La cessazione del rapporto di lavoro 233



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La cessazione del rapporto di lavoro 233 fatti e comportamenti estranei alla sfera del contratto e diversi dall inadempimento, purchè idonei a produrre effetti riflessi nell ambiente di lavoro ed a far venir meno la fiducia che impronta di sé il rapporto: si pensi ad un impiegato di banca di cui si accerti in giudizio l affiliazione alla criminalità organizzata. Ricorre, invece, il giustificato motivo soggettivo, secondo l art. 3 L. 604/1966, qualora vi sia un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro. Poiché la norma parla esplicitamente di inadempimento, i fatti che possono integrare il giustificato motivo soggettivo possono essere costituiti esclusivamente da comportamenti attinenti al rapporto contrattuale, non quindi fatti anche esterni al rapporto di lavoro, come invece nell ipotesi di giusta causa. L inadempimento costituente giustificato motivo è caratterizzato da una minore gravità quantitativa rispetto all inadempimento integrante la giusta causa di recesso, ma deve essere pur sempre notevole, altrimenti l inadempimento degli obblighi contrattuali potrà essere sanzionato esclusivamente con misure disciplinari meno gravi. Inoltre, l inadempimento deve essere dovuto a colpa del prestatore, in quanto altrimenti si tratterebbe di impossibilità sopravvenuta della prestazione per fatto attinente al lavoratore. Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ai sensi dell art. 3 della L. 604/1966, è legato a fatti inerenti all attività produttiva, all organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Quando il motivo del licenziamento è oggettivo (sia che riguardi l azienda sia il lavoratore) è ormai riconosciuta, per la legittimità del licenziamento, la necessità per il datore di lavoro di verificare preventivamente la possibilità di un altra proficua utilizzazione del lavoratore, anche in mansioni diverse (cd. obbligo di repechage): in pratica, il licenziamento deve risultare come extrema ratio rispetto alle circostanze verificatesi. 3 bis. Quali casi possono essere considerati come giustificato motivo oggettivo? Possono essere ricondotti alla nozione di giustificato motivo oggettivo: tutte quelle situazioni aziendali che possono condurre alla soppressione di un posto di lavoro, dall ipotesi di fattori eccezionali o determinati da cause contingenti e imprevedibili (una crisi di mercato o l ob-

234 Parte Quindicesima solescenza di una merce) alle scelte imprenditoriali concernenti le strategie produttive o organizzative (ad es. l automazione di un processo produttivo o il mutamento del modulo organizzativo); fatti attinenti alla sfera del lavoratore, ma a lui non imputabili a titolo di colpa, che hanno una ricaduta sull organizzazione aziendale e che legittimano l interruzione del rapporto: si pensi alla perdita di titoli professionali necessari per lo svolgimento di un attività oppure alla sopravvenuta inidoneità fisica permanente alla mansione a seguito della quale il datore eserciterà il recesso. 3 ter. Se il contratto collettivo definisce il fatto addebitato al lavoratore giusta causa di licenziamento, il giudice è vincolato a tale inquadramento? Sì. A seguito della L. 4-11-2010, n. 183, cd. collegato lavoro, la giusta causa ed il giustificato motivo rientrano nell ambito delle cd. clausole generali, rispetto alle quali il giudice deve limitarsi ad accertare il presupposto di legittimità, senza poter sindacare il merito delle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che spettano al datore di lavoro. In particolare, nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice deve tener conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro (stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi) o nei contratti individuali di lavoro purché certificati secondo la procedura prevista dal D.Lgs. 276/2003 (art. 30, co. 3, L. 183/2010). 3 quater. Quali sono le principali differenze tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo? La differenza più importante tra i due concetti sussiste sotto il profilo quantitativo, poiché la giusta causa consiste in fatti di maggiore gravità rispetto a quelli che identificano il giustificato motivo soggettivo. Altro elemento di distinzione è dato dalle conseguenze della diversa imputazione: nell ipotesi di giusta causa, il recesso sarà immediato ed il lavoratore non avrà diritto al preavviso lavorato; in caso di giustificato motivo soggettivo, il prestatore lavorerà normalmente durante il periodo di preavviso e avrà diritto alla relativa retribuzione.

La cessazione del rapporto di lavoro 235 Infine, è opportuno ricordare che la giusta causa, a differenza del giustificato motivo soggettivo, non viene integrata esclusivamente da notevoli inadempienze degli obblighi contrattuali, ma è ravvisabile anche in fatti e comportamenti estranei alla sfera del contratto e diversi dall inadempimento, idonei a far venire meno il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. 3 quinquies. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che investe una pluralità di lavoratori in cosa si differenzia dal licenziamento collettivo per riduzione di personale di cui alla L. 223/1991? Si tratta di fattispecie differenti, a fondamento delle quali, tuttavia, vi sono le stesse ragioni aziendali (riduzione della produzione, riorganizzazione e ristrutturazione aziendale etc.). Se ricorrono determinati presupposti (5 licenziamenti in 120 giorni) si applica la disciplina sui licenziamenti collettivi per riduzione di personale di cui alla L. 223/1991. In caso contrario, il recesso intimato per fatti organizzativi dell impresa, anche quando coinvolge più lavoratori, è considerato licenziamento individuale e non collettivo: si parla in tale ipotesi propriamente di licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo. In effetti, non esiste una differenza intrinseca tra le due fattispecie (licenziamento collettivo e licenziamento plurimo), se non per il fatto che, quando il licenziamento coinvolge un certo numero di lavoratori (5 lavoratori in 120 giorni), si determina un ragionevole clima di allarme sociale tale da richiedere il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e la ricerca di soluzioni alternative con le procedure della L. 223/1991. 4. In quali ipotesi sussiste un vero e proprio divieto di licenziamento? Riferimenti normativi: artt. 2110-2111 c.c.; art. 51 Cost.; L. 370/1955; L. 300/1970; art. 54 D.Lgs. 151/2001; art. 35, D.Lgs. 198/2006. Disciplina: il licenziamento è vietato: in caso di matrimonio del lavoratore; in caso di stato di gravidanza e di puerperio;

236 Parte Quindicesima per infortunio o malattia professionale; per malattia generica; in caso di richiamo alle armi; per i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, per i candidati ed i membri di commissione interna; per i lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni; per i lavoratori che partecipano a scioperi. Domande consequenziali: periodo di comporto; ammissibilità del licenziamento per giusta causa nel periodo di comporto. Articolazione della risposta Il recesso del datore di lavoro è vietato nei seguenti casi: matrimonio del lavoratore: il licenziamento non può essere intimato nel periodo compreso dal giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio; stato di gravidanza e di puerperio: il divieto opera dall inizio dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino; fruizione dei congedi previsti dalla legge: è nullo il licenziamento del lavoratore causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per malattia da parte della lavoratrice e del lavoratore; è altresì vietato il licenziamento intimato al lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità; infortunio o malattia professionale: il divieto dura per tutto il periodo previsto dalla legge o dai contratti collettivi (art. 2110 c.c.); malattia generica: il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un periodo, di regola stabilito dai contratti collettivi, che varia in dipendenza dell anzianità di servizio e della categoria di appartenenza; richiamo alle armi: il lavoratore richiamato alle armi ha diritto alla conservazione del posto per il periodo del richiamo e non può essere licenziato prima che siano trascorsi tre mesi dalla ripresa dell occupazione; per i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, per i candidati ed i membri di commissione interna, per i quali il divieto di licenziamento sussiste per un anno dalla cessazione dell incarico (tre mesi dalle elezioni, per i candidati non eletti) (artt. 18 e 22 St. lav.); i lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni (art. 51 Cost.); i lavoratori che partecipano a scioperi, i quali non possono essere licenziati per espressa previsione dell art. 15 dello Statuto dei lavoratori.

La cessazione del rapporto di lavoro 237 4 bis. Cos è il periodo di comporto? L arco di tempo durante il quale opera il divieto di licenziamento per una delle ragioni previste dalla legge è chiamato periodo di comporto e la sua durata è generalmente definita dalla contrattazione collettiva. Il licenziamento intimato durante il periodo di comporto è considerato illecito ed è inefficace. Se, a seguito di impugnazione da parte del lavoratore, viene accertata l invalidità del recesso, allora il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto e il lavoratore deve essere reintegrato nell originario posto di lavoro, oltre ad avere diritto ad un risarcimento del danno. 4 ter. Durante il periodo di comporto è ammesso il licenziamento per giusta causa? Sì: il divieto di licenziamento nel periodo di comporto non si applica nel caso sussista una giusta causa: in tale ipotesi, infatti, il rapporto di lavoro non può proseguire neanche provvisoriamente (art. 2119 c.c.), sicché il recesso non è inibito dalla sospensione del rapporto di lavoro per il periodo di comporto. Ad esempio, può costituire giusta causa di licenziamento la situazione del lavoratore ammalato che durante il periodo di comporto svolge attività lavorativa autonomamente o presso terzi, se, in tal modo, pregiudica o ritarda la guarigione e la conseguente ripresa dell attività lavorativa presso il datore (Cass. sent. 10706/2008). 5. Quali sono i requisiti procedurali per l intimazione del licenziamento? Riferimento normativo: art. 2 L. 604/1966. Disciplina: evidenziare la sussistenza di requisiti sostanziali (giusta causa e giustificato motivo) e requisiti procedurali, quali: immediatezza dell intimazione del licenziamento; forma scritta del licenziamento; comunicazione scritta dei motivi del licenziamento contestuale o entro 7 giorni dalla richiesta del lavoratore. Domande consequenziali: momento di produzione degli effetti del licenziamento; conseguenze dell illegittimità del licenziamento per violazione dei requisiti procedurali.

238 Parte Quindicesima Articolazione della risposta Il rispetto dei requisiti sostanziali cioè l esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, oggettivo o soggettivo che sia è condizione necessaria, ma non sufficiente perché il licenziamento possa dirsi legittimo. Occorre, infatti, che il licenziamento venga esternato con modalità ben precise, a garanzia del lavoratore. La procedura per l intimazione del licenziamento, disciplinata dall art. 2 L. 604/1966, come modificato dalla L. 108/1990, si articola nelle seguenti fasi: il licenziamento deve essere intimato dal datore di lavoro in forma scritta (la forma orale è ammessa solo per i licenziamenti dei lavoratori domestici e dei lavoratori in prova); la motivazione del recesso non deve necessariamente essere enunciata nell atto di intimazione del licenziamento ma il prestatore di lavoro può chiederla, entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento; il datore di lavoro, nei 7 giorni dalla richiesta del lavoratore, deve comunicare per iscritto i motivi che, una volta enunciati in modo preciso ed analitico, sono immutabili; l intimazione del licenziamento deve avvenire con immediatezza rispetto al verificarsi della causa che lo giustifica. 5 bis. Il licenziamento determina l interruzione immediata del rapporto di lavoro? No. Fatta eccezione per l ipotesi di giusta causa, il licenziamento non determina immediatamente l interruzione del rapporto, in quanto nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato la parte recedente deve dare all altra preavviso del recesso stesso (art. 2118 c.c.). Pertanto, dopo la comunicazione del licenziamento, per tutto il periodo di preavviso deve essere normalmente resa la prestazione da parte del lavoratore che continuerà a percepire la retribuzione. Se il datore di lavoro vi rinuncia, deve pagare al lavoratore l indennità di mancato preavviso, d importo pari alle retribuzioni di cui il lavoratore avrebbe altrimenti beneficiato. Se, invece, è il lavoratore a non voler proseguire l attività con il datore recedente, l inosservanza del preavviso lavorato impone al lavoratore l onere di pagare l indennità di mancato preavviso lavorato al datore.

La cessazione del rapporto di lavoro 239 5 ter. Quali sono le conseguenze a seguito della pronuncia di inefficacia di un licenziamento intimato senza forma scritta? Le conseguenze della dichiarazione di inefficacia sono diverse a seconda che il licenziamento intimato senza forma scritta avvenga nell area della stabilità reale (imprese con più di 15 dipendenti) o al di fuori di essa, ed in particolare: nell area della stabilità reale (oltre 15 dipendenti), troverà applicazione l art. 18 St. lav. e, conseguentemente, il lavoratore avrà diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (o, in alternativa, all indennità sostitutiva) e al risarcimento del danno di almeno 5 mensilità; al di fuori dell area della stabilità reale (fino a 15 dipendenti), sempre che non si tratti di licenziamento di natura disciplinare nel cui caso è prevista la tutela obbligatoria (riassunzione o risarcimento), si applicherà il regime di diritto comune: in pratica, il lavoratore avrà diritto ad essere riammesso al lavoro e a percepire le retribuzioni maturate dal momento del recesso illegittimo fino a quello della sua riammissione, in quanto il licenziamento, essendo inefficace, non sarebbe in grado di produrre la risoluzione del rapporto, che continuerebbe giuridicamente senza alcuna interruzione (GALANTINO). Va detto, inoltre, che se il licenziamento è inefficace per vizi di forma, il datore di lavoro può procedere ad un secondo licenziamento sulla base degli stessi motivi del primo. In quest ultimo caso, però, l estinzione del rapporto di lavoro, che è l effetto del recesso, si verifica soltanto a seguito del nuovo licenziamento. 6. Cosa si intende per licenziamento disciplinare? Riferimenti normativi: L. 604/1966; art. 7 L. 300/1970. Nozione: evidenziare che si tratta della più grave sanzione disciplinare adottabile dal datore di lavoro. Disciplina: la procedura prevista dalla L. 604/1966 è integrata con il regime più garantistico dell art. 7 St. Lav. (co. 1, 2, 3) per cui il datore di lavoro: deve preventivamente contestare al lavoratore l addebito; dargli il tempo di presentare le sue difese e di essere sentito; poi potrà intimargli il licenziamento. Domande consequenziali: applicabilità delle garanzie procedimentali ai lavoratori licenziabili ad nutum; conseguenze del licenziamento disciplinare intimato in violazione del procedimento; differenze procedurali tra licenziamento disciplinare e non.

240 Parte Quindicesima Articolazione della risposta Il licenziamento motivato dall inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, cioè quello per giusta causa o giustificato motivo soggettivo (a seconda della gravità), può anche qualificarsi come disciplinare: si tratta, in questo caso, della più grave sanzione disciplinare adottabile dal datore di lavoro. In tal caso, la legittimità del licenziamento è subordinata all osservanza sia dei requisiti stabiliti dalla L. 604/1966 (procedura per il licenziamento individuale), sia di quelli dell art. 7 dello Statuto dei lavoratori (L. 300/1970) (adozione di sanzioni disciplinari). La procedura prevista dalla L. 604/1966 viene infatti integrata con il regime più garantistico dell art. 7 St. Lav. (co. 1, 2, 3): il datore di lavoro deve preventivamente contestare l addebito al lavoratore, dargli il tempo di presentare le sue difese e di essere sentito, eventualmente anche con l assistenza di un membro sindacale. Poi potrà intimargli il licenziamento. A tali conclusioni si è giunti in seguito all intervento della Corte costituzionale (sent. 204/1982) che partendo dal presupposto che il licenziamento è la più grave delle sanzioni disciplinari perché espulsiva, ha ritenuto che ad esso debbano applicarsi le garanzie previste dall art. 7 St. lav. per l adozione delle sanzioni disciplinari (in genere conservative), perché altrimenti si avrebbe il paradosso che per l applicazione, ad esempio, di una semplice multa, si pretende il rispetto dell intero iter procedurale previsto dal predetto art. 7 St. lav., mentre per l intimazione del licenziamento per motivi disciplinari è sufficiente l osservanza delle sole formalità, meno rigorose, della L. 604/1966. In particolare, la Corte ha ritenuto doversi applicare i commi 1, 2 e 3 del citato art. 7 in quanto sono costituzionalmente illegittimi se interpretati nel senso che siano inapplicabili ai licenziamenti disciplinari (sent. 204/1982). A seguito di tale intervento, il licenziamento disciplinare è legittimo se: è formalmente contestato l addebito al lavoratore; è consentito al lavoratore di essere ascoltato e quindi di difendersi; è data facoltà al lavoratore di farsi assistere da un rappresentante del sindacato. Per quanto riguarda, invece, la garanzia della predeterminazione delle sanzioni disciplinari (art. 7, co. 1, St. lav.), prevale sia in dottrina che in

La cessazione del rapporto di lavoro 241 giurisprudenza la tesi per cui il licenziamento disciplinare è legittimo anche in assenza di previsione del licenziamento tra le sanzioni nel codice disciplinare aziendale. Secondo questo orientamento, l obbligo di pubblicità del codice disciplinare (mediante affissione in luogo accessibile a tutti) si applica soltanto quando il licenziamento disciplinare sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, non anche quando la violazione riguardi norme di legge, l etica sociale o comunque doveri fondamentali del lavoratore (sentt. Cass. 6974/2002, Cass. 4778/2004). 6 bis. Le garanzie procedimentali di cui all art. 7, co. 2 e 3, St. lav. si applicano anche in caso di licenziamento disciplinare di un lavoratore soggetto alla libera recedibilità da parte del datore? Sì. La Corte costituzionale (sent. 427/1989) ha sancito l estensione delle garanzie dell art. 7, co. 2 e 3, St. lav. anche ai lavoratori della cd. area della libera recedibilità, con il diritto degli stessi ad essere preventivamente informati delle motivazioni del provvedimento di recesso e a potersi difendere. Tuttavia, per quanto riguarda, in particolare, il licenziamento disciplinare dei dirigenti, c è da registrare una divergenza di posizioni nella giurisprudenza della Cassazione: le sezioni unite con sent. 6041/1995 hanno affermato che il licenziamento disciplinare del dirigente dipenderebbe da una sostanziale perdita di fiducia e non tanto da un comportamento colpevolmente inadempiente, che giustificherebbe il diritto al contraddittorio di cui all art. 7, co. 2 e 3, St. lav.; per contro, più recentemente, i giudici di legittimità hanno sancito l applicazione delle garanzie procedimentali (art. 7, co. 2 e 3, St. lav.) anche ai dirigenti, pur subordinandola alla dimostrazione, da parte del dirigente, che il licenziamento ad nutum sia stato in realtà determinato da un presunto inadempimento (Cass. 5213/2003). 6 ter. Quali conseguenze comporta l inosservanza delle garanzie procedimentali del licenziamento disciplinare? Nel caso in cui il licenziamento disciplinare sia adottato senza il rispetto delle garanzie previste dall art. 7 dello St. lav., esso dovrà considerarsi sostanzialmente ingiustificato con conseguente applicabilità del regime di

242 Parte Quindicesima tutela reale (reintegrazione e risarcimento) od obbligatoria (riassunzione o risarcimento), secondo la dimensione aziendale. 6 quater. Quali sono le differenze tra la procedura di intimazione di un licenziamento disciplinare e quella di un licenziamento non disciplinare? Mentre per il licenziamento non disciplinare l indicazione dei motivi può seguire o essere contestuale alla comunicazione del recesso, per il licenziamento disciplinare la contestazione dei fatti deve precedere l adozione del provvedimento espulsivo. Solo dopo aver comunicato al lavoratore inadempiente tempestivamente e con precisione le ragioni che inducono l impresa ad adottare un provvedimento disciplinare e solo dopo che questi abbia esposto, anche con l assistenza di un sindacato, le proprie controdeduzioni, il datore può legittimamente adottare la sanzione del licenziamento nel rispetto delle ulteriori modalità previste dalla L. 604/1966 (forma scritta dell atto e comunicazione dei motivi se richiesti dal prestatore) (MAZZIOTTI). 7. A seguito della L. 183/2010 entro quale termine si deve impugnare il licenziamento? Riferimento normativo: art. 6 L. 604/1966; art. 32 L. 183/2010. Disciplina: il licenziamento deve essere impugnato entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso da parte del datore di lavoro e entro i successivi 270 giorni deve essere depositato il ricorso giudiziale. Domande consequenziali: ambito di applicazione dei termini per impugnare; tempestività dell impugnazione; regime dell onere della prova. Articolazione della risposta La L. 604/1966 disciplina le modalità di impugnazione del licenziamento che il lavoratore deve seguire se intende contestarne la legittimità. La L. 4-11-2010, n. 183, cd. collegato lavoro, ha riformulato i primi due commi dell art. 6 della L. 604/1966, delineando un nuovo sistema di impugnazione da applicare a tutti i casi di invalidità del licenziamento. Il lavoratore, nel termine di decadenza di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione in forma scritta del licenziamento, ovvero dalla comunica-

La cessazione del rapporto di lavoro 243 zione, anch essa in forma scritta, dei motivi, se non contestuale, deve impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la sua volontà. Entro i successivi 270 giorni, a pena di inefficacia dell impugnazione, il lavoratore deve depositare il ricorso giudiziale ovvero comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato (art. 6, co. 2, L. 604/1966, come modif. dalla L. 183/2010). In tale seconda ipotesi, se la conciliazione o l arbitrato sono rifiutati o non è stato raggiunto l accordo, entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo deve essere depositato, a pena di decadenza, il ricorso giudiziale. Il D.L. 225/2010 conv. in L. 26-2-2011, n. 10 ha comunque disposto che l entrata in vigore di tali termini, introdotti dalla L. 183/2010, sia posticipata al 31-12-2011. 7bis. I termini fissati dall art. 6, co. 1 e 2, L. 604/1966 si applicano soltanto per l impugnazione del licenziamento? No. La L. 183/2010, cd. collegato lavoro, oltre a modificare il regime di impugnazione del licenziamento previsto dalla L. 604/1966, ne ha esteso l applicabilità anche a fattispecie diverse dal licenziamento, quali: legittimità del termine apposto al contratto; recesso del committente nei rapporti di co.co.co., anche a progetto; trasferimento del lavoratore da un unità produttiva ad un altra ex art. 2103 c.c. (il termine decorre dalla ricezione della comunicazione del trasferimento); nullità del termine apposto al contratto di lavoro ex artt. 1, 2 e 4 D.Lgs. 368/2001 (il termine decorre dalla scadenza del medesimo); cessione del contratto di lavoro avvenuta in caso di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c. (il termine decorre dalla data del trasferimento); richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto (compresa l ipotesi di somministrazione irregolare ex art. 27 D.Lgs. 276/2003). Oltre alle suddette ipotesi, i termini di cui al novellato art. 6 L. 604/66 si applicheranno anche ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati: in base al D.Lgs. 368/2001 (artt. 1, 2 e 4) ed in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della L. 183/2010 (24-11-2010), con decorrenza dalla scadenza del termine;

244 Parte Quindicesima anche in base alla normativa previgente al D.Lgs. 368/2001 e già conclusi alla data di entrata in vigore della L. 183/2010, con decorrenza da tale data. 7 ter. Per valutare la tempestività dell impugnazione del licenziamento si può fare riferimento alla data di consegna all ufficio postale? Sì. Sul punto la Corte di Cassazione (sez. civ., sent. 4-9-2008, n. 22287) ha affermato che l impugnazione del licenziamento individuale è tempestiva, ossia impedisce la decadenza di cui all art. 6 L. 604 /1966, qualora la lettera raccomandata sia, entro il termine di 60 giorni ivi previsto, consegnata all ufficio postale anche se viene recapitata dopo la scadenza di quel termine. In effetti, è stato recepito l orientamento elaborato dalla Corte Costituzionale (sent. 12-3-2004, n. 97), per cui in materia di decadenza processuale da impedire attraverso la notificazione di un atto, il momento di perfezionamento della notifica per il soggetto onerato dalla comminatoria di decadenza deve distinguersi da quello di perfezionamento per il destinatario: per il primo la decadenza è impedita attraverso la consegna dell atto all ufficiale giudiziario oppure all agente postale, poiché sarebbe irragionevole imporgli effetti sfavorevoli di ritardi nel compimento di attività riferibili a soggetti diversi. 7 quater. Il lavoratore ha l onere di provare in giudizio l infonda tezza del licenziamento impugnato? No: infatti, in base a quanto dispone l art. 5 L. 604/1966, è il datore di lavoro a dover dimostrare in giudizio la fondatezza del licenziamento impugnato, fermo restando che la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo può essere rilevata dal giudice anche d ufficio (Cass. sent. 3961/1996). Tale regime probatorio trova la sua ragion d essere nel fatto che oggetto della domanda giudiziale del lavoratore non è l invalidazione del licenziamento (nel qual caso l onere della prova sarebbe stato a carico del prestatore), ma l esercizio dei diritti collegati con la continuità del rapporto (nel caso della tutela reale) o la riassunzione o il risarcimento (nell ipotesi di tutela obbligatoria). 8. Quali forme di tutela sono approntate dalla legge per il lavoratore licenziato illegittimamente? Riferimenti normativi: art. 18 L. 300/1970; art. 8 L. 604/1966.

La cessazione del rapporto di lavoro 245 Disciplina: a seconda dei limiti dimensionali del datore di lavoro, per il lavoratore illegittimamente licenziato è prevista: la tutela reale (reintegrazione e risarcimento); la tutela obbligatoria (riassunzione o risarcimento). Domande consequenziali: criteri per l applicazione della tutela reale o obbligatoria; nozione di unità produttiva; onere della prova sui requisiti dimensionali; differenza tra licenziamento nullo e annullato; diritto al risarcimento in caso di rifiuto della riassunzione; differenza tra reintegrazione e riassunzione; tutela nelle organizzazioni di tendenza; tutela nel lavoro pubblico. Articolazione della risposta Alla sentenza del giudice che dichiara l illegittimità del licenziamento consegue, a seconda dei limiti dimensionali del datore di lavoro, l attribuzione al lavoratore di una tutela cd. reale oppure obbligatoria. Se si tratta di licenziamento nullo, si applica la tutela reale indipendentemente dalle dimensioni del datore di lavoro. Si distingue dunque tra: tutela reale, che è prevista dall art. 18 dello Statuto dei lavoratori, così come modificato dall art. 1 L. 108/1990. In tal caso, il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno patito dal dipendente, liquidando un indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell effettiva reintegrazione (nonché al versamento dei contributi previdenziali). In ogni caso la misura dell indennità non potrà essere inferiore alle 5 mensilità. È facoltà del lavoratore chiedere al datore di lavoro, invece della reintegrazione, la corresponsione di un indennità sostitutiva pari a 15 mensilità, che si aggiunge a quanto dovuto a titolo di risarcimento; tutela obbligatoria, che è prevista dall art. 8 L. 604/1966, così come modificato dall art. 2 L. 108/1990. In questa ipotesi, il datore di lavoro è condannato a riassumere il lavoratore entro 3 giorni oppure a risarcire il danno da questi patito, versandogli un indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell ultima retribuzione globale di fatto (l indennità è maggiorata fino a 10 o 14 mensilità per dipendenti di elevata anzianità di servizio). La scelta tra riassunzione o indennità spetta al datore: dunque, anche dopo la dichiarazione di invalidità del licenziamento, il datore può co-

246 Parte Quindicesima munque ottenere l effetto risolutivo semplicemente pagando l indennità. È evidente che il regime obbligatorio garantisce una tutela più debole al lavoratore illegittimamente licenziato. 8 bis. Qual è il criterio per stabilire se al lavoratore illegittimamente licenziato spetti la tutela reale o quella obbligatoria? Per determinare se al lavoratore illegittimamente licenziato spetti la tutela reale (reintegrazione o indennità sostitutiva e risarcimento) o quella obbligatoria (riassunzione o risarcimento), si fa riferimento ai requisiti dimensionali del datore di lavoro: in pratica, il tipo di tutela dipende dal numero dei lavoratori che costituiscono l organico aziendale. Dalla lettura dell art. 18 dello Statuto dei lavoratori e della L. 604/1966 è possibile evincere che la tutela reale, cioè reintegrazione e risarcimento del danno, si applica nei seguenti casi: 1) datore di lavoro che occupa più di 15 dipendenti (o più di 5 se imprenditore agricolo) in ciascuna unità produttiva od ufficio; 2) datore di lavoro che occupa più di 15 dipendenti (o più di 5 se imprenditore agricolo) nello stesso Comune, sebbene in più unità produttive od uffici; 3) datore di lavoro che occupa più di 60 dipendenti dovunque essi si trovino (indipendentemente quindi dal numero di occupati in ciascuna unità produttiva o nello stesso Comune). La tutela obbligatoria, che prevede riassunzione o risarcimento del danno, si applica, per esclusione, in tali ipotesi: 1) datore di lavoro che occupa fino a 15 dipendenti per ogni unità produttiva, o se imprenditore agricolo, fino a 5 dipendenti; 2) datore di lavoro che occupa fino a 60 dipendenti ovunque si trovino (sempre però che non ne occupi più di 15 nello stesso Comune). 8 ter. Che cosa si deve intendere per unità produttiva? Con il termine unità produttiva va intesa qualunque articolazione dell intera impresa, che costituisca sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo.

La cessazione del rapporto di lavoro 247 8 quater. A chi spetta l onere della prova sui requisiti dimensionali del datore di lavoro? La Cassazione a sezioni unite, con sent. 141/2006, ha affermato che spetta al datore di lavoro l onere di dimostrare il numero dei dipendenti dell unità produttiva o dell impresa, dal quale discenda l applicabilità del regime obbligatorio in luogo di quello reale. 8 quinquies. Che differenza c è tra licenziamento nullo e licenziamento annullato? Si ha la nullità del licenziamento, indipendentemente dalla motivazione addotta, allorché esso sia stato discriminatorio, cioè determinato da ragioni di credo politico, fede religiosa, dall appartenenza ad un sindacato etc., oppure determinato da altro motivo illecito, ad es. perché intimato in periodo di congedo per le lavoratrici madri. Il giudice dichiara, invece, l annullamento del licenziamento, qualora esso sia stato intimato senza giusta causa o giustificato motivo. Per quanto riguarda la tutela del lavoratore licenziato, la differenza tra le due ipotesi è netta: in caso di licenziamento nullo si applica sempre la tutela reale, a prescindere dalle dimensioni del datore di lavoro; nell ipotesi di licenziamento annullato si applicherà, invece, la tutela reale oppure quella obbligatoria a seconda delle dimensioni dell organico aziendale. 8 sexies. Nel regime di tutela obbligatoria, se il lavoratore rifiuta la riassunzione proposta dal datore ha diritto al risarcimento del danno? Sì: la Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che il lavoratore cui è applicata la tutela obbligatoria ha diritto al risarcimento del danno subito anche se ha rifiutato la riassunzione offerta dall azienda. In tale regime, la scelta tra riassunzione e risarcimento spetta al datore di lavoro ed essendo i due obblighi alternativi, se il datore opta per la riassunzione e il lavoratore rifiuta, verrebbe doppiamente danneggiato dal licenziamento illegittimo: non sarebbe riassunto e non avrebbe diritto ad alcun risarcimento per il danno subito. Ciò spiega la ratio della decisione della Consulta che equipara in tal modo, sotto il profilo risarcitorio, la situazione dei dipendenti delle piccole imprese (area della tutela obbligatoria) a quella dei dipendenti delle imprese di maggiore dimensione (area

248 Parte Quindicesima della tutela reale), i quali hanno sempre diritto al risarcimento del danno, anche se rifiutano la reintegrazione (Corte cost. sent. 44/1996). 8 septies. Qual è la differenza tra la reintegrazione e la riassunzione? In caso di reintegrazione (tutela reale), non si ha interruzione né del rapporto di lavoro né di quello assicurativo e previdenziale, tant è che al lavoratore spettano i contributi anche per il periodo tra il licenziamento e la reintegrazione. In caso di riassunzione (tutela obbligatoria), invece, il rapporto di lavoro culminato nel licenziamento, anche se questo è risultato illegittimo, si è comunque risolto, e con la riassunzione nasce un nuovo rapporto lavorativo e previdenziale: al lavoratore, quindi, nulla spetta per il periodo intercorso tra il licenziamento e il rientro in azienda. In entrambe le ipotesi, dunque, il licenziamento è invalido, ma mentre nel primo caso è anche inefficace, nel secondo produce comunque i suoi effetti sul rapporto di lavoro che, infatti, si considera risolto. 8 octies. Quale tutela si applica al dipendente di un sindacato o di un partito politico nel caso di licenziamento illegittimo? Nei casi di illegittimità del licenziamento a tali lavoratori si applica sempre il regime di tutela obbligatoria (riassunzione o risarcimento), indipendentemente dal numero dei lavoratori in forza (Cass. 7837/2005 e 6191/1997). La tutela reale, infatti, non si applica ai dipendenti di enti o organizzazioni di tendenza, cioè di datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto (art. 4 L. 108/1990). L esclusione si spiega in considerazione dell inopportunità di imporre la reintegrazione nel posto di lavoro, prevista dall art. 18 St. lav., anche alle organizzazioni la cui attività richiede uno speciale rapporto di fiducia (MAZZIOTTI). Per questo stesso motivo, l esclusione riguarda però soltanto i lavoratori per i quali, in ragione della natura delle mansioni svolte, la fedeltà ideologica è dedotta espressamente nell obbligazione contrattuale di lavoro (GALANTINO) (es. il personale docente di un istituto religioso), e non i dipendenti cd. neutrali, cioè coloro che non svolgono mansioni funzionali a caratterizzare la tendenza dell ente (es. il personale am-

La cessazione del rapporto di lavoro 249 ministrativo dell istituto religioso) ed ai quali deve essere applicata la tutela reale. 8 novies. La tutela obbligatoria si applica anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni? No: ai rapporti privatizzati di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione si applica sempre l art. 18 St. lav., cioè la tutela reale, a prescindere dal numero dei dipendenti (art. 51, co. 2, D.Lgs. 165/2001). 9. Quando il licenziamento si definisce discriminatorio? Riferimenti normativi: art. 4 L. 604/1966; art. 15 L. 300/1970; art. 3 L. 108/1990. Nozione: definire il licenziamento discriminatorio come il recesso determinato dai seguenti motivi: credo politico o fede religiosa; appartenenza ad un sindacato e partecipazione ad attività sindacali; ragioni razziali, di lingua, di sesso, di handicap, di età o per orientamento sessuale o convinzioni personali. Disciplina: è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta dal datore di lavoro; si applica sempre la tutela reale. Domande consequenziali: onere della prova; carattere discriminatorio del licenziamento nelle cd. organizzazioni di tendenza; differenza tra licenziamento discriminatorio e licenziamento ingiustificato. Articolazione della risposta È discriminatorio il licenziamento determinato da motivi di credo politico o fede religiosa, dall appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, nonché da ragioni razziali, di lingua, di sesso, di handicap, di età o per orientamento sessuale o convinzioni personali. Si tratta di un ipotesi particolare di illegittimità del licenziamento disciplinata dall art. 3 L. 108/1990, che sancisce espressamente la nullità del licenziamento intimato per motivi discriminatori, indipendentemente dalla motivazione addotta dal datore di lavoro (ai sensi degli artt. 4 L. 604/1966 e 15 L. 300/1970). La gravità del licenziamento discriminatorio, che lede beni di particolare valore quali la dignità e la libertà dell individuo, comporta che a seguito della pronuncia di invalidità si applichi sempre la tutela reale, a prescin-

250 Parte Quindicesima dere dalla dimensione aziendale, con diritto del lavoratore ad essere reintegrato nel posto di lavoro, a ricevere le retribuzioni maturate fino al ripristino del rapporto ed al risarcimento del danno. In caso di licenziamento discriminatorio, hanno diritto alla tutela reale tutti i lavoratori, compresi quelli licenziabili liberamente, senza necessità di motivazione (ad nutum), come i dirigenti, i domestici, i lavoratori in prova etc. 9 bis. In un giudizio avente ad oggetto un licenziamento discriminatorio, a chi spetta l onere della prova? In tale ipotesi, in giudizio spetta al lavoratore provare l esistenza di un motivo discriminatorio alla base dell atto di recesso del datore, fornendo la dimostrazione del nesso di causalità tra i fatti contestati e l intento discriminatorio. Siffatta prova risulta, in realtà, così ardua da essere definita diabolica, essendo estremamente difficile da fornire, dal momento che nessun licenziamento discriminatorio è dichiaratamente tale, ma, al contrario, è immancabilmente accompagnato da motivazioni in apparenza validissime (GA- LANTINO). Per questo motivo, la legislazione in materia di discriminazioni per motivi di sesso (L. 125/1991, ora confluita nel D.Lgs. 198/2006) ha previsto una presunzione di discriminazione, ponendo l onere della prova dell insussistenza della discriminazione a carico del datore di lavoro che dovrà dimostrare l oggettività del recesso. Tale agevolazione sul piano probatorio non è però estesa in generale. 9 ter. Quale rilevanza assume il carattere discriminatorio del licenziamento nelle organizzazioni di tendenza? Nelle cd. organizzazioni di tendenza (che svolgono attività di natura politica, religiosa, culturale, sindacale etc.) quando a base del licenziamento è posto un motivo relativo all opinione politica, sindacale, religiosa etc. del lavoratore, la legge esclude che esso possa essere considerato di per sé discriminatorio. Ciò perché l incompatibilità ideologica tra il dipendente e l organizzazione è considerata una legittima motivazione per il licenziamento (si pensi al caso, ad esempio, di un esponente apicale di un partito che manifesti con atti inequivocabili un credo politico difforme o, ancora, alla scuola cattolica che abbia tra i propri docenti un ateo).

La cessazione del rapporto di lavoro 251 L orientamento prevalente, in dottrina e in giurisprudenza, è però nel senso di limitare la rilevanza di tali fattori extraprofessionali esclusivamente per quei lavoratori che, nell ambito dell organizzazione, svolgono mansioni strettamente funzionali a caratterizzarne la tendenza (sarebbe, ad esempio, da considerare discriminatorio il licenziamento di un portiere per le sue opinioni politiche da parte di un partito politico). 9 quater. Qual è la differenza tra licenziamento discriminatorio e licenziamento ingiustificato? Il licenziamento ingiustificato è semplicemente un licenziamento privo di una giusta causa o di un giustificato motivo, rispetto al quale cioè il datore di lavoro non ha saputo o potuto allegare alcuna motivazione congrua ed adeguata. Il licenziamento discriminatorio ha qualcosa in più; non è semplicemente ingiustificato, ma è aggravato dalla ricorrenza di un movente ulteriore che lo rende particolarmente odioso e, proprio per questo, meritevole di un trattamento diverso e più severo (GALANTINO). Questa differenza si riflette sul piano delle conseguenze: mentre, infatti, il carattere discriminatorio vizia in radice l atto di recesso, rendendolo nullo, e fa sì che si applichi in ogni caso la tutela reale; la semplice mancanza di una ragione giustificatrice comporta, invece, l applicazione della tutela reale o obbligatoria, a seconda delle dimensioni del datore di lavoro, a seguito dell annullamento da parte del giudice. 10. Cosa si intende per recesso ad nutum? Riferimenti normativi: artt. 1, 4,10 L. 604/1966; art. 4 L. 91/1981. Nozione: area di non applicazione della disciplina limitativa del licenziamento individuale che può essere intimato senza necessità di alcuna motivazione. Ambito di applicazione: specificare che si tratta di ipotesi limitate, riguardanti: i dirigenti; i lavoratori con contratto a termine; i lavoratori in prova; gli sportivi professionisti; i lavoratori domestici; i lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici. Domande consequenziali: tutela dei dirigenti ad opera della contrattazione collettiva.

252 Parte Quindicesima Articolazione della risposta Il sistema delle garanzie sostanziali e procedurali ed il relativo regime di tutela della L. 604/1966, poi rafforzato dalla L. 300/1970 con la previsione della stabilità reale ex art. 18, non si applicano a tutti i rapporti di lavoro. Permane ancora, infatti, nel nostro ordinamento un area di non applicazione della disciplina limitativa del licenziamento individuale. Si tratta di ipotesi limitate, in cui è consentito al datore di lavoro di recedere senza necessità di alcuna motivazione: per questi motivi si parla in proposito di recesso ad nutum, letteralmente con un semplice cenno. Deve comunque essere osservato il preavviso (art. 2118 c.c.), salvo il caso di una giusta causa di recesso (art. 2119 c.c.). La possibilità di licenziamento ad nutum riguarda: i dirigenti, espressamente esclusi dal campo di applicazione della L. 604/1966 (anche nei confronti dei dirigenti si applica però l obbligo di comunicazione scritta del licenziamento); i lavoratori con contratto a termine, anch essi esclusi dalla L. 604/1966; i lavoratori in prova, per tutto il periodo di prova e fino a 6 mesi dall assunzione; gli sportivi professionisti (ex art. 4 L. 91/1981); gli assunti con contratto di lavoro domestico; i lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici. 10 bis. In che modo la contrattazione collettiva tutela i dirigenti in caso di licenziamento ingiustificato? In mancanza di una tutela da parte della legge, la contrattazione collettiva può prevedere che, in caso di licenziamento ingiustificato, al dirigente sia corrisposta un indennità risarcitoria correlata all età e all anzianità di servizio. Occorre, tuttavia, precisare che la giurisprudenza, assegnando rilevanza all elemento fiduciario che contraddistingue il rapporto di lavoro, ritiene che il licenziamento del dirigente possa essere considerato ingiustificato soltanto qualora sia privo di qualsiasi motivazione o basato su ragioni del tutto arbitrarie o pretestuose: in pratica, non è necessario un notevole inadempimento perché il licenziamento del dirigente possa dirsi giustificato (si parla, a tal proposito, di giustificatezza, che è concetto di maggior

La cessazione del rapporto di lavoro 253 ampiezza e flessibilità rispetto a quello di giustificato motivo) (GALAN- TINO, PERSIANI, PROIA). 11. Quali sono i presupposti necessari per l applicazione della procedura per i licenziamenti collettivi di cui alla L. 223/1991? Riferimento normativo: art. 24 L. 223/1991. Presupposti: in generale si applica la procedura prevista per i licenziamenti collettivi quando il datore a causa di riduzione o trasformazione di attività o lavoro effettua 5 licenziamenti nell arco di 120 giorni. Domande consequenziali: calcolo del requisito numerico. Articolazione della risposta Il recesso che colpisce una sola persona è una vicenda che, per quanto traumatica, conserva una dimensione privata. La situazione cambia quando i licenziamenti sono molteplici. Superata una certa soglia numerica, il licenziamento diventa una vicenda che crea tensioni collettive e allarme sociale (GALANTINO). Da qui la necessità di distinguere le due ipotesi trattandole in modo profondamente diverso. Al verificarsi, dunque, di determinati presupposti, l ordinamento considera i licenziamenti programmati dal datore di lavoro nella loro autentica dimensione di fenomeno collettivo e come tale idoneo a determinare l applicazione di una disciplina ancora più garantista di quella che regola il licenziamento individuale, attraverso il coinvolgimento dei sindacati. Oltre che nel caso dell impresa ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale (C.I.G.S.) che ritenga di non poter reimpiegare i lavoratori sospesi, la disciplina della materia dei licenziamenti collettivi può essere attuata purchè ricorrano i seguenti presupposti (art. 24 L. 223/1991): 1) si tratta di un datore di lavoro, imprenditore o non, che occupa più di 15 dipendenti; 2) sia avvenuta una riduzione o trasformazione di attività o lavoro; 3) si intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell arco di 120 giorni; 4) ciò avvenga nell ambito della medesima unità produttiva o nell ambito di più unità produttive della stessa Provincia;

254 Parte Quindicesima 5) detti licenziamenti siano conseguenza di una unica causa, consistente nella riduzione o trasformazione di attività o lavoro ovvero nella cessazione dell attività. È opportuno precisare che, poiché il requisito è quello della programmazione di cinque licenziamenti, il licenziamento conserva il carattere collettivo anche quando, al termine delle procedure di consultazione sindacale, il numero di licenziamenti effettivi scenda al di sotto di cinque (MAZZIOTTI). 11 bis. Ai fini dell applicazione della disciplina di cui alla L. 223/1991, nel calcolo del requisito numerico rientrano anche le risoluzioni consensuali o le dimissioni del lavoratore? Sì. Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, è da includere nel requisito numerico ogni risoluzione di rapporto e, quindi, anche le risoluzioni consensuali e le dimissioni incentivate, comunque motivate dall intento del datore di lavoro di ridurre il personale eccedente. 12. Qual è la procedura prevista dalla disciplina dei licenziamenti collettivi? Riferimenti normativi: artt. 4 e 24 L. 223/1991. Disciplina: elencare i diversi adempimenti a cui è tenuto il datore di lavoro distinguendo tra: fase sindacale; fase amministrativa. Domande consequenziali: ammissibilità della deroga al divieto di demansionamento come alternativa al licenziamento collettivo. Articolazione della risposta L art. 4 L. 223/1991 distingue una fase sindacale e una fase amministrativa. La prima fase (detta sindacale) della procedura prevede l obbligo per il datore di lavoro di preventiva comunicazione scritta dei previsti licenziamenti alle rappresentanze sindacali aziendali, nonché alle rispettive associazioni di categoria.

La cessazione del rapporto di lavoro 255 La comunicazione deve indicare: i motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale; i motivi tecnici, organizzativi e/o produttivi per i quali si ritiene di non poter evitare i licenziamenti; il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente e di quello normalmente occupato. A seguito di tale comunicazione le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) e le associazioni di categoria, eventualmente assistite da esperti, possono chiedere un esame congiunto della situazione per cercare strade alternative ai licenziamenti. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. Se non si raggiunge un accordo, la Direzione provin ciale del lavoro convoca le parti per una nuova discussione sull argomento. Raggiunto l accordo sindacale ed esaurita anche la fase amministrativa, l impresa ha la facoltà di licenziare i lavoratori eccedenti, da individuare applicando i criteri di scelta stabiliti nei contratti collettivi oppure, ove questi manchino, nel rispetto dei criteri legali, in concorso tra loro (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative). 12 bis. È legittima l assegnazione a mansioni inferiori come soluzione alternativa al licenziamento collettivo? Sì: nel tentativo di individuare misure alternative al licenziamento collettivo, le parti possono anche derogare a quanto disposto dall art. 2103 c.c. ovvero adibire i lavoratori da licenziare a mansioni diverse (dunque anche inferiori) a quelle antecedentemente svolte. Inoltre, le parti possono ricorrere anche ad istituti introdotti dalla contrattazione collettiva, come ad esempio i contratti di solidarietà e la gestione flessibile dell orario di lavoro. 13. Nell ambito della procedura di licenziamento collettivo, come vengono individuati i lavoratori da licenziare? Riferimento normativo: art. 5, co. 1, L. 223/1991.