale si può dire risolversi nel dualismo Ridolfo-Pandolfo, rispettivamente il buon caffettiere virtuoso e il vizioso biscazziere. La riforma goldoniana crede dunque nel ritratto di una borghesia che ancora può essere produttiva e in salute, lo specchio che ne propone Fassbinder non sembra brillare di questa fiducia, perché, corrosa dal di dentro, la società borghese è condannata ad una inalienabile e immanente contraddittorietà di fronte alla quale, comunque, già Goldoni, alla fine, dovette ammettere che negarla era possibile solo in teatro, mai nella società. Entrambi raccontano che la mercificazione in una società dominata dal potere economico fa ogni personaggio un essere vendibile e ricomprabile, poco importa se Venezia diventa un saloon e se la fantasia di Fassbinder non si preoccupa di rispettare la vivacità veneziana. Vincenzo Cabianca Il giovanetto Goldoni nel suo primo viaggio fra i comici da Rimini a Chioggia, Istituti Ospitalieri, Verona

15 L arte di «mostrare e non dimostrare». De reditu Il ritorno, un film che viene dalla latinità Claudio Bondì, regista cinematografico e televisivo Devo fare una breve premessa: quasi tutta la mia attività di regista in televisione e i miei tre film per il cinema originano da una passione per la storia e dalla consapevolezza che per me è più facile raccontare il presente partendo da una prospettiva a volte molto lontana. Questa che può sembrare una contraddizione è invece, nel mio piccolo cinema, una necessità. Ad una domanda di un giornalista alla fine di una retrospettiva dei miei film al cinema Trevi di Roma, l inverno scorso, ho risposto che in fondo io racconto sempre la stessa trama: quella di un individuo attraversato dagli eventi della storia o della società che cerca di capire, di difendersi, di non soccombere. Così il protagonista de Il richiamo, ambientato in un piccolo paese della marca pontificia nel 1780, combattuto tra una passione scientifica e la miseria della sua vita, così il racconto sull infanzia di Giulio Carlo Argan, L educazione di Giulio, ambientato nel 1931 nel Regio manicomio femminile di Torino, dove il giovane Argan viveva insieme alla famiglia in un appartamento al secondo piano ed infine così anche nel De reditu Il ritorno, dove il protagonista Claudio Rutilio Namaziano, politico e poeta pagano, colpito dagli eventi originati dall invasione dei Visigoti nel 410 d.c. e dal Cristianesimo trionfante, cerca di capire, di sopravvivere, di salvarsi. Rutilio ce lo portavamo vergognosamente appresso io ed Alessandro Ricci collaboratore di molte mie sceneggiature storiche sia in tv che al cinema dall esame di Letteratura Latina sostenuto in un lontanissimo 1964 alla Sapienza di Roma. Ci sembrò straordinaria la voce di questo poeta, testimone oculare della fine del suo mondo, che non si arrende e crede in una impossibile rinascita in cui il mito dell impero tornerà a splendere sui territori ormai perduti. Così, quando se n è presentata l occasione abbiamo scritto dapprima una sceneggiatura per la TV per la serie Vita quotidiana di... di Rai Uno e nel 2002 il film vero e proprio. In televisione Rutilio non trovò posto all interno della serie che ho diretto perché il budget a disposizione non era sufficiente. Vengo ora al mio film: un film d argomento storico non è soltanto un viaggio nell accaduto, vicino o lontano che sia, ma anche il tentativo di ricostruire sulla base della verosimiglianza il mondo intorno ai fatti, alle vicende che vengono rappresentate: «mostrare e non dimostrare», come diceva Roberto Rossellini, di cui sono stato l aiuto regista per alcuni anni. Il V secolo d.c. è il periodo della storia romana in cui si concludono gli anticipi della dissoluzione e la parabola discendente tocca l arco estremo del suo percorso. Un testimone del momento fu Claudio Rutilio Namaziano, poeta, praefectus Urbi nel 413 d.c., nobile d origine gallica come ormai molti politici romani che vide di persona la fine imminente ma non seppe riconoscerla, né interpretarla. La sua coscienza, come quella collettiva, stentò a credere ai propri occhi ed insieme a tutti quanti, poveri e ricchi, plebei e patrizi, cristiani e pagani, s adoperò piuttosto a rimuovere l accaduto dalla memoria, a dimenticare, nell illusione di una prossima, vittoriosa palingenesi. E allora affrontò un viaggio per mare, costa costa, per raggiungere la nativa Gallia, controllare le condizioni dei suoi possedimenti a Tolosa e forse di lì tentare un improbabile, quanto sognata restaurazione. I suoi appunti poetici fermano una realtà sconvolta: ponti e strade in rovina, città ridotte a cumuli di ruderi per l azione combinata del tempo e delle devastazioni barbariche. Il tema del film si duplica: da una parte infatti il desiderio impossibile di un colto pagano, un irriducibile epicureo, di contrapporsi con caparbia volontà alla ineluttabilità degli eventi, dall altra il ritratto del crepuscolo di un mondo rivisitato durante il viaggio attraverso una cronaca quotidiana, un mondo ormai finito e incompreso nella sua tragica evoluzione. Rutilio se la prende con i Visigoti e con i Cristiani. Con quest ultimi non riesce a comunicare, «parlano soltanto tra di loro», dice. Denuncia la difficoltà per un intellettuale stoico o epicureo di mettersi in contatto con una reli-

16 gione integralista che tutto vuole comprendere e spiegare. La sua difficoltà assomiglia molto alla nostra con il mondo islamico. Così come l incendio di Roma nel 410 deve essere stato un evento per i testimoni, e lui era un politico di primo piano in città, così impensabile e incredibile da assomigliare tanto al crollo delle Twin Towers. Il tragitto per mare avveniva, come anche nella ricostruzione del film, a poche centinaia di metri dalla costa, su una barca a remi di circa dieci metri. Quattrocento miglia fatte lentamente, dalla mattina alla sera, sotto la spinta dei vogatori, con tappe già stabilite dall uso marinaresco: quindici, venti miglia al giorno, non di più, e soste nei porticcioli naturali, nelle anse dei torrenti o dei fiumi, sulle spiagge deserte. Il racconto di Rutilio è anche una descrizione filosofica e geografica insieme, della costa italiana intorno al 415 d.c. La natura, infatti, è l altra grande protagonista della storia e di conseguenza del mio film. Una natura come noi non possiamo più immaginare se non per approssimazioni o azzardate contaminazioni. Terra e mare che non avevano se non sporadiche intrusioni della presenza umana: un villaggio, più spesso la residenza di un aristocratico, e poi nient altro: soltanto il rigoglio della macchia incontaminata, l ulivo vicinissimo alla costa, il bosco che s arrende solo davanti agli scogli. Insomma così come il viaggio nelle idee di un intellettuale del V secolo anche il viaggio per mare ha cercato di offrire un panorama insolito, di luoghi e di facce, di lingue nel film si parlano anche lingue sconosciute: eritreo, albanese ecc., seguendo sempre l intuizione originaria, e non sta a me dire se con successo, di raccontare la difficoltà per un uomo, per l uomo, di attraversare gli irreversibili fatti della storia, quella con la S maiuscola senza esserne travolto ma cercando anche se invano come accade a Rutilio, di comprenderli. Studiare a San Giobbe: la Biblioteca di Economia Gino Luzzatto Daniela Grandin, Direttore della Biblioteca di Area Economica Cinque chilometri di scaffali distribuiti lungo i tre piani di una superficie complessiva di 2.500 metri quadrati; 150.000 volumi, oltre 1.000 periodici italiani e stranieri relativi alle discipline dell Economia, duecento posti di lettura tra cui diversi spazi per lo studio individuale. Sessanta ore settimanali di apertura al pubblico e 14.000 prestiti annuali. I numeri che raccontano l efficacia della Biblioteca di Economia di Ca Foscari. Ma anche i numeri hanno una qualità che racconta il lavoro svolto. L occasione è nata con i lavori che nell ex macello di Venezia hanno dato vita al Polo disciplinare di San Giobbe. La Facoltà di Economia ha trovato così un proprio campus, al cui interno è stata realizzata la Biblioteca: un edificio costruito ex novo in cui sono state accorpate le collezioni provenienti dalle biblioteche dei dipartimenti di Economia e Direzione Aziendale, di Scienze Economiche, di Statistica e del Centro di Documentazione statistica. Realtà prima disperse in diversi punti della città. In quel luogo, a San Giobbe, di antico c era solo una parete. Allora il nuovo edificio è stato pensato e costruito proprio per accogliere una moderna e funzionale biblioteca: una realtà di area disciplinare in cui le diverse collezioni si sono amalgamate in una sola macro-collezione. Nel progetto e nella realtà, la Biblioteca si è costituita come concreta fusione gestionale e bibliografica, non limitandosi ad unificare, spazialmente, realtà preesistenti. Il nuovo ha così incontrato la tradizione, ereditando le collezioni, riorganizzandole e razionalizzandole nel sistema dei servizi all utenza. Libri e periodici sono accessibili direttamente perché collocati prevalentemente a scaffale aperto, reperibili per ambiti disciplinari. Oltre ai servizi bibliotecari di base, prestito, prima informazione bibliografica, orientamento all uso della biblioteca, la Biblioteca ha attivato anche i servizi più avanzati di consulenza bibliografica (Reference), di fornitura di articoli di periodici non posseduti dall Ateneo (Document Delivery) e sta inoltre organizzando dei corsi di Information literacy per insegnare alla propria utenza la ricerca e l uso della documentazione disciplinare. Esempi che raccontano un processo in divenire. La Biblioteca di Economia, infatti, non finisce a San Giobbe, allarga i suoi confini e si riorganizza lavorando ad un progetto di coordinamento di risorse e servizi con le biblioteche di Scienze Giuridiche, di Matematica Applicata e del Centro di Economia e Gestione dei Servizi Turistici. Un futuro profondamente radicato. Ragione che spiega il motivo per cui la Biblioteca di Economia è stata intitolata a Gino Luzzatto. Perché la biblioteca è un progetto in itinere che appartiene a tutti, a chi l ha costruita, a chi quotidianamente la consulta e a chi la sta ancora costruendo.

17 Vega: la community digitale del prossimo futuro - Il MetaDistretto Digital Mediale del Veneto: un cluster innovativo per un settore in forte crescita Massimo Colomban, Presidente VEGA Parco Scientifico Tecnologico di Venezia È uno dei cluster più innovativi della Regione del Veneto: il MetaDistretto Digital Mediale (MDM), riconosciuto ufficialmente il 29 maggio scorso con Decreto della Giunta Regionale. Sono 446 le aziende che hanno sottoscritto, entro il 31 gennaio 2007, il Patto per lo sviluppo dell MDM, cui si sono aggiunte, in questi mesi, 260 nuove adesioni per arrivare a un totale di 700 imprese aderenti. Non mancano, inoltre, le Istituzioni, tra cui l Università Ca Foscari di Venezia e la Fondazione Biennale, gli Enti locali, le Associazioni degli Industriali e di settore, quali Veneto Cinema Pro e il Consorzio Vita. Il Digital Mediale è un comparto nevralgico per il nostro futuro, è in forte crescita e abbraccia lo scibile di tutte le nostre attività. La vita quotidiana è sempre più dipendente dall utilizzo di tecnologie Digital Mediali. Le imprese, che non sono più concorrenziali nella produzione di massa, nella manifattura di componentistica, possono trovare in queste tecnologie lo strumento per mettere a frutto creatività e capacità imprenditoriale, per accrescere il proprio vantaggio competitivo. Il Digital Mediale rappresenta, infatti, la spina dorsale dello sviluppo sociale ed economico della nostra Regione, con un incidenza sul PIL del 9%, e una proiezione potenziale, nel 2015, del 13%. Le imprese Digital Mediali, salvo poche, sono piccole e polverizzate. Sono ben 42.000 nel solo Veneto che rischiano, in un economia globalizzata che ha bisogno di rete e dimensione, di sparire se non si aggregano. Da queste necessità è partita da VEGA l idea di creare l MDM che ha l obiettivo di realizzare sinergie tra le aziende del settore, organizzare e promuovere azioni e progetti innovativi per sviluppare le potenzialità delle aziende venete per gestire la continua evoluzione imposta dal mercato. È la convergenza digitale, dove creativi (agenzie di comunicazione, marketing, fotografi, architetti) interagiscono assieme ai creatori di contenuti (studi grafici, web designer) ai produttori di servizi per l industria cinematografica e radiotelevisiva, ai service providers (ICT e telecomunicazioni). Tra le 14 azioni strategiche dell MDM, in programma nel triennio 2007-2010, si distinguono i progetti per l alta definizione (HD) che rappresenta una rivoluzione per l industria del cinema, con la progressiva sostituzione della pellicola, e per quella televisiva. Un altro ambito di indagine è il cine-turismo e radio-video emotion con la finalità di promuovere le destinazioni sfruttando le potenzialità delle tecnologie digital-mediali nell affascinare il fruitore e indurlo a visitare le location. Completano le azioni progettuali la realizzazione di un Incubatore Digital Mediale (DML), nella prossima area di sviluppo di VEGA, per ospitare start up o spin-off innovativi che potranno offrire servizi di convergenza multimediale per la progettazione di prodotti audiovisivi interattivi da implementare su diversi media e produzioni di realtà virtuale. Il Parco VEGA, nei prossimi 5 anni, si configurerà sempre di più come una Community Digitale attraverso lo sviluppo delle aree contigue, VEGA 2, 3 & 4, dove si creeranno Studios cinematografici, radiotelevisivi e di produzione musicale. Per informazioni più dettagliate sulle azioni progettuali: http://digitalmediale.vegapark.ve.it; www.vegapark.ve.it. Carlo Preti Carlo, bambino, legge alla governante la sua prima commedia, XIX sec.

18 Mathematical Methods in Economics and Finance e Rendiconti Elio Canestrelli, Dipartimento di Matematica Applicata È uscito il primo numero della nuova rivista Mathematical Methods in Economics and Finance, periodico in lingua inglese edito dal Dipartimento di Matematica Applicata dell Università Ca Foscari di Venezia (Italia). Mathematical Methods in Economics and Finance subentra ai Rendiconti, una collana di volumi pubblicati con cadenza annuale dal 1969 al 2005, anch essa edita da oltre un decennio dal Dipartimento di Matematica Applicata dell Università Ca Foscari di Venezia. L esperienza maturata in questi quasi quarant anni di attività editoriale, unita al progresso dell Università italiana che sempre più la colloca in un contesto internazionale, hanno portato alla decisione di contribuire al dibattito scientifico in un ambito che non sia più limitato solo a quello nazionale. Mathematical Methods in Economics and Finance, che è il risultato di questo processo di internazionalizzazione, si caratterizza principalmente per: - l utilizzo di un processo di referaggio cieco basato sulle valutazioni di almeno due referee; - il suo inserimento nell elenco delle riviste recensite da MathSciNet; - il suo inserimento in corso di definizione nell elenco di riviste recensite da altri repertori internazionali; - la divulgazione di abstract e di index sul sito web dell American Mathematical Society (url: http://www. ams.org/mathscinet); - l esistenza di un sito web dedicato alla rivista (url: http://www.dma.unive.it/mmef/) da cui è possibile effettuare il download gratuito di tutti gli articoli pubblicati. Le discipline coperte da Mathematical Methods in Economics and Finance includono la matematica per l economia, la matematica finanziaria, la finanza matematica, la matematica per le assicurazioni, la matematica per il management, e la ricerca operativa, da un punto di vista sia teorico, sia metodologico, sia applicativo. I Rendiconti L attuale Dipartimento di Matematica Applicata dell Università Ca Foscari di Venezia (già Dipartimento di Matematica Applicata ed Informatica, e prima ancora Laboratorio di Matematica Generale, Finanziaria e Attuariale) cura la pubblicazione di volumi unici che, de facto e data la loro costante periodicità (sostanzialmente annuale, talvolta semestrale), costituiscono l equivalente di una rivista scientifica regolare. In dettaglio, questi volumi unici (il cui titolo è sempre stato caratterizzato dal termine Rendiconti) hanno diffusione sull intero territorio nazionale e in tempo più recenti anche all estero. I Rendiconti iniziano le pubblicazioni nel 1969 e sono il frutto di una collaborazione tra matematici, statistici ed economisti di Ca Foscari. L iniziativa è promossa da un Comitato, sorto nel 1968 in occasione del centenario di Ca Foscari con lo scopo di promuovere gli studi economici in Venezia. Tale Comitato, inizialmente presieduto dal prof. Franco, riceveva un finanziamento dalla Cassa di Risparmio di Venezia. Successivamente è la Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia a finanziare tale pubblicazione, che (indicativamente si può far riferimento al 1979) accentua il suo carattere quantitativo, mentre gli studiosi di economia trovano spazio esclusivo nella rivista Ricerche Economiche. I volumi complessivamente pubblicati sono trentanove, tra i quali uno è doppio, quindi in totale quaranta numeri. I contributi comparsi in questi volumi sono relativi ad approcci quantitativi (in senso lato) per le discipline economiche, finanziarie, attuariali ed aziendali. In particolare, questi volumi, previo opportuno referaggio, hanno da sempre offerto spazio ad Autori provenienti da varie Università del territorio nazionale (ad esempio, di Ancona, di Bari, di

19 Bologna, L. Bocconi di Milano, di Brescia, Ca Foscari di Venezia, di Cassino, Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di Firenze, di Napoli, di Padova, di Parma, di Perugina, Politecnico di Milano, di Roma, La Sapienza di Roma, di Udine, di Torino, di Trieste, di Trento, di Verona), da Università straniere (ad esempio, di Waterloo in Canada) e da Istituzioni sia nazionali, sia straniere (ad esempio, Banca d Italia, Isfin di Milano, Generali di Trieste, Manufacturers Hanover Trust Company di Hanover in Texas U.S.A. ). Per questo motivo, e per la qualità dei lavori accettati per la pubblicazione, questi volumi hanno costituito, e tuttora costituiscono, un utile punto di riferimento per la Collettività scientifica nazionale e internazionale. A partire dal 1999, i curatori di questi volumi hanno intrapreso un processo di maggior internalizzazione dei volumi medesimi - creando una rete diffusa di Studiosi disponibili al referaggio (obbligatoriamente doppio) dei contributi sottoposti per la pubblicazione; - rendendo obbligatorio l utilizzo della lingua inglese nella stesura dei contributi stessi; - ottenendo l abstracted e l indexed dei volumi medesimi presso il sito web ufficiale dell American Mathematical Society (url: http://www.ams.org/mathscinet). Infine, sempre dal 1999, i curatori hanno realizzato, come ulteriore servizio per la Comunità scientifica, il sito web ufficiale dei volumi (url: http://www.dma.unive.it/rendiconti.html), dal quale è possibile scaricare gratuitamente tutti i contributi pubblicati a partire, per l appunto, dal volume del 1999.

La rivista è consultabile anche in formato elettronico sul sito dell Ateneo www.unive.it nell Area Comunicazioni Notiziario dell Università Ca Foscari di Venezia Pubblicazione trimestrale Reg. del Trib. di Venezia n. 994 del 19.10.1989 Direttore Responsabile Carmelo Alberti Responsabile di redazione Federica Ferrarin Comitato di redazione Laura Bergamin (l.bergamin@unive.it) Riccardo Drusi (rdrdrd@unive.it) Federica Ferrarin (ferrarin@unive.it) Debora Ferro (deboraf@unive.it) Pier Giovanni Possamai (pgpossam@unive.it) Michela Rusi (rusi@unive.it Andrea Stocchetti (stocket@unive.it) Segreteria di redazione Servizio Comunicazione e Relazioni Esterne Tel. 041 234 8118/8358 Fax 041 234 8367 E-mail comunica@unive.it In copertina Vittorio Bressanin Trittico del Carnevale Galleria Internazionale d Arte Moderna di Ca Pesaro, Venezia Progetto grafico, editing e fotocomposizione Pier Giovanni Possamai Stampa Cartotecnica Veneziana s.r.l. Venezia