Contributi INPS: retribuzioni convenzionali per i lavoratori espatriati 1



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Transcript:

Contributi INPS: retribuzioni convenzionali per i lavoratori espatriati 1 Le retribuzioni convenzionali di cui all art. 4, c. 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, costituiscono base imponibile per il calcolo dei contributi dovuti a favore dei lavoratori operanti all estero in Paesi extracomunitari non legati all Italia da accordi di sicurezza sociale. Negli altri casi, i contributi devono essere versati sulla retribuzione lorda complessivamente percepita dal dipendente espatriato. Con circolare n. 31 del 09/02/2011 l Inps ha dato conto della pubblicazione del DM. 03.12.2010 (G.U. del 24 dicembre 2010, n.300) di determinazione delle retribuzioni convenzionali valide per i lavoratori italiani in servizio all estero in Paesi non legati all Italia da convenzioni in materia di sicurezza sociale ed ha confermato il proprio precedere orientamento in tema di ambito territoriale di applicazione e istruzioni operative. Considerato che, recentemente, alcune sentenze di merito hanno fatto propria un interpretazione contraria rispetto a quella dell Istituto, la circolare costituisce l occasione per una riflessione finalizzata a valutare la correttezza giuridica delle istruzioni fornite dall Inps. Ricordiamo che l art. 4, c. 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito con modificazioni in legge 3 ottobre 1987, n. 398 stabilisce che per il calcolo dei contributi dovuti a favore dei lavoratori operanti all estero in Paesi extracomunitari non legati all Italia da accordi di sicurezza sociale devono essere prese a riferimento delle retribuzioni convenzionali che vengono annualmente aggiornate con decreto ministeriale. Successivamente all introduzione della norma, per molti anni, non vi è stato alcun dubbio interpretativo in merito alla base imponibile da utilizzare per calcolo dei contributi previdenziali da versare all Inps in favore dei lavoratori italiani operanti all estero. Vi erano infatti tre macrocategorie: a) lavoratori operanti all estero in paesi extracomunitari non legati all Italia da accordi di sicurezza sociale (per i quali, come si è visto, i contributi dovevano essere versati sulla base di retribuzioni convenzionali); b) lavoratori operanti in paesi comunitari, cui era applicabile il reg. comunitario n. 1408 del 1971 (oggi sostituito dai regolamenti CEE nn. 883/2004 e 987/2009). 1 Articolo pubblicato su Il Quotidiano Ipsoa del 28 febbraio 2011, a cura di M. Compagnino 1

c) lavoratori operanti in paesi legati all Italia da una convenzione bilaterale. Per gli espatriati facenti parte delle categorie b) e c), il regolamento comunitario e le convenzioni bilaterali, con varie sfumature, prevedevano che il dipendente potesse versare i contributi in un solo paese (o l Italia o quello di destinazione) applicando la sola legislazione del paese in cui i contributi venissero versati. Una volta optato (o comunque ricevuta autorizzazione) per il versamento in Italia, risultava pacifica l applicabilità dell art. 12 l. n. 153 del 1969 e del noto principio di onnicomprensività della retribuzione dallo stesso stabilito. L art. 12 è stato poi modificato dall art. 6 d.lgs. n. 314 del 1997 il quale, al fine di perseguire la parificazione della base contributiva con quella fiscale, stabilisce che costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui all'art. 51, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, maturati nel periodo di riferimento. I dubbi interpretativi, che le circolari dell Inps hanno negli anni inteso dissipare, nacquero dal disposto dell art. 8 comma bis del t.u.i.r. d.p.r. n. 917 del 1986 introdotto dall'art. 36, l. 21 novembre 2000, n. 342. Tale norma stabilisce che in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398. Se è vero che la base imponibile fiscale è uguale a quella contributiva, il tenore letterale della norma porterebbe a ritenere che per tutti i lavoratori italiani operanti all estero, indipendentemente dal Paese di destinazione (e quindi dal fatto che lo stesso sia legato o meno da accordo bilaterale in materia di sicurezza sociale), i contributi devono essere versati sulle retribuzioni convenzionali che, ricordiamolo, sono di regola inferiori rispetto alla retribuzione lorda effettivamente percepita dal lavoratore espatriato. Tale interpretazione si traduce in un minor onere contributivo in capo all azienda ma anche in un notevole svantaggio per il lavoratore che, a parità di retribuzione, si troverebbe a percepire una minor pensione in virtù della minor base imponibile utilizzabile per il versamento contributivo nel corso del periodo di servizio prestato all estero. Con circolare INPS n. 86 del 2001, espressamente richiamata dalla circolare n. 31 del 2011 in commento, l Istituto ha subito chiarito che il suddetto comma 8 bis doveva essere interpretato nel senso che lo stesso dispiegava i propri effetti solo in ambito fiscale e non anche previdenziale. 2

Le ragioni di ordine sistematico con cui l Inps giustifica la propria interpretazione appaiono piuttosto solide e richiamano il parere reso dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, con nota prot. 10291/P6Ii 158 del 19.1.2001 della Direzione Generale della Previdenza ed Assistenza, Div. II^, all esito di una conferenza di servizi appositamente convocata: il principio ispiratore della legge n. 342/2000 è lo stesso della legge n. 398/1987. Entrambe le normative, cioè, si applicano nei casi in cui vi sia doppia imposizione, in Italia e all estero, come viene confermato anche dalle disposizioni applicative del Ministero delle Finanze. Inoltre, secondo il Ministero, bisogna tenere conto del fatto che le convenzioni per evitare la doppia imposizione fiscale e le convenzioni di sicurezza sociale seguono regole diverse. Mentre nelle prime è prevista, di norma, la competenza concorrente dell Italia e del Paese estero, nelle seconde è previsto l esonero dall obbligo contributivo nel Paese di occupazione con l applicazione del solo regime previdenziale italiano. L interpretazione «estensiva» sarebbe, infine, penalizzante per il finanziamento del sistema previdenziale, con una riduzione delle entrate, ancorché parzialmente compensata da una riduzione delle corrispondenti prestazioni, ma soprattutto per il lavoratore che, in virtù del calcolo contributivo introdotto dalla legge n. 335/1995, vedrebbe ridotto l importo del trattamento pensionistico Comunque la riduzione della copertura previdenziale esporrebbe l Italia nella Unione Europea sul piano della responsabilità per la violazione del principio della libera circolazione. Infine, tra gli effetti distorsivi può essere segnalata anche la disparità di trattamento che, per gli aspetti previdenziali, si verrebbe a creare tra i lavoratori che soggiornano all estero per periodi inferiori o superiori ai 183 giorni. Tale discrimine, se ha la sua ragion d essere nel campo fiscale, in quanto legato al concetto di «residenza fiscale», perde ogni significato se trasportato nel campo previdenziale, ove il concetto di «residenza» non rileva. Chiosa la circolare Inps del 2011: In conclusione -le disposizioni contenute nell art. 48, co.8bis del TUIR approvato con DPR 22.12.1986, n. 917, introdotte dall art. 36 della legge 21.11.2000, n. 342, vanno interpretate nel senso che le stesse esplicano i loro effetti esclusivamente in campo fiscale [ ] Sulla base di quanto precede, pertanto, al personale distaccato all estero in Paesi Cee o legati all Italia da accordi di sicurezza sociale continuano ad applicarsi le disposizioni nazionali ordinarie vigenti per i lavoratori operanti in Italia, e quindi la relativa base imponibile previdenziale deve essere determinata con riferimento alla retribuzione effettiva di cui all art. 12 della legge n. 153/1969, nel nuovo testo dettato dall art. 6 del D.Lgs. n. 314/1997, escludendo però dal generale riferimento all art.48 del TUIR [oggi art. 51 n.d.r.] il disposto del nuovo co. 8bis, che per quanto sopra illustrato esplica i suoi effetti unicamente ai fini degli adempimenti fiscali. Tale autorevole interpretazione, costantemente seguita dalle sedi Inps, è stata notevolmente criticata da alcuni autori, in quanto pretesamente contraria al tenore letterale del comma 8 bis dell art. 51 t.u.i.r. Come accennato, recentemente, una autorevole Corte d Appello ha fatto propria la tesi dell azienda e contraria a quella dell Istituto. 3

Con sentenza del 28 giugno 2010 (pubblicata in Mass. Giur Lav., 12, 2010 pag. 928) la Corte d Appello di Torino, ha infatti rigettato l appello promosso dall Istituto osservando che l art. 51, comma 8 bis è espressamente statuito «in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8», dunque è ad essa e solo ad essa, che si dovrà fare riferimento per la determinazione del reddito ai fini contributivi nell ipotesi di lavoratori che si trovino all estero per periodo superiore a 183 giorni (e in ciascun anno). Consegue, secondo la Corte, che non può non condividersi l assunto di parte appellata quando osserva che l introduzione del citato comma 8 bis è avvenuta in momento successivo all avvenuta equiparazione delle basi imponibile fiscale e previdenziale e che, se il legislatore avesse voluto applicare il comma 8 bis ai soli fini fiscali, non lo avrebbe inserito nell art. 51 del t.u.i.r. oppure lo avrebbe diversamente o espressamente limitato. Secondo la Corte, il tenore letterale della norma è insuperabile e non ammette interpretazioni di segno contrario basate su ragioni di ordine sistematico. Il versamento contributivo, in ogni caso, deve essere assolto sulle retribuzioni convenzionali. Ad avviso di chi scrive, la corretta interpretazione è in realtà quella fornita dall Istituto e la sentenza di appello citata è errata in quanto sconta una superficiale analisi della normativa fiscale. In sostanza, è vero che il comma 8 bis stabilisce che la base fiscale su cui versare le tasse in Italia, in quanto pari alla misura convenzionale, è inferiore alla retribuzione lorda percepita all estero per una prestazione svolta in periodo superiore a 183 giorni. Ciò non comporta però, automaticamente, che tale norma sia effettivamente applicabile per tutti gli espatriati (dovendosi prima verificare l esistenza di una convenzione bilaterale in materia di doppia imposizione) né che il versamento fiscale in Italia sulla base imponibile convenzionale esaurisca l obbligo tributario del dipendente verso entrambi gli stati. Una volta analizzate tali variabili, è semplice osservare che il comma 8 bis dell art. 51 del t.u.i.r. ha un campo di applicazione assai limitato sia dal punto di vista fiscale che, di conseguenza, da quello previdenziale. Con circolare applicativa dell Agenzia delle Entrate n. 207 del 2000, l Ufficio spiega concetti validi in materia fiscale ma dei quali può tenersi conto per la materia che ci impegna. Afferma la circolare n. 207: va in primo luogo precisato che la nuova normativa (si sta commentando il comma 8bis n.d.r.) si rivolge a quei lavoratori che, pur svolgendo l'attività lavorativa all'estero, in base all'articolo 2 del TUIR continuano ad essere qualificati come residenti fiscali in Italia. Si ricorda che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti: le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d'imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del codice civile; le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la residenza ai sensi del codice civile. È quindi in primo luogo molto semplice osservare che il comma 8 bis non potrà applicarsi, sia in ambito fiscale che previdenziale, ai dipendenti che nel periodo 4

di riferimento, siano stati fiscalmente residenti solo all estero, dove hanno pagato le tasse senza mantenere alcuna residenza fiscale in patria. Per tali dipendenti, chiaramente, l unica base imponibile utilizzabile per il calcolo dei contributi italiani versati nel periodo sarà la retribuzione lorda estera su cui gli stessi hanno pagato le tasse nel paese di destinazione. Diversamente argomentando, si arriverebbe alla assurda conclusione che il comma 8 bis dispiegherebbe i propri effetti, in questi casi, solo ai fini fiscali ma non anche a quello previdenziali. Continua la circolare dell Agenzia resta fermo, comunque, che la nuova normativa non troverà applicazione, qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l'italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese estero. In questo caso la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne. È notorio che l Italia ha ratificato -con tutti i paesi cui è legata da convenzione in materia di sicurezza sociale- la Convenzione OCSE (in materia di doppie imposizioni) che, all art. 15, stabilisce che i redditi prodotti da cittadino di uno Stato in altro Stato aderente alla Convenzione sono tassati nel secondo stato. Insomma, per espressa ammissione del Ministero delle Finanze, la normativa fiscale italiana non si applica in casi in cui il lavoratore venga trasferito in Paesi legati all Italia da convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni, se ivi risulterà fiscalmente residente, perché la convenzione, in questi casi, prevale sulle norme di diritto interno. Nelle fattispecie appena esaminate (che rappresentano la stragrande maggioranza dei casi), il lavoratore verserà le tasse nel Paese di destinazione su una base imponibile pari alla retribuzione lorda in busta paga secondo la normativa fiscale del Paese di destinazione. E se la norma italiana (segnatamente, il comma 8bis) non si applica dal punto di vista fiscale, non vi è alcuna ragione giuridica oltre che logica di applicarlo alla materia previdenziale. Il comma 8 bis potrà quindi applicarsi unicamente per lavoro svolto in Paese non legato da convenzione contro doppia imposizione ovvero quando, nonostante l espatrio, il dipendente continui ad essere fiscalmente residente solo in Italia ed ivi versi le tasse. Di conseguenza, anche ai fini previdenziali, il comma 8 bis potrà applicarsi solo in tali limitate ipotesi. A differenza di quanto ritenuto dalla Corte d Appello di Torino, tale interpretazione, non è affatto contraria alla normativa che regola la materia. Il chiaro disposto dell art. 12 l. n. 153 del 1969 come modificato dall art. 6 d.lgs. n. 314 del 1997 stabilisce che costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi quelli di cui all'art. 51, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, maturati nel periodo di riferimento. 5

Accettando l interpretazione della Corte d Appello di Torino si arriva all ingiusta conclusione che il lavoratore (nel caso esaminato dalla sentenza emigrato in U.S.A.) ha certamente pagato le tasse all estero sull intera retribuzione lorda ma, avrebbe avuto diritto al versamento dei contributi su una base imponibile inferiore, convenzionale, stabilita sulla scorta della (inapplicabile) normativa fiscale italiana. Tale risultato è inaccettabile per ragioni intuitive e, pertanto, deve ritenersi che l art. 12 l. n. 153 deve applicarsi nel senso che la parificazione fra la base imponibile previdenziale e quella prevista dall art. 51 del t.u.i.r. sia valida nella misura e nei limiti in cui detto art. 51 sia applicabile al caso di specie per il pagamento delle imposte. Per i casi, assai più frequenti, in cui il lavoratore versi le imposte all estero, ove è fiscalmente residente, l unica retribuzione imponibile da considerare per l assolvimento dell obbligo fiscale e, quindi, contributivo, è la retribuzione lorda complessiva percepita oltre confine. Per tali ragioni (e senza neanche dover ritenere una, pur non peregrina, ipotesi di violazione del principio di libera circolazione dei lavoratori) le istruzioni ripetutamente confermate dall Istituto e dal Ministero sono da ritenersi valide e preferibili alla diversa opinione contraria della richiamata Giurisprudenza. 6