CASSAZIONE CIVILE - Sezione III sentenza n del 24 maggio 2006

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1 SENTENZE IN SANITÀ CORTE DI CASSAZIONE CASSAZIONE CIVILE - Sezione III sentenza n del 24 maggio 2006 Cosa e quando: per risolvere una controversia in materia di responsabilità civile del medico e per quantificare correttamente l eventuale risarcimento dovuto dal professionista, bisogna identificare in concreto sia il suo errore o la sua negligenza, sia il momento in cui questa condotta colposa è stata posta in essere. Il chiarimento che suona come un richiamo al rigore, spesso carente nei procedimenti civili in questo ambito arriva dalla terza sezione civile della Cassazione che, con la sentenza n , depositata in cancelleria il 24 maggio 2006, ha annullato con rinvio una decisione della Corte d appello di Roma. Svolgimento del processo Con atto 24 marzo 1989 S.M. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, P.G., medico chirurgo, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni tutti subiti a causa della di lui imperizia e negligenza. Premesso di essersi rivolta, sin dal 1980, al P. per una terapia di prevenzione tumorale l'attrice ha esposto che il convenuto aveva, inizialmente, sottovalutato la presenza di una opacità rotondeggiante al seno destro, rilevata da un esame xeromaimnografico, che, successivamente, la situazione aveva subito un peggioramento, in quando da un nuovo analogo esame la opacità era apparsa anche al seno sinistro, che le erano stati prescritti solo inutili antinfiammatori. Al terzo esame, del 17 marzo ha riferito ancora l'attrice - la situazione si era ulteriormente aggravata e il P. aveva, altresì, anche ignorato le segnalazioni per approfondimento di indagini effettuata dai laboratori specializzati e continuata a rassicurarla, riconducendo i nuovi sintomi alla mastopatia da lei sofferta, nonostante il referto dell'esame radiologico eseguito il 10 aprile 1986 presso il laboratorio Scrolli segnalasse, con l'indicazione TH3 chiaramente e univocamente la presenza di un tumore maligno. Ha esposto, infine, l'attrice che solo nell'aprile 1987, quando la patologia era divenuta incurabile, il P. le aveva consigliato una visita chirurgica presso un amico e collego il quale aveva consigliato un intervento urgente, intervento eseguito il 21 aprile 1987 presso l'ospedale San Camillo di Roma. In realtà, ha fatto presente S., sin dal 1980 il convenuto avrebbe dovuto prescrivere esami più accurati e discriminanti, che ciò, comunque, sarebbe stato necessario dal 1983, che ingiustificabile era stato il mancato intervento a fronte delle obiettività emerse nel 1986 e che il periodo di tempo intercorso tra l'aprile 1986 e l'aprile 1987 aveva reso irreversibile e pressoché incurabile la malattia. Costituitosi in giudizio il P. ha resistito alla avversa domanda, deducendone la infondatezza e chiedendone, comunque, il rigetto per intervenuta prescrizione. Ha esposto infatti il convenuto che aveva iniziato a visitare e curare la S. dal 7 giugno 1977, di averla visitata il 12 novembre 1982 e da allora in poi le aveva prescritto le dovute cure e i controlli strumentali e ciò anche l'8 aprile 1987, giorno in cui le aveva prescritto un esame biooptico e a partire dal quale non aveva più avuto notizie della paziente. 1

2 Deceduta, nelle more, la S., con atto 11 marzo 1990 si sono costituiti in prosecuzione gli eredi L.L., marito, in proprio nonché quale esercente la potestà sulle figlie minori F. e P.. Svoltasi la istruttoria del caso l'adito tribunale con sentenza 12528/1996 ha rigettato la domanda attrice, compensate le spese processuali. Gravata tale pronunzia da L.L. nonché dalle figlie L.F. e L.P., nelle more divenute maggiorenni, la Corte di appello di Roma, con sentenza 15 dicembre novembre 2001, in accoglimento del gravame e riforma della sentenza dei primi giudici ha condannato l'appellato P. al pagamento, in favore degli appellanti, della somma di L. 200 milioni, oltre gli interessi dalla sentenza, a titolo di risarcimento del danno, nonché al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, hanno proposto ricorso, affidato a 4 motivi e illustrato da memoria, L.L., L.F. e L. P.. Resiste, con controricorso e ricorso incidentale affidato a un unico motivo, pur esso illustrato da memoria P.G.. Motivi della decisione 1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. 2. Pregiudiziale, rispetto all'esame del primo e del secondo motivo del ricorso principale, relativi (come anche il quarto) al quantum del risarcimento reclamato dai ricorrenti principali, è la valutazione della fondatezza del terzo motivo del ricorso principale e dell'unico motivo del ricorso incidentale. Entrambi i detti motivi, intimamente connessi e da esaminare congiuntamente, infatti, sono relativi all'an debeatur e, pertanto, da esaminare con precedenza. 3. Premesso quanto sopra si osserva che i giudici del merito hanno ritenuto la responsabilità del P. sulla base del rilievo che lo stesso "a fronte all'insorgere del nodulo al seno sinistro, rivelato già dalla xeromaiumografia del gennaio 1983, non si pose in grado di accertare subito la vera natura della formazione". Precisa, al riguardo, la sentenza impugnata: - "evidentemente sottovalutando 11 risultato del suddetto esame, nelle visita del 30 novembre 1984 egli non consigliò infatti alla paziente controlli più ravvicinati, nè, essendo ormai trascorsi circa due anni, un nuovo esame radiologico, allo scopo di seguire il decorso della malattia"; - "prescrisse tale esame, invece, il 10 marzo 1986, quando la neoformazione della probabile dimensione di circa due centimetri, era palpabile e perciò diagnosticabile all'esame clinico, ed era quindi necessario solo accertare la natura del tumore"; - "inoltre, effettuata già il 17 marzo 1986 la xeromammografia, da cui emergeva una situazione altamente sospetta (tanto che il radiologo consigliava una ecoto-mografia, integrata da eventuale biopsia) egli sembra non aver preso visione del referto prima del giugno 1986"; - "prescritta l'8 aprile 1986 una teletermografia (dalla quale pure risultava un allarme neoplastico), ancora una volta non si preoccupò di conoscere il referto"; 2

3 - "nel giugno successivo, avendo ancora dubbi, inviò la S. dal D.P. per una visita chirurgica specialistica, senza preoccuparsi di conoscerne l'esito, né, saputo dopo un certo tempo che la paziente non vi si era recata si preoccupò di prendere contatto con la S.". Tale condotta, hanno affermato i giudici del merito sembra, ad un tempo, imperita e negligente, atteso che "fin dal marzo 1986 il P. disponeva degli elementi sufficienti per diagnosticare il tumore e, quindi, era inutile prescrivere esami che non potevano dare risposta sicura circa la natura della neoplasia", "l'avere inviato, già in ritardo la S. per il D.P. non esimeva ovviamente il medico curante dal dovere di informarsi sull'esito di un controllo che egli stessi asserisce di avere prescritto, e che avrebbe dovuto dare una risposta definitiva circa la natura del tumore" "o se, come sembra nel caso, avesse saputo che la paziente aveva disatteso la sua indicazione non recandosi presso il chirurgo, egli, nello stretto ambito del proprio compito professionale aveva certamente l'obbligo di informare la paziente della situazione in cui si trovava e dei pericoli cui andata in concreto sottraendosi o ritardando esami necessari". "Invero - si precisa ancora in sentenza - il fatto la S., la quale da tempo si sottoponeva a visite regolari, ad esami istologici (pap test) e radiologici (xeromammomagrafia) non si sia recata dal chirurgo è certamente indizio di una certa informazione da parte del medico curante che aveva il dovere, pur con le cautele consigliate dalla sensibilità individuale di mettere al corrente della ormai evidente insorgenza neoplastica e del grave pericolo in cui ella versava". 4. La riassunta pronunzia è censurata, nella parte de qua - come anticipato - da un lato, dai ricorrenti principali, dall'altro, da quello incidentale. I primi, in particola denunziano "contraddittoria motivazione circa un punto determinante della sentenza laddove equivoca circa la data di inizio alla quale fa risalire l'errore professionale del medico, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5". Si osserva, infatti, che la sentenza gravata, da un lato riconosce che l'errore del P. risale al 1983 (o quantomeno al 4 gennaio 1984), dall'altro, sposta tale momento al 1986 e, pertanto "fossilizza la sua attenzione solo al 1986" (ritiene, cioè, responsabile, il P. per la sua condotta del 1986). Non diversamente - anche se muovendo da un'ottica e da aspettative opposte rispetto a quelle a fondamento del ricorso principale - il secondo, nel denunziare "violazione e falsa applicazione dell'art c.c., comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3" nonché "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5" lamenta come "nella motivazione svolta dalla impugnata sentenza.. è dato individuare significative contraddizioni e lacune di motivazioni". Premesso che "il caso.. pone.. delicati problemi di individuazione del momento nel quale si poteva porre un problema di negligenza del medico in ordine alla prescrizione o meno di accertamenti diagnostici mirati ad individuare l'esistenza di un tumore" il ricorrente incidentale censura la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto la sua responsabilità professionale per i "fatti" del 1986 ancorché esso concludente avesse "consigliato alla paziente di effettuare una biopsia, indirizzandola presso il chirurgo, e la... S., pur avendo preannunciato la visita non si era presentata". 3

4 "A questo punto - evidenza il ricorrente incidentale - la concludente avrebbe dovuto essere che... il P. si era comportato con la perizia e la diligenza dovute, non potendo egli rispondere del comportamento omissivo della paziente". La Corte di appello, prosegue il ricorrente incidentale - contemporaneamente - mentre, da un lato; afferma che alla visita del novembre 1984 il P. avrebbe potuto consigliare controlli più ravvicinati e disporre un nuovo esame radiologico - e ravvisato in questa condotta omissiva la responsabilità del professionista, dall'altro, contraddicendo quanto sopra, afferma che il P. aveva acquisito elementi sufficienti per diagnosticare un tumore solo nel marzo Entrambi i motivi sono fondati, sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5. Giusta quanto assolutamente pacifico - presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che in questa sede non può che ulteriormente ribadirsi - il vizio di contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 si configura allorché nel ragionamento del giudice di merito si riscontri un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (Cfr. ad esempio, Cass. 7 agosto 2003, n ; Cass. 7 a- gosto 2003, n ; Cass. 14 febbraio 2003, n. 2222; Cass. 20 novembre 2002, n ; Cass., 21 marzo 2001, n. 4025), nonché allorché dall'esame del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, questo si rilevi incompleto, incoerente e illogico (Cass., 8 agosto 2000, n , specie in motivazione). Alla luce dei sopra ricordati principi di diritto sono palesi i vizi di motivazione della sentenza impugnata. Infatti: - denunciandosi, da parte dei ricorrenti principali, la responsabilità professionale del medico, per non avere diagnosticato tempestivamente il tumore di cui era affetta la S., dante causa degli o- dierni ricorrenti, è di palmare evidenza che "punto decisivo" della controversia era a tutti gli effetti, non ultimi quelli della misura dell'eventuale risarcimento dovuto, come puntualmente denunziato dai ricorrenti principali sia l'identificazione dell' "errore" (o della "negligenza") in concreto del medico (ovviamente alla luce dello stato delle conoscenze scientifiche all'epoca dei fatti), sia del momento in cui questa condotta, colposa, è stata posta in essere; - atteso che nella specie la sentenza gravata mentre in alcuni punti "pare" fissi quale data del comportamento colposo il 30 novembre 1984, in altri, evidenzia che la condotta "imperita e negligente" è stata posta in essere successivamente al 10 marzo 1986 e, in particolare, il 13 giugno 1986, è evidente la denunziata contraddittorietà di motivazione su un punto decisivo della controversia; - contemporaneamente, non può non evidenziarsi, sotto più profili, la assoluta illogicità dell'iter logico fatto proprio dalla sentenza gravata nel ritenere la responsabilità del P. con riguardo alla sua condotta dopo avere (nel giugno 1986) indirizzato la S. presso un chirurgo per una visita specialistica; - si afferma, al riguardo, in sentenza che il P. deve ritenersi responsabile di una condotta "imperita e negligente" perché "inviò la S. dal.. per una visita chirurgica specialistica, senza preoccu- 4

5 parsi di conoscerne l'esito, né, saputo dopo un certo tempo, che la paziente non vi sia era recata si preoccupò di prendere contatto con la S."; - essendosi la S. rivolta al P. - per quanto risulta dagli atti di causa - in forza di una propria libera scelta è evidente che nessun obbligo gravava né sulla S. di rivolgersi anche per il futuro al predetto professionista, né su quest'ultimo, di verificare, e sindacare, le scelte della paziente. Se quest'ultima, infatti, poteva, liberamente, affidarsi a un altro professionista senza dovere dare alcuna giustificazione al precedente, è evidente che non può costituire fonte di responsabilità professionale la condotta tenuta nella specie dal P.; - parimenti illogica, ancora, appare la sentenza gravata allorché dal fatto "certo" che la S. non si è - immediatamente - recata presso il chirurgo segnalatole dal P. per gli ulteriori accertamenti, ha tratto la prova del fatto "ignoto" "di una carente informazione da parte del medico curante.. di mettere al corrente la paziente della ormai evidente insorgenza neoplastica e del grave pericolo in cui ella versava", certo essendo che il fatto da provare (carenza di informazioni) non pare nella specie segua al fatto noto (omessa tempestiva presentazione a una visita specialistica) né secondo logica, né nella "normalità dei casi" (cfr. Cass. 23 gennaio 2006, n. 1224), specie considerato, da un lato, che la S. (che "da tempo si sottoponeva a visite regolari, ad esami istologici... e radiologici.. ", bene aveva la consapevolezza della possibilità di essere portatrice di una patologia al seno, dall'altro, che senz'ombra di dubbio la stessa, anche se con ritardo, si è, comunque, sottoposta alla visita specialistica consigliata dal P., senza che in qualche modo risulti che essere stata indotta a questa da fattori esterni. 6. Il terzo motivo del ricorso principale e l'unico motivo del ricorso incidentale, in conclusione, ritenuta la contraddittorietà, nonché, in parte, la illogicità della motivazione della sentenza gravata nella parte relativa alla ritenuta responsabilità professionale del P., devono essere accolti, con assorbimento degli altri motivi del ricorso principale, cassazione, in relazione ai motivi accolti della sentenza gravata e rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvedere, altresì, sulle spese di questo giudizio di Cassazione. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il terzo motivo del ricorso principale nonché l'unico motivo del ricorso incidentale; cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza gravata e rinvia la causa, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche per le spese di questo giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio Depositato in Cancelleria il 24 maggio

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