Una via giudiziaria all eutanasia? Giurisdizione, diritti individuali e legislatore nel caso Eluana

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1 Prof. avv. Nicolò Zanon Ordinario di Diritto costituzionale Facoltà di Giurisprudenza dell Università degli studi di Milano Una via giudiziaria all eutanasia? Giurisdizione, diritti individuali e legislatore nel caso Eluana 1. Le considerazioni che seguono sono di ordine tecnicogiuridico, ma credo abbiano un significato di ordine culturale generale: si tratta di capire, in primo luogo, chi decide alcune regole fondamentali del nostro vivere civile, e di quali regole debba trattarsi. In altre parole, ogni considerazione giuridica riferibile ai problemi del fine vita non può che avere di mira la questione di fondo: in quale tipo di società vogliamo vivere? Dal punto di vista del giurista, le varie tappe giudiziarie in cui si è dipanato il caso Englaro sono estremamente significative del ruolo assunto dalla giurisdizione nel nostro ordinamento, su questioni di particolare delicatezza coinvolgenti diritti fondamentalissimi. Il caso Englaro non è che il caso più drammatico ed estremo in cui l attivismo creativo delle Corti si è manifestato. Non voglio discutere l idea secondo la quale al giudice non spetta emettere un non liquet, laddove manchi una disposizione di legge che fornisca la regola giuridica adatta al caso di specie. Alle domande difficili il giudice non può certo sfuggire: ma contesto concettualmente che su tali questioni gli spetti il compito di dare risposte nuove o innovative. Credo anzi, per un elementare principio di precauzione e di rispetto delle attribuzioni costituzionali del legislatore, che su problemi di tale delicatezza debba prevalere il self restraint del giudice, e il suo ancoraggio ai dati che il diritto positivo fornisce con certezza: quindi la tutela del diritto alla vita, facilmente desumibile dalla Costituzione e da varie disposizioni di legge ordinaria (codice civile e codice penale). Non vorrei nemmeno trascurare l ulteriore significato che per ogni giudice dovrebbe assumere l assenza di una legislazione specifica: il fatto che non ci sia una legge sulle questioni di fine vita potrebbe anche voler dire che il legislatore non ha intenzione di intervenire, perché tali questioni non sono giuridificabili. Anche questo aspetto dovrebbe indurre il giudice a non sperimentare soluzioni nuove. Non voglio, ovviamente, mettere in discussione il potere interpretativo del giudice, né la sua capacità di estrarre, in certe 1

2 ipotesi, direttamente dalla stessa Costituzione i principi regolativi dei casi critici. Metto invece in dubbio la possibilità per il giudice di varcare il confine che pur esiste tra interpretazione del diritto e creazione di nuovo diritto, attraverso un operazione che, partendo da principi costituzionali di estrema generalità, conduca alla creazione di regole del tutto innovative, di cui non si rinviene traccia nel diritto positivo.. 2. Nel nostro caso, come si sa, il passaggio cruciale è stato compiuto con la sentenza della Corte di Cassazione, I^ sez. civile, n del 2007 (cui ha fatto seguito il decreto della Corte di appello di Milano, sez. I civile, n. 88 del 25 giugno 2008), che ha elaborato il seguente principio di diritto : «Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta, e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti: (a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l idea stessa di dignità della persona. Ove l uno o l altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l autorizzazione, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa». Questo principio di diritto non è il mero risultato di una interpretazione, ma rivela una natura fortemente innovativa e creativa. In un primo senso, perché dagli artt. 357 e 414 del codice civile, in tema di poteri del tutore, non è possibile attraverso gli usuali criteri ermeneutici previsti dall art. 12 delle preleggi ritenere che il tutore possa addirittura disporre della vita del soggetto 2

3 tutelato. Le norme citate ragionano anzi della necessità di una adeguata protezione del soggetto debole. In un secondo senso, perché l art. 5 del codice civile, in tema di atti dispositivi del proprio corpo, e gli artt. 575, 576, 577, 579 e 580 cod. pen. (in tema di omicidio, omicidio del consenziente, aiuto al suicidio ecc.) avrebbero dovuto far concludere il giudice nel senso della presenza, nel nostro ordinamento, di un principio ispiratore di fondo, tutelato anche dall art. 2 della Costituzione, cioè l indisponibilità del bene della vita. In un terzo senso, perché la surrogazione dell espressa e chiara volontà di rifiuto delle cure, tramite indici pretesamente rivelatori di tale volontà, avviene attraverso la valorizzazione di elementi arbitrariamente scelti dal giudice: il riferimento alle precedenti dichiarazioni del soggetto, ovvero alla sua personalità, al suo stile di vita e ai suoi convincimenti è debole dal punto di vista della ragionevolezza intrinseca e potrebbe essere accettato solo in quanto sostenuto da un esplicita volontà legislativa, che appunto manca. Si tratta cioè di scelte arbitrarie del giudice, che avrebbero potuto essere compiute solo dal legislatore, in quanto frutto della sua discrezionalità politica. In questo caso, invece, il percorso che parte dall art. 32 cost. e conduce al principio di diritto elaborato dalla Cassazione è un percorso lunghissimo, ricco di scelte arbitrarie che appartengono alla discrezionalità del legislatore. Si ammetta pure che dall art. 32 cost. sia desumibile il principio dell autodeterminazione, inteso come libertà di rifiuto di cure non volute. Ma la nozione di ciò che è cura, e l individuazione in concreto degli strumenti di identificazione di una volontà certa, appartengono alla legge (e al sapere tecnico della medicina) e non al giudice. In assenza di tali scelte, non resta al giudice che dare la prevalenza al diritto alla vita, come aveva una prima volta deciso, nel 2006, la stessa Corte d appello di Milano, sempre nel caso Englaro. Aggiungo che, a mio avviso, la Corte di cassazione ha invaso non solo territori che appartengono alla discrezionalità del legislatore, ma a ben vedere si è comportata come una sorta di Corte costituzionale. Essa ha infatti preteso di svolgere un bilanciamento tra diritto alla vita e diritto all autodeterminazione, in termini che solo una Corte costituzionale, correttamente adìta, potrebbe al limite realizzare. 3. L invasione di territori della discrezionalità legislativa, che a mio avviso vi è stato, apre a un ulteriore questione, culturale prima ancora che giuridica. 3

4 Intanto, non ci si può trincerare dietro all osservazione che il principio di diritto elaborato dalla Cassazione vincola solo nel caso di specie. Questo è vero formalmente, ma il principio in questione esprime una tendenza culturale chiarissima, ed ha una capacità espansiva e diffusiva evidente. Ma soprattutto il principio di diritto in questione si pone come esempio estremo di un singolare modo di creazione di regole giuridiche, frutto di una preoccupante tendenza paternalistica e antidemocratica. Tra i giuristi va di moda oggi l acritica esaltazione di forme di bioequity, cioè di produzione giudiziaria di regole giuridiche nei settori delicatissimi del fine vita, realizzata da magistrati sapienti e illuminati, in assenza di leggi o anche contro ciò che il legislatore dispone (valga per tutti il caso del Tribunale di Cagliari in materia di procreazione medicalmente assistita, sulla questione delicatissima della diagnosi reimpianto). Questo rivela una visione appunto paternalistica e antidemocratica dei processi di produzione normativa, del tutto paradossale in chi si ritiene invece per definizione aperto alle nuove istanze provenienti dalla società e dal senso comune. Inoltre rivela una certa disattenzione o un certo disprezzo per i caratteri tipici della legge, come norma in grado di incorporare soluzioni dotate di legittimazione democratica, frutto di una discussione approfondita in Parlamento tra le diverse idee, punto di equilibrio fra opzioni anche lontane, e comunque fattore di integrazione sociale. Laddove soluzioni giudiziarie ardite e innovative sono, come nel nostro caso, elementi di divisione e frattura culturale drammatica. 4. Anche il TAR della Lombardia ha dato il suo notevole contributo alla deriva di cui qui si ragiona. Si ricorderà che un atto della direzione generale della sanità lombarda negava che il personale del Servizio pubblico sanitario regionale potesse procedere, all interno di una delle sue strutture, alla sospensione dell idratazione e alimentazione artificiale di cui goda l ammalato in stato vegetativo permanente, il quale tramite manifestazione di volontà del tutore e autorizzazione del giudice tutelare intenda rifiutare tale trattamento. Come si sa, su ricorso dei legali di Eluana, il TAR ha annullato tale atto e disposto che l amministrazione sanitaria lombarda indichi la struttura sanitaria più adatta allo scopo. La sentenza è stata notificata alla Regione Lombardia, ciò che sembrava preannunciare una volontà di ottenere l esecuzione 4

5 della sentenza in Regione. Ma nelle stesse ore, come si sa, Eluana è stata condotta a Udine. Per quanto gli eventi sembrino allontanare Eluana dal controllo della sanità lombarda, il precedente giudiziario, anche qui, resta e apre una serie notevole di problemi. Intanto, con questa sentenza, diventa chiarissimo anche sul piano giuridico-formale quel che già balzava agli occhi su quello culturale, cioè il passaggio dalla sfera privata a quella pubblica dell intera vicenda. Una decisione che, fin qui, si inseriva in un procedimento di volontaria giurisdizione - come tale riferibile a rapporti di natura privatistica tra Eluana, il suo tutore e il suo curatore speciale arriva a coinvolgere le strutture sanitarie anche pubbliche. Secondo il TAR, a giustificare la pronuncia è l assolutezza del diritto costituzionale a rifiutare il trattamento sanitario consistente nell idratazione e alimentazione artificiale. Ora, nessun dubbio che i diritti costituzionali, se esistono, si debbano proteggere nei confronti dei poteri pubblici che, in ipotesi, li neghino. Ma si potrebbe discutere molto se dall art. 32 della Costituzione si possa non solo desumere un diritto assoluto a rifiutare ogni sostegno vitale e a disporre così della propria vita, ma anche un corrispondente e assoluto obbligo delle strutture pubbliche a prestarsi, senza eccezione alcuna, a soddisfare questo desiderio (espresso, per di più, non direttamente, ma tramite un tutore). Inoltre, visto che la sentenza opportunamente richiama il principio di legalità come faro dell attività amministrativa, ci si potrebbe chiedere se un circostanziato obbligo di facere dell amministrazione possa desumersi non già da una fonte legislativa, ma da una regola di diritto ricavata dai giudici in via interpretativa, proprio in una materia caratterizzata dall assenza di una legislazione specifica. La sentenza afferma con nettezza che una tale regola di diritto non avrebbe minore effetto conformativo, sull amministrazione, di una disposizione legislativa esplicita. Ma specialmente in materie così delicate, che coinvolgono diritti davvero fondamentalissimi, sarebbe meglio essere più cauti. Ancora: ha davvero efficacia di giudicato come tale vincolante anche per l amministrazione - il provvedimento su Eluana della Corte d appello, emanato al termine di un procedimento di volontaria giurisdizione? Per definizione, i provvedimenti assunti in una sede non contenziosa non hanno questa forza, ma sono anzi revocabili e modificabili dal giudice in ogni momento, proprio perché preordinati all esigenza prioritaria della tutela dei 5

6 diritti e degli interessi di soggetti deboli. Il TAR sostiene invece che il provvedimento in questione avrebbe forza di giudicato, opponibile all amministrazione, perché sarebbe scaturito da procedimento in contraddittorio, concluso con una decisione che si impone su contrapposte posizioni di diritto soggettivo. Ma, parlando seriamente, dov era, nel caso di Eluana, il contraddittorio e dov erano le contrapposte posizioni di diritto soggettivo? Tutti sanno che, in ogni passaggio giudiziario di questa vicenda, il curatore speciale, nominato proprio per dare spazio a interessi divergenti rispetto a quelli del tutore (il padre), ha sempre appoggiato tutte le scelte di quest ultimo. Ed è allora paradossale richiamare quel finto contraddittorio per giustificare l effetto conformativo sull amministrazione della decisione della Corte d appello! Inoltre: secondo il TAR, neppure può ammettersi, nella vicenda, un rifiuto dei medici a conformarsi alla richiesta del tutore, richiamandosi all obiezione di coscienza, poiché dice testualmente la sentenza - nessuna legge oggi esplicitamente disciplina modalità e limiti entro i quali possono assumere rilevanza i convincimenti intimi del singolo medico. E un soprassalto di legalità tradizionale che va benissimo. Peccato che, allo stesso modo, nessuna legge oggi esplicitamente disciplini modalità e limiti entro i quali un malato possa esprimere le proprie volontà di fine vita, eppure si sono trovati tanti giudici e tante sentenze pronti a ricostruire per via pretoria una regolamentazione tanto delicata. Non si comprende davvero perché mai, secondo il TAR, quel che è stato fatto in sede giudiziaria con il principio di autodeterminazione e la connessa libertà di rifiuto delle cure non possa riprodursi con la libertà di coscienza dei medici (e di altri operatori sanitari). Infatti, secondo ampia giurisprudenza della Corte costituzionale, la libertà di coscienza è un principio costitutivo dell ordinamento desumibile dall art. 21 cost. e la sua vigenza e applicabilità diretta alle singole fattispecie ben potrebbe prescindere da una esplicita disciplina legislativa che ne precisi limiti e modalità, esattamente come dall art. 32 cost. sarebbe in tesi - desumibile una libertà di rifiuto delle cure a prescindere da una legge che regoli con precisione le scelte di fine vita. Eppure il TAR dice con nettezza il contrario. Verrebbe da dire che sono stati usati proprio due pesi e due misure. Nicolò Zanon 6

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