CAPITOLO I LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PUBBLICITA COMMERCIALE: UN EXCURSUS



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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN COMUNICAZIONE DI IMPRESA E PUBBLICA TESI DI LAUREA IN DIRITTO COMPARATO DELLA COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE Quando le imprese mentono: la repressione della pubblicità ingannevole tra autodisciplina e ordinamento statuale Relatore Ch. mo Prof. Virgilio D ANTONIO Candidata Manuela Branco Matr. 0320400128 Correlatrice Dott.ssa Chiara DI MARTINO ANNO ACCADEMICO 2007-2008 1

Alla mia famiglia, custode del mio passato, sostegno del mio presente, guida del mio futuro. 2

INDICE Introduzione..7 CAPITOLO I LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PUBBLICITA COMMERCIALE: UN EXCURSUS 1. Definizioni e profili di analisi della pubblicità.11 2. Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di un difficile equilibrio 14 3. Il percorso italiano 17 CAPITOLO II LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA INGANNEVOLE IN ITALIA 1. Il D. Lgs. n.74 del 25 gennaio 1992...20 1.1. Finalità.21 1.2. Definizioni...24 1.3. Elementi di valutazione 30 1.4. Trasparenza della pubblicità.33 1.5. Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori...38 1.6. Bambini e adolescenti...39 2. Il Codice del Consumo..39 3. I decreti legislativi attuativi della direttiva 29/2005/CE.41 3.1. I soggetti protetti..45 3.2. Le fattispecie di pratiche commerciali scorrette: pratiche ingannevoli e pratiche aggressive 46 3.3. Le black list 51 4. L Autodisciplina pubblicitaria 54 3

4.1. Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria...54 4.2. Gli organi dell Autodisciplina: composizione del Comitato di Controllo e del Giurì di Autodisciplina e loro funzioni...63 5. I rapporti tra Autodisciplina e ordinamento statuale: l Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato...70 CAPITOLO III GIURI E A.G.C.M. A CONFRONTO: STUDIO DI ALCUNE DECISIONI DEL PERIODO 2006-2008 1. Il settore delle telecomunicazioni: l obbligo di chiarezza, correttezza e non ambiguità delle informazioni sull offerta...79 1.1. Gli interventi del Giurì...79 1.1.1. Comitato di Controllo vs Wind Telecomunicazioni per Infostrada Absolute Adsl (2007)...79 1.1.2. Telecom vs Fastweb per "Telefono, Internet o Tv a 9.90 euro al mese sino al 2009" (2008, non violazione)...81 1.2. Interventi dell A.G.C.M.84 1.2.1. Numero verde Gruppo Banca CR Firenze (2006).84 1.2.2. Noi Wind Roaming (2007)...88 1.2.3. Alice 20 mega con modem in noleggio (2007, non violazione)..92 2. Il settore agroalimentare: l obbligo di correttezza delle informazioni su caratteristiche, composizione e provenienza degli alimenti 94 2.1. Interventi del Giurì..94 2.1.1. Unilever Italia vs Kraft Foods Italia per maionese senza colesterolo (2008) 94 4

2.1.2. Latte crescita Mellin (2006, non violazione)..97 2.1.3. Ovito Gruppo Novelli (2008)..100 2.2. Interventi dell A.G.C.M...103 2.2.1. Patasnella 70% di grassi in meno (2006)..103 2.2.2. Salmone affumicato KV Nordic (2006)...107 2.2.3. Omogeneizzati Plasmon (2007)...111 3. Prodotti potenzialmente pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori: trattamenti dimagranti, bevande alcoliche.113 3.1. Interventi del Giurì..113 3.1.1. Beauty Center Cellu-Shock (2008)...113 3.1.2. In Linea + Light (2008, ingiunzione del Comitato di Controllo)..115 3.1.3. Cynar Martini (2007, non violazione)..116 3.2. Interventi dell A.G.C.M...118 3.2.1. Www.zerodiet.org (2007) 118 3.2.2. Antismoking System (2006) 120 3.2.3. Pub Los Panineros (2007) 123 4. Due esempi di intervento dell A.G.C.M. in materia di bambini e adolescenti : le patatine Wacko s (2006) e le Suonerie scaricabili al 48428 (2007) 125 5

Conclusioni...129 Bibliografia e webgrafia...137 6

INTRODUZIONE Il 25 gennaio del 1992 il Parlamento approvò il decreto legislativo n. 74, meglio noto come decreto sulla pubblicità ingannevole, in recepimento della direttiva comunitaria n. 450 del 1984, che individuava le fattispecie di ingannevolezza della pubblicità commerciale, nell intento di indurre i paesi membri ad adottare una normativa nazionale a tutela dei consumatori contro le piccole o grandi truffe perpetrate dagli operatori commerciali attraverso i messaggi pubblicitari. Lo stesso decreto legislativo ha attribuito il compito di vigilare sul rispetto della normativa e di applicare le relative sanzioni all AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), la stessa autorità a cui spetta il controllo sull osservanza della Legge Antitrust n.287 del 1990 a tutela di consumatori e imprese per garantire il corretto svolgimento del gioco concorrenziale. Nei 16 anni trascorsi dall introduzione nell ordinamento italiano della suddetta normativa, si sono verificati molti cambiamenti che stanno caratterizzando il panorama mass-mediatico e pubblicitario italiano. Lo sviluppo della tecnologia ha, infatti, favorito l espansione di mezzi di comunicazione vecchi e nuovi: in primis, la rete Internet e le sue diverse declinazioni (e-mail, chat, newsletter, forum), poi la telefonia mobile (ed insieme ad essa sms, mms e videochiamate) e, da ultimo, l incremento di 7

canali televisivi per effetto della diffusione tra il pubblico della parabola satellitare e del cosiddetto «digitale terrestre». Per anni la pubblicità è stata legata esclusivamente ai media tradizionali. La comunicazione d'impresa, tuttavia, è sempre stata alla ricerca di nuovi mezzi attraverso i quali diffondere i propri messaggi fra il pubblico dei potenziali consumatori, ed ha trovato, in questi ultimi anni, il favore di nuovi media che a loro volta l hanno utilizzata come strumento legittimo di sostentamento. L'avvento di tali cambiamenti è stato, quindi, salutato con entusiasmo dagli operatori del settore. Per gli inserzionisti pubblicitari risulta, insomma, sempre più facile comunicare. Tale progresso, tuttavia, sebbene abbia favorito la crescita della comunicazione di massa, di contro ha anche accresciuto le probabilità di un uso illecito e dannoso della pubblicità. Le disposizioni entrate in vigore con il D. Lgs. n. 74/1992, integrate da norme in tema di pubblicità comparativa illecita, attuative della direttiva 97/55/CE, sono state in seguito trasposte negli articoli da 18 a 27 del D.lgs. n. 206/2005 (c. d. Codice del consumo). La disciplina così introdotta mirava espressamente a tutelare tutti gli interessi potenzialmente coinvolti dalla comunicazione commerciale ingannevole, ossia quelli dei consumatori, vittime dirette dell inganno, quelli dei concorrenti, svantaggiati a favore delle imprese che ricorrono all inganno o alla comparazione illecita e, più in generale, quelli del pubblico alla correttezza della comunicazione commerciale. Con i decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007, in vigore dal 21 8

settembre 2007, infine, il Governo ha recepito le Direttive comunitarie 2006/114/CE e 2005/29/CE. La prima modifica la vigente normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese; la seconda introduce la nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali (ivi incluse le comunicazioni ingannevoli), per disciplinare i rapporti tra le imprese e i consumatori. Anche in questo caso, entrambe le discipline sono applicate dall AGCM, dotata allo scopo, oltre che del potere di attivarsi d ufficio, di penetranti poteri investigativi e sanzionatori. Il presente lavoro di tesi propone, dopo il primo capitolo dedicato ad un breve excursus sulla disciplina in tema di pubblicità commerciale, un ampia riflessione sull evoluzione della normativa della pubblicità ingannevole, con particolare riguardo alla modifica determinata dai D.lgs. nn. 145 e 146/2007, con i quali il legislatore, integrando ed innovando la disciplina complessiva, ha dimostrato maggiore attenzione per la tutela del consumatore, oltre che per la tutela del mercato e dei meccanismi concorrenziali. Per evidenziare l importanza della predetta evoluzione normativa nei suoi aspetti pratici ed applicativi, nel terzo capitolo si analizzano le funzioni di controllo ed i poteri sanzionatori dell Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, e li si mette a confronto con quelli del Giurì di Autodisciplina, esaminandone alcune recenti sentenze in settori di intervento analoghi, confrontandole al fine di far emergere affinità e divergenze tra i criteri decisionali dei due sistemi, ed evidenziandone il ruolo di strumenti operativi 9

da cui dipende la realizzazione di una efficace tutela del consumatore contro la pubblicità ingannevole. 10

CAPITOLO I LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PUBBLICITA COMMERCIALE: UN EXCURSUS 1. Definizioni e profili di analisi della pubblicità In Italia la prima definizione normativa di pubblicità è contenuta nell art.2, comma 1 del D.Lgs. 25/01/1992 n. 74, che la definisce come qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell esercizio di un attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi, oppure la prestazione di opere o servizi. Questo decreto legislativo rappresenta l attuazione nel nostro ordinamento dell art.2 comma 1 della direttiva 84/450/CEE in materia di pubblicità ingannevole, che a sua volta definisce pubblicità qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell esercizio di un attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi. Prima ancora, era stata la legge ordinaria, ed in particolare la L.06/08/1990 N 223 sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato (la cosiddetta legge Mammì) a fornire un articolata disciplina della pubblicità, anche se limitatamente al settore televisivo e radiofonico, definendo per la prima volta alcuni principi essenziali sul tema. Ancora più ampio risulta essere il significato dato al termine dal Codice dell Autodisciplina Pubblicitaria (CAP) adottato dall Istituto dell Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), ente privato che raccoglie 11

numerose associazioni, organizzazioni ed enti del settore e che ha affidato ad un apposito Giurì il controllo della pubblicità diffusa dai propri associati. Nel CAP la pubblicità è definita come ogni forma di comunicazione, anche istituzionale, diretta a promuovere la vendita di beni o servizi, quali che siano le modalità utilizzate. 1 Quest ultima definizione fa rientrare nella pubblicità commerciale anche quella istituzionale, che, pur non avendo come obiettivo diretto quello della vendita di beni o servizi, persegue in realtà lo stesso scopo, ovvero l accreditamento dell immagine dell azienda agli occhi dei consumatori, promuovendo condizioni generali favorevoli all accettazione diffusa dei suoi beni o servizi. L Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), autorità indipendente con competenze anche in materia di pubblicità ingannevole, fornisce una sua definizione di pubblicità considerando tale quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici (attraverso mezzi come la televisione, la radio, i giornali, le affissioni, la posta, Internet), che tende in modo intenzionale e sistematico a influenzare gli atteggiamenti e le scelte degli individui in relazione al consumo di beni e all utilizzo di servizi.. 2 La comunicazione pubblicitaria attualmente costituisce lo strumento di realizzazione di una serie di molteplici rapporti, se si considera che essa rappresenta, per le imprese, lo strumento più importante di valorizzazione di 1 Definizione tratta dal sito web dell IAP, www.iap.it 2 Definizione tratta dal sito web dell AGCM, www.agcm.it 12

prodotti e servizi, e che, per quanto concerne le imprese di comunicazione, (radio, TV e giornali), le risorse pubblicitarie costituiscono la principale fonte di finanziamento. 3 La pubblicità può essere osservata sotto tre specifici profili: quello contrattuale, nel quale essa assume rilievo in quanto qualifica un offerta diretta al pubblico, o il contenuto delle obbligazioni assunte dal venditore/fornitore nei confronti del consumatore; quello concorrenziale, dal momento che la promozione della propria immagine e dei propri prodotti/servizi svolge un ruolo fondamentale nelle relazioni tra imprese appartenenti allo stesso segmento di mercato; e infine un terzo profilo, aggiunto più di recente, che è quello della tutela dei consumatori e la conseguente disciplina a protezione di interessi collettivi e individuali. A questi fattori se ne aggiunge un quarto: la pubblicità ha un forte potere di persuasione che non può essere lasciato incontrollato, e che costituisce la principale motivazione di molti interventi di disciplina. 4 3 S. SICA V. D ANTONIO, Commento degli artt. 19-27, in P. STANZIONE, G. SCIANCALEPORE (a cura di), Commentario al Codice del Consumo, IPSOA 2006, p.100 ss. 4 V. ZENO ZENCOVICH, Prospettive di disciplina delle risorse e dei messaggi pubblicitari, in Diritto dell Informazione e dell Informatica,1996, 7ss. 13

2. Pubblicità, concorrenza e tutela dei consumatori: la storia di un difficile equilibrio In Italia, tali iniziative legislative presero spunto da una vecchia querelle che per alcuni decenni divise dottrina e giurisprudenza sul tema degli effetti prodotti dalla diffusione di messaggi pubblicitari sugli equilibri concorrenziali del mercato. Per vari decenni, la maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati economicamente più evoluti è stata del tutto sprovvista di una disciplina normativa organica, che comprendesse una adeguata regolamentazione delle molteplici fattispecie di rilievo giuridico connesse con il fenomeno pubblicitario. I primi interventi normativi posti in essere nei vari Paesi, peraltro, prendevano in considerazione, tra le diverse problematiche giuridiche connesse al fenomeno pubblicità, esclusivamente quelle attinenti alla leale concorrenza tra imprese, e agli episodi di sviamento di clientela derivanti dalla diffusione di messaggi pubblicitari dal contenuto ingannevole; nessuna attenzione veniva, invece, riservata alla possibilità che tali messaggi potessero causare danni concreti ai consumatori. 5 La Magistratura ordinaria riteneva censurabili esclusivamente i messaggi pubblicitari strutturati in maniera tale da arrecare pregiudizio alla reputazione personale o commerciale di un concorrente; al di là di questo, tutto (comprese 5 Cfr. D. MARRAMA, La pubblicità ingannevole Il giudice amministrativo e la natura giuridica delle decisioni delle authorities, Editoriale Scientifica, Napoli 2003, p.17. 14

lodi eccessive e affermazioni false), veniva considerato lecito, sulla base del cosiddetto dolus bonus, ovvero il costume dei produttori e dei commercianti di esaltare esageratamente le merci e i servizi. Tale principio determinava l indulgenza dei giudici nei confronti dei comportamenti suddetti, demandando integralmente il rischio connesso all inganno pubblicitario sulle spalle dei consumatori. 6 Si dovette attendere la fine degli anni Sessanta per alcune sporadiche pronunce che portarono i primi colpi al monolite del dolus bonus, censurando quei messaggi pubblicitari che, in virtù di affermazioni false in essi contenute, risultavano anche solo potenzialmente idonei a determinare ingiustificati trasferimenti di preferenze. Infatti, a seguito dello sviluppo delle tecniche e dei media pubblicitari, con la loro smisurata capacità di penetrazione e di suggestione, si é reso opportuno restringere i confini della tollerabilità di affermazioni che in mercati meno evoluti si traducono in un inganno del pubblico. Fu proprio a partire da quegli anni che la comunicazione promozionale poté approfittare in maniera considerevole dei nuovi ritrovati dell industria tecnologica; l ingresso della televisione in un numero sempre maggiore di abitazioni conferì, infatti, alla réclame, quella familiarità che è stata uno tra i principali fattori che hanno innescato la miccia del boom economico. Con il passare degli anni, il rapporto tra pubblicità e mezzi di comunicazione di 6 D. MARRAMA, Op. Cit., p.21 ss. 15

massa è andato intensificandosi in maniera esponenziale; si è passati da una situazione di partenza nell ambito della quale i media si limitavano ad ospitare al loro interno annunci pubblicitari estemporanei ed isolati, all attuale situazione caratterizzata da un controllo diffuso ed un influenza pressante del sistema pubblicitario sulle scelte di programmazione e di palinsesto. Il consolidarsi di sistemi economici strutturati sulla mass production e sulla mass distribution, e l ormai imprescindibile considerazione delle rilevanti ripercussioni concrete che potevano indubbiamente prodursi sui singoli individui in seguito alla diffusione capillare di messaggi pubblicitari, imposero alla dottrina giuridica degli Stati economicamente più sviluppati un ampliamento di orizzonti. Fino ad allora, come si è detto, i giuristi che si erano cimentati con le problematiche connesse alla comunicazione promozionale si erano limitati ad analizzare esclusivamente gli aspetti concorrenziali del fenomeno pubblicitario; da quel momento in poi, invece, ai giuristi fu praticamente imposto lo studio di tematiche nuove, quali la tutela dei consumatori (i cosiddetti contraenti deboli) e gli aspetti giuridici della comunicazione promozionale. Successivamente, intorno alla metà degli anni Settanta, i ricercatori di diversi Paesi compresero che un adeguata tutela degli interessi dei consumatori poteva essere garantita esclusivamente da forme di controllo e di verifica delle modalità attraverso le quali le singole imprese promuovevano sul 16

mercato i loro prodotti. Da quel momento in poi, nei diversi Paesi europei, la dottrina di settore ha seguito un percorso evolutivo pressoché uniforme. 3. Il percorso italiano In Italia, in assenza di una normativa specifica sulla materia, gli operatori pubblicitari, hanno costituito lo IAP ( Istituto Autodisciplina Pubblicitaria ), ente privato a base associativa, che ha affidato a un Giurì appositamente costituito il controllo della pubblicità diffusa dai suoi associati. L'Istituto ha elaborato un Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, pubblicato per la prima volta nel 1966 e da allora costantemente aggiornato. Tale codice prevede, tra l'altro, la repressione della pubblicità ingannevole ed il controllo della correttezza della pubblicità comparativa. Il Codice vincola solo gli associati, che a loro volta, si impegnano ad obbligare contrattualmente al suo rispetto i soggetti, eventualmente non associati, con i quali concludono contratti pubblicitari. Le norme di legge esistenti ed il Codice di Autodisciplina non erano però sufficienti a tutelare il diritto del consumatore a ricevere una informazione pubblicitaria veritiera e affidabile. È stata la Comunità Europea a dare un forte impulso allo sviluppo della materia, adottando nel 1984 la direttiva 84/450/CEE, che stabiliva i principi generali in materia di pubblicità ingannevole ai quali le legislazioni degli stati membri dovevano uniformarsi. Dopo un lunghissimo dibattito, la prima direttiva è stata modificata, con l'emanazione, nel 1997, della direttiva 97/55/CE, che 17

tratta, appunto, della pubblicità comparativa. L'Italia ha dato attuazione alla Direttiva Comunitaria 84/450/CEE adottando il decreto legislativo n. 74 del 25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole; in seguito, ha recepito le prescrizioni comunitarie in materia di pubblicità comparativa attraverso una modifica dello stesso decreto legislativo. Tale modifica è stata apportata dal decreto legislativo n. 67 del 25 febbraio 2000. L'organo incaricato dell'applicazione di entrambe le discipline così in vigore è l'autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, cioè la medesima autorità amministrativa che applica la legge antitrust ( legge 10 ottobre 1990, n. 287 ). In sede comunitaria, tuttavia, il cammino dell evoluzione delle discipline a tutela del consumatore non si era arrestato, e si era posto in agenda l apprestamento di strumenti di protezione massima dei consumatori nei confronti di tutte le pratiche sleali. È da qui che scaturisce la Direttiva 2005/29/CE, che, oltre ad introdurre, appunto, una nuova disciplina delle pratiche commerciali sleali (che includono le comunicazioni ingannevoli) tra imprese e consumatori, modifica la precedente disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa illecita (la modifica è stata poi codificata con la Direttiva 2006/114/CE), in modo da riservarla all esclusiva tutela delle imprese. Nel recepire i cambiamenti, il legislatore italiano ha inserito le norme in materia di pratiche commerciali sleali (che ha preferito denominare scorrette ) nel Codice del consumo (D. Lgs. 206/2005), per poi riportarle al di fuori di esso con il D. Lgs. 146/2007, assieme alla disciplina della pubblicità 18

ingannevole e comparativa illecita, per la quale si deve fare autonomo riferimento al D.Lgs. n. 145/2007. 19

CAPITOLO II LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA INGANNEVOLE IN ITALIA 1. Il D. Lgs. n.74 del 25 gennaio 1992 Con il d.lgs. n. 74/92, il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva CEE del 10 settembre 1984, n. 450, dedicata alla repressione della pubblicità ingannevole. Comincia così a delinearsi un nuovo sistema di regolazione dei contenuti della pubblicità. Il decreto indica come pubblicità ingannevole ogni messaggio che, in qualunque modo, possa essere tale da «indurre in errore le persone fisiche e giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente». L idoneità dannosa della condotta si esplica, dunque, sia nella direzione dei consumatori, che rischiano di subire lesioni dall affidamento riposto nel messaggio decettivo (lesioni tipicamente economiche, ma che potrebbero colpire altresì la stessa integrità fisica del consumatore: si pensi ad esempio al messaggio ingannevole relativo a specialità medicinali, cosmetiche o comunque destinate ad uso corporeo), sia in quella dei concorrenti, che rischiano di subire sviamenti di clientela illegittimi, perché conseguenza di giudizi formulati sulla base dei falsi dati ad essi forniti dal concorrente. 7 7 G. ROSSI, La pubblicità dannosa Concorrenza sleale, diritto a non essere ingannati, diritti della personalità, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Giuffrè, Milano, 2000, p.6. 20

Questo decreto legislativo consente, così, alle imprese concorrenti, alle associazioni di consumatori e ai singoli consumatori, oltre che alle Pubbliche Amministrazioni, di denunciare comportamenti pubblicitari ritenuti illeciti e sottoporre così la denuncia all Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. 1.1. Finalità Il 1 comma dell articolo 1 riproduce sostanzialmente l art. 1 della direttiva CEE, il quale dichiara di voler tutelare il consumatore e le persone che esercitano un attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi del pubblico in generale dalla pubblicità ingannevole e dalle sua conseguenze sleali. Una tale disciplina contro la pubblicità ingannevole può essere posta a tutela di una molteplicità di interessi e presenta, pertanto, una collocazione teorica articolata. Scopo della normativa è, dunque, quello di assicurare una generalizzata tutela della collettività contro la pubblicità ingannevole. 8 Mentre la norma comunitaria, tuttavia, menziona in primo luogo il consumatore, e solo al secondo posto le persone che esercitano un attività commerciale, industriale o artigianale, ( il che ha condotto alcuni a concludere per la centralità dell interesse del consumatore nell ottica adottata dal legislatore 8 P. MARCHETTI - C. UBERTAZZI (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza antitrust, concorrenza sleale, pubblicità, marchi, brevetti, diritto d autore,cedam, Padova, 2004, p. 1930 ss. 21

comunitario 9 ), l ordine adottato dalla norma nazionale è esattamente inverso. Tale inversione non ravvisa, peraltro, la volontà di ridurre la repressione della pubblicità ingannevole in un ottica di tipo concorrenziale, assegnando importanza solo secondaria alla tutela degli interessi del consumatore e del pubblico in generale. Appare, invece, più plausibile una equiparazione, da parte del legislatore nazionale, dell interesse del consumatore e di quello dei soggetti che svolgono un attività economica, 10 protetti il primo contro la pubblicità ingannevole, i secondi contro le sue conseguenze sleali. L ampiezza di tale formulazione sembra dunque, estendere la tutela contro la pubblicità ingannevole a tutti coloro che svolgono un attività di produzione o di scambio di beni o servizi. La stessa nozione di consumatore è da intendersi in senso estremamente ampio, comprendendo non solo chi abbia effettivamente acquistato il prodotto o servizio pubblicizzato, ma anche chi si proponga di farlo e, più in generale, tutti coloro cui il messaggio pubblicitario sia indirizzato o che possano essere raggiunti da esso. 11 Conseguentemente, godono della medesima legittimazione e tutela sia i consumatori che sono rimasti concretamente ingannati dalla pubblicità, sia tutte le persone fisiche o giuridiche che, pur non avendo subito alcun danno, rappresentano i destinatari cui la pubblicità è rivolta o che essa raggiunge. E 9 V. MELI, La repressione della pubblicità ingannevole: commento al D. Lgs. 25 gennaio 1992, n.74, Torino 1994, p.8 ss. 10 M. FUSI P.TESTA P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole: commento al D.Lg. 25 gennaio 1992, n.74, Giuffrè, Milano 1993, p.77 ss. 11 M. FUSI P.TESTA P. COTTAFAVI, Op. cit., p. 81. 22

stato osservato che la genericità di tale formulazione rende difficile, se non impossibile, l individuazione di una vera e propria categoria di consumatori a cui dovrebbero far capo gli interessi tutelati dal decreto, finendo per far coincidere il consumatore con qualunque membro della collettività. 12 Tale profilo di tutela dei destinatari della comunicazione pubblicitaria contro le scelte economicamente pregiudizievoli cui essi possano essere indotti da false rappresentazioni della realtà, non rappresenta che una conquista di quel movimento di consumerism che, sviluppatosi da più di mezzo secolo negli Stati Uniti, ha attraversato l oceano, finendo con l interessare anche Paesi come il nostro, che per ragioni sociali ed economiche, si erano mostrati, fino a questo momento, restii a recepire nel proprio ordinamento strumenti di consumer protection 13. Il 2 comma dell art.1 indica i tre requisiti fondamentali del messaggio pubblicitario: trasparenza, veridicità e correttezza. Che la pubblicità debba essere palese, ovvero immediatamente riconoscibile, viene approfondito e meglio precisato nell art. 4. Con il principio della veridicità, il legislatore ha voluto richiamare l esigenza che la comunicazione pubblicitaria sia sincera, cioè che, non per questo rinunciando alle tecniche di persuasione, si rivolga ai suoi destinatari nel rispetto di un criterio di ragionevolezza e che fornisca dati sufficienti ed esatti su di un prodotto concreto, ben determinato e definito 12 A. M. DELFINO, La pubblicità ingannevole (D.Lg. 25.1.1992 n.74), in G. VETTORI (a cura di), Materiali e commenti sul nuovo diritto dei consumatori, CEDAM, Padova, 1999, p.477 ss. 13 V. MELI, Op. Cit. p.7. 23

nelle sue caratteristiche. Infine, la pubblicità deve essere corretta, ossia non deve contenere elementi che possano in qualsiasi modo screditare o ledere l immagine dei concorrenti. Con questo decreto pertanto, l ordinamento italiano assume tra i suoi principi, l accettazione di quei pregiudizi, anche gravi, che possono derivare ad un imprenditore dal successo del suo concorrente conquistato per effetto di una pratica commerciale sleale. 1.2. Definizioni L art. 2 è suddiviso in 4 commi, dedicati rispettivamente alle definizioni di pubblicità, pubblicità ingannevole, pubblicità comparativa e operatore pubblicitario. La definizione della nozione di pubblicità commerciale è la prima contenuta in un testo legislativo italiano. 14 Essa è molto ampia, in quanto non pone alcun limite né alla forma del messaggio né al suo mezzo di diffusione, essendo essenzialmente concentrata sul profilo teleologico della pubblicità, ovvero sulla promozione di un attività economica, prescindendo dalla qualifica di imprenditore e dalla natura pubblica o privata del soggetto nel cui interesse la comunicazione è diffusa. Infatti viene riconosciuta natura pubblicitaria anche a quei messaggi che promuovono attività professionali esercitate in forma non imprenditoriale, o prestazioni di servizi erogate dalla 14 Per la definizione di pubblicità contenuta nell art. 2 a si rimanda al paragrafo 1.1. 24

Pubblica Amministrazione o da altre organizzazioni collettive. 15 Non rientra, invece, nella nozione di pubblicità accolta del D. Lgs. n. 74/1992, la comunicazione non proveniente da un operatore economico che sia volta a promuovere un iniziativa senza fine di lucro 16, ovvero la cosiddetta pubblicità sociale, quella diretta a promuovere comportamenti di carattere sociale (ad esempio le campagne Pubblicità Progresso, Telefono Azzurro, quelle contro la droga, per la prevenzione dell AIDS, gli annunci diffusi da organizzazioni no profit volte a sensibilizzare il pubblico sull importanza della diagnosi precoce dei tumori), oppure ad informare sui diritti e doveri dei cittadini (campagne promosse dalle pubbliche amministrazioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi, per l istruzione sulle modalità di esercizio del voto ecc.). Non rientrano in tale nozione di pubblicità neppure le comunicazioni a contenuto politico, ideologico o religioso. Non è invece necessario che il messaggio persegua direttamente uno scopo promozionale, essendo sufficiente che questo sia perseguito anche solo in maniera indiretta, come accade nel caso della pubblicità istituzionale, finalizzata all affermazione dell immagine dell impresa. Il messaggio pubblicitario comprende svariate forme: l advertising classico (cioè la pubblicità diffusa attraverso stampa, televisione, radio, affissioni), ma anche la pubblicità cosiddetta below the line (pubblicità sul punto 15 A. M. DELFINO, Op. Cit., p. 483. 16 M. FUSI P.TESTA P. COTTAFAVI, Op. Cit., p. 91 ss, V. MELI, Op. Cit., p. 28 ss. 25