Una Mostra a Palazzo Montecitorio. Illustrata dagli alunni della Classe III A. del Liceo Scientifico F. Masci di Chieti

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1 Una Mostra a Palazzo Montecitorio Illustrata dagli alunni della Classe III A del Liceo Scientifico F. Masci di Chieti A Cura della Prof.ssa Stefania Ricciotti 121

2 INDICE INTRODUZIONE di Maria Febbo STORIA DEL PALAZZO di Alessandro Luciani SALA DELLA REGINA di Francesco Mellouki I PANNELLI DELLA MOSTRA di Francesco Mellouki IL DISCORSO DELLA CORONA di Francesco Mellouki IL MEZZO PER PARTECIPARE ALLO STATO di Francesco Mellouki FIANCO A FIANCO CON LA STORIA di Francesco Mellouki LA GIACCA, IL BUON COSTUME DELLA POLITICA ITALIANA di Francesco Mellouki LA FORZA DELLA COERENZA di Francesco Mellouki NILDE IOTTI di Erica Liberatore ALDO MORO di Alessandro Luciani LA CERIMONIA DEL VENTAGLIO di Lisa Taddeo DOVE SIEDONO OGGI I NOSTRI PARLAMENTARI di Francesco Mellouki IL VALORE DELL ESPERIENZA di Emilia Maria Bernabei Realizzazione grafica: Nino Junior D Amelio IV A 122

3 INTRODUZIONE Il 2 dicembre 2011, noi alunni delle classi Terze abbiamo avuto l'opportunità di visitare la mostra allestita nel Palazzo di Montecitorio in occasione dei 150 anni. Articolata in un percorso di immagini, cimeli, apparati fotografici e multimediali, l'esposizione racconta la storia della Camera, i diversi aspetti e la sua evoluzione. Offre, inoltre, un itinerario storico-cronologico delle trasformazioni socio-economiche e culturali che caratterizzarono l'italia. L'obiettivo della mostra, rivolta principalmente ai giovani e agli studenti, è quello di far entrare i cittadini nella Camera dei Deputati spiegando qual è stata la storia di quest'istituzione attraverso i 150 anni della sua esistenza e illustrando il rapporto tra l'istituzione e il paese. 123

4 Storia del palazzo La storia del palazzo è alquanto travagliata. Anche il nome è di origine incerta: c'è chi ritiene che in epoca romana vi si svolgessero le assemblee elettorali (da cui mons citatorius); per altri il nome del luogo deriva dal fatto che vi venivano scaricati i materiali di risulta della bonifica del vicino Campo 124

5 Marzio (mons acceptorius).1 L'attuale palazzo, che prese il posto di un preesistente gruppo di casupole, fu commissionato da papa Innocenzo X al Bernini come futura dimora della famiglia Ludovisi. Morto il papa nel 1655, i lavori furono interrotti per mancanza di fondi e non furono ripresi se non oltre trent'anni dopo per volontà di un altro pontefice dallo stesso nome (Innocenzo XII), che dapprima intendeva destinare il palazzo a ospizio per i poveri e poi decise di installarvi la Curia apostolica (i tribunali pontifici). Intanto Bernini era morto e il nuovo architetto Carlo Fontana modificò profondamente il progetto berniniano, conservando la caratteristica facciata convessa e aggiungendovi l'arioso campanile a vela. Fontana dovette invece rinunciare, per volontà del pontefice (ancora la mancanza di fondi), a creare un'unica grande piazza al posto delle attuali piazza Colonna e piazza Montecitorio. La Curia innocenziana fu inaugurata nel 1696 dando acqua alla grande fontana collocata in fondo al grande cortile semicircolare. Oltre che dei tribunali, il palazzo fu poi anche sede del Governatorato di Roma e della direzione di polizia, divenendo così il centro della vita amministrativa e giudiziaria del governo pontificio. La campana maggiore, che ora suona solo in occasione dell'elezione del Presidente della Repubblica, dava il segno dell'inizio delle udienze e la sua precisione nel battere le ore divenne proverbiale a Roma. Ogni sabato, poi, il popolo romano accorreva nella piazza per assistere all'estrazione dei numeri del lotto che, come narra Stendhal nelle sue Passeggiate romane, venivano gridati dal balcone. Dopo l'unità d'italia e l'annessione nel 1870 dello Stato pontificio, il trasferimento della capitale a Roma comportò la scelta di sedi adeguate per i massimi organi del Regno. Per la Camera dei Deputati, scartate altre soluzioni - fra le quali il Campidoglio e palazzo Venezia - la scelta cadde su Montecitorio e furono avviati con grande rapidità i lavori per adattare il 1 Cfr: 125

6 vecchio palazzo alle nuove esigenze. Il compito di edificare l'aula dell'assemblea fu affidato a un ingegnere poco noto dei lavori pubblici, Paolo Comotto, che vi provvide in tempi molto rapidi (l'inaugurazione avvenne il 27 novembre 1871), costruendo nel grande cortile una sala semicircolare a gradinate su un'intelaiatura di ferro interamente ricoperta di legno. Per quanto inizialmente lodata, la nuova aula si dimostrò tuttavia presto inadeguata, dotata di una pessima acustica, caldissima d'estate e freddissima d'inverno, tanto che i deputati vennero autorizzati dal Presidente nelle giornate particolarmente rigide anche a tenere in testa il cappello. Fallito un tentativo di costruire in Via Nazionale un nuovo palazzo del Parlamento (destinato a ospitare anche il Senato), nel 1900 i Questori della Camera decisero di chiudere l'aula Comotto e di trasferire i lavori dell'assemblea in un'auletta provvisoria che rimarrà in funzione fino al Il Governo aveva intanto affidato all'architetto Ernesto Basile il compito di ampliare la sede della Camera secondo un progetto che fu realizzato costruendo un nuovo edificio alle spalle dell'antico. Basile, noto esponente dello stile liberty italiano, conservò dell'antico palazzo berniniano solo la parte frontale, squadrò il cortile centrale, demolì le ali e la parte posteriore a forma triangolare. Sventrando le vie circostanti per far posto alla piazza del Parlamento, Basile inserì in questo spazio un grosso edificio di travertino e di mattoni rossi, di forma quadrata e con quattro torrioni medievaleggianti. Di grande interesse sono i risultati ottenuti all'interno della sede della Camera. Nel disegno degli interni, Basile dispiega il suo gusto più di designer che di architetto, ottenendo un risultato complessivo in cui la solennità degli ambienti bene si sposa con l'ariosità delle decorazioni e dei dettagli. Ne danno testimonianza, oltre all'aula, i corridoi e i saloni monumentali primo fra tutti, il più famoso, il transatlantico. Il salone è posto all'estremo dell'aula dove sostano i parlamentari negli intervalli delle 126

7 sedute, deve il suo nome alla illuminazione a plafoniera, caratteristica delle navi transoceaniche. Con Basile collaborarono anche altri artisti, esponenti di spicco del gusto celebrativo (e un po' retorico) dell'epoca: Leonardo Bistolfi e Domenico Trentacoste, autori dei gruppi marmorei e della facciata posteriore, Aristide Sartorio è l'autore del grande fregio pittorico dedicato alla storia del Popolo italiano che circonda l'aula in alto, appena sotto l'arioso velario liberty in vetro colorato opera di Giovanni Beltrami. Davide Calandra eseguì il grande pannello bronzeo dell'aula La glorificazione della dinastia sabauda. Le principali sale di rappresentanza sono al secondo piano, che ospita anche gli uffici del Presidente e dei componenti l'ufficio di Presidenza e del Segretario generale. Attraverso uno scalone monumentale, si accede al Corridoio dei busti. Lungo tale corridoio sono esposti una trentina di busti in marmo o in bronzo di deputati illustri, da Cavour e Garibaldi agli esponenti di massimo rilievo della storia parlamentare repubblicana. Il salone della Lupa, il salone più ampio dell'ala berniniana, deve il suo nome alla presenza di una scultura della lupa romana in bronzo. Il fasto dell'ambiente è arricchito dagli arazzi fiamminghi alle pareti. Qui fu proclamato il risultato del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e si svolgono ancora oggi riunioni di particolare importanza. A sinistra del salone si affaccia la Biblioteca del Presidente, dove si tengono le riunioni dell'ufficio di Presidenza e degli altri organi di governo della Camera. Sul lato destro è invece situata la Sala Aldo Moro. L'intitolazione della storica sala è avvenuta il 13 maggio 2008, alla presenza del Presidente della Camera Gianfranco Fini, in occasione del trentesimo anniversario della tragica scomparsa dello statista pugliese. La sala, che era precedentemente denominata Sala gialla per il colore della tappezzeria, è arredata con mobili in stile rococò provenienti dalla Reggia di Caserta. 127

8 Sala della regina Fino alla seconda guerra mondiale ospitava la regina, una volta all'anno: infatti, dato che le donne non potevano entrare nell aula di Montecitorio, mentre il re dal trono declamava il discorso della Corona, la consorte aspettava e riceveva delegazioni delle forze politiche. Si pensò pertanto di dedicarla alla regina Elena, ma alla fine si decise per Sala della Regina. 2 Denominazione che non è mai stata cambiata anche se durante gli anni della Repubblica e' diventata l'anticamera per i deputati: qui si svolge una specie di party della burocrazia per i nuovi arrivati. Questi, sotto i grandi lampadari in ferro battuto della Sala della Regina, il primo giorno della legislatura, firmano documenti, l'assicurazione rischio volo, la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, e dietro un paravento provvisorio possono aggiustarsi i capelli prima della foto ufficiale che li ritrarrà sui documenti da parlamentare. Finora non ha avuto una storia vera e propria come l'altra sala, che le sta di fronte, oltre il cortile, la Sala della Lupa. Lì, si crede, si siano ritirati gli aventiniani, qui invece la Corte di Cassazione, nel giugno del 1946, ha proclamato la Repubblica. Dal 5 febbraio 1997 alle la Sala della Regina, al primo piano a Montecitorio, proprio sopra il corridoio del Transatlantico è diventata la sala costituente, dato che la Costituzione del '48 e' stata studiata in aula. Per renderla adatta ai nuovi costituenti, è stata cambiata un po': è sparito il tavolone ovale, è comparsa un'insolita pedana, rivestita di panno bordeaux: sopra ci sono quattro sedie più una presidenziale, dietro tre tricolori. Di fronte, i 70 posti per i commissari, disposti a semicerchio, su tre file. Ognuno trova una Costituzione di buon augurio e di sicura utilità sul tavolo. Per rendere più accogliente la sala e illuminare gli arazzi alle pareti sono 2 Cfr: o Corriere della Sera del 5 febbraio

9 stati aggiunti alcuni faretti. Compaiono anche per la prima volta i computer. Sono stati sistemati sulla destra, dietro un basso paravento. Lì la segreteria della commissione prepara i testi e i verbali. I resoconti delle sedute e tutti i documenti sono ormai a disposizione su internet. Lungo il corridoio dei busti e' stata preparata una sala stampa. Le sedute sono pubbliche e si possono seguire su schermi a circuito chiuso oltre che sulla rete. 129

10 I Pannelli della mostra Nell ambito della mostra Rappresentare l Italia, allestita all interno di palazzo Montecitorio presso la Sala della Regina, sono stati esposti cimeli di rilevante valore accompagnati da documenti, illustrazioni e video raggruppati nel loro specifico per tema e per successione cronologica in base a periodi di circa trent anni. Camminando attraverso la maestosa sala in stile Liberty, risalente al XIX secolo, si sono potuti osservare gli sfarzi delle intarsiature dell originale trono su cui sedeva il re in occasione del suo discorso annuale alla Camera, la collezione delle passate schede elettorali che documentano i cambiamenti nel corso del tempo della modalità di voto, le diverse giacche che hanno formato e formano l integro abbigliamento di ciascun parlamentare, gli indumenti che il deputato liberale Giovanni Amendola indossava il giorno in cui venne aggredito e ucciso dai fascisti e che intrisi del suo sangue suscitano ancor oggi un forte orrore, e, infine, la sintesi della storia del nostro paese 1210

11 attraverso i momenti salienti che l hanno segnato e maturato nella forma che conosciamo. 3 Il discorso della Corona Il «Grido di dolore» fa emergere sul piano politico internazionale la volontà del Regno di Sardegna di porsi come Stato guida ed egemone del movimento risorgimentale. 10 gennaio 1859 il <<Grido di dolore>> «Il nostro paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei Consigli d'europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'italia si leva verso di noi!» In questo discorso il Re gentiluomo sottolineò i fondamenti e le aspettative dell Italia dominata dalla nuova realtà politico-istituzionale «Fondata sullo Statuto l unità politica, militare e finanziaria e la uniformità delle leggi civili e penali, la progressiva libertà amministrativa della Provincia e del Comune, rinnoverà nei popoli italiani quella splendida e vigorosa vita, che in altre forme di civiltà e di assetto europeo era il portato delle autonomie dei Municipi, alle quali oggi ripugna la costituzione la costituzione degli Stati forti ed il genio della Nazione. Nel dar mano agli ordinamenti nuovi, non cercando nei vecchi partiti che la memoria dei servigi resi alla causa comune, noi invitiamo a nobile gara tutte le sincere opinioni per conseguire il sommo fine del benessere del popolo e della grandezza della Patria. La quale non è più l Italia dei Romani, né quella del medio evo; non deve essere più il campo aperto alle competizioni 3 Cfr: Rappresentare l Italia. 150 anni di storia della Camera dei deputati 1211

12 straniere, ma deve essere bensì l Italia degli Italiani!» [«Discorso della Corona» del 2 aprile 1860]. La biografia in breve Vittorio Emanuele II di Savoia (Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia; Torino, 14 marzo 1820 Roma, 9 gennaio 1878) è stato l'ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e il primo re d'italia (dal 1861 al 1878). Per non aver abrogato lo Statuto Albertino si guadagnò l'appellativo di Re galantuomo o Re gentiluomo, appellativo con cui è ricordato tutt'oggi. Egli, coadiuvato dal primo ministro Camillo Benso, conte di Cavour, portò infatti a compimento il Risorgimento nazionale e il processo di unificazione italiana. Per questi avvenimenti viene indicato come "Padre della Patria". A lui è dedicato il monumento nazionale eponimo del Vittoriano, sito a Roma, in Piazza Venezia. Il mezzo per partecipare allo Stato Le origini Dal punto di vista storico, le prime "schede elettorali"possono essere individuate nelle ostracon (ὀστρακον), piccoli frammenti di terracotta in cui si esprimeva il nome del cittadino da ostracizzare. Ma la nascita della scheda vera e propria è riconducibile alla Lex Gabinia del 139 a.c., con cui si istituisce il voto per iscritto, 1212

13 attraverso l'uso di una tavoletta, detta tabella. Altre furono le cosiddette Leges tabellariae: si ricordano la Lex Cassia del 137 a.c. e la Lex Papiria del 31 a.c. Oltre all'innovazione del voto per iscritto, s'introduceva anche la particolarità (straordinaria per l'epoca) del voto segreto. Altro metodo di voto era la ballota, praticato a Venezia, che consisteva nell'esprimere la propria preferenza fra due scelte attraverso delle palline colorate; la diffusione di quest'uso ha ancora oggi evidenti discendenze etimologiche per il termine ballottaggio in italiano, ballot e ballot paper in inglese, e ballottage in francese.4 Fianco a fianco con la storia 1913 Prima busta stampata dallo Stato e comparsa delle prime schede Gli elettori potevano votare attraverso fogli di carta semplice o con schede distribuite dai partiti. Nel 1912 per evitare irregolarità venne introdotta una busta stampata dallo Stato, adoperata la prima volta nelle elezioni del 1913, dove inserire il foglio o la scheda. [Immagine di quella utilizzata nel 1919] 5 E relativa scheda 4 Busta dello stato Cfr: per le origini 1213

14 Le elezioni politiche del 1913 si sono svolte il 26 ottobre (1 turno) e il 2 novembre (ballottaggi)1913. Furono le prime elezioni a suffragio universale maschile (introdotto il 25 maggio 1912), con l'ormai tradizionale collegio uninominale a doppio turno. I risultati sanzionarono il grande successo del Patto Gentiloni: i liberali ebbero il 51 % dei voti e 260 eletti (che in gran parte avevano sottoscritto gli accordi del Patto). I deputati socialisti (PSI e Socialisti indipendenti e sindacalisti) videro salire a 58 il numero dei propri eletti, i riformisti (Partito Socialista Riformista Italiano) eletti furono 21, 73 i radicali, 34 i cattolici (non aderenti al Partito Liberale) e 5 i nazionalisti La scheda stampata dallo Stato Per la prima volta nel 1924 l elettore si trovò a votare su una scheda stampata e distribuita dallo stato. Il fascismo già al potere e i suoi alleati ottennero circa il 61% dei voti e circa il 70% dei seggi. Le elezioni politiche del 1924 si sono svolte il 6 aprile Avevano diritto di voto tutti i cittadini maggiorenni di sesso maschile. Furono le uniche elezioni disciplinate dalla cosiddetta "legge Acerbo" (n del 18 novembre 1923), proporzionale con premio di maggioranza. Alla consultazione parteciparono un totale di 23 liste, per un totale di 1306 candidati, di cui 346 erano deputati uscenti e 41 avevano esercitato il loro mandato nel corso della XXV Legislatura. Oltre alla Lista Nazionale (Listone) e alla Lista Nazionale bis, si presentarono ben sette 5 Cfr: Guida alla mostra Rappresentare l Italia. 150 anni di storia della Camera dei deputati 1214

15 liste liberali e quattro liste democratiche di opposizione, due liste socialiste, tre liste autonomiste (slavi, tedeschi, sardisti) e una lista ciascuna per popolari, comunisti, repubblicani, demosociali ed agrari Plebiscito fascista: il voto diventa non segreto Nelle elezioni del 1929 e del 1934 la scelta dell elettore era limitata a dire SI o NO alla lista dei deputati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo. Le schede erano differenti nel colore e nella stampa. Chi votava NO era riconoscibile nel momento stesso in cui inseriva la scheda nell urna. Nel 1939 la Camera dei deputati fu soppressa e sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, nominata dall alto. Ogni parvenza di voto popolare fu abolita. Il Suffragio universale maschile, vigente dal 1912, veniva ristretto ai soli cittadini maschi iscritti a un sindacato o a una associazione di categoria, in servizio permanente nei corpi armati dello Stato, oltre ai religiosi. Anche per questo motivo, gli iscritti alle liste per le elezioni del 1929 erano poco meno di 9,5 milioni: erano stati 12,1 milioni nel 1924 e 11,5 milioni nel La votazione si svolse in forma plebiscitaria. Gli elettori potevano votare SÌ o NO per approvare la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio del Fascismo. La scheda con il SÌ era tricolore, quella col 1215

16 NO era bianca, per cui erano evidenti dall'esterno le intenzioni di voto Monarchia o Repubblica? La scheda per il voto libero e segreto del referendum istituzionale. Le elezioni politiche del 2 giugno 1946, furono le prime elezioni della storia italiana dopo il periodo dittatura fascista, che aveva interessato il paese nel ventennio precedente. Ebbero diritto di voto tutti gli italiani, maschi e, per la prima volta, femmine, di almeno 21 anni d'età. Gli aventi diritto al voto rappresentavano il 61,4% della popolazione. Si votò per la proclamazione di un'assemblea Costituente che avrebbe dato origine al nuovo corso istituzionale del Paese. Agli elettori furono consegnate insieme la scheda del referendum per la scelta fra Monarchia e Repubblica(referendum istituzionale) e quella per l'elezione dei 556 Deputati dell'assemblea Costituente, cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale, come stabilito con il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 151 del 25 giugno Il meccanismo elettorale era proporzionale a liste concorrenti in 32 collegi elettorali plurinominali. La legge elettorale prevedeva l'elezione di 573 deputati, ma le elezioni non si poterono svolgere in Alto Adige, sotto amministrazione alleata, e in Venezia Giulia, sotto amministrazione alleata e jugoslava e 1216

17 quindi non sotto la piena sovranità italiana, ma si svolsero nei comuni (allora piemontesi poi passati alla Francia) di Briga Marittima e di Tenda. Dal 1948 al 2008 Votazioni dopo la Seconda Guerra mondiale Le differenti schede elettorali stampate dallo Stato dopo il conflitto. Sessant anni di cambiamenti intercorrono tra le due tipologie. Le elezioni politiche del 1948 si tennero il 18 aprile. Costituirono la seconda consultazione elettorale a suffragio universale, dopo quella del 1946.n La Democrazia Cristiana si aggiudicò la maggioranza relativa dei voti e quella assoluta dei seggi, caso unico nella storia della Repubblica. Il partito guidato da Alcide De Gasperi ottenne oltre 4,6 milioni di voti in più e un balzo del 13% rispetto alle elezioni della Costituente, diventando il punto di riferimento per l'elettorato anticomunista. Rilevante la sconfitta del Fronte Democratico Popolare, lista che comprendeva sia il PCI che il Partito Socialista Italiano. Con il 31% dei voti, i due partiti di sinistra ottennero insieme meno voti di quanti ne conquistarono separatamente nel Le elezioni del 1948 furono notevolmente influenzate dalle questioni internazionali. La Guerra Fredda e la divisione del mondo in sfere d'influenza avevano una grossa ripercussione sull'italia. Un'eventuale vittoria delle sinistre avrebbe con tutta probabilità favorito l'adesione della giovane Repubblica al Patto di Varsavia anziché al blocco occidentale. Le elezioni furono importanti perché fissarono per lungo tempo alcuni capisaldi della Repubblica italiana: il pluralismo polarizzato che prevedeva una DC sempre vincente; l'esclusione dei comunisti da ogni governo; 1217

18 l'adesione dell'italia al blocco occidentale; la forte appartenenza ideologica; la presenza di forti partiti di massa; l'adesione a due concezioni della società oltre che a dei meri partiti politici; la bassa mobilità elettorale; il sistema elettorale proporzionale puro; una mappa geopolitica che vedeva le sinistre forti nel centronord, la DC nel Triveneto e le destre al Sud; la contrapposizione comunismoanticomunismo; la trasformazione dell'avversario politico in nemico da delegittimare; l'influenza più o meno marcata delle gerarchie ecclesiastiche nella politica. Per vastità della mobilitazione, numero di votanti, importanza della posta in gioco, le elezioni del 1948 segnano un unicum nella storia delle consultazioni elettorali italiane. Le elezioni politiche italiane del 2008 per il rinnovo dei due rami del Parlamento italiano la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica si tennero domenica 13 e lunedì 14 aprile a seguito dello scioglimento anticipato delle Camere avvenuto il 6 febbraio Le elezioni vennero vinte dalla coalizione composta da Il Popolo della Libertà, Lega Nord e Movimento per l'autonomia, che ottenne la maggioranza relativa dei voti e, in base alla vigente legge elettorale del 2005, la maggioranza assoluta degli eletti. Gli elettori chiamati a votare furono per la Camera e per il Senato. Di questi, rispettivamente e erano residenti nel territorio nazionale, divisi in sezioni, e rispettivamente e all'estero L'affluenza alle urne è stata nel complesso del 78,1% circa alla Camera e 1218

19 del 78,2% circa al Senato, in calo del 3,1% rispetto alle elezioni del 2006; nel territorio nazionale essa ha raggiunto l'80,5%, mentre all'estero si è attestata intorno al 40%. La giacca, il buoncostume della politica italiana Forse non tutti sanno che la Giacca è tra gli indumenti più antichi. 1219

20 Naturalmente non stiamo parlando della Giacca com è conosciuta oggi, ma di una sua antenata ; questa sembra sia stata usata indifferentemente sia da uomini che da donne. Sembra che siano stati ritrovati dei resti di Giacche in sarcofagi femminili risalenti addirittura all età del bronzo. Il termine Giacca deriva da Jacques nome comunissimo in Francia tra i contadini (italianizzato in Giacomo) e ha origine nel 1600 come sopraveste. La Giacca è nata in Francia nella rivolta dei contadini, durante la guerra dei Cent anni, come sopraveste per proteggere i vestiti dagli attacchi delle armi. L evoluzione degli elementi base è avvenuta in Gran Bretagna, nel Settecento. Nell Ottocento si sono stabilizzate poi le caratteristiche riconducibili alle attuali Giacche, così come al resto dei componenti dell abbigliamento maschile odierno: pantaloni, camicia, cravatta, gilet. In questi ultimi duecento anni, quindi, l evoluzione della Giacca e degli altri capi d abbigliamento, si è svolta secondo linee che seguivano lo stesso schema di sfondo. [in figura dall alto:giovanni Giolitti e Sidney Sonnino, due celebri Primi ministri] La forza della coerenza 1220

21 Giovanni Amendola (Napoli, 15 aprile 1882 Cannes, 7 aprile 1926) è stato un politico e giornalista italiano. Nacque nel 1882 da genitori originari di Sarno (Salerno). Nella sede romana della Società Teosofica nel 1903 il giovane Amendola conobbe la futura moglie, l'intellettuale lituana Eva Kuhn. Questa ricorda come, grazie alla teosofia, Amendola «allargò il cerchio delle sue conoscenze ed amicizie e lo stesso orizzonte della sua vita».si sposarono religiosamente il 25 gennaio 1906 e civilmente il 7 febbraio. Amendola fu iniziato alla Massoneria di Palazzo Giustiniani il 24 maggio del 1905, nella Loggia Giandomenico Romagnosi all'oriente di Roma. Dopo la laurea in filosofia, nel 1911, con una tesi su Immanuel Kant (La Categoria. Appunti critici sullo svolgimento della critica delle Categorie da Kant a noi) collaborò con alcune testate giornalistiche, tra cui Il Leonardo di Giovanni Papini e La voce di Giuseppe Prezzolini. Ostile al liberale Giovanni Giolitti, per la sua politica di compromesso, guardò con interesse al movimento nazionalista. In un primo tempo avverso alla campagna coloniale in Libia, appoggiò tuttavia lo sforzo bellico, dalle colonne della Voce, dopo l'inizio del conflitto. Ottenne la cattedra di filosofia teoretica presso l'università di Pisa, ma si dedicò prevalentemente al giornalismo. Nel 1912 divenne corrispondente da Roma del Resto del Carlino e nel 1914 passò al Corriere della Sera di Luigi Albertini. Mantenendo posizioni di irredentismo-democratico, si schierò per l'intervento italiano nella prima guerra mondiale e partecipò al conflitto come ufficiale d'artiglieria del Regio Esercito. Nel 1917 fu tra i promotori del Patto di Roma, un 1221

22 accordo tra rappresentanti delle varie nazionalità sottomesse agli Asburgo per lo smembramento dell'impero austro-ungarico e l'autodeterminazione dei popoli. Tale iniziativa venne poi contraddetta dalla politica del ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino, con il quale Amendola polemizzò duramente tra il 1918 e il Proprio nel 1919 Amendola venne eletto per la prima volta deputato alla Camera, nel collegio di Salerno, nella lista della Democrazia liberale. Era particolarmente legato alla corrente che faceva capo a Francesco Saverio Nitti, con il quale rimase in contatto fino alla morte. Dopo essere stato fin dal 1916 capo dell'ufficio di Roma de Il Corriere della Sera, nel 1922 diede vita, insieme ad Andrea Torre, Giovanni Ciraolo e ad altri intellettuali, al quotidiano Il Mondo, destinato a diventare nel giro di pochi anni una delle voci più autorevoli della stampa antifascista. Fu rieletto alla Camera nel 1921 e l'anno successivo fu nominato ministro delle Colonie da Luigi Facta, allora Presidente del Consiglio. Amendola fu fautore di una linea politica liberal-democratica e si schierò decisamente contro il governo Mussolini, non accettando le posizioni di compromesso che avanzarono altri esponenti della classe dirigente liberale come Giolitti e Salandra. Fu tra i primi a riconoscere la natura religiosa del fascismo e, probabilmente, si deve a lui il termine totalitarismo. Le sue posizioni critiche verso il regime gli valsero frequenti intimidazioni e aggressioni, fino a giungere all'aggressione fisica, quando fu bastonato da quattro fascisti e ferito alla testa, il 26 dicembre 1923 a Roma. Nel 1924 si candidò alla Camera nella circoscrizione della Campania in una lista antifascista, l'unione nazionale e venne rieletto, diventando uno dei massimi esponenti dell'antifascismo. Dopo il delitto Matteotti fu tra i deputati che diedero vita al cosiddetto Aventino, rifiutandosi di partecipare alle attività parlamentari fino a quando non fosse stata ripristinata la legalità. Divenne, insieme a Filippo 1222

23 Turati, il massimo esponente dell'opposizione aventiniana e promosse una linea non violenta di opposizione al fascismo, confidando che, dinnanzi alle responsabilità del fascismo nella morte di Matteotti, il re si decida a nominare un nuovo governo. Fu contrario a qualsiasi partecipazione popolare nella lotta per abbattere il governo Mussolini e, allo stesso tempo, fu ostile a ricercare accordi con altri oppositori del fascismo che non avevano aderito all'aventino ed erano restati in aula. Amendola fu fautore della politica di vecchia maniera, basata sulle posizioni personali e sul clientelismo, e in questo è forse da individuare uno dei maggiori limiti della sua politica. Tuttavia si rese conto che, con il sorgere della società di massa, non era possibile lasciare i partiti privi di organizzazioni sul territorio e perciò, nel maggio 1924, diede vita alla Unione meridionale, trasformata in Unione Nazionale nel novembre successivo. Fu un tentativo di organizzare le forze liberali antifasciste. Nel 1925, però, Mussolini diede un giro di vite alla libertà politica. Superata la crisi Matteotti, il fascismo iniziò ad instaurare la dittatura con una serie di leggi liberticide, e a farne le spese furono tutti gli antifascisti, compreso Amendola e l'unione Nazionale. Il deputato liberale fu aggredito dagli squadristi in località La Colonna a Pieve a Nievole (in provincia di Pistoia) il 20 luglio 1925 e non si sarebbe più ripreso dalle percosse subite. È considerato l'ispiratore del Manifesto degli intellettuali antifascisti. Morì a Cannes, in Francia, dopo lunga agonia provocata dalle percosse ricevute a Serravalle Pistoiese. L'episodio fu l'ultimo di una lunga serie di intimidazioni ricevute da Giovanni Amendola, dal figlio Giorgio, e dalla redazione de Il Mondo. 1223

24 Nilde Iotti Fra i busti che incontriamo nel corridoio che porta alla Sala della Regina, l ultimo è quello di Leonilde Iotti, grande prima Signora della Repubblica Italiana, che è stata Presidente della Camera per tredici anni, dal 1979 al 1992 (primato ancora insuperato). Nilde Iotti nacque a Reggio Emilia nel 1920 da una famiglia di origine operaia; il padre lavorò presso le Ferrovie dello Stato e partecipò attivamente al movimento operaio socialista. Durante il regime fascista venne perseguitato, a causa del suo impegno sindacale. Spinto dal desiderio di dare alla figlia un brillante futuro, iscrisse Nilde all Università Cattolica di Milano, nonostante le disagiate condizioni economiche: «Per anni indossai il cappotto rovesciato di mio padre» usava dire. Perso il padre, continuò a studiare fino a laurearsi grazie ai sacrifici della madre che iniziò a lavorare, malgrado la legge fascista relegasse le donne ai lavori domestici e alla procreazione. Una volta laureatasi intraprese la carriera dell insegnamento, che non abbandonò nemmeno durante il periodo in cui partecipò attivamente alla lotta partigiana. Nilde fu infatti dapprima portaordini, ruolo di grande rilievo ma molto rischioso, attraverso il quale i partigiani tessevano la loro rete di rapporti politici e successivamente, poco più che ventenne, fu designata responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna di Reggio Emilia, struttura attivissima nella guerra di Liberazione. Questi organismi radunavano donne di età e condizioni sociali diverse, mobilitate per 1224

25 far fronte a tutte le necessità che portava la guerra, occupandosi di raccogliere indumenti, medicinali, alimenti per i partigiani e portare messaggi, custodire liste di contatti, preparare case-rifugio, trasportare volantini, opuscoli ed anche armi. Questi gruppi diedero un grande contributo alla guerra contro i nazifascisti. Nel 1946, dopo essere stata consigliere comunale a Reggio Emilia, venne eletta con quasi sedicimila voti all Assemblea Costituente (nella quale parteciparono altre venti donne), entrando poi a far parte (insieme con altre quattro) della Commissione dei 75 che dovette redigere la bozza della Costituzione Italiana da sottoporre poi al voto dell intera Assemblea. In particolare Nilde lavorò nella prima sottocommissione, quella dei Diritti e dei Doveri dei cittadini, adoperandosi con grande impegno per porre al centro dell attenzione i diritti delle donne e l importanza della famiglia, della quale ritenne necessario e fondamentale il rafforzamento all interno della società, portando aria di rinnovamento ed emancipazione. La Iotti spiegò davanti all intera Commissione come la donna all interno della famiglia, che la società doveva impegnarsi a tutelare, non dovesse trovarsi nelle condizioni di sentire la «vita familiare come un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona» e come dovesse essere assolutamente emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità anche nella vita comune, dopo aver ricevuto in campo politico piena eguaglianza col diritto di voto attivo e passivo. Particolare rilievo ebbe la considerazione del lavoro, come strumento di tale emancipazione: la nuova Costituzione doveva assicurare il lavoro senza differenze di sesso. Nilde propose dunque un coraggioso tentativo di rinnovamento e abbattimento dei vecchi modelli. Questo si notò anche in una delle 1225

26 proposte costituenti più innovative: il principio dell uguaglianza giuridica dei coniugi, aventi uguali diritti e doveri nei confronti dei figli (per la loro alimentazione, educazione ed istruzione) e il principio di uguaglianza fra figli illegittimi e legittimi. Dopo l esperienza dell Assemblea Costituente che la stessa definì: «la più grande scuola politica, a cui abbia mai avuto occasione di partecipare, anche nel prosieguo della mia vita» fu promotrice della legge sul diritto di famiglia, del referendum sul divorzio e della legge sull aborto. Nel 1979 arrivò a ricoprire la carica di Presidente della Camera, incarico che mantenne fino al 1992, continuando a sedere a Palazzo di Montecitorio fino al Nilde godette di grande stima sia da parte dei suoi colleghi e sia da parte dei cittadini italiani; nel 1987 infatti il Presidente Cossiga le affidò un incarico di governo con mandato esplorativo: anche se si concluse senza esito positivo, fu la prima volta che un esponente del partito comunista arrivò così vicino alla Presidenza del Consiglio. E questo esponente era una donna. Anche dell ammirazione che suscitava nel suo popolo abbiamo un toccante esempio: quando il 3 dicembre 1999 Nilde Iotti morì, una incredibile quantità di ragazzi e ragazze, fra i sedici e i diciotto anni, affluì immediatamente alla Camera, nonostante quel giorno ci fosse lo sciopero dei giornali. La loro sola intenzione fu quella di partecipare insieme al dispiacere per la morte di una donna portatrice fiera dei propri valori e delle proprie idee, che rappresentò un vero e proprio modello di vita, il simbolo di una generazione di donne che lottarono per il proprio Paese e per la propria libertà. Una donna che è divenuta un esempio da seguire per l abilità di governare con equilibrio e saggezza, con la sua autorevolezza femminile, con la sua forza, la sua imparzialità, la sua fierezza. Non a caso nel 2006 è stata scelta la sua immagine per i 1226

27 francobolli che celebrano il sessantesimo anniversario del diritto di voto delle donne. Aldo Moro Nacque a Maglie, in provincia di Lecce, da genitori originari di Gemini, frazione di Ugento. Conseguì la Maturità Classica al Liceo Archita di Taranto. Si iscrisse presso l'università di Bari alla Facoltà di Giurisprudenza, dove prese la laurea. In seguito ottenne la docenza in filosofia del diritto e di politica coloniale alla stessa università nel L'anno successivo prese la carica di professore di diritto penale. Nel 1942 entrò a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana di Bari, segnalandosi ben presto anche a livello nazionale. Nel luglio 1939 venne scelto come presidente dell'associazione. Mantenne l'incarico sino al 1942 quando fu chiamato a succedergli Giulio Andreotti. Nel 1945 sposò Eleonora Chiavarelli, con la quale ebbe quattro figli: Maria Fida, Anna Agnese, e Giovanni. Tra il 1943 e il 1945 Aldo Moro iniziò a interessarsi di politica; in un primo tempo mostrò particolare attenzione alla componente socialdemocratica del partito socialista, successivamente però il suo forte credo cattolico lo spinse verso il costituendo movimento democristiano. Nella DC mostrò subito la sua tendenza democratico-sociale, aderendo alla componente dossettiana. Nel 1945 divenne direttore della rivista Studium e fu eletto presidente del Movimento Laureati 1227

28 dell'azione Cattolica. Nel 1946 divenne vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all'assemblea Costituente, dove entrò a far parte della Commissione che si occupò di redigere il testo costituzionale. Eletto deputato al parlamento nelle elezioni del 1948, fu nominato sottosegretario agli esteri nel gabinetto De Gasperi. Nel 1953 fu rieletto alla Camera, ove fu eletto presidente del gruppo parlamentare democristiano. Nel 1955 fu ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Segni e l'anno dopo risultò tra i primi eletti nel consiglio nazionale del partito durante il VI congresso nazionale della DC. Ministro della Pubblica Istruzione nei due anni successivi, introdusse lo studio dell'educazione civica nelle scuole. Nel 1959, al VII congresso nazionale DC conquistò la segreteria del partito. Nel dicembre 1963 (IV Legislatura, ) divenne, a soli 47 anni, presidente del Consiglio. Formò il suo primo governo con una coalizione inedita: DC, PSI, PSDI e PRI; fu il primo governo del centro-sinistra. La coalizione resse fino alle elezioni del Il terzo governo Moro batté il record di durata (833 giorni) e rimase uno dei più longevi della Repubblica. Dopo le elezioni venne costituito un governo balneare in attesa del congresso DC, previsto per l'autunno. Al congresso Moro passò all'opposizione interna al partito Dal 1969 al 1974 (V e VI Legislatura), assunse l'incarico di ministro degli Esteri. Dopo la caduta del V governo Rumor, riprese la guida di palazzo Chigi, dove rimase fino alle elezioni anticipate del Nel 1975 il suo governo concluse il Trattato di Osimo, con cui si sanciva l'appartenenza della Zona B del Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia. Nel 1976 fu eletto Presidente del Consiglio Nazionale del partito. Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasportava Moro, dalla sua abitazione nel quartiere Trionfale, zona Monte Mario di Roma, alla Camera dei deputati, fu intercettata 1228

29 da un commando delle Brigate Rosse all'incrocio tra via Mario Fani e Via Stresa. Gli uomini delle BR uccisero, in pochi secondi, i 5 uomini della scorta, Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana. Dopo una prigionia di 55 giorni nel covo di via Montalcini, il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, fu ritrovato il 9 maggio nel baule posteriore di un'automobile Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani. Fu sepolto nel comune di Torrita Tiberina, piccolo paese della provincia romana ove lo statista amava soggiornare. Aveva 61 anni. Dall'anno seguente alla sua uccisione, l'esponente della Democrazia Cristiana viene ogni anno ricordato con messaggi e cerimonie presenziate dalle cariche istituzionali. Il 4 maggio 2007, il Parlamento ha votato e approvato una legge con il quale si istituisce il 9 maggio il Giorno della memoria in ricordo di Aldo Moro e di tutte le vittime del terrorismo. Tra aprile e maggio 2007 è stata presentata presso la sede dell'istituto San Giuseppe delle suore Orsoline a Terracina e presso la sede dell'associazione Forche Caudine a Roma, alla presenza di Agnese Moro, figlia del leader democristiano, una raccolta ragionata degli scritti giornalistici di Aldo Moro, curata dal giornalista Antonello Di Mario ed edita da Tullio Pironti. Nel giorno del 30º anniversario della sua morte, l'università degli Studi di Bari ha deliberato di intitolarsi ad Aldo Moro, che fu studente e docente presso la stessa. La decisione è stata lunga e ha avuto il pieno consenso e apprezzamento da parte della figlia Agnese Moro. La cerimonia del ventaglio 1229

30 La cerimonia del ventaglio nel corso degli anni è giunta a costituire una vera e propria tradizione all'interno del Parlamento. La cerimonia consiste nella donazione di un ventaglio decorato al Presidente della Repubblica e ai Presidenti della Camera e del Senato da parte dell'associazione stampa parlamentare, in vista della chiusura dei lavori parlamentari per la pausa estiva. Il primo ventaglio fu consegnato il 7 luglio 1893 al Presidente della Camera Giuseppe Zanardelli in occasione di una giornata estremamente calda. La Camera teneva in quell'epoca le sue sedute nella vecchia aula Comotto che, allestita in gran fretta per ospitare l'assemblea in Montecitorio, aveva il duplice difetto di essere troppo fredda d'inverno e torrida d'estate. Il Presidente espresse, con ironia, la propria invidia verso i giornalisti della tribuna stampa che per combattere l'afa dell'aula usarono alcuni ventagli; così essi ne donarono uno di carta al Presidente sul quale erano apposte tutte le loro firme e da allora, prima della sospensione estiva dei lavori,un ventaglio viene regalato ai Presidenti dei due rami del Parlamento. L'omaggio si interruppe durante il periodo fascista per riprendere poi nel secondo dopoguerra, estendendosi anche al Presidente del Senato e, dal 1993, al Presidente della Repubblica. I rapporti tra la tribuna della stampa e la Camera furono sempre ottimi: la Camera comprese la necessità della tribuna della stampa e apprezzò la sua funzione. Persino i Presidenti della Camera improntarono i loro rapporti con i giornalisti alla massima cordialità e, all'avvicinarsi dell'estate, il puntuale rinnovarsi dell'antica consuetudine di donare un ventaglio al Presidente ne è una conferma. 1230

31 Nella nuova Aula di Montecitorio, costruita ormai più di 75 anni fa, il ventaglio non ha più una funzione utilitaria (cui provvede molto meglio l'impianto dell'aria condizionata), ma il dono rimane e conserva tutto il suo valore simbolico di testimonianza della continua collaborazione della stampa con il Parlamento. I migliori artisti hanno di volta in volta donato il loro contributo alla decorazione dell'omaggio, sempre molto gradito, ma delle cui caratteristiche si è purtroppo persa notizia. Sicuramente il più celebre ventaglio fu quello offerto al Presidente Marcora il 19 giugno Inoltre quella che ormai viene chiamata la cerimonia del ventaglio non è certo solo l'occasione per augurarsi reciprocamente buone ferie, bensì anche per fare il punto su un anno di attività e sulle prospettive future. Nel 2006 i tre ventagli sono stati realizzati da studenti dell'accademia di Belle Arti di Roma, grazie ad un concorso promosso dall' ASP (Associazione stampa parlamentare) e dal 2007 tutti gli studenti dei corsi di pittura delle accademie italiane possono impegnarsi nella decorazione, con premi in denaro per i vincitori. Recentemente è stato generato anche un appuntamento gemello in pieno inverno prima delle festività natalizie e della fine dell'anno. 1231

32 Dove siedono oggi i nostri parlamentari 1232

33 1233

34 Il valore dell esperienza La visita al palazzo romano di Monttecitorio è stata un occasione per riflettere sugli aspetti fondamentali che configurano la vita pubblica in un moderno stato democratico, aspetti spesso trascurati dai giovani. Essi, soprattutto quelli delle ultime generazioni, tendono a disinteressarsi, o quantomeno a curarsi poco, delle questioni e dei problemi di carattere sociale, economico e politico. Il viaggio d istruzione a Roma, grazie alla conoscenza di luoghi destinati a funzioni istituzionali, offre invece l opportunità di rivolgere l attenzione a tali temi. La caratteristica essenziale di una democrazia è data dalla partecipazione di ogni cittadino alla vita politica della propria nazione. Se democrazia significa governo del popolo, questo vuol dire che tutti dobbiamo sentirci coinvolti in ciò che il governo fa o decide, non esclusi gli eventuali errori nei quali può incorrere, né gli incresciosi casi di corruzione che possono coinvolgere alcuni rappresentanti legittimamente eletti. Quando prevale il disinteresse, l abitudine, il quieto vivere, al posto della partecipazione feconda, si verifica uno sterile disimpegno. Pertanto il buon funzionamento dello Stato dipende dai cittadini, sia per quanto riguarda la dimensione di libertà che si esplica nel rispetto reciproco e nel pieno esercizio dei diritti civili e politici, sia dal punto di vista economico, perché ognuno deve collaborare, attraverso l impegno lavorativo e contributivo, alla crescita di una comunità in grado di garantire a tutti i membri un tenore di vita umanamente dignitoso. Siamo perciò chiamati ad acquisire la consapevolezza necessaria per esprimere le proprie scelte di voto. Soprattutto a livello scolastico, risulta quanto mai opportuna un efficace educazione civica che introduca ad imprescindibili nozioni economiche e giuridiche e sia orientata alla conoscenza 1234

35 non superficiale della Costituzione. L atteggiamento dei giovani è spesso più apolitico che antipolitico ed è allora benvenuta qualunque occasione capace di far convergere il loro interesse verso tematiche che, se adeguatamente prospettate, non possono lasciarli indifferenti. Poiché i giovani sono portati alla critica della realtà esistente, si può fare leva su questa loro attitudine. Le istituzioni democratiche sono il bene più prezioso di una comunità e, finché esistono, è possibile la critica da parte dei singoli e dei gruppi al fine di migliorare le istituzioni stesse. Tutto può essere criticato e migliorato, qualsiasi legge può essere abrogata o sostituita, qualsiasi proposta può essere discussa, corretta, perfezionata, accettata, respinta, insomma, finché esiste la libertà, incarnata e protetta dalle istituzioni, possiamo sperare di raggiungere anche una migliore giustizia. In particolare, l attenzione dei giovani può essere rivolta alla difficile situazione attuale che vede la nostra nazione coinvolta in una crisi mondiale, la cui conclusione è incerta nei tempi e nei modi. Forse l unica concreta speranza di uscirne, nella maniera più indolore possibile, è riposta nei giovani. Dal loro slancio originale e inventivo può dipendere la costruzione di un sistema nuovo, che sappia generare uno sviluppo più equo ed umano. 1235

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