L Eucaristia: mistero della fede e icona del Regno di Dio

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1 L Eucaristia: mistero della fede e icona del Regno di Dio Per questa riflessione che privilegerà il taglio della teologia biblica non possiamo che partire dai testi neotestamentari, ed in particolare da quelli che ci riportano l istituzione dell Eucaristia: 1 Cor 11,23-26; Lc 22,15-20; Mc, 14,22-25; Mt 26, Non esamineremo in dettaglio le quattro pericopi, ma ne ricorderemo i tratti significativi. Certamente sottolineiamo che il testo più antico è quello di Paolo, ed accostiamo Luca a Paolo, e Marco con Matteo. I. L istituzione dell Eucaristia si colloca nel contesto di una cena che ha connotazione pasquale, anche se non è identificabile con essa. Vi è qualche discordanza da ciò: in Giovanni la cena è anticipata, e comunque i gesti della cena richiamano ma con differenze i gesti della cena giudaica, non solo quella della pasqua (e anche l ordine con cui sono riportati i gesti non è univoco). Il contesto, comunque, e cioè la Pasqua, rimanda all istituzione di un rito come memoriale così è in Es 12 e ciò vale quindi anche se nei testi di Marco e Matteo non è riportato il comando di fare memoria. La formula che ricorre nella celebrazione non era inizialmente fissata nei particolari, e ne sono traccia le differenze testuali, ma lo era nella sostanza: si tratta del rito memoriale della comunità che nasce dall evento della morte e risurrezione di Cristo. In particolare il testo di Paolo ci riporta all arcaicità di questa consapevolezza: possiamo infatti arrivare circa all anno 40. 1

2 Considereremo adesso le parole di Gesù, i gesti, e quindi il senso dato, per entrare un po in questo evento che è mistero centrale per la Chiesa. 1. Le parole di Gesù, durante la cena, profeticamente annunciano la sua morte e la certezza della vittoria sulla morte: leggiamo da Luca, in riferimento alla pasqua, non la mangerò più, ed ancora finché non troverà il suo adempimento nel regno di Dio, così come nei paralleli di Marco e Matteo. L espressione non la mangerò più è annuncio della morte. Queste parole di Gesù sono in continuità con la sua predicazione, rimandano al Gesù della storia: la diversa elaborazione dei testi non intacca il rimando allo stesso Gesù che annuncia profeticamente la sua morte, nei sinottici per tre volte, seppure con delle connotazioni differenti. Anzi i brani dell istituzione proprio per la tradizione antica a cui si richiamano fanno parlare di brano di vangelo anteriore ai vangeli, in cui si avvertono i toni, il linguaggio, della comunità di origine, la comunità palestinese. Anche per il richiamo alla vittoria sulla morte che leggiamo nell espressione finché non troverà il suo adempimento nel regno di Dio, vi è continuità con la predicazione di Gesù: è Gesù che fa intravedere la sua glorificazione in alcuni detti; tra questi sono significativi i riferimenti alla ricostruzione del tempio, anche perché sempre nel contesto delle parole dell istituzione si richiama una alleanza, in Paolo e Luca indicata come nuova. Quindi fine del Tempio e novità che si inaugura in Gesù. Inoltre le parole di Gesù indicano il significato della sua morte. Il pane-corpo dato per gli uomini indica il martirio cruento, il 2

3 sacrificio della vita, la morte espiatrice con valore universale, e i richiami sono in particolare al testo di Isaia, ai carmi del Servo (cf. Isaia 52,13-53,12). Il vino-sangue dell alleanza, sangue versato per i molti, conferisce a tale evento carattere cultuale e richiama Es 24. Quindi da una parte un evento reale: la morte; dall altra la dimensione cultuale dell evento stesso. Il riferimento all alleanza ed il passivo dei verbi utilizzato (dato, effuso) richiamano l agire di Dio (è quello che si indica come passivo teologico ): in 2 Cor 5,19 leggiamo che è Dio che opera la riconciliazione, l alleanza tra Dio e l uomo. Nelle parole della cena, dunque, con venerazione di stampo semitico, l agire di Dio è presentato attraverso la forma passiva, ma il soggetto è Gesù: è lui stesso che dona il suo corpo, effonde il suo sangue. 2. Queste le parole, e andiamo ora ai gesti. Alla parola profetica si accompagnano i gesti, che secondo l uso profetico esprimono ciò che si annuncia. Pensiamo ai vari gesti profetici presentati nell Antico e nel Nuovo Testamento: ad esempio di Ezechiele, o di Agabo in Atti. In questo caso si tratta di gesti in un contesto di convito e posti secondo la tradizione e la cultura giudaica. La benedizione e l offerta hanno il significato primario. L offerta esprime l obbedienza al Padre e la volontà Di Gesù di compiere quella morte. Ma è anche offerta agli uomini, l offerta di sé come alimento da prendere. 3

4 Il contesto conviviale sottolinea la condivisione, ed anche questo richiama i tratti del Gesù della storia che mangia con i peccatori che è considerato un mangione e un beone. Quanto alla benedizione, è Marco con Matteo che riporta l espressione più arcaica, mantenendo disse la benedizione, invece di rese grazie. La Berakka dice del contesto di lode a Dio per quanto ha operato dalla creazione alla liberazione, per quanto opera, per quanto dona in Gesù stesso che si offre. 3. Quanto al significato, i doni del pane e del vino sono presentati in modo tale da fare operare un passaggio: dal gesto simbolico si passa alla identificazione tra i doni e la persona stessa di Gesù. Il pane-corpo indica tutta la persona di Gesù, secondo il modo semitico che attraverso il corpo indica l uomo: l uomo è un corpo. Il sangue, l effusione del sangue, richiama la vita. Il contenuto del calice è la nuova alleanza nel suo sangue : dal sangue versato per l alleanza con Mosè, andiamo a Ger 31,31 con la promessa di un alleanza nuova, e poi al Servo posto come alleanza del popolo (cf. Is 42,6 e 49,8). Dono della cena è Gesù, il Servo che va incontro ad una morte espiatrice e gloriosa, gloria che è anche sottolineata dal quarto carme del Servo (cf. Is 52,13-53,12); egli stesso è alleanza, ha riconciliato il mondo, è la nostra pace. In Atti 20 Paolo parla della Chiesa che è dal Suo sangue. 4

5 La Lettera agli Ebrei presenta Gesù anche come Sommo Sacerdote di questa alleanza nuova ed eterna: vittima e Sacerdote. Paolo e Giovanni sottolineano l identità tra i doni e Gesù: così in 1 Cor 11,27 e Gv 6. Tale concezione, in pratica relativa alla presenza reale di Gesù nel pane e nel vino, non viene dalla mentalità giudaica né da una impostazione ellenista: nel giudaismo era rifiutato all uomo un potere sul sangue, gli era vietato berlo; nella concezione ellenistica la salvezza era separazione dal corpo. Solo al Gesù della storia possiamo andare per un così originale e ardito passaggio: dove a un gesto concreto (mangiare) si affianca una reale presenza, una condivisione piena. Si tratta di quel corpo spirituale che consente l evento della comunione, ed è comunicabile a tutti (cf. 1 Cor 10,3-4 e Gv 6,51). II. Andiamo ora alla prefigurazione del Regno. Il banchetto ha di per sé connotazione escatologica: richiamiamo Isaia, ma poi anche le parabole di Gesù che parlano del regno come convito, festa di nozze. Lo sposo è presente (cf. Is 25,6; Lc 14,15 ss ; Mt 22,1-2 e Mc 2,19). Il banchetto messianico è anche prefigurato nelle narrazioni della moltiplicazione del pane. In particolare evidenziamo il rapporto da una parte con il tempo del deserto e con Mosè e dall altra con il banchetto futuro: Giovanni fa un esplicito accostamento a Mosè e al dono della manna, ma le descrizioni dei sinottici richiamano il luogo deserto, solitario, e il banchetto preparato così come dice il Salmo (cf. Sal 23 e Is 49,9-10). 5

6 Nelle parole dell istituzione dell Eucaristia vi è un esplicito riferimento al Regno, anzi la cena è posta in tensione verso quel banchetto festoso: non ne mangerò più finché. Le parole di Gesù sono come un testamento spirituale. In Giovanni, che non riporta le parole dell istituzione dell Eucaristia nel contesto della cena, vi sono i discorsi di addio, e l annuncio del dono dello Spirito Santo; sempre in Giovanni è sottolineato il rapporto della morte con l incarnazione e la glorificazione. Abbiamo già ricordato come lo stare a tavola si colleghi alla quotidianità, ai tratti, agli usi di Gesù; e del resto stare attorno alla stessa mensa esprime la comunione, la condivisione. È ciò che si attende. In Ap 3 è detto che Gesù attende di entrare, per restare: e ciò è espresso come un cenare con. Nelle apparizioni del Risorto è prefigurato il banchetto futuro (cf. Lc 24 e Gv 21). Nella celebrazione eucaristica si pregusta la condivisione propria del Regno, e ciò ci rimanda a Gesù che vive la cena in attesa, in tensione verso un altro convito: non la mangerò più finché. Proprio l Apocalisse si muove nel contesto liturgico e ci richiama l invocazione-acclamazione della Chiesa. Maranà tha è acclamazione oltre che invocazione: vieni Signore Gesù!, è venuto!, verrà!. E la risposta dello Sposo riguarda il presente e il futuro: Vengo!, Verrò! (cf. Ap 22,17.20). Poiché la celebrazione eucaristica è anticipo e attesa, vogliamo sottolineare almeno un aspetto, considerando che ciò che si celebra rimanda al vivere: la natura del Regno che si attende e che viene. 6

7 Dalla predicazione di Gesù, ed in particolare dalle parabole, è il regno dei piccoli, dei poveri (cf. Lc 14,21). In Luca è proprio nel contesto della cena che viene presentata la controversia tra i discepoli su chi sia il più grande (cf. Lc 22,24-27). Fare memoria è vivere nell oggi la realtà del regno che viene, seguendo l esemplarità del Servo che va incontro alla morte gloriosa per amore dei molti, di tutti. 7

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