CAPITOLO 4. Moda Una eccellenza reale e di grande visibilità internazionale



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CAPITOLO 4 Moda Una eccellenza reale e di grande visibilità internazionale

Michelangelo Pistoletto Venere degli stracci 1967 stracci, cemento e mica, 150 x 100 x 120 cm mostra al Museo Pignatelli d'aragona, Napoli, 1977 Foto: P.Pellion 108

4. Moda: Una eccellenza reale e di grande visibilità internazionale 1. La moda come sistema di sistemi La moda è un fenomeno complesso che si manifesta alla congiunzione di due sistemi: quello del bisogno materiale, del consumo e della produzione (Barrère e Santagata, 2005), e quello simbolico e immateriale della creatività, del segno (Barthes, 1967) e dell identità. Il sistema della moda deve quindi rapportarsi al sistema produttivo e a quello simbolico e creativo esistenti su un dato territorio. La sua missione è di conseguenza duplice: Fornire un servizio al mondo della produzione in termini di stile, creazione di immagine collettiva, di reputazione internazionale, assistenza archivistica, di sperimentazione con bassi rischi di impresa e formazione di profili professionali speciali. La moda è l immagine simbolica dell industria tessile, della confezione e degli accessori. Offrire al territorio input di creatività e identità collettiva, con ricadute economiche in termini di promozione e valorizzazione culturale, ma anche di attrazione turistica attraverso la creazione di eventi internazionali (esposizioni, sfilate di alta moda) e la messa a disposizione di luoghi privilegiati di distribuzione (shop, outlet, negozi monomarca). Sotto questo profilo tutta la catena di produzione del valore di un bene di moda è essenziale, è un sistema congruo e unificato. Non si può isolare l impresa-studio dello stilista di moda dalla fase della produzione, perché gran parte dello stilismo è incorporato e integrato nell impresa di moda. Non si può escludere la produzione di tessuti, perché rappresenta con il suo design un input portentoso e innovatore per il creatore di alta moda e della moda da confezione o prêt-à-porter. Non si può separare il lavoro del designerstilista da quello del distributore che, a contatto con i gusti del pubblico, divenuta suggeritore strategico per tutta la catena. L analisi che segue dei beni di moda e del mondo della moda è dunque a tutto campo, anche se si cercherà, quando statisticamente possibile, di distinguere le varie fasi della catena produttiva. 109

1. I beni di moda: beni simbolici, identitari, relazionali Per i beni di moda l'apprezzamento della qualità evolve nel tempo perché è relativo a valori, codici di lettura e di apprezzamento delle opere che sono esogeni. Per i beni di moda la qualità non è indipendente dalla relazione bene valutatore e si costruisce in una relazione bene individuo comunità. Essa non si esaurisce nella scoperta di una qualità preesistente, fissata a priori in maniera precisa, ma dipende da un giudizio dato dai consumatori o dagli utilizzatori e ci fa entrare in un'economia della qualità non oggettiva, con caratteristiche di idiosincrasia. Dato che, sempre più, le imprese di moda si rivolgono ai consumatori non solo per soddisfare i loro bisogni, ma sollecitando i loro gusti, sostituendo ai bisogni i desideri, facendo appello alle sensazioni, le caratteristiche del gusto e quelle semiotiche acquisiscono un'importanza relativamente più ampia rispetto alle caratteristiche standard dei beni economici. L'osservazione, anche superficiale, dei mercati dei beni di moda rivela fenomeni che non si ritrovano con la stessa ampiezza per altre tipologie di beni: fenomeni di cascate informative, comportamenti gregari, importanza degli opinion leader, ruolo degli esperti, deconnessione tra costi di fabbricazione e prezzi, importanza dell'immagine e della comunicazione, riferimento al patrimonio culturale. Le specificità dei beni di moda Alcune caratteristiche giocano un ruolo preponderante nella domanda e offerta di beni di moda e di conseguenza nel funzionamento economico dell industria della moda. L elenco che segue è una sintesi dei principali caratteri. 1 ) Beni simbolici Non c'è razionalità (ratio, calcolo) senza conoscenza (cognitio). C'è emotività, c'è mito, c'è plagio, c'è generosità, c'è adesione simbolica, c'è casualità e azzardo. Senza conoscenza non c'è calcolo economico dei costi e dei benefici dell'azione. Ma produrre e usare la conoscenza costa. Un simbolo si crea quando il veicolo di comunicazione, la cosa, non è ciò che appare, ma segno di qualcos altro. Il simbolo o segno i, nella definizione di Peirce è "qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcos'altro" è conosciuto o riconosciuto non attraverso la raccolta di informazioni su di sé (significante) o sul qualcos'altro (significato) di cui sta al posto, ma per l'impronta che lascia in chi lo guarda. Il simbolo è qualcosa in cui ci si identifica. Il processo di identificazione prescinde dai costi di informazione sugli attributi dei beni. I simboli influenzano i comportamenti perché gli attori sociali reagiscono ai simboli che attribuiscono alle cose. In questo senso i simboli orientano l azione. I simboli rafforzano 110

credenze comuni e sentimenti condivisi dai membri di una entità collettiva e, quindi, per estensione, influenzano anche i comportamenti di consumo, quando questo fenomeno si trasforma in rito. La componente simbolica emerge in campi diversi, tuttavia se è chiaro il significato della identificazione simbolica in un personaggio o in una storia, in una cosa rituale, o in un movimento artistico, musicale, figurativo, audiovisivo, può apparire più indiretta l'identificazione con una oggetto di consumo. Identificarsi significa appartenere. E riconoscere in un oggetto di design un segno di appartenenza a una cultura, a uno stile di vita a una maniera di produrre senso esistenziale è un processo comprensibile. Il simbolo identificante è una specie di involucro perfettamente aderente all'oggetto, invisibile e trasparente, ma capace di riflettere l'immagine di se stessi in un mondo amato e desiderato. Nel caso del bene in sé conta la capacità di trasmettere, senza costi di informazione per chi lo riceve, un segno che racchiude l informazione rilevante. Il consumatore è indotto ad una decisione di acquisto perché il bene simbolico identificante lo conquista, non c è bisogno di una indagine per valutarne la qualità e i contenuti quantitativi. Quello che dice Eco 1987, p.71, riprendendo Huizinga, della mentalità dell'uomo medievale può essere detto anche per i moderni consumatori sedotti dai beni simbolici identificanti: "La mentalità simbolistica si inseriva curiosamente nel modo di pensare del medievale, uso procedere secondo una interpretazione genetica dei processi reali, secondo una catena di cause ed effetti. Si è parlato di corto circuito dello spirito, del pensiero che non cerca il rapporto tra due cose seguendo le volute delle loro connessioni causali, ma lo trova con un brusco salto, come rapporto di significato e scopo." La dimensione simbolica e la sua capacità di catturare e sedurre lo spirito del consumatore, identificandolo con il messaggio che esso rappresenta, allontana i beni di moda dal paradigma del consumatore razionale. La presenza di un simbolo modifica i termini classici dello scambio. Non solo scambio fondato sulla razionalità del meccanismo dei prezzi e sulla massimizzazione dell utilità, ma scambio che presuppone una scelta emotiva e identitaria, fatta al di fuori di un calcolo dei costi e dei benefici dell azione. 2 ) I beni di moda come beni con caratteristiche semiotiche: dalla materia al segno I beni comprendono sempre più caratteristiche semiotiche. Oltre all'utilità diretta legata alle caratteristiche sostanziali del bene essi hanno anche un'utilità indiretta in quanto beni semiofori, portatori di significato, di senso. La domanda di abbigliamento è innanzi tutto una domanda legata alle caratteristiche dei vestiti in quanto tali: confort, leggerezza, robustezza, estetica. Si può immediatamente osservare tuttavia, che tali criteri, soprattutto quello estetico, variano con le epoche. Inoltre, a latere rispetto alle caratteristiche estetiche, o in collegamento con esse, esistono 111

caratteristiche di espressione di significato. Le Nike non mi servono solo in quanto scarpe, ma significano anche che sono giovane, dinamico, informale, informato e sono pensate per comunicare anche questi significati. La domanda di moda è una domanda di segno e di senso più ancora che di funzionalità di abbigliamento. Ancor più, nelle nostre società (anche in altre, tutto è possibile), il bisogno di senso può essere più importante della funzionalità - alimentare o di abbigliamento senza che per questo motivo si tratti di una domanda perversa o artificiale. 3 ) I beni di moda come beni mimetici Una convenzione condivisa che annulla i costi di informazione è un fenomeno che si ritrova nei comportamenti imitativi. Le nuove cattedrali del consumo ii attirano le famiglie come in un rito moderno, ripetuto senza calcolo né perché. I grandi centri commerciali e i parchi a tema sono scelti e consumati in primo luogo per il loro valore simbolico, poi, se sono discriminanti per l'effetto snob; se praticano prezzi bassi e competitivi per ragioni meramente economiche; se diventano di moda per il bandwagon effect. Dunque simbolo come ritualità collettiva, come partecipazione collettiva ad azioni che, in quanto costose, dovrebbero essere razionalmente evitate. Il mimetismo, ossia fare come fanno gli altri, non è solo un modo di ridurre i costi di ricerca di informazioni sulla qualità del prodotto, ma nel caso della moda è il meccanismo di scelta per accedere alla appartenenza a un gruppo sociale. 4 ) I beni di moda come beni generazionali La creatività di una generazione di stilisti si esprime nel tempo e nello spazio definiti da un epoca e un luogo o una città di riferimento. Questo ancoraggio alle generazioni e alla loro evoluzione prefigura, come vedremo, il problema della successione generazionale come un dei grandi problemi del mondo della moda 5 ) I beni di moda come beni a produzione congiunta Nella moda confluiscono molte competenze: dello stilista che costruisce il valore simbolico, del designer dei tessuti, del designer che fa ricerca su nuovi materiali e tecnologie, del designer della confezione di massa, degli esperti della distribuzione esperienziale, dei costruttori di immagini mediatiche e del consumatore. Il consumatore partecipa alla produzione di moda, al suo atto finale e originale, in molti modi, in particolare con l assemblaggio di abiti e indumenti tipico dello street à porter e con l innovazione nella funzionalità e nel riuso originale di componenti varie dell abito. 112

6 ) I beni di moda come beni relazionali: dall'individuo al gruppo I beni di moda sono anche beni relazionali. Non è l'individuo isolato che decide qual è la moda, che è piuttosto un fenomeno sociale. Questo ancoraggio al sociale oltrepassa l'aspetto sociale di tutti i beni semiotici. La domanda di moda è la domanda di un segno sociale che non può essere affermato a priori, ma che deve essere legittimato come bene di moda al termine di un particolare processo. Si richiede un bene non perché lo si considera un bene di moda, ma perchè il contesto in cui si vive e in cui tale bene sarà utilizzato lo considera come un bene di moda. I beni di moda sono beni relazionali così come i beni di distinzione. I giudizi individuali del gusto si iscrivono nelle classificazioni sociali dei beni, in particolare in quelle che operano una distinzione tra beni standard e beni di lusso. Come ha mostrato l'economia dei contratti, creare un mercato, e quindi la possibilità di effettuare scambi di prodotti, richiede un accordo convenzionale sulle caratteristiche del bene, o meglio una «convenzione di qualità». 7 ) I beni del gusto come beni di appartenenza: dalla generalità all'identità Nelle società di individui (Elias, 1973) i gusti non esprimo solo la socializzazione degli individui, ma anche la loro individualizzazione e quindi la loro identità specifica, che li differenzia da tutti gli altri. Accanto alla domanda di distinzione sociale e d'identità sociale si manifestano quindi domande di distinzione individuale e di identità individuale (Barrère e Santagata, 2005). Ciò dona alla relazione individuo bene un carattere idiosincratico. A queste diverse caratteristiche se ne aggiungono, come vedremo anche altre: caratteristiche economiche, i beni di moda come beni a contenuto etico, a contenuto tecnologico, ad alto contenuto intellettuale. Le condizioni economiche di produzione e/o creazione dei beni di moda come quelle del loro consumo e scambio giustificano un' «economia della moda» 2. La moda e il sistema della produzione L Italia ha solide e antiche tradizioni di eccellenza nel campo della moda, della confezione e della produzione tessile, che ne hanno fatto in un passato recente un Centro mondiale della Moda. Tutti i passaggi della catena del valore contribuisco ad un settore che è trainato sia dalla creatività della concezione e dallo stilismo, che dalla creatività delle formule produttive, come i distretti industriali, che dalla evoluzione della distribuzione. I distretti industriali di Biella, Milano, Alba, Prato, Firenze, Carpi, della Campania e delle Marche sono poli internazionali di creazione e produzione della moda tessile, della moda uomo, della moda femminile e degli accessori. Marchi di fama internazionale continuano la tradizione italiana nel campo della produzione tessile e laniera (Ermenegildo Zegna, Loro Piana, Piacenza, Lanificio Colombo fra gli 113

altri), nell'alta moda e nel pret-à-porter (Armani, Dolce e Gabbana, Versace, Valentino, Gucci, Trussardi, Prada, Fendi, Missoni), nella produzione dell'intimo e della calzetteria (Golden Lady, Sanpellegrino, Filodoro, Levante), nell'abbigliamento sportivo (Robe di Kappa, Invicta, Asisics, Fila, Lotto e Diadora), nella produzione calzaturiera e in quella di accessori, nella produzione orafa (a Valenza e Arezzo) e di occhiali (nel distretto bellunese di Agordo). La lista degli esempi è ovviamente incompleta, ma evocativa di una presenza spaziale diffusa su gran parte del territorio nazionale. 2. La moda e il mondo della creatività La trasmissione della creatività tra le generazioni è uno degli obiettivi principali di una politica industriale a favore della moda. Lo sviluppo della creatività è la base programmatica di ogni iniziativa che tenda a produrre e a mantenere un elevato tasso sociale di creatività e a raccontare, se non a rafforzare, l identità collettiva di una comunità, per quanto vasta possa essere. I fenomeni creativi di eccellenza tendono a presentarsi in ondate che corrispondono a generazioni di stilisti attivi in luoghi e tempi definiti: Parigi negli anni 50 e 60, Milano degli anni 70 e 80, Los Angeles o New York negli anni 90 e 2000. Le generazioni si succedono e non c è garanzia di mantenere lo stesso tasso di creatività locale, se non attraverso opportune politiche. Se si guarda alla storia della moda e delle ondate creative che si susseguono nel corso del tempo possiamo osservare che in Francia l'ondata degli anni 50 e 60 ha portato alla creazione del binomio Alta Moda/ prêt-à-porter, quella italiana ha portato alla forma di organizzazione flessibile dei distretti industriali, quella americana ha visto l'affermarsi del marketing e della logistica. Tuttavia le ondate creative si affievoliscono nel corso del tempo, in conseguenza al diminuire del tasso di creatività del sistema così come dei singoli attori. Attualmente si può osservare una nuova ondata francese della moda, che ha inizio quasi in contemporanea alla morte di alcuni grandi stilisti italiani (Versace, Moschino, Gucci), che sta portando ad un nuovo vantaggio competitivo per la moda di tale paese. Si può parlare di un vero e proprio rinnovamento delle case di moda tradizionali, che hanno ricercato e ricercano talenti internazionali (Tarlazzi per Guy Laroche, Ferré per Dior, Montana per Lanvin, Lagerfeld per Chanel, e anche Galliano, Tom Ford, Lacroix) spesso per penenetrare in mercati stranieri e individuano un nuovo mercato nel prêt-à-porter di lusso. LVMH (gruppo di cui fanno parte Louis Vuitton con Marc Jacobs, Dior Haute Couture con John Galliano, Dior mode masculine con Hedi Slimane, Givenchy con Alexander McQueen, Yves Saint Laurent con Tom Ford, Christian Lacroix) è capofila di questo settore, in Italia rappresentato da Gucci. Se il modo più valido e tradizionalmente italiano di trasmettere e produrre creatività è l apprendimento sul campo (learning by doing), l educazione professionale ed accademica 114

è una via altrettanto importante. Anche in questo campo l esperienza italiana può contare sull evoluzione delle Università e dei Politecnici (il Politecnico di Torino offre ad esempio corsi indirizzati a formare ingegneri specializzati per la produzione tessile), delle Accademia di Belle Arti, e di istituzioni private, come lo IED (Istituto Europeo di Design) a Torino e Milano, Polimoda a Firenze, Domus Academy e Istituto Marangoni a Milano. 1. Il quadro quantitativo e statistico: struttura e trend. La moda è l industria culturale italiana più importante e rappresenta circa il 3,6% del Prodotto Interno Lordo e il 4,6 % degli addetti. La catena di produzione del valore nel campo della moda vede prevalere in termini valore aggiunto il comparto della produzione con 16,5 miliardi di EURO, di cui la fabbricazione di calzature rappresenta il 28,1%, ossia 4,6 miliardi di euro. La distribuzione è il secondo comparto con 13,2 miliardi di euro. Questo risultato conferma l emergere della distribuzione come comparto chiave della costruzione dell immagine e del brand della moda. Nel mondo della moda il ruolo del supporto alla produzione è particolarmente importante, sia in termini di valore aggiunto (8,2 miliardi di euro), sia in termini di integrazione con le fasi della creatività pura, della produzione e distribuzione. Il tessuto ad esempio è sia un input essenziale per lo stilista, sia un modello di design integrato. Tabella n.1 Moda Valore Aggiunto e occupati, 2004 Moda Valore Aggiunto e occupati, 2004 Valore aggiunto milioni di Euro Occupati (migliaia) Core 219,6 5,8 Produzione (confezione e accessori) 16578,7 544,5 Supporto Produzione (tessuti lana, seta, cotone, lino, cuoio fiissaggio, etc.) 8224,3 218,6 Distribuzione 13.221,2 349,5 Totale 38024,2 1112,6 Fonte: elaborazioni nostre su dati forniti dall Istituto G. Tagliacarne, Roma La produzione italiana è caratterizzata (SMI-ATi ) dalla produzione di abbigliamento per il 37% del totale, dalla maglieria per il 19%, dalla produzione di tessuti di lana (12%), di cotone (10%) e altri tessuti (9%) e da altre produzioni (seta, calzetteria, finitura). Rispetto 115

al settore manifatturiero generale il tessile/abbigliamento conta per il 7,5% della produzione (valori 2004), l'11,9% dell'occupazione, il 9,1% dell'export. Il peso dell'italia a livello mondiale (tab. n.2) è nel complesso di grandissimo rilievo. Tabella n. 2 La moda italiana nel mondo settore Percentuale italiana sull'export mondiale 2004 (%) 2000-2004 (+/- ) Posizione italiana a livello mondiale 2000 2004 Settore laniero 31,7-0,2 1 1 Settore cotoniero 9,3 1,7 4 3 Settore serico 17,2-1,2 2 3 Settore liniero 3,5 0,2 6 5 Abbigliamento 8,2 1,1 3 3 Maglieria 6,1-0,5 3 3 Calzetteria 25,6-0,7 1 1 Fonte: SMI-ATi (Federazione Imprese Tessili e Moda Italiane) Dal punto di vista congiunturale (Relazione sull'andamento del settore industriale di Confindustria del 2006) il comparto cotoniero-liniero ha risentito nel corso degli ultimi anni della sfavorevole evoluzione dei consumi finali nei principali mercati di sbocco e della crescente pressione delle importazioni, specialmente di prodotti finiti, dai paesi emergenti, con una riduzione della cifra d'affari del 6% e con l'impatto più pesante sul sottosettore della filatura. Un calo simile ha affrontato anche il comparto liniero, soprattutto nella tessitura. Nell industria laniera, che contribuisce al 10,3% del fatturato totale del settore tessileabbigliamento (dati 2004)le esportazioni costituiscono quasi il 62% del fatturato del settore laniero e i principali mercati di sbocco. Ad oggi la liberalizzazione delle importazioni dalla Cina non ha incrementato i flussi in entrata si prodotti tessili-lanieri provenienti da tale paese, che è l'undicesimo fornitore per l'italia, con una quota di circa il 3%. L'industria dell'abbigliamento ha appena superato un quinquennio di crisi (vedi tabella n. 3) dovuta, da una parte, alla stagnazione dei consumi e dall'aumento delle importazioni, dall'altra, ad una contrazione dell'export nei paesi di riferimento, quali Germania, Stati Uniti e Giappone. Ad oggi il mercato cinese sembra essere ancora un opportunità riservata a pochissime imprese di fascia alta ed altissima, pressoché impenetrabile per la maggioranza delle piccole e medie imprese italiane ma nel 2006 si è registrato comunque un aumento del fatturato dell'11% del settore. 116

Tabella. n.3 Valore dell'export in milioni di euro (fonte: studio Filtea-CGIL) tessile vestiario Pelle calzature Sistema moda 2001 15865 11872 14565 43302 2005 14036 12125 12696 38857 2006 14275 12908 13472 40656 La ripresa, 2006-07. Il comparto tessile e abbigliamento ha registrato un quinquennio di crisi, ma dal 2006 la congiuntura è cambiata. La crisi ha prodotto sicuramente una flessione importante per alcuni settori (ad esempio, la filatura) mentre altri settori hanno trainato e mantenuto dei risultati positivi (il settore laniero). Le imprese hanno dovuto gestire ristrutturazioni significative e ciò ha significato un grado elevato di selezione delle stesse, ma se osserviamo i dati 2007 si notano incoraggianti segnali di crescita pari al 6,2% del valore economico dal 2006 al 2007 (dati ISTAT warehouse commercio estero) e l'aumento medio del 12% del fatturato delle aziende nel 2007. Altri dati sottolineano una crescita complessiva delle vendite del tessile-laniero in Italia pari al 2,4% rispetto al 2005 con un superamento del tetto dei 6 miliardi di euro (Camera di Commercio di Biella, luglio 2007). Le statistiche economiche più recenti mostrano un quadro di ripresa lenta ma sensibile: non è inutile ricordare qui che gli investimenti in ricerca e cultura della produzione sono misure importanti da affiancare alle strategie di ripresa come evidenzia la storia stessa dei distretti italiani. Moda e territorio Oltre l'88% delle imprese tessili italiane è situato in cinque regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana (SMI-ATI, 2006). Secondo il Censimento dell'industria e dei Servizi 2001, l'ultimo disponibile, la regione in cui hanno sede la maggior parte delle imprese è la Lombardia, seguita da Toscana ed Emilia Romagna. La parte preponderante della produzione tessile e di moda italiana si compie all'interno dei distretti industriali. Buona parte dei distretti sono legati alla produzione di abbigliamento e a quella calzaturiera, anche se alcune delle aree più forti sono quelle specializzate nella produzione tessile (come i distretti laniero di Biella e quello di Prato). Piemonte, Lombardia, Veneto e Toscana sono le regioni più attive sia nella produzione tessile sia in quella dell'abbigliamento (Toscana e Veneto hanno anche una produzione calzaturiera di elevata qualità), e sono le regioni con maggiore capacità di export. I distretti italiani legati al mondo della moda sono 45 e sono distribuiti in quasi tutte le regioni italiane. I principali distretti del settore tessile e abbigliamento, in termini di produzione, fatturato e addetti sono elencati nella tabella n. 3. 117

Tabella n. 3 Distretti del settore tessile e abbigliamento Distretto Regione Settore Imprese Occupati Fatturato (milioni di Exp/ Prod euro) Biella Piemon te Tessile 1500 25000 4000 50 Castel Goffredo Lombar dia Gallaratese Lombar dia Verona Pronto Moda Sistema Moda Carpi Prato San Giuseppe Calzetter ia Abbiglia mento Veneto Abbiglia mento Veneto (Trevis o) Emilia Romag na Toscan a Campa nia Abbiglia mento 280 6600 1150 50 Il distretto rappresenta il 30% della produzione europea 2900 1150 50 Presenza di centri di servizio alle imprese per l'export, il trasferimento tecnologico, l innovazione e lo sviluppo professionale. 185 2800 18 Benetton, Stefanel, Lotto e Diadora, Marzotto e Diesel 2000 Maglieria 1800 8100 1000 40 Blumarine, Avirex, Liu-Jo, Robe di Kappa, Marchese Coccapani Tessile 9000 50.000 6.900 70 Tessile 3000 10000 10000 30 118

Vesuviano Fonte: Al fine di completare la mappa del sistema moda in Italia, possono essere aggiunti i distretti che si occupano di beni di lusso (ad esempio i distretti dell'oreficeria di Valenza, Vicenza e Arezzo, i più importanti in Italia), quelli che producono calzature e accessori in cuoio e pelle (il distretto dello Sportsystem di Montebelluna in Veneto, leader mondiale delle calzature tecniche, quelli di Valdarno e S. Croce in Toscana), quelli che producono accessori, come il distretto dell'occhiale di Belluno. 4. Il settore del fashion design: dalla concezione alla distribuzione La filiera di produzione della moda si è destrutturata nel corso del tempo, perdendo la sua linearità e assomigliando sempre più a una nebulosa, e si basa ora sulla combinazione flessibile dei fattori di produzione, che in misura elevata sono elementi immateriali e intellettuali. Questa nuova forma di organizzazione della filiera riflette la frammentazione della domanda e la presenza sul mercato di catene di distribuzione specializzate, come Zara o Promod, che guardano al mercato giovane e urbano. Le attività strategiche della filiera divengono in questa situazione la concezione del prodotto e la distribuzione: gli elementi immateriali, quali l'immagine del prodotto, la sua dimensione simbolica e di identificazione, gli showroom e gli spazi dedicati alla vendita acquisiscono una importanza crescente. Per i beni della moda, infatti, la creatività è effettivamente il cuore della catena di produzione del valore. La convenzione di originalità ovvero la richiesta di novità che caratterizza le dinamiche di questo settore implica la formazione di un senso di appartenenza: alle persone piace un particolare capo di abbigliamento, che è originale e quindi consente loro di distinguersi, e, allo stesso, anche di sviluppare un senso di appartenenza sociale ad un gruppo. Concezione del prodotto e distribuzione contribuiscono quindi a rafforzare il binomio differenziazione/appartenenza. La distribuzione del prodotto di moda, in particolare, sta vivendo in questi anni una nuova trasformazione, causata dall'irrompere sulla scena delle nuove tecnologie della comunicazione e dalla trasformazione degli spazi di vendita. Molti stilisti e case di moda, dopo un inizio incerto, hanno capito che Internet può essere un mezzo di amplificazione del proprio pubblico: è così che per primo Giorgio Armani nel 2007 ha deciso di trasmettere live la sfilata parigina della collezione di alta moda, seguito dal sito del Sole 24 ore dedicato alla moda, Luxury24.it, che ha trasmesso live le sfilate di Cavalli e Gucci. Ma non solo. Le vendite on line stanno divenendo uno dei segmenti più redditizi per la moda: le vendite on line diventano sempre più importanti, con crescite di circa il 30% in Italia e negli USA in termini di fatturato, con moda e accessori divenuti una delle voci più consistenti di tali acquisti e con portali dedicati (Net- 119

a-porter, ad esempio, uno dei siti più importanti al mondo dedicati all'ecommerce di abbigliamento e accessori, così come i blog dedicati agli stili urbani). Numerose inoltre le aziende che stanno investendo nelle vendite on line: per Gucci, ad esempio, esse rappresentano l'area di business con le migliori performance (+65% nel 2007), dopo le vendite sul mercato cinese. L'altra trasformazione che da alcuni anni sta vivendo la distribuzione è il connubio stretto con l'architettura e certe forme di mecenatismo: le sedi dei principali showromm dell'alta moda sono progettate dai più importanti architetti al mondo: Rem Kohlaas per Prada a New York, Frank Gehry per Issey Miyake a New York, il Teatro Giorgio Armani di Milano firmato da Tadao Ando e i suoi empori di Hong Kong, Shangai e Tokyo firmati da Massimiliano e Doriana Fuksas. Gli showroom abbandonano l'anima puramente commerciale per divenire luoghi di scambio, cultura, arte che contribuiscono a definire e rafforzare l'immagine del marchio. 5. Grande distribuzione, prezzi popolari, ottimo design, bassa qualità: la debolezza italiana Il settore distributivo vede il grande successo del segmento dedicato al pubblico dei giovani consumatori cui si offrono prodotti di buon design a prezzi contenuti, che riflettono una qualità medio bassa. Gli esempi dei marchi spagnoli Zara, Mango; dello svedese H&M, del francese Promod; dell americano Gap, sono poco seguiti nel settore distributivo italiano che per altro ha prodotto leader come Benetton. Il loro successo è legato ad una formula che integra distribuzione e produzione. Si tratta di imprese in grado di controllare molto efficacemente i cambiamenti di gusto dei giovani consumatori e di rifornire gli sbocchi commerciali periferici in tempi sufficienti per catturare e soddisfare ogni nascente domanda. Il modello di business di Zara ha diverse peculiarità innovative. Tra queste i tempi molto contenuti per il disegno di nuovi prodotti (circa tre settimane), un continuo aggiornamento delle linee proposte legato ai dati di vendita e la quasi assenza di campagne pubblicitarie. Con più di 200 disegnatori, Zara è in grado di disegnare, produrre e distribuire una collezione, ad ogni negozio, in qualsiasi parte del mondo, due volte alla settimana. La vendita avviene in negozi di proprietà, più di 3.000 in 64 paesi, situati strategicamente nelle aree commerciali urbane più significative, in cui ci si occupa al massimo dell'allestimento delle vetrine e dello spazio interno. Zara ha quasi 70000 dipendenti. Marchi retail come ZARA o H&M non esisterebbero senza il loro canale distributivo, H&M oggi ha oltre 1900 punti vendita in 22 paesi e più di 50.000 dipendenti. 120

Se guardiamo al panorama europeo nessuna grande impresa italiana figura tra le prime dieci per valore del brand. Brand Paese Settore Brand Valore Milioni di EURO H&M Svezia Abbigliamento 10,3 Carrefour Francia Grande distribuzione IKEA Svezia Casa e Arredamento Tesco UK Grande distribuzione M&S UK Grande distribuzione 6,6 6,5 5,6 5,1 Zara Spagna Abbigliamento 4,1 Fonte: Interbrand La Benetton è una delle prime aziende italiane a brand globale presente in 120 paesi. L'azienda produce oltre 110 milioni di capi l'anno. L'attività è suddivisa in due aree gestite in maniera separata: * abbigliamento casual e sportivo più accessori e scarpe * vendite di materie prime, semilavorati, servizi industriali e pubblicitari. Il gruppo deve la sua notorietà mondiale sia al modello del franchising, molto innovativo per l'epoca, sia alle campagne pubblicitarie di Oliviero Toscani. 121

5. Milano: una global fashion city Milano è un marchio mondiale della moda. Milano ha inventato simboli indimenticabili ed è il luogo dove strategie, idee, informazioni, progetti, valori risorse economiche, investimenti in marchi e alte dosi di creatività passano di mano ad un elevato tasso di scambio. L area milanese ospita case di moda di grandissimo prestigio, portatrici di marchi internazionali di grandissima qualità e attrazione: Armani, Dolce e Gabbana, Etro, Missoni, Prada, Romeo Gigli, Trussardi e Versace; sono inoltre milanesi i più importanti studi di design italiani: Boffi, B&B Italia, Cassina, Cappellini, e Kartell. Si stimano operare nell area milanese 200.000 addetti, 12000 imprese, 800 showroom, 6000 negozi, 6000 imprese di interior design, 17 istituti di ricerca e design (Reinach, 2006; Power e Jansson, 2008). Molti attori sono coinvolti nella creazione dell immagine mondiale di Milano e gli strumenti attorno ai quali si affollano sono espressione di cultura e creatività Eventi promozionali Tra i più importanti canali di comunicazione con i grandi acquirenti e i consumatori sono le sfilate di moda, le fiere e le settimane della moda. In quelle occasioni, un tempo fortemente connotate a Firenze, si rivela la dinamica della creazione milanese, si predispongono i suoi cicli produttivi in relazione alle preferenze dei buyers e si attraggono flussi qualificati di stakeholders del mondo della moda. Eventi come Milanovendemoda, Milano Moda Donna o quelli organizzati dalla Camera Nazionale della Moda Italiana sono tra gli eventi mondiali della moda. Milano Moda Donna del 2006, ad esempio, fu visitata da 22000 operatori di moda, furono accreditati 2000 giornalisti specializzati, presentò 230 collezioni in 100 show (Power e Jansson, 2008). Cifre da primato internazionale condiviso solo con New York e Parigi. Come i blockbusters nel campo delle esposizioni di arte contemporanea, gli eventi promozionali sono un modo per far ritornare a Milano una clientela internazionale, mantenere viva l attenzione dei media sulla produzione italiana di moda. Testimoni eccellenti Il sistema delle fashion star,stilisti, compratrici e modelle, dei designer acclamati e delle archistar è una componente importante del meccanismo di costruzione dell immagine e della reputazione di una città. Geni creativi come Versace, Armani, Dolce e Gabbana, Prada e tanti altri hanno associato il loro nome e il loro brand alla città. Il rapporto tra leader di moda e la città non riguarda solo la creazione dell immagine di global fashion city, ma anche un 122

volume straordinario di investimenti privati in centri, palazzi, recuperi urbani e iniziative che fanno dei grandi nomi della moda anche grandi mecenati. Showroom La nuova tendenza del consumo che fa dell esperienza un requisito essenziale del rapporto tra compratore e produttore, trova nei negozi di moda uno strumento opportuno. Le nuove forme del negozio di moda favoriscono l inclusione del consumatore in un ambiente nel quale si è emotivamente coinvolti: perché si assiste ad una sfilata improvvisata, ad un interevento dello stilista sul modello, perché si partecipa a un party incontrando personalità dello stilismo di moda, dei media e della cultura, perché vi sono aree per una pausa personale a contatto con l intera gamma produttiva del brand (oggetti di design, cibo, edizioni, accessori di moda, servizi personali di coiffure e spa). A Milano questi luoghi-esperienza, sia mono-marca che generali sono stati oggetto di grossi investimenti: il teatro e gli uffici Armani, il negozio Gucci, la trasformazione e recupero di luoghi ex industriali (Prada) o di sale cinematografiche (Dolce e Gabbana). Pubblicità La moda affiora nella vita quotidiana della città anche attraverso forme, a volte invasive, di pubblicità. Cartelloni giganti, affiche, e totem pubblicitari ridisegnano il profilo della città. E la forma del marketing diretto che richiama costantemente il pubblico, dalle stazioni, agli aereoporti, alle strade, alle piazze, sul connubio Milano e Moda. Ma Milano è anche capitale del mondo della pubblicità italiana, con il suo elaborato sistema di attori. Creativi, fotografi, esperti di immagini, guru delle preferenze dei consumatori, direttori di media di moda si affollano nei luoghi della promozione e della presentazione pubblicitaria die prodotti e della brand. Outlet, magastore, piccoli empori creativi. Sotto il profilo territoriale, l area Milanese è un grande distretto di opportunità di acquisto. Non solo negozi di lusso in via della Spiga e via Monte Napoleone, ma anche outlet industriali e grandi centri di vendita, piccoli empori bohemien nelle aree Ticinese, Navigli, Brera (Bovone et alii, 2005) e grandi progetti come la discussa Città della Moda. 6. Il mercato della moda e le sue trasformazioni 1. Moda etica La moda etica, ovvero quella che seleziona e certifica i materiali con cui si confezionano i vestiti e investe in sistemi di produzione sostenibili, è in crescita da circa 15 anni, come indica la ricerca dell'internazional Trade Center presentata al workshop Ethical Fashion durante le sfilate di Roma. Il mercato 123

della moda etica, in particolare nel Regno Unito, è cresciuto del 30% tra il 2004 e il 2005 e vale 43 milioni di sterline, lo 0,1% del mercato complessivo della moda. Secondo l'istituto per la certificazione etica e ambientale l Italia è agli ultimi posti in Europa sia come consumatrice che come produttrice di abbigliamento bio (fra i produttori più noti Think Pink con la collezione Nature Lab e Life Gate, con i jeans). L'utilizzo di tessuti biologici, di sistemi di etichettature trasparenti e di una catena di produzione più sostenibile può tuttavia aumentare gli acquirenti, per un mercato potenziale di circa 12 milioni di euro. Sulla scia di tale tendenza negli ultimi anni inoltre si sta affermando anche il lusso etico: prodotti di cosmesi ma anche vestiti di alta moda (ad esempio i vestiti da sposa di Gattinoni) realizzati con materie ricavate da risorse rinnovabili. 2. Moda e tecnologia Tecnologia e moda sono ormai un binomio indissolubile. Da una parte la tecnologia entra nella produzione tessile e nella confezione, dall'altra la moda ha iniziato a vestire la tecnologia. Esaminiamo entrambe le tendenze. La produzione di tessuti ad alto contenuto tecnologico nasce principalmente per il mondo dello sport, in cui le tute, ma anche i costumi e l'abbigliamento in generale deve garantire il massimo comfort e la massima prestazione. Dal mondo dello sport si sposta alla confezione di abbigliamento per il tempo libero e non solo. Alcuni esempi sono: le giacche e magliette predisposte per accoglier l'ipod e le sue cuffie, i vestiti che mandano una scossa elettrica se aggrediti, i vestiti che si possono allungare a piacimento, giacconi completi di blutooth wireless, abiti i cui elementi decorativi si muovono grazie all'energia solare, le magliette che funzionano come carica-batteria per cellulare e lettori mp3, sfruttando l'energia del corpo. In buona parte prototipi, alcuni di questi capi sono diventati un fenomeno di massa, o promettono di divenirlo a breve. Ma la moda non incorpora solo la tecnologia: la veste. E' infatti ampia la gamma di accessori elettronici (cellulari, lettori mp3, televisori) firmati dagli stilisti più acclamati. Cellulari e lettori mp3 in particolare sono gli oggetti più «griffati», con l'indubbio effetto di aumentare la visibilità del marchio, ma anche di realizzare prodotti che sempre più spesso, soprattutto dai consumatori più giovani, vengono vissuti come elementi di differenziazione e identificazione. 7. Il cambio generazionale e le case di alta moda Il tema della successione generazionale è comune a tutti i settori in cui si usa la creatività come input per la produzione di beni e servizi culturali. Ovunque abbiamo generazioni di creativi di successo che scompaiono e generazioni successive che non sono all altezza delle precedenti. Come garantire un tasso 124

almeno costante di creatività è dunque un obiettivo che si declina in ogni capitolo di questo rapporto. Possiamo immaginare il campo della moda come un campo di forze in cui le nuove generazioni cercano di farsi spazio opponendosi ai leader dominanti. Di conseguenza il ritmo del cambiamento nel campo della moda è segnato dal successo delle differenti generazioni di creatori. Le ragioni possono essere rintracciate nella definizione di cultura della moda in termini di un bene idiosincratico, che fa riferimento al binomio spazio/tempo. La moda si rivela nel tempo ( gli anni o decenni della varie generazioni) e nello spazio, si pensi si pensi alla Parigi degli Anni Cinquanta o alla Milano degli Anni Settanta. Uno dei nodi strategici quindi per favorire la vitalità e produttività del settore è il mantenimento della qualità da una generazione a quella successiva, e con la qualità anche la reputazione, le quote di mercato, la leadership dei grandi marchi. Un ambiente creativo è un fattore cruciale per l'emergere e l'evolversi di talenti creativi, e un ambiente capace di accogliere nuovi talenti, anche stranieri, può trarre da questi la linfa necessaria a rinnovarsi, come vedremo in seguito per l'industria della moda e del lusso francese, che forse per prima ha dovuto affrontare la sfida della successione generazionale dei couturier. Un altro fattore importante è la capacità di mantenere la reputazione e la qualità come capitale su cui investire, rinforzando e rendendo più forte il marchio grazie all'entrata sui mercati degli accessori profumi, occhiali, borse... - e del prêt-à-porter. Un ultimo elemento di vitale importanza per il mantenimento della creatività nel corso del tempo è la successione degli stilisti rispetto alla struttura proprietaria dell'azienda. Le case di moda francesi hanno già compiuto passi in questa direzione: la proprietà delle grandi case di moda è caratterizzata dalla diminuzione del controllo della famiglia del fondatore. La frammentazione delle proprietà attuata tramite la quotazione in borsa ha fatto della successione un'operazione più di routine: non c'è più una identificazione extraforte tra stilista-fondatore e proprietà, con l'effetto di non subire lo shock della morte o dell'abbandono dello stilista, ma anzi, facendo del succedersi di diversi stilisti alla guida della maison un punto di forza, innovazione, sviluppo. La successione è più dolorosa quando invece l'impresa è di tipo familiare e si identifica strettamente con il suo fondatore, situazione più comune nel panorama italiano. 8. L industria del lusso L evoluzione della moda europea ha incontrato sul suo cammino l industria del lusso e se ne è appropriata. Un lusso moderno, globale, paradossalmente alla portata di tutti. Una industria ad altissimo valore aggiunto intellettuale, al punto da sovvertire le normali gerarchie nella produzione di valore. Lusso e creatività 125

camminano, dunque, insieme, e costituiscono lo sbocco naturale dell intero settore. Un dato su tutti. Una Maison come Coco Chanel, ricava il 90% della sua cifra d affari dalla vendita di profumi, il resto si divida tra altro accessori e abiti di moda, che sono all origine della reputazione internazionale della marca. I beni di lusso sono quei prodotti che vengono percepiti come tali in virtù dell'immagine di distinzione, qualità e particolarità, rispetto ai beni normali, che essi veicolano. Tuttavia non vi è un accordo unanime circa i confini dell'industria del lusso: si possono considerare beni di lusso quelli prodotti in serie limitata con caratteristiche di particolare ricercatezza e qualità nella produzione, si pensi all abito sartoriale, e i beni prodotti in grande serie, si pensi ai 3 milioni annui di borse Louis Vuitton, che soddisfino caratteristiche di massima classe di prezzo, difficoltà nell'accesso, predominanza delle componenti immateriali, dei valori simbolici, estetici e culturali. Dopo un'epoca storica in cui il consumo di beni di lusso è stato dominato da un paradigma aristocratico (in cui i beni di lusso sono consumati dall'élite e proibiti al popolo), oggi a dominare è il paradigma industriale, in cui i beni di lusso sono prodotti in serie e il consumo è possibile, almeno per una volta nella vita, da parte di tutti. In tale situazione l'industria del lusso ha bisogno della creatività dell'alta Moda: la crescita del mercato del lusso fa sì, infatti, che vi sia bisogno di un costante apporto di creatività, al fine di evitare l'obsolescenza dei prodotti e di contrastare la volatilità della domanda. In questo senso l'alta Moda può divenire un semplice esercizio di creatività, vetrina per il prêt-à-porter di lusso, può cioè rappresentare la frontiera dell'innovazione della moda, ed essere capace di trasferire creatività nel resto della filiera, o ancora può fondersi con il prêt-à-porter di lusso, al fine di creare un'industria redditizia. L'entrata dei gruppi finanziari internazionali (LVMH, Gruppo Pinault, Richmond, Versace, Armani) nel segmento del lusso ha permesso da una parte di valorizzare un patrimonio, costituito dalle case di moda, dai marchi e dalla reputazione, che prima era sottovalutato, dall'altra di investire in ricerca e marketing, al fine di contrastare la volatilità della domanda e di distribuire il rischio di impresa. La diffusione internazionale dei negozi monomarca si fonda in gran parte sull offerta di beni di lusso accessori. In Italia la Fiera del Lusso organizzata a Vicenza raccoglie 250 espositori con oltre 60000 visitatori. Tende a rappresentarsi come la finestra italiana sui beni di lusso. 9. La proprietà intellettuale e la contraffazione I beni della moda e del lusso sono esposti, per loro natura, al fenomeno della contraffazione e della pirateria commerciale: il mercato del falso e della contraffazione sono in espansione. Secondo stime dell OCSE il giro d affari mondiale delle contraffazioni in tutti i settori, dalla musica agli oggetti del lusso, è di circa 200 miliardi di dollari, pari a una quota tra il 7% e il 9% del commercio mondiale. Secondo il rapporto SOS Impresa in Italia la contraffazione ha un 126